Dieci
Abbandonare il liceo alle soglie della maturità, dopo cinque anni di sacrifici, era una decisione grave. Per farlo, Margherita doveva avere seri motivi. C’era di mezzo il commendatore Galbiati, poco ma sicuro. Sul conto di quell’uomo se n’erano sempre dette tante, ma Alba sentì ugualmente crollarle il cielo addosso, quando il padre tornò a casa con la notizia del dissesto che lo aveva colpito.
Sua madre manifestò subito un vivo interesse. Sembrava contenta invece che dispiaciuta, per ragioni che la ragazza trovava inafferrabili.
«Fallimento?» chiese al marito, con malcelata soddisfazione. «In cosa consiste di preciso?».
«Deve chiudere l’azienda, non ha più i soldi per pagare i creditori».
Antonia Manzari soppesò attentamente l’informazione, poi concluse che non le bastava.
«E i terreni della moglie?».
«Be’, quelli potrebbe ancora salvarli, ma non è detto. Dipende da certi cavilli legali, è inutile che stia a spiegarti. In ogni caso è rovinato. E poi non c’è solo l’aspetto economico…».
La moglie comprendeva da sola le conseguenze, volle ugualmente farsele dire, come per dare ai suoi pensieri uno specchio di parole.
«Ovvero?».
«La sua reputazione è distrutta. Pare che alla base del crollo ci siano alcuni investimenti sbagliati, che gli hanno dato la mazzata finale. Affari poco leciti, capisci? A casa dei Galbiati stamattina sono piombati i carabinieri, hanno sequestrato una pila di carte. Dopo una cosa del genere, chi mai vorrà avere a che fare con loro?».
La donna non si trattenne.
«I De Cello no di sicuro!» tuonò soddisfatta. Si pentì subito di averlo detto, ricordandosi che sua figlia era presente. La guardò. Era tardi, lei aveva sentito. Peggio, aveva capito ogni cosa.
Alba corse verso la sua camera, in preda al pianto. Chiuse a chiave la stanza dall’interno, si buttò sul letto, le sue lacrime bagnarono il cuscino ornato del corredo buono.
La madre batteva invano sulla sua porta.
«Avanti, apri, non fare la bambina! Ti voglio spiegare».
C’era poco da spiegare: la ragazza soffriva. Per Margherita che stava perdendo tutto ciò che aveva, per Carlo che diventava un sogno possibile, ma solo grazie alle disgrazie altrui e ai calcoli materni. Per le illusioni che svanivano di colpo insieme alla sua adolescenza. Per un mondo che iniziava a conoscere meglio ed era pieno di cose tremende, come un padre disonesto che trascina in un fallimento sua figlia, i suoi studi, i suoi progetti. O una madre che ti pianifica un matrimonio in cui i sentimenti sono l’ultima cosa che conti.
Ci mise un po’ a calmarsi, dicendosi che piangere non risolveva nulla. Era un esercizio inutile, come le spiegazioni della mamma, che però non si fermavano.
«Alba, tesoro, non devi equivocare così».
Le permise di entrare e di darle la sua versione, lasciando che le frasi scivolassero su di lei come sapone. Alla fine si alzò, in silenzio. Raggiunse senza fretta il salone, si avvicinò alla libreria, ne trasse il vocabolario. Aveva in mente una parola.
Sentimento: l’atto o la facoltà di sentire. Affetto, modo o modificazione dell’animo. Intimo senso, intendimento.
Interruppe la lettura a metà, aveva bisogno di pensare ad altro. Le ricerche erano sempre il suo rifugio nei momenti di tristezza e si era ricordata di averne una in sospeso. Da tempo si era ripromessa di approfondire la conoscenza dell’ebraismo, poteva farlo ora. Si diresse verso lo scaffale che conteneva l’enciclopedia. Prese il volume che le interessava, quello con la lettera e. Lo aprì alla definizione che cercava, lasciandolo sul tavolo, poi recuperò penna e quaderno e iniziò a prendere appunti. Mentre scriveva, la sua mente si fermò su un dettaglio che le parve sorprendente, tanto che dovette rileggerlo più volte per convincersi. Infine si arrese: per quanto potesse trovarlo strano c’era scritto proprio così. Per gli ebrei, Gesù non era il figlio di Dio.
Ma com’era possibile? Per lei quella era sempre stata una certezza assoluta. Era certo che Cristo fosse vissuto, certo che fosse morto sulla croce e risorto nel giorno di Pasqua, indubitabile ogni passaggio che documentava la sua esistenza. Vangelo.
Continuò a leggere, sentendo la mente aprirsi verso orizzonti inesplorati. Ammettere un’altra verità, immaginare un Messia che doveva ancora arrivare, era un territorio misterioso, un’avventura affascinante che in qualche modo desiderava vivere.
Prese a trascrivere con lena, sforzandosi di non pensare a Margherita. “La vedrò domani in classe” sperò. Magari aveva cambiato idea, o comunque il suo ritiro non sarebbe stato immediato.
La mattina dopo si presentò a scuola un quarto d’ora prima del solito, scrutando in ogni direzione con occhi ansiosi. S’illudeva di vederla apparire da un momento all’altro, sorridente come sempre. Voleva ridurre ciò che aveva sentito a un brutto sogno.
Attese fino a quando l’ultimo ritardatario non fu entrato, ma invano, lei non c’era. Allora si comportò come non aveva mai fatto. Invece di entrare si allontanò in fretta dal portone dell’istituto, prima che qualcuno potesse vederla e cercare di trattenerla. I suoi passi puntavano decisi verso il palazzo dove abitava Margherita.
Il padre non era in casa, per fortuna. Se lo avesse incontrato non era sicura che sarebbe riuscita a trattarlo normalmente. La madre la fece entrare senza dire una parola. Aveva occhi gonfi che parlavano di poco sonno e molte lacrime. Fu Alba a rompere il silenzio.
«Signora, come sta?».
La donna provò a sorriderle ma non le riuscì.
«Cosa vuoi…». Si scrollò nelle spalle. Poi, cercando di farsi forza: «Sei stata molto cara a venire».
«Posso vederla?».
«Ma certo, tesoro» s’intenerì. «Pensare che vi conoscete da quando eravate piccole così». Mimò la frase con la mano, quindi le carezzò il viso. «Vai pure, lei è in camera».
Margherita era un vaso rotto. I suoi cocci avrebbero ferito chiunque.
«E tu cosa ci fai qui?» l’aggredì subito. «La prima della classe non dovrebbe essere in aula, a quest’ora?».
Lei lasciò che si sfogasse. La conosceva bene, si aspettava già quella reazione. Doveva farle sbollire la rabbia, poi sarebbe riuscita a parlarle. Provò a guadagnare spazio sedendosi sul letto accanto all’amica.
«Come ti senti?».
L’altra non abbassò la guardia.
«Come vuoi che mi senta? Come una a cui è crollato il mondo addosso!».
Alba si avvicinò ancora, le appoggiò una mano sulla spalla.
«Cosa farete adesso?».
Margherita accettò il contatto, un po’ riluttante.
«Papà è partito, non so nemmeno per dove. Lo raggiungeremo presto».
«Mi manderai il tuo indirizzo? Così almeno potrò scriverti».
La frase strappò alla ragazza un mezzo sorriso.
«Sei sicura di volerlo fare? Io sono una “poco frequentabile” ormai. Avere rapporti con me non sarà una cosa conveniente».
Lei non commentò, ma la sua espressione era eloquente: non le importava nulla delle convenienze. Margherita sentì un moto di gratitudine, le sfiorò il viso con la mano.
«Va bene, ti dirò dove scrivermi. Mi racconterai cosa succede in classe, visto che per me l’esperienza scolastica si chiude qui».
Inghiottì amaro. Alba era triste quanto lei, aveva un nodo in gola che non voleva andarsene. Per scioglierlo dis se la prima cosa che le venne in mente.
«Carlo è venuto a trovarti?».
Sperava che lo avesse fatto. Incurante dei propri sentimenti, desiderava con tutto il cuore che il ragazzo le stesse vicino. La sua amica ne aveva più bisogno di lei. Si accorse dell’errore commesso quando l’altra scattò come se l’avesse morsa un serpente.
«Ora ho capito perché sei qui! Sei venuta per scoprire se hai campo libero! Non mi ha cercata, e allora? Non tutti sanno recitare la parte del buon samaritano come fai tu!».
Alba era sconvolta. Il senso della sua domanda era stato frainteso, ma non sapeva come spiegarlo, e l’attacco era tutt’altro che finito.
«Sei un’ipocrita! Non voglio un’amica che approfitta delle mie disgrazie per soffiarmi il fidanzato!». Si drizzò in piedi. «Vattene via! Fallo subito, non voglio più vederti!».
Dovette alzarsi. Con il corpo Margherita la costringeva ad arretrare lungo il corridoio. Con le parole la incalzava.
«Non pensare che per te saranno rose e fiori. Credi che non ci siano ombre nella tua vita? Se è così ti sbagli di grosso!».
Lei diventava sempre più confusa, mentre l’altra continuava a spingerla verso l’ingresso.
«Hai mai visto una foto di quando sei nata? No, vero? Ti sei mai chiesta perché a casa tua non ce ne sono? Sei una povera ingenua, cara la mia Alba» pronunciò il suo nome in un modo strano. «Per te è tutto puro, limpido!».
«Margherita, cosa stai dicendo? Non ti capisco».
Il volto della ragazza era trasfigurato, un misto di rabbia e dolore su cui trionfava un sorriso malato.
«Mi spiego subito! A chi assomiglia il tuo bel visetto, Alba?».
Lei si toccò il mento, spaventata, e le guance, la fronte.
«Allora? Non mi hai risposto! Hai preso da tuo padre, che è nero come un tizzone? O forse da tua madre, brutta come la fame?».
L’aveva spinta in fondo all’ingresso, ormai arrivava a toccare la porta con la schiena. La voce di Margherita divenne un urlo disperato, mentre la cacciava fuori dalla sua casa e dalla sua vita.
«Ora sparisci! Io andrò al diavolo, ma non sarai tu ad avere la mia felicità!».