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Quello stesso sole batteva sul collo di Reacher che stava entrando a Manhattan, seduto sul sedile posteriore di un taxi abusivo. Se ne aveva l'occasione, Jack preferiva viaggiare con taxisti senza licenza, sempre per tutelare il proprio anonimato. Nessuno avrebbe avuto motivo di rintrac-ciarne gli spostamenti interrogando i taxisti; e un taxista che non può ammettere di esserlo costituiva la migliore sicurezza. E gli dava anche la possibilità di un margine di trattativa sulla tariffa, il che era impossibile coi ta-chimetri dei taxi gialli.
Attraversarono il Triborough Bridge, entrarono a Manhattan imboccan-do la 125th Street e procedettero nel traffico, verso ovest, fino a Roosevelt Square, dove Reacher fece accostare l'auto per guardarsi attorno e riflettere brevemente. Stava pensando a un albergo economico, ma ne voleva uno coi telefoni funzionanti e gli elenchi telefonici integri. Concluse che in quel quartiere non avrebbe potuto trovare una sistemazione che soddisfa-cesse tutti e tre i requisiti. In ogni caso, scese dal taxi e lo congedò. Ovunque fosse diretto, avrebbe percorso l'ultimo tratto a piedi. Da solo, com'era sua abitudine.
I due uomini, con gli abiti da mille dollari tutti sgualciti, attesero che Chester Stone si fosse allontanato, prima di entrare nell'ufficio interno, farsi strada tra i mobili e fermarsi davanti alla scrivania. Hobie sollevò lo sguardo e aprì un cassetto, in cui ripose il contratto firmato e le fotografie e da cui estrasse un blocco per appunti. Dopodiché appoggiò l'uncino sul tavolo e girò di poco la sedia, in modo che la luce fioca che entrava dalle finestre gli colpisse la parte sana del volto.
«Allora?» li esortò.
«Siamo appena tornati», disse uno dei due.
«Avete le informazioni che volevo?»
L'altro annuì e si sedette sul divano. «Stava cercando un certo Jack Reacher.»
Hobie scrisse il nome sul blocco. «Chi è?»
Vi fu qualche istante di silenzio.
«Non lo sappiamo», rispose quello che aveva parlato per primo.
«Chi era il cliente di Costello?» incalzò Hobie.
Di nuovo silenzio.
«Non sappiamo neppure questo», rispose lo stesso uomo.
«Sono domande basilari», si spazientì Hobie.
Il giovane si limitò a guardarlo in silenzio, imbarazzato.
«Non avete pensato di fargli domande così basilari?»
«Gliele abbiamo fatte. Continuavamo a torchiarlo come matti», si giustificò il secondo sicario.
«E lui non rispondeva?»
«Stava per farlo», intervenne il primo.
«Ma?»
«Ci è morto tra le braccia», riprese il secondo sicario. «Ha fatto una specie di balzo ed è morto. Era anziano, in sovrappeso. Credo si sia trattato di un attacco cardiaco. Mi dispiace molto, signore. Siamo entrambi molto dispiaciuti.»
«Possibilità di essere rintracciati?»
«Nessuna. Non è identificabile», rispose il primo sicario.
Hobie si guardò la punta delle dita della mano sinistra. «Dov'è il coltello?»
«In mare», rispose il secondo uomo.
Hook spostò il braccio e tamburellò con la punta dell'uncino sulla superficie di legno. Rifletté, poi annuì con determinazione. «Bene, presumo non sia colpa vostra. Un cuore debole... Che ci potevate fare?»
Il primo si rilassò e raggiunse l'altro sicario sul divano. Non erano più a portata d'uncino, il che aveva un significato particolare, in quell'ufficio.
«Dobbiamo trovare il cliente», decise Hobie, nel silenzio generale.
I due annuirono e rimasero in attesa.
«Costello avrà pur avuto una segretaria, no? Lei saprà chi era il cliente.
Portatemela», ordinò Hobie.
I due sicari non si mossero dal divano.
«Che c'è?»
«Questo Jack Reacher», cominciò il primo. «Dovrebbe essere un tipo al-to, che stava alle Keys da tre mesi. Costello ci ha detto che la gente parlava proprio di un uomo grande e grosso, sull'isola esattamente da tre mesi, che lavorava in un locale notturno. Siamo andati a trovarlo. Un tizio alto e muscoloso, che ha però sostenuto di non essere Jack Reacher.»
«E allora?»
«All'aeroporto di Miami... Abbiamo volato con la United perché il volo era diretto, ma, poco prima, ne partiva uno della Delta, con scalo ad Atlanta.»
«Quindi?» L'usuraio cominciava a perdere la pazienza.
«Il tizio del bar... L'abbiamo visto dirigersi all'imbarco.»
«Ne siete sicuri?»
«Al novantanove per cento. Era molto distante, ma è davvero imponente. Difficile confonderlo...»
Hobie ricominciò a picchiettare l'uncino sul tavolo, assorto nelle proprie riflessioni. «Bene, quell'uomo è Reacher», concluse. «Dev'essere lui, giusto? Costello che chiede in giro, poi voi due, nello stesso giorno, lui s'im-paurisce e scappa. Ma dove? Qui?»
«Se ad Atlanta è rimasto sull'aereo, ora è qui», dedusse il secondo sicario.
«Ma perché? Chi diavolo è? La segretaria mi rivelerà chi è il cliente, giusto? E il cliente mi dirà chi è questo Reacher», concluse Hobie.
I due sicari si dissero d'accordo e si alzarono. Poi, zigzagando tra i mobili, uscirono dall'ufficio.
Reacher si stava dirigendo a sud attraverso Central Park e tentava di valutare l'entità dell'impresa in cui si era imbarcato. Era certo di essere nella città giusta, l'accento dei tre uomini - Costello e i due sicari - gliene aveva dato la conferma; ma la popolazione da passare al setaccio era davvero enorme. Sette milioni e mezzo di persone distribuite in cinque distretti, forse diciotto milioni nell'intera area metropolitana. Diciotto milioni d'individui che avrebbero potuto rivolgersi a un investigatore privato esperto e competente. L'istinto gli suggeriva che Costello aveva l'ufficio a Manhattan, ma era possibile che la signora Jacob abitasse in periferia. Se sei una donna che vive in un'area suburbana e vuoi un detective privato, dove lo cerchi? Non accanto al supermarket o al negozio che noleggia videocasset-te, e nemmeno nel centro commerciale di fianco ai negozi di abbigliamento. Prendi le pagine gialle della città e inizi a fare telefonate. Dopo un breve colloquio, l'investigatore viene a casa tua, oppure prendi il treno e vai tu da lui. Da un luogo qualsiasi di un'area densamente popolata che si estende per centinaia di chilometri quadrati.
Reacher aveva rinunciato a trovare un albergo: non era detto che avrebbe perso molto tempo nella ricerca della cliente di Costello; avrebbe potuto cavarsela anche in un'ora, e avrebbe potuto utilizzare più fonti d'informazione di quelle offerte dagli alberghi. Aveva bisogno degli elenchi telefonici di tutti i cinque distretti e dei sobborghi; nessuna pensione economica li avrebbe avuti tutti. Inoltre non era necessario pagare il sovrapprezzo che queste solitamente applicano alle telefonate. Scavando piscine non si era certamente arricchito!
Dopo tali riflessioni, si diresse alla New York Public Library, all'incrocio fra la 42nd Street e la 5th Avenue. La più grande del mondo? Non se lo ricordava. Forse sì, o forse no. Ma di certo grande abbastanza da avere tutti gli elenchi desiderati, oltre a tavoli ampi e a sedie comode. Sei chilometri e mezzo da Roosevelt Square, un'ora di cammino a passo rapido, interrotto solo dal traffico che incontrava quando doveva attraversare le strade e da una breve sosta in una cartoleria per acquistare un blocco e una matita.
Il segretario entrò nell'ufficio di Hobie e chiuse la porta dietro di sé. Attraversò la stanza e si sedette sul bordo del divano più vicino alla scrivania.
Fissò Hobie, a lungo, in silenzio.
«Che cosa c'è?» chiese Hobie, benché già lo sapesse.
«Dovrebbe andarsene. A questo punto, è rischioso», lo avvisò l'uomo.
Hobie non rispose, limitandosi ad accarezzare l'uncino con la mano sinistra.
«Ha pianificato tutto. Ha fatto una promessa. A che serve programmare e promettere se non si fa ciò che si dovrebbe?» continuò il segretario.
Hobie rimase in silenzio.
«Ci hanno chiamato dalle Hawaii, giusto? Lei aveva detto che sarebbe fuggito non appena avessimo ricevuto quella telefonata», incalzò l'uomo.
«Costello non è mai stato alle Hawaii. Abbiamo controllato», ribatté Hobie.
«Questo non fa che peggiorare le cose. Qualcun altro è andato alle Hawaii, qualcuno che non conosciamo.»
«Routine. Dev'essere così. Pensaci. Non c'è ragione per cui qualcuno debba andare alle Hawaii finché non riceviamo una chiamata dall'altra parte. È una sequenza, lo sai. Ci chiamano da lì, poi dalle Hawaii; fase uno, fase due, e solo allora è tempo di andare. Non prima.»
«Lo ha promesso», insistette il segretario.
«È ancora troppo presto. È illogico. Se vedi qualcuno che compra una pistola e una scatola di proiettili e ti punta l'arma, ti spaventi?»
«Certo che mi spavento.»
«Io no», ribatté Hobie. «Perché non ha caricato l'arma. La fase uno consiste nell'acquistare l'arma e le pallottole, la fase due nel caricarla. Finché non abbiamo notizie dall'altra parte, le Hawaii sono come un'arma scarica.»
Il segretario si appoggiò allo schienale e guardò il soffitto. «Perché lo fa?»
Hobie aprì il cassetto, estrasse il dossier Stone e ne tolse il contratto firmato. Inclinò il documento affinché la luce fioca proveniente dalle finestre colpisse l'inchiostro blu delle due firme. «Sei settimane. Forse meno. È tutto il tempo che mi occorre», spiegò.
«Che le occorre per fare cosa?»
«Per il più grande colpo della mia vita», rispose Hobie. Raddrizzò il foglio sul tavolo e lo fermò con l'uncino. «Stone mi ha appena consegnato l'intera società. Tre generazioni di dura fatica, e quel gran coglione me l'ha appena offerta su un piatto d'argento.»
«No, le ha appena offerto un piatto di merda. Gli ha dato un milione e centomila dollari in cambio di documenti senza valore.»
Hobie sorrise. «Rilassati, lascia fare a me, d'accordo? Sono io la mente, giusto?»
«Va bene, mi spieghi», lo incalzò il segretario.
«Tu sai che cosa possiede? Una grande industria a Long Island e un'im-mensa villa signorile a Pound Ridge. Cinquecento case tutte ammassate intorno alla fabbrica. Dovrebbero essere in tutto circa milleduecento ettari, un patrimonio immobiliare di prim'ordine a Long Island, vicino alla costa, che aspetta solo di essere sviluppato.»
«Le case non sono sue», obiettò l'uomo.
«No, molte sono ipotecate da qualche piccola banca di Brooklyn.»
«E quindi?»
«Prova a pensarci. Supponi che io immetta queste azioni sul mercato.»
«Non ne ricaverà un bel niente. Non hanno nessun valore.»
«Esattamente, nessun valore. Ma i suoi banchieri non lo sanno ancora.
Stone ha mentito, ha tenuto per sé i suoi problemi. Altrimenti, perché sarebbe venuto da me? In questo modo, i suoi banchieri toccherebbero con mano quanto fasulle sono le loro garanzie. Una stima, direttamente dalla Borsa, e si sentirebbero dire: 'Questa azione vale meno di un cazzo'. E che cosa accadrebbe, a quel punto?»
«Cadrebbero in preda al panico», indovinò il segretario.
«Esatto», esclamò Hobie. «Sarebbe il panico. Si ritroverebbero esposti, con titoli senza valore. Si cagherebbero addosso fino all'arrivo di Hook Hobie, che offrirebbe loro venti centesimi per dollaro per il debito di Stone.»
«Pensa che accetterebbero? Venti centesimi per dollaro?»
Hobie sorrise. La vasta cicatrice si raggrinzì. «Accetterebbero, eccome!
Mi porterebbero via anche l'altra mano per avere quel denaro. E include-rebbero tutte le azioni che possiedono come parte dell'accordo.»
«Va bene, e poi? Come finirebbe con le case?»
«Stessa cosa. Io possiedo le azioni, io possiedo la fabbrica e io la chiudo.
Niente posti di lavoro, cinquecento ipoteche inadempienti. La banca di Brooklyn ne rimarrà molto scossa. Io comprerò quelle ipoteche per dieci centesimi a dollaro, precluderò a chiunque il diritto ipotecario e, alla fine, me ne sbarazzerò. Noleggerò un paio di bulldozer e otterrò milleduecento ettari di patrimonio immobiliare di prim'ordine a Long Island, proprio accanto alla spiaggia. Più una villa signorile a Pound Ridge. Il tutto per un costo totale approssimativo di otto milioni e centomila dollari. La villa da sola ne vale due, perciò rimango sotto di sei milioni e centomila dollari per un pacchetto che posso commercializzare per un centinaio di milioni, se lo piazzo bene.»
Il segretario lo fissava, sbalordito.
«Ecco perché ho bisogno di sei settimane», aggiunse Hobie.
L'uomo scosse la testa. «Non funzionerà. Si tratta di una vecchia azienda familiare. Stone possiede ancora la maggior parte delle azioni. Non sono tutte in commercio. La banca ne ha solo alcune. Lei sarebbe solo un socio minoritario, e non le lascerà fare tutto ciò che ha in mente.»
«Le venderà a me. Tutte.»
«Non lo farà.»
«Oh, sì che lo farà.»
In biblioteca, Jack ebbe una notizia buona e una cattiva. Le guide telefoniche di Manhattan, del Bronx, di Brooklyn, del Queens, di Staten Island, di Long Island, di Westchester, della costa del Jersey e del Connecticut erano piene zeppe di Jacob. Secondo i calcoli di Reacher, le persone che a-bitavano a un'ora di distanza si sarebbero rivolte istintivamente in città per qualsiasi servizio, quelle che vivevano più lontano probabilmente no.
Tracciò quindi alcuni segni sul blocco con la matita e contò centoventino-ve potenziali candidate per l'ansiosa signora Jacob. Le pagine gialle, però, non recavano nessun investigatore di nome Costello. Reacher sospirò. Era deluso, ma non sorpreso. Sarebbe stato troppo bello aprire l'elenco telefonico e leggere: «Costello Investigazioni - siamo specializzati nella ricerca di ex poliziotti militari nelle Keys».
Numerose agenzie avevano nomi generici; molte competevano per il primo posto nell'ordine alfabetico, presentando una A maiuscola come prima lettera: Ace, Acme, A-One, AA Investigatori. Altre prendevano il nome da aree geografiche, come Manhattan o Bronx. Alcune puntavano a una clientela più colta, facendo appello a espressioni come «servizi parale-gali». Una vantava la sua abilità già dal nome: Il segugio. Due avevano u-nicamente personale femminile, e lavoravano solo per donne. Jack ripose le guide telefoniche, girò la pagina del blocco, copiò quindici numeri del dipartimento di polizia di New York dalle pagine gialle e rimase seduto per un po', valutando le possibilità. Poi uscì e si diresse a un telefono pubblico. Appoggiò il blocco sull'apparecchio e iniziò con la lista delle stazioni di polizia, chiedendo dell'amministrazione. Sperava di trovare qualche vecchio sergente brizzolato che sapesse tutto ciò che valeva la pena di sapere. Alla quarta chiamata ebbe successo. I primi tre distretti non erano stati in grado di aiutarlo, senza però sembrarne troppo dispiaciuti. La quarta telefonata era iniziata nel medesimo modo, uno squillo, un rapido trasferimento, una lunga attesa, poi una risposta rauca quando la cornetta era stata sollevata nelle viscere di qualche sudicio archivio.
«Sto cercando un uomo di nome Costello. È andato in pensione e adesso lavora come investigatore privato, forse per conto suo, o forse per qualcun altro. Sulla sessantina...»
«Sì, lei chi è?» rispose una voce. L'accento era identico a quello di Costello: sarebbe potuto essere lui in persona.
«Mi chiamo Carter. Come il presidente», rispose Reacher.
«E che cosa vuole da Costello, signor Carter?»
«Ho una cosa per lui, ma ho perduto il suo biglietto da visita e non riesco a trovare il suo numero sulla guida.»
«Costello non è nelle pagine gialle. Lavora solo per gli avvocati, non per i privati cittadini.»
«Dunque lo conosce?»
«Se lo conosco? Naturalmente sì. Ha lavorato qui per quindici anni.»
«Sa dove si trova il suo ufficio?»
«Da qualche parte giù al Village», rispose la voce, poi tacque.
Reacher sospirò lontano dal telefono: doveva proprio cavargli le informazioni di bocca. «Sa dirmi dove, di preciso?»
«In Greenwich Avenue, se ben ricordo.»
«Sa il numero civico?»
«No.»
«E il numero di telefono?»
«No.»
«Conosce una donna di nome Jacob?»
«No, dovrei?»
«Era solo un tentativo. Era una sua cliente», spiegò Reacher.
«Mai sentita nominare.»
«Va bene, grazie per l'aiuto.»
«Prego», rispose la voce.
Reacher riagganciò, risalì le scale ed entrò di nuovo in biblioteca. Ricontrollò la guida telefonica, in cerca di un Costello residente a Greenwich Avenue. Niente. Ripose i volumi sullo scaffale, dopodiché uscì e si mise a camminare.
Greenwich Avenue è una lunga strada che corre diagonalmente verso sud-est, dall'incrocio tra la 14th Street e la 8th Avenue a quello tra la 8th Street e l'Avenue of the Americas. È fiancheggiata dai graziosi edifici bassi del Village, dai cui seminterrati spesso sono stati ricavati piccoli negozi e gallerie. Reacher percorse dapprima un lato, ma senza trovare ciò che cercava. Giunto in fondo, attraversò la strada trafficata e tornò indietro dall'altro lato. Esattamente a metà via, vide una targhetta in ottone, fissata allo stipite di pietra di una porta: era rettangolare e ben lucidata, una fra le tante, e recava scritto: COSTELLO. La porta, nera, era aperta. All'interno, c'e-ra un piccolo atrio: lettere di plastica bianche su un pannello di feltro in-crespato indicavano che l'edificio ospitava dieci uffici. Al numero cinque si leggeva: COSTELLO. In fondo all'atrio, c'era una porta di vetro, chiusa.
Reacher suonò il campanello numero cinque. Nessuna risposta. Lo tenne premuto con la nocca, ma invano. Allora, schiacciò il numero sei. Si udì una voce deformata: «Sì?»
«UPS», rispose Jack, e la porta di vetro si aprì con un clic.
Era un edificio a tre piani più il seminterrato. Gli uffici numero uno, due e tre erano situati al primo piano. Jack salì le scale e trovò l'ufficio numero quattro alla propria sinistra, il sei alla destra, e il cinque sul retro dell'edificio, con la porta sotto l'angolo della scala che saliva al terzo piano.
La porta di mogano lucido era socchiusa, aperta quel tanto da destare sospetti. Quando Reacher la spinse col piede, cigolò, girando sui cardini per rivelare una tranquilla sala d'attesa con le pareti in un colore pastello, tra il grigio chiaro e l'azzurrino, e il pavimento coperto da un tappeto spesso. Su una scrivania a forma di L spiccavano un apparecchio telefonico e un computer nuovo di zecca. La stanza ospitava pure un divano e uno schedario. L'unica finestra aveva i vetri smerigliati e una seconda porta conduceva a una stanza interna. La reception era vuota e silenziosa. Jack entrò e, col tallone, chiuse la porta dietro di sé. Il chiavistello non era inserito, co-me se l'ufficio fosse normalmente aperto. Reacher si diresse verso la porta interna. Avvolse la mano in un lembo della camicia, girò la maniglia ed entrò in una seconda stanza delle stesse dimensioni. L'ufficio di Costello.
Alcune fotografie in bianco e nero, incorniciate e raggruppate tutte sulla parete che stava a destra della scrivania, mostravano l'uomo che Jack aveva incontrato a Key West in versione giovanile, in compagnia di commis-sari, capitani di polizia e politici locali che lui non conosceva. Un tempo Costello era stato magro. Con l'avanzare dell'età, le foto lo ritraevano sempre più in carne: sembravano la pubblicità di una dieta «ingrassante». Sulla scrivania si trovavano un tampone di carta assorbente, un calamaio vecchio stile e un telefono. La poltrona di pelle aveva preso la forma del suo robusto occupante. Davanti al tavolo, c'erano un paio di sedie per i clienti. Sulla parete sinistra si scorgevano, invece, una finestra coi vetri scuri e una fila di armadietti chiusi.
Reacher tornò nell'altro ufficio. Un profumo aleggiava nell'aria. Jack gi-rò attorno alla scrivania della segretaria e, riposta a sinistra della sedia, trovò una borsetta aperta. All'interno, s'intravedevano un portafoglio di pelle morbida e un pacchetto di fazzoletti di carta, che Jack spostò con una matita. Sotto c'erano alcuni cosmetici, un mazzo di chiavi e una boccetta di colonia.
Il computer era acceso, una cascata come screensaver. Jack utilizzò la matita per manovrare il mouse. Lo schermo crepitò e apparve una lettera lasciata a metà, il cursore che lampeggiava accanto a una parola incompleta. Sotto l'intestazione, compariva la data di quel giorno. Jack pensò al corpo di Costello, steso sul marciapiede accanto al cimitero di Key West, guardò la borsa della donna assente, la porta aperta, la parola incompleta e rabbrividì.
Sempre usando la matita, uscì dal programma. Si aprì una finestra che gli chiedeva se desiderasse salvare le modifiche apportate al documento.
Dopo una breve esitazione, Jack premette NO. Aprì il file manager e controllò le directory, in cerca di una fattura. Dall'ordine dell'ufficio era evidente che Costello lavorava in modo molto preciso. Tanto preciso da fattu-rare un acconto ancor prima di mettersi alla ricerca di Jack Reacher. Ma quand'era iniziata quella ricerca? Sicuramente, si era svolta secondo una determinata sequenza. All'inizio, le istruzioni della signora Jacob, nient'altro che un nome, una vaga descrizione fisica, il servizio prestato nell'esercito. Costello doveva aver chiamato l'archivio militare centrale a St. Louis, dove venivano conservati tutti i documenti delle donne e degli uomini che avevano indossato l'uniforme. Un edificio protetto sia strutturalmente, mediante cancelli e filo spinato, sia burocraticamente, grazie a un caparbio ostruzionismo, finalizzato a scoraggiare qualsiasi facile accesso. Dopo pazienti indagini, l'investigatore doveva aver scoperto che Reacher si era congedato con onore. A quel punto, tuttavia, probabilmente si era arenato: era finito in un vicolo cieco e aveva fatto quel tentativo disperato col conto corrente. Una chiamata a un vecchio amico che gli doveva un favore, forse una stampata confusa spedita per fax dalla Virginia, forse una descrizione telefonica dettagliata di tutti i crediti e i debiti di Jack. Infine, il volo fretto-loso verso sud, le domande a Duval Street, i due sicari, i pugni, il coltello.
Una sequenza relativamente breve, ma, con ogni probabilità, St. Louis e la Virginia avevano fatto perdere molto tempo a Costello. Per ottenere informazioni valide dall'archivio, un comune cittadino come lui aveva impiegato tre giorni, forse quattro. E la banca della Virginia non doveva essere stata molto più rapida. I favori non vengono sempre resi immediatamente; bisogna poter cogliere i momenti giusti per riuscirci. Ponendo il caso che all'investigatore fossero occorsi sette giorni per le pratiche burocrati-che e uno per riflettere, più un altro giorno all'inizio e uno alla fine, potevano essere trascorsi dieci giorni in tutto da quando la signora Jacob gli aveva conferito l'incarico.
Reacher cliccò sulla sottodirectory FATTURE. Nella parte destra dello schermo apparve una lunga lista di nomi in ordine alfabetico; Jack iniziò a scorrerla col cursore, dal basso verso l'alto. Nessun Jacob tra le J. Si trattava perlopiù d'iniziali, di lunghi acronimi probabilmente relativi a nomi di studi legali. Reacher controllò le date: nulla che risalisse a dieci giorni prima. Però ce n'era una di nove giorni prima. Forse Costello era stato più rapido di quanto lui non avesse immaginato, o, forse, era stata lenta la segretaria. Il file era denominato SGR&T-09. Reacher cliccò col mouse, l'hard disk ronzò e sullo schermo apparve una fattura per un anticipo di mille dollari per la ricerca di una persona scomparsa, indirizzata a uno studio di Wall Street chiamato Spencer Gutman Ricker & Talbot. La fattura riportava un indirizzo, ma nessun numero telefonico. Reacher uscì dal file manager ed entrò nel database. Cercò di nuovo SGR&T e trovò una pagina che mostrava lo stesso indirizzo, ma stavolta con numero di telefono, fax e posta elettronica. Estrasse un paio di fazzoletti dalla borsa della segretaria.
Ne avvolse uno intorno alla cornetta, stese l'altro sulla tastiera e compose il numero. Si udì uno squillo, poi la risposta.
«Spencer Gutman. In che cosa posso esserle utile?» esclamò una voce squillante.
«La signora Jacob, per favore», esordì Jack con tono indaffarato.
«Un momento», rispose la voce.
Si sentì una musica metallica e poi una voce maschile, sbrigativa ma deferente. Forse si trattava di un assistente.
«La signora Jacob, per favore», ripeté Reacher.
L'uomo sembrava impegnato. «È già partita per Garrison e temo di non sapere quando tornerà in ufficio.»
«Ha il suo indirizzo a Garrison?»
«Quello di lei? O quello di lui?» chiese l'uomo, sorpreso.
Reacher rimase per un po' in silenzio, percepì lo sconcerto all'altro capo del filo e decise di tentare. «Quello di lui, intendo. Devo averlo perso.»
«Meglio così! Era stato stampato male. Stamattina mi hanno chiamato almeno cinquanta persone per lo stesso motivo», rispose l'uomo. Gli dettò l'indirizzo, apparentemente a memoria. Garrison, nello Stato di New York, una città situata circa cento chilometri a nord, lungo l'Hudson, dalla parte opposta a West Point, dove Reacher aveva trascorso quattro lunghi anni.
«Le consiglio di affrettarsi», aggiunse il presunto assistente.
«Certo, lo farò», rispose Reacher e riattaccò, confuso.
Chiuse l'indirizzario e lasciò lo schermo vuoto. Diede un'ultima occhiata alla borsa abbandonata della segretaria e, mentre lasciava l'ufficio, ne aspirò ancora il profumo.
La segretaria morì cinque minuti dopo aver rivelato l'identità della signora Jacob, ossia cinque minuti dopo che Hobie aveva iniziato a torturar-la col suo uncino. Erano nel bagno principale dell'ufficio all'ottantottesimo piano, un luogo perfetto, coi suoi quindici metri quadrati, persino troppo grande per un bagno. Qualche arredatore di grido aveva rivestito di lucido granito grigio tutte e sei le superfici: i muri, il pavimento e il soffitto. C'era un enorme box doccia, con una tenda di plastica chiara che pendeva da una sbarra d'acciaio inossidabile, forse un po' troppo robusta per il semplice scopo di sostenere una tenda. Hobie aveva scoperto che poteva reggere il peso di un individuo incosciente, ammanettato per i polsi. C'erano state appese persone ben più pesanti della segretaria, mentre Hook poneva loro domande o le persuadeva dell'opportunità di una particolare strategia d'azione. La stanza non era isolata acusticamente; tuttavia Hobie non se ne preoccupava. L'edificio era massiccio: ognuna delle Twin Towers pesava più di mezzo milione di tonnellate e i muri, molto spessi, erano fatti di calcestruzzo e acciaio. Inoltre non c'erano vicini curiosi: gran parte degli uffici dell'ottantottesimo piano erano affittati da attività commerciali di piccole e sconosciute nazioni estere, il cui organico trascorreva gran parte del tempo alle Nazioni Unite. La stessa situazione si verificava all'ottantasette-simo e all'ottantanovesimo. Tale era la ragione per cui si trovavano in quel luogo. Tuttavia Hobie era un uomo che non correva mai un rischio se poteva evitarlo, perciò usava il nastro adesivo. Di solito, prima d'iniziare, ne staccava alcune strisce, che allineava provvisoriamente sul granito. Una serviva a tappare la bocca. Quando la vittima iniziava ad annuire freneticamente, con gli occhi fuori delle orbite, lui strappava la striscia di nastro isolante e attendeva la risposta. In caso di urla, Hobie applicava la seconda striscia e continuava a lavorare. Normalmente otteneva la risposta che desiderava dopo aver tolto il secondo pezzo di nastro. Il pavimento liscio permetteva, inoltre, un lavaggio veloce. Si apriva al massimo il rubinetto della doccia, si gettava qualche secchiata d'acqua per terra, ci si dava da fa-re con uno spazzolone e, perché il luogo tornasse a essere sicuro, bisognava solo aspettare che l'acqua scendesse per ottantotto piani e raggiungesse le fognature. Non che Hobie lavasse di persona il pavimento: per adopera-re uno spazzolone bisognava avere due mani. Quella volta, alle pulizie ci pensò uno dei due sicari, a piedi scalzi, i costosi pantaloni arrotolati fino alle ginocchia. Nel frattempo, Hobie se ne stava fuori, seduto alla scrivania a parlare con l'altro uomo.
«Io penserò a rintracciare l'indirizzo della signora Jacob; tu la porterai da me, d'accordo?» fece Hook.
«Certo», rispose l'uomo. «E di quella, che ne facciamo?» Indicò il bagno.
«Aspettate stanotte. Rimettetele qualche vestito e portatela alla barca.
Poi gettatela nella baia, dopo un paio di chilometri», ordinò Hobie.
«È probabile che, in un paio di giorni, il cadavere torni a riva», ribatté il sicario.
«Non importa. Dopo un paio di giorni, sarà tutta gonfia. Crederanno sia caduta da un motoscafo. Incidenti del genere capitano spesso; daranno la colpa all'elica», disse l'usuraio.
L'abitudine alla segretezza aveva i suoi vantaggi, però comportava anche qualche problema. Il modo migliore per raggiungere Garrison in breve tempo sarebbe stato noleggiare un'auto e partire immediatamente; ma a un individuo che sceglie di non usare carte di credito e non porta con sé la patente, tale alternativa è preclusa. Perciò Reacher si trovava di nuovo in ta-xi, diretto alla Grand Central. Era certo che qualche treno della Hudson Line arrivasse fin lassù, se non altro perché alcuni pendolari vivevano molto lontano. In caso contrario, gli Amtrak per Albany e per il Canada si sarebbero quasi sicuramente fermati a Garrison.
Pagò il taxista e, tra la folla, si diresse verso le porte della stazione. Scese la lunga rampa e si ritrovò nell'immenso atrio. Si guardò intorno e allungò il collo per leggere lo schermo delle partenze. Cercò di visualizzare mentalmente la carta geografica della zona. I treni per Croton-Harmon non andavano bene, si fermavano troppo a sud; doveva come minimo raggiungere Poughkeepsie. Scorse l'elenco con lo sguardo: nulla da fare, nessun treno per Garrison sarebbe partito prima di un'ora e mezzo.
Fecero come di consueto. Uno di loro scese nell'area di carico, al seminterrato, e cercò uno scatolone vuoto nel cumulo dei rifiuti. Quelli dei frigo-riferi o dei distributori di bibite erano i migliori, ma una volta si erano anche accontentati dello scatolone di un televisore da trentacinque pollici. Il sicario trovò l'imballaggio di uno schedario, poi prese un carrello dalla rampa di carico e lo spinse fino al montacarichi, col quale risalì all'ottantottesimo piano.
Nel bagno, l'altro stava chiudendo la donna in una sacca per cadaveri.
Insieme, la misero nel cartone e utilizzarono il nastro adesivo rimanente per chiudere lo scatolone. Dopodiché lo deposero sul carrello e presero l'ascensore. Stavolta, si fermarono al garage. Trasportarono il cadavere fino al Suburban nero e, dopo aver contato fino a tre, lo sollevarono e lo sistemarono nella parte posteriore, chiudendo a chiave il portellone. Si allonta-narono, voltandosi per dare un'ultima occhiata. Vetri scuri ai finestrini, garage buio, nessun problema.
«Sai una cosa?» iniziò uno dei due. «Se abbassiamo il sedile, ci starà anche la signora Jacob. Facciamo tutto in un solo viaggio, stanotte. Non mi piace andare alla barca più del necessario.»
«D'accordo. C'erano altri scatoloni?» chiese l'altro.
«Questo era il migliore. Tutto però dipende dalle dimensioni della Jacob.»
«Dipende anche se sopravvivrà alla notte.»
«Hai forse dubbi? Non hai visto di che umore è oggi?»
Insieme raggiunsero una Chevy Tahoe nera e vi salirono. Piccola a confronto del Suburban, ma pur sempre di dimensioni considerevoli.
«Allora, dove sta?»
«In una città chiamata Garrison. Lungo l'Hudson, poco dopo Sing Sing.
C'impiegheremo un'ora e mezzo.»
La Tahoe uscì in retromarcia dal parcheggio e i pneumatici stridettero sul pavimento del garage. Risalì la rampa e uscì alla luce del sole, su West Street, dove svoltò a destra e accelerò verso nord.