Undici
La notizia del fallimento dei milanesi arrivò a Polignano a Mare più spedita di un telegramma. Alba gli scriveva regolarmente, ma Nicola non lo apprese da lei. Glielo disse il mezzadro della signora Galbiati con un fare sconsolato, sapendo quanto tenesse al posto da geometra promessogli dal commendatore.
Lui non ci voleva credere.
«Ma… mi aveva assicurato… l’intesa era di assumermi dopo il diploma!».
«Ragazzo, devi fartene una ragione. Quell’uomo avrà problemi più gravi del rispetto di un accordo».
La stessa sera, in una pausa fra le lezioni, Nicola si confidò con il direttore della scuola serale. Una volta acciuffata la licenza media aveva ripreso a frequentarla, per mettersi all’altezza dell’impiego prospettato dal Galbiati.
L’uomo lo ascoltava in un silenzio compreso. Il professor Luigi Loiacono, a parte le giacche e i pantaloni firmati per i quali aveva un debole, possedeva un grande cuore. Si era affezionato molto al ragazzo, che gli ricordava suo figlio piccolo: buono come un agnello e turbolento come un calabrone, non stava fermo nemmeno se lo legavano alla sedia.
Vedeva Nicola soffrire e voleva fare qualcosa.
«Sei triste per il lavoro che è saltato?» lo interrogò.
L’altro rispose senza alzare gli occhi da terra.
«Anche».
Non era lì il punto. Luigi fece un altro tentativo. Il ragazzo lo aveva eletto come suo confidente, ne conosceva a menadito i sentimenti e i pensieri.
«Ho capito. Credi che Carlo, una volta partita Margherita, rivolgerà l’attenzione alla tua amata e te la porterà via. Ma la tua non era una storia impossibile?».
«Infatti, non è a quello che pensavo. Sono dispiaciuto per Margherita. È una brava ragazza, non merita i guai che le stanno capitando».
L’uomo si grattò la testa. Ogni volta che s’illudeva di aver imparato a conoscerlo, il ragazzo riusciva a sorprenderlo.
«Ti preoccupi per lei? Al massimo perderà un po’ del suo benessere, starà sempre meglio di tanti poveracci come… come…».
Si fermò. Stava pensando proprio a Nicola, ma dicendolo lo avrebbe offeso. Lui non vi fece caso.
«È vero, lei però non è abituata alla miseria. Solo se stai in alto ti fai male quando cadi».
Il volto di Luigi si velò d’ironia.
«Ragazzino, cosa ti sei messo in testa? Si presume che sia io il tuo maestro, non il contrario!». Si toccò il mento, fingendosi pensieroso. «Temo che dovrò farti uno sconto nella retta di questo mese. Oggi sei stato tu a insegnarmi qualcosa».
L’alunno ritrovò l’abituale fierezza.
«Non voglio sconti io, da te e dalla vita. Torniamo a lavorare, su, che stiamo battendo la fiacca!».
L’altro si alzò borbottando.
«Un dannato seguace di Vittorio Alfieri, ecco cosa sei diventato». Gli puntò un dito. «A cosa mi riferivo? Vediamo se sei preparato!».
Nicola lo guardò sorridendo.
«Volli, sempre volli, fortissimamente volli. Ho detto bene?».
L’uomo sentì una vampata di soddisfazione, ricordando che al principio del corso il ragazzo stentava a leggere e scrivere.
«Hai già il diploma in tasca!» esclamò sorridendo. Lo prese sottobraccio, mentre si dirigevano insieme verso l’aula.
Quella notte Nicola si coricò con il magone, che ritrovò al suo risveglio. Scrisse subito ad Alba per chiederle di Margherita, ignorando che lei era l’ultima persona in grado di dargli risposte. Dopo la sua sfuriata non aveva più visto l’amica e non sapeva con chi parlarne. Di certo non si sarebbe confidata con Carlo, che sembrava averla dimenticata. Se solo provava a nominarla, lui cambiava discorso. Come tutti del resto, in classe la “figlia dei milanesi” era diventata un’appestata. A sentire il suo nome i compagni si dileguavano, come se il fallimento di suo padre fosse un male contagioso. Lei provava a scuoterli senza successo.
«Possibile che non vogliate più saperne? Era una di noi!».
«Hai detto bene, Alba, lo era» le rispondevano ogni volta. «Cerca di guardare avanti, su».
Lei però non si dava pace. Era assurdo che si potesse cancellare una persona così, come un segno sulla lavagna. E poi c’era quel tarlo che non riusciva a rimuovere. Cosa significava lo sfogo di Margherita? Le parole sulle foto mancanti non erano state dette a caso.
Portata a formulare sempre l’ipotesi migliore, Alba si era convinta che l’amica volesse lanciarle un messaggio, piuttosto che ferirla. Non erano vittime della stessa sorte, in fondo? I loro cari le avevano tradite, tenendole all’oscuro di fatti importanti che le riguardavano.
Ma certo che era così! Pur nella rabbia, Margherita aveva inteso darle un’informazione, rivelandole un segreto sul suo passato che non doveva essere la sola a conoscere.
Qui si aggiungeva dubbio al dubbio: chi altri sapeva? Teneva la lettera di Nicola fra le mani chiedendosi se non fosse anche lui parte del complotto: il suo fratello maggiore, l’amico su cui aveva sempre contato. Non riusciva ad accettarlo.
Eppure Margherita non le aveva mentito. Aveva detto il vero, in casa di Alba non c’era nemmeno una foto della sua nascita e dei suoi primi anni. Non aveva mai dato peso alla cosa. All’epoca non avevano una macchina fotografica, le aveva detto sua madre. Lei ci aveva creduto.
L’altro punto era la somiglianza. Anche su questo Margherita aveva ragione, fra lei e i suoi genitori non ce n’era alcuna. Si chiese se tutto ciò non avesse attinenza con l’immagine, forse tratta dal suo passato, che ricorreva così spesso nei suoi sogni. Sua madre con un volto diverso, lei che la chiamava da lontano e la donna che spariva nella folla.
Decise di tenersi dentro quelle domande. Riaprì il volume di filosofia. Gli esami erano vicini e non poteva perdere tempo, alla lettera di Nicola avrebbe risposto in un altro momento. Voleva dormirci su, per darsi il tempo di scacciare il dubbio che anche lui l’avesse ingannata. Un’idea a cui non poteva rassegnarsi.
Provò ad attaccare un paragrafo, ma non riusciva a tenere gli occhi sul libro. C’erano troppi pensieri nella sua mente e non era in grado di reggerli, tutti insieme erano come uno stormo di uccelli che pretenda di fermarsi su un solo ramo.
Quando la madre entrò nella stanza, Alba si era appena affacciata alla finestra.
«È l’ora della merenda, ti porto le fette biscottate?».
Lei ebbe un sussulto. Si voltò e fu come se vedesse la madre per la prima volta. Non era cambiata la donna, erano diversi gli occhi con cui la guardava. Scrutava i suoi lineamenti e in ogni dettaglio trovava una conferma. Non c’era niente in Antonia Manzari che le ricordasse se stessa. Non il colore dell’incarnato né la forma dell’ovale, né il naso, la bocca, le orecchie. Era tutto differente, tutto dannatamente sbagliato.
«Cos’hai?» le chiese la donna. «Mi guardi in un modo così strano».
Mentire, nascondere. Non era questo che le avevano insegnato?.
«Stavo pensando a Margherita».
Antonia la raggiunse, le prese le mani fra le sue. Alba provò la sensazione che a farlo fosse un’estranea.
«Non ti crucciare, tesoro». Tesoro? Perché quella donna la chiamava così? «Devi concentrarti sullo studio, adesso. La maturità è importante, è il primo passo verso il futuro».
Una situazione inverosimile: una persona con cui sentiva di non avere più nulla da spartire si arrogava il diritto di dirle cosa fare della sua vita.
La donna proseguiva imperterrita.
«Se Galbiati ha commesso azioni disoneste è naturale che ne paghi il prezzo. Capisco che ti dispiaccia per Margherita, siete amiche da tanto tempo, ma devi pensare a te stessa. Come credi che agirebbe lei, al tuo posto?».
Alba non lo sapeva. Non sapeva più nulla, nemmeno perché in quel momento fosse lì, in una casa a cui non sentiva più di appartenere.
«Allora, ti porto la merenda?».
Finalmente una risposta che conosceva.
«Non ho fame».
«Ascolta, amore mio».
Quale amore? Non c’è amore senza verità, possibile che un’adulta non lo sapesse ancora?
«Noi non abbiamo mai discusso a fondo del tuo avvenire. Presto sarà il caso di farlo».
“E quando sarà il caso di dirmi chi sono?”.
«Per ora è bene che tu ti concentri sulle materie che porterai all’esame, ma ti dico una cosa. Tuo padre e io non desideriamo che la tua felicità. Non siamo ciechi, ci siamo accorti da tempo che nel tuo cuore c’è una persona…».
“Mi sta parlando di sentimenti! Lei, che non sa nemmeno cosa siano!”.
«Carlo è un bravo ragazzo, viene da un’ottima casata. Una famiglia perbene, non come certe altre che dietro una facciata rispettabile nascondono le magagne. E tu sai bene a chi mi riferisco».
Eccola al dunque. Aveva ragione Margherita, qualcuno avrebbe speculato sulle sue disgrazie. “Ma quel qualcuno non sarò io! Perché deve pagare una ragazza innocente? Che colpa ne ha se suo padre ha sbagliato?”.
«Con i signori De Cello ne abbiamo parlato e anche loro sarebbero felici di vedervi insieme. Dunque puoi dedicarti con tranquillità ai tuoi esami, quando li avrai sostenuti penseremo al resto. Una brava moglie non dev’essere per forza una persona istruita, ma hai fatto tanti sacrifici in questi anni, sarebbe un peccato che non ne traessi i frutti dovuti».
Finalmente Antonia Manzari aveva finito. Appariva soddisfatta, aveva messo in chiaro i punti più importanti e, a quanto poteva giudicare, sua figlia era d’accordo su tutta la linea.
«Ti lascio in pace. Cerca di studiare».
Uscì dalla stanza prima che Alba avesse il tempo di ribattere.
Meglio così, si disse la ragazza, nella risposta avrebbe potuto tradirsi. Era preferibile tacere, aspettare un momento migliore. Adesso aveva troppi pensieri nella mente: gli esami, il fallimento dei Galbiati, il mistero che la riguardava, i progetti per il suo futuro.
Doveva rielaborare con calma ogni dato e, per farlo, aveva bisogno di chiudersi in se stessa. Non poteva fidarsi di nessuno. Solo con Nicola ne avrebbe parlato, se fosse stato vicino, ammesso di non scoprire anche in lui un complice del silenzio che l’aveva circondata.
Sperò ardentemente il contrario. Ora che tutte le sue certezze crollavano, le occorreva qualcuno su cui contare. Si corresse: non era questione di conti, di alleati. Nicola per lei era molto di più, nel suo sguardo limpido si era sempre specchiata. Se anche lui l’aveva ingannata, il sole poteva sprofondare nel ventre della terra. Se anche lui l’aveva ingannata, il sole era un trucco.