Tredici
Nicola lo avvertì nell’aria. Spesso, quando stava nei campi e scrutava il cielo, gli era capitato di presagire l’arrivo della pioggia. Questa volta era una sensazione diversa, le nuvole che si addensavano all’orizzonte erano dentro il suo animo. L’annuncio di tempesta non sfiorava la vita degli altri, l’evento che sentiva vicino riguardava solo lui.
Non c’entrava neppure la zia Rosina, che dopo un periodo di grande sofferenza stava decisamente meglio.
«Il mio corpo mi ha tradita!» si era lamentata con il professore quando l’aveva visitata. «Dopo tanti anni che andiamo d’accordo adesso mi sta facendo vedere i sorci verdi!».
Il medico aveva sorriso.
«Lei è solo affaticata, signora. Deve avere più riguardi per se stessa. Un po’ di riposo e passerà tutto».
Ai signori sembrava semplice prendersi “un po’ di riposo” quando serviva. Come avrebbe fatto lei con la villa dei Manzari sulle spalle, il giardino da curare, il nipote da accudire? Ci aveva pensato proprio lui, Nicola, a risolvere il problema.
«La faremo riposare. Mi occuperò io di ogni cosa» aveva detto, stringendo la mano del professore. Rosina aveva insistito a lungo, ma alla fine si era convinta.
«Se non ti rimetti sarà peggio» l’aveva persuasa il nipote.
Dopo una settimana a letto, in cui l’uomo di casa si era occupato di tutto, la donna iniziava a sentire le forze che tornavano.
Dunque la salute della zia non c’entrava, quel tarlo nel cervello di Nicola doveva venire da qualcos’altro.
Piantò la zappa nel terreno e si stirò la schiena. Aveva caldo, si asciugò il sudore dalla fronte con un braccio. Provò a scacciare il pensiero, ma quello tornava sempre nello stesso punto, come l’ago di una bussola sul nord.
Questa volta lambiccarsi il cervello gli servì. Di colpo, come accadono i fatti importanti della vita, nella sua mente si accese una luce. Ora tutto era chiaro, per il suo tormento c’era solo una spiegazione.
Doveva correre subito all’ufficio postale. Alba, a breve, aveva l’esame di maturità. Sapeva quanto fosse importante per lei, quanta ansia avesse nel cuore per quello scoglio che le pareva insormontabile. Se ne preoccupava così tanto, proprio lei che sulla pagella aveva i voti migliori in tutta la scuola. “Mi ha mandato una lettera” Nicola sentì dentro di sé questa certezza.
Chiese al fattore il permesso di lasciare il lavoro in anticipo, per arrivare a Polignano prima che l’ufficio chiudesse. L’uomo lo guardò con un’aria sorniona.
«Non me la conti giusta, è la prima volta che mi pianti in asso a metà della giornata. Cos’è, devi andare a fare all’amore?». Condì la domanda con una strizzatina d’occhi, come se fossero vecchi amici.
«Non è quello che immagina lei» si schermì il ragazzo, nero in viso. Gli dava fastidio che qualcuno pensasse ad Alba così. Era il modo sbagliato, lei era tutta un’altra cosa.
Percorse il sentiero che portava al paese quasi di corsa. Con il battito che aumentava, anche l’ansia cresceva nel suo petto. Dall’esame di Alba poteva aspettarsi solo buone notizie, eppure qualcosa gli diceva che c’era ben altro. Le nuvole che si erano addensate nel suo animo non accennavano a diradarsi.
L’impiegato non lo fece arrivare neppure al bancone.
«Chi ti ha detto che c’è posta per te? Vai a lavorare, forza!».
Lui appoggiò le mani sul bancone.
«Martino, non fare il simpatico, non ti viene bene. Dammi la lettera, prima che ti faccia saltare l’ufficio!».
«Voi ragazzi vedete troppi film. Si è mai visto un ufficio che salta? Roba da matti».
L’uomo si girò, raggiunse un mobile alle sue spalle, aprì un cassetto. Nicola provò un tuffo al cuore nel riconoscere la busta chiara, di un rosa appena accennato. Lei usava sempre quelle. Fremeva, mentre l’impiegato, con una lentezza che nemmeno la sua stazza da un quintale giustificava, caracollava verso di lui.
«La vuoi o non la vuoi? La vuoi o non la vuoi?».
Divertente come tagliarsi il mento col rasoio. Nicola aspettò che gli arrivasse a tiro e con un balzo lo raggiunse, strappandogli la busta dalle mani. Voltò le spalle allo sbigottito Martino e si precipitò a leggere.
La prima parte non riservava sorprese, Alba gli comunicava di aver conseguito la maturità con il massimo dei voti. Per un momento, preso dalla gioia, dimenticò i suoi foschi presentimenti. Immaginò come lei potesse sentirsi. Gli era facile, anche lui aveva passato da poco il suo esame. Certo, la licenza media era un altro livello, eppure era stato bello, soprattutto perché, quando glielo aveva raccontato, Alba ne era stata fiera come se l’esame lo avesse superato lei stessa. Ora toccava a Nicola riempirsi d’orgoglio per il risultato dell’amica.
Seguitò a leggere e lo sguardo gli cadde su un paragrafo. Era proprio l’ultimo in fondo al foglio, a momenti rischiava di saltarlo. Aveva sempre fretta di arrivare alla fine, il suo punto preferito era quello in cui lei gli mandava un bacio.
Ho un’altra grande notizia. Io e Carlo ci siamo fidanzati. Ci sarà un ricevimento la prossima settimana per l’annuncio ai parenti. Poi verrò al mare e voglio festeggiare insieme a te con una gara a chi mangia più albicocche sotto l’albero, come facevamo da bambini. Tanto ne mangerò di più io, lo so, sono troppo felice. Dicono che quando si ama si perde l’appetito, a me succede il contrario!
Nicola rilesse il testo con un nodo in gola. Era trafitto. Nei suoi occhi si affacciò l’immagine di Alba da piccola, quando avanzava lungo il vialetto tenendo per mano i genitori. Possibile che tutti gli anni in cui erano cresciuti insieme, tutto il suo amore, fossero annientati da una frase in una lettera?
Io e Carlo ci siamo fidanzati. Alba fra le braccia di un altro, per sempre. Uno che non sapeva niente di lei, che non conosceva la sua paura del mare. Che non leggeva le piccole rughe sulla fronte dei momenti in cui era contrariata, il rossore sulle guance di quando si vergognava, la fossetta sotto il mento a rivelare un dubbio.
Aveva sempre saputo che sarebbe finita così. Ma leggere quelle parole, tracciate dalla grafia che più amava, lo tagliava in due come una falce. Ho un’altra grande notizia, aveva scritto così. Era quella la grande notizia?
Si sforzò di arrivare ai baci finali, che stavolta avrebbero avuto un sapore amaro. Scorse in fretta il secondo foglio: righe fatte di niente, commenti su un film appena uscito, domande sulla salute di Rosina. La pietra tombale era l’ultima frase. Ti saluto affettuosamente.
Era un tono formale che non le conosceva, si era appena fidanzata e già iniziava a contenere le effusioni. Si sforzò di apprezzarlo, ripetendosi che era giusto così, ma l’urlo che gli saliva dal petto non si spegneva. Lei, i suoi riccioli dorati, la sua freschezza che si sarebbe consumata in una casa lontana erano in lui un solo, profondo dolore.
Ripiegò i fogli, ripose la lettera nel taschino e iniziò a correre con gli occhi chiusi e le braccia aperte, come non faceva da tanto. L’abbraccio del cielo non gli diede alcun sollievo.
«Cos’hai?» gli chiese la zia quando fu tornato a casa. «Mi sembri un cane bastonato».
Per una volta trovò un vantaggio nelle avversità che per lui erano una condizione perpetua. I suoi motivi di sconforto erano tanti, gli bastava tirarne fuori uno a caso per uscire dall’angolo. Diede la colpa alla prima cosa che gli venne in mente.
«La stagione è andata male, così il fattore ci ha dato solo metà della paga».
Rosina levò le braccia al cielo, sospirando.
«Che tempi, mio Dio, che tempi».
Nicola si fermò sulla veranda. Le nuvole correvano su e giù per il cielo, lui le fissava senza vederle. Più i minuti passavano, più si sentiva morire. Poi invece morì il sole: un tramonto rosso che incendiava la sera e del giorno trascorso faceva cenere. Rientrando in casa si lasciò quel fuoco alle spalle, non riuscì a fare lo stesso col dolore che gli bruciava l’anima. Il buio avvolse la sua tristezza e chissà quante altre.
I giorni che seguirono furono per lui un lento calvario. Messa una croce sui sogni, il ragazzo decise di farsi forza gettandosi nello studio. I suoi progetti: doveva concentrarsi su quelli. Un diploma da geometra era il passaporto per un futuro migliore. Doveva guadagnarsi una posizione, si disse. Se non poteva sperare nell’amore di Alba, avrebbe avuto almeno il suo rispetto.
Un impiego poteva trovarlo anche senza il commendatore, che nel frattempo si era rifugiato in Svizzera, dove vantava certi crediti presso le banche. Erano rapporti economici che risalivano ai tempi della guerra, quando trafficava con i tedeschi.
La moglie e la figlia erano rimaste in Puglia. A quarant’anni suonati la signora Galbiati non aveva trovato di meglio che tornare dai suoi genitori. Si vociferava che i due coniugi si fossero separati, che non si sentissero più.
Chi ne soffriva, naturalmente, era Margherita. Alba fremeva, non vedeva l’ora di partire per incontrarla. Aveva perdonato il suo sfogo e voleva rivederla, per dirle che era ancora la sua amica e lo sarebbe stata sempre. Appreso che si era fermata a Polignano dai nonni, le aveva spedito diverse lettere senza ricevere risposta.
Non era solo la voglia di ritrovare Margherita a spingere la ragazza verso il mare. Sulla gioia di aver ottenuto Carlo gravava un senso di oppressione che non si sapeva spiegare. “Forse i sogni sono come la farina” si diceva. Belli da vedere, ma quando li tocchi ti sporcano le mani.
Alla sua malinconia si accompagnava un intenso desiderio di libertà. Aveva nostalgia del profumo dei fiori, dell’odore del sale sulla pelle.
E poi al mare c’era Nicola. Alla festa di fidanzamento le era mancato, ma di averlo lì non c’era stato verso. La madre aveva tagliato corto prima che lei potesse farsi venire delle idee.
«Non penserai di invitare quel contadino, spero».
Per una volta lei non aveva insistito. Si ricordava della serata al cinema. Non era sicura che si sarebbe sentito a suo agio in una bolgia di parenti tanto affettuosi, abituati però a misurare le persone dai terreni che possedevano. Di certo lo avrebbero guardato con disprezzo e lui si sarebbe sentito morire.
Meglio una festa privata sotto un albero, con una cesta di albicocche e una bottiglia di aranciata fresca. Con il permesso di Carlo, naturalmente. Ora che erano fidanzati qualunque intimità con un altro ragazzo richiedeva la sua autorizzazione. Questo valeva anche per Nicola, che per lei era come un fratello maggiore.
C’era un’altra ragione per cui non si era opposta alla madre: da quando Margherita le aveva aperto gli occhi sul mistero che riguardava la sua nascita evitava in ogni modo di parlare con lei. Anche una lite era un contatto eccessivo, da quella donna si sentiva profondamente delusa. L’aveva ingannata, in un modo che non sapeva ancora definire.
Per il momento aveva accantonato l’idea di indagare. Voleva che nulla turbasse la sua felicità, ora che aveva ultimato il liceo e conquistato l’amore di Carlo. Ci avrebbe pensato più avanti, dopo quell’estate che delimitava il suo tempo come la linea dell’orizzonte.
Tante cose in settembre sarebbero finite. Provò a considerarle. Tutto stava cambiando colore, come la natura al mutare delle stagioni, e questo le provocava un forte sgomento. La sua vita si stava spezzando in due: da una parte il passato, dall’altra il futuro. L’infanzia, l’adolescenza, di colpo erano cancellate.
Niente più ramoscelli per addomesticare i gattini, salsa da mettere nelle bottiglie, passeggiate a San Vito per comprare le uova fresche. Nel suo nuovo corso, di ciò che c’era prima portava solo Carlo. Ma anche lui sembrava diverso, oppure era lei che non riusciva a vederlo nello stesso modo.
Era diventato più adulto e maturo, una concretezza d’intenti a cui la ragazza non sapeva dare un segno positivo. La rapidità con cui si era sbarazzato di Margherita, ad esempio: di punto in bianco, da quando suo padre era caduto in disgrazia, non l’aveva più nominata. In un lampo era come svanita dai suoi pensieri, dopo tanti anni in cui non aveva fatto che cercarla.
Il fallimento dei Galbiati aveva spostato le sue attenzioni su Alba, con una svolta repentina che la lasciava perplessa. Nel momento più felice, quando si accingeva a realizzare tutti i suoi sogni, erano tanti i conti che non le tornavano.