Quattro

La mattina dopo Alba si svegliò con il cuore in gola. La madre, che era nel soggiorno, la sentì correre all’impazzata verso la camera matrimoniale. Le andò incontro, percependo che anche il battito del proprio cuore stava accelerando. Forse sapeva già di cosa si trattava.

«Che hai?».

La bambina si tuffò fra le sue braccia.

«Mamma, ti ho sognata di nuovo».

Per la donna era la conferma dei suoi timori.

«La stessa scena?».

«Sì. Eravamo alla stazione, c’era tanto rumore. Ti chiamavo, ma tu eri lontana, non mi sentivi. Poi sparivi, e io rimanevo sola».

Antonia Manzari sospirò. Per quanti sforzi avessero fatto, lei e il marito, non c’era modo di strappare la piccola ai suoi ricordi. L’immagine della stazione, che si agitava spesso nel suo inconscio, doveva legarsi a quelli. Un passato che la madre sperava rimosso, ma che ogni tanto si riaffacciava, come un’ombra minacciosa che si stendeva sul suo futuro. “Sono strane, le ombre” ragionò la donna. “Stanno alle nostre spalle, ma rendono oscuro il cammino che abbiamo davanti”.

«Cerca di calmarti, adesso».

La allontanò da sé, un po’ turbata. Poi si avviò verso la porta, decisa a sottrarsi. Mentre la varcava ci ripensò e si volse a guardare la figlia, che ebbe un sussulto.

«Ecco, nel sogno ti giravi così! Come hai fatto adesso. Ma il tuo viso era diverso, mamma. Era come se non fossi tu!».

La donna trasalì. Si sforzò di mantenere calma la voce.

«Dico a Rosina di prepararti la colazione».

Il dottor Manzari era nel soggiorno. Leggeva la Gazzetta del Mezzogiorno con evidente contrarietà, scuotendo il capo ed emettendo un brontolio sordo a intervalli regolari. Qualcosa, nella lettura del quotidiano, aveva il potere di togliergli la serenità. Il governo De Gasperi si era appena dimesso per contrasti interni, in prima pagina campeggiavano fosche previsioni sulla tenuta economica nazionale.

All’arrivo della moglie il medico sollevò lo sguardo.

«Ti rendi conto? Litigano fra di loro e mandano allo sfascio il Paese. Tanto chi ci rimette siamo sempre noi. Poi dimmi che non stavamo meglio con i Savoia!».

Antonia non si lasciò coinvolgere nelle nostalgie monarchiche del marito. Aveva in mente questioni più concrete.

«Alba ha fatto di nuovo quel sogno».

Lui si placò di botto, come un’auto a cui abbiano spento il motore. Richiuse con calma il giornale. Posò gli occhiali sul tavolino, accanto alla poltrona.

«Non credi che sarebbe giusto dirle la verità?».

La moglie gli lanciò un’occhiataccia.

«Ancora? Ne abbiamo discusso tante volte. Quel che è fatto è fatto, non si può cancellare il passato con un colpo di spugna».

«Appunto! Sembra che qualcosa stia affiorando nella sua memoria. Forse a questo punto dovremmo…».

«Cosa? Confessarle tutto? E come pensi che reagirebbe?».

Il tono fu secco, violento. La signora era decisa a troncare la discussione. Al marito gli inutili scrupoli, a lei l’ultima parola: non era così che funzionava il loro rapporto? Renato Manzari però non era convinto. Si stirò le gambe e gonfiò il petto, come se si preparasse a dare battaglia.

A impedirne lo scoppio arrivò Rosina.

«Signora, mi perdoni. Ero fuori a dare acqua alle piante. Spero che non siate in piedi da molto. Preparo subito da mangiare».

Antonia montò su tutte le furie. Non aveva ragione di farlo, quel giorno si erano alzati prima del solito e la povera donna non poteva prevederlo. Ma aveva bisogno di sfogare la sua rabbia e l’ideale era farlo con chi non aveva difese.

«Te l’ho detto mille volte! Al mattino la prima cosa è la colazione per la bambina!».

Uscì dalla cucina brontolando, senza curarsi di essere ascoltata.

«Che noia. Devo sempre ripetere le stesse cose!».

La cameriera, a capo chino, continuava a mortificarsi.

«Ha ragione, signora. Vado subito. Non si ripeterà più».

La scena era avvilente. Rispetto e timore contro protervia e disprezzo. Il dottore corrugò la fronte. Gli dispiaceva veder trattare male Rosina, che si faceva sempre in quattro per tutti, ma non poteva schierarsi apertamente contro sua moglie. Mantenne un tono distaccato.

«Per me non preparare niente, grazie. Oggi non ho fame».

Poi uscì a sua volta. Aveva detto il vero, l’appetito gli era passato.

Alba quella mattina non volle andare in spiaggia. Carlo non c’era, per i De Cello le vacanze erano terminate. Nella giornata sarebbero tornati in città.

Colse a pretesto il sogno, adducendo che l’aveva messa in ansia e adesso aveva mal di testa. La verità è che si sarebbe sentita triste, al mare senza il suo beniamino.

Nicola le girava alla larga, così lei si trovò da sola in giardino. Esplorò i vialetti, cercando il gattino del giorno prima, ma anche quello era sparito. Fu la madre a raggiungerla poco dopo.

«Tesoro, sei sicura di non voler venire? Un po’ di sole ti farebbe bene».

Alba assunse un’espressione sofferente.

«Non me la sento, mamma».

La donna finse di crederle.

«Va bene, resta pure. Dico a Rosina di venire a darti un’occhiata ogni tanto. Per qualunque cosa rivolgiti a lei».

La bambina sorrise. Era ciò che voleva sentirsi dire. Con la cameriera, che considerava un pezzo importante della sua famiglia, si trovava a meraviglia. Le voleva bene e si sapeva ricambiata. Visto che Nicola si teneva lontano, avrebbe passato la mattinata con lei.

Pregustò già il divertimento. L’ultima volta che erano state insieme, la donna le aveva insegnato a impastare la farina. Uno spasso indescrivibile, riempirsi le mani di quella sostanza morbida e chiara. Aspettò che la madre si fosse chiusa il cancello alle spalle e corse subito in cucina.

«Rosina, m’insegni a fare le orecchiette?».

Le rispose il silenzio. Si guardò intorno, accorgendosi di aver parlato al vuoto. La donna non c’era, si era spostata in camera da letto. La raggiunse e ripeté la richiesta. L’altra scosse il capo.

«Ora non si può, signorina. Ho da finire le pulizie. Perché non vai fuori a giocare con Nicola?».

Lei corrugò la fronte.

«Non vuole. Deve esplorare un sentiero e io non posso andare con lui».

«Questa poi! E perché?».

«Un contadino gli ha detto che sul sentiero ci sono le vipere. E lui non può portarsi appresso una mocciosa come me».

Rosina era rimasta di spalle, intenta a passare la scopa sul pavimento. Si voltò, contrariata. Sollevò i gomiti e si piazzò di fronte alla bambina, con i pugni sui fianchi.

«È stato lui a dirti così?».

La piccola si portò due dita alla bocca, a mo’ di croce.

«Lo giuro su Dio!».

«Va bene, ma non devi giurare. Non sai che per i cattolici è peccato pronunciare il nome di Dio invano?».

Alba fu colta da un pensiero improvviso.

«Per i cattolici?».

Rosina tentennò.

«Non solo. Credo che questa regola valga anche per le altre religioni».

La bambina sgranò gli occhi. La sua attenzione era stata catturata dall’ultima parola.

«Esistono altre religioni?».

«Certo!».

«Anche qui da noi, in Italia?».

La donna rifletté un momento prima di rispondere. Poi, decisa: «Sì».

Alba sembrava pensosa.

«E come si chiamano?».

Rosina si morse le labbra. La situazione le stava sfuggendo di mano. Il discorso aveva preso una piega che la signora Manzari non avrebbe approvato.

«Non ricordo i loro nomi. Sono tante, sai».

«Dimmene almeno una!».

La piccola non si arrendeva. Era sempre curiosa di scoprire cose nuove, ma ora manifestava un interesse particolare, di cui Rosina si accorse. Alla fine la donna si arrese.

«Ecco, per esempio in Italia ci sono gli ebrei».

La bambina, al suono di quella parola, rimase affascinata. Ne scandì le sillabe, come se volesse assaporarle.

«E-bre-i. Ti prego, parlami di loro! Il loro Dio è diverso dal nostro?».

La cameriera si stava agitando.

«Ma no, è lo stesso. Magari hanno un modo diverso di pregare».

«È più bello, il loro modo?».

Rosina sbuffò. Non sapeva più come fare, per la bambina le domande erano come le ciliegie, una tirava l’altra. Doveva riuscire a fermarla.

«Io non le so queste cose. Non ho mica studiato. Perché non chiedi a… a…?».

Si trattenne. Se Alba fosse andata a domandare alla madre, quella chissà cosa avrebbe fatto! Come minimo se la sarebbe presa con lei, che metteva in testa alla bambina strane idee. Ma la piccola incalzava.

«Alla mamma?».

Rosina diventò di tutti i colori. Era in affanno, cercando la maniera migliore per cavarsi d’impaccio. Finalmente, nel mare in burrasca dei pensieri, scorse una comoda zattera.

«A scuola! Devi informarti lì. Le maestre servono proprio a dare le risposte».

Alba sembrò placarsi. Era soddisfatta, sapeva a chi poteva domandare. E ora le venivano in mente altre richieste.

«Hai finito di pulire? Possiamo fare le orecchiette?».

La donna tirò un sospiro di sollievo. La pasta, ecco un terreno che per lei non presentava insidie. In cucina le mostrò come usare il matterello, e la piccola iniziò a imitare il movimento, ma a un tratto si bloccò, colta da un rimorso.

«Cos’hai?» le chiese la cameriera.

«Prima ti ho detto che Nicola è stato cattivo con me, ma non è vero. È colpa mia se non mi ha portato con lui. Ieri mi aveva chiesto di accompagnarlo a prendere le uova e io non ci sono andata».

Rosina si tranquillizzò. Ora la faccenda era più chiara. Il nipote amava la compagnia della bambina, era strano che l’avesse respinta senza un motivo. Ma anche l’ipotesi di una ripicca la convinceva poco, non rientrava nel suo carattere.

“In fondo sono bambini” concluse. Era inutile porsi troppe domande.