18
«Non lo capisco!» esclamò lady Seldane. «Non è da lui.»
Emma la guardò. Era sua ospite da una settimana e, in quei sette giorni, l'anziana signora l’aveva nutrita, coccolata, punzecchiata e sfidata a carte. Per tutto il tempo lei si era sempre rifiutata di parlare di Killoran o del futuro ma ora, durante la cena, la padrona di casa aveva tirato fuori l'argomento.
E lei non sapeva se esserle grata o dispiacersi.
«E tornato in città, vero?» domandò, mantenendo un tono neutro, mentre rigirava la minestra nel piatto.
«Chi? Killoran? E tornato già da quattro giorni. Molto strano, non ha mandato né un biglietto né un valletto a chiedere come state. Non è da lui. Sarà anche un uomo irrispettoso, ma non è nel suo stile tralasciare certi dettagli.»
«Forse non mi considera degna di attenzione.»
«Oppure siete così importante che non ha il coraggio di affrontarvi» ribatté la saggia nobildonna. «Comunque sia, si sta tenendo a distanza. Non sono mai stata molto paziente e non sopporto di vedervi infelice.»
«Mi dispiace. Ho vergognosamente abusato della vostra, ospitalità. Ho riflettuto su molte cose in questi ultimi giorni e ho intenzione di...»
«Non vi permetterò di tornare da quella vecchia bisbetica di cui mi avete parlato» la interruppe brusca l’altra. «Killoran dice che non ci si può fidare di lei.»
«Sua signoria ha un po' troppe opinioni per essere uno che ha deciso di stare fuori dalla mia vita. Miriam sarà anche una persona difficile, ma è di grandi principi morali.»
L'altra inspirò rumorosamente con il naso. «Pare che sia davvero una donna tremenda. Non tornerete da lei.»
«Non intendo farlo. Pensavo di andare lontano» annunciò Emma in tono di sfida, immaginando già le proteste della padrona di casa.
Ma restò delusa.
«Non è una cattiva idea. Per lo meno sarete al sicuro da Darnley. Dio solo sa dov'è finito quell'uomo! Non mi fido di lui. Io non so perché Killoran non lo sfida semplicemente a duello e mette fine a una situazione che va avanti da anni. Questo renderebbe tutto più semplice.»
«Raramente la vita è semplice» sospirò Emma smettendo di mangiare. Le era passato l'appetito.
«Parole sagge per una ragazza della vostra età. Se scompariste, questo farebbe rinsavire Killoran. In questi ultimi giorni ha fatto del suo meglio per finire dritto all'inferno e non smetterà, finché penserà che siete al sicuro qui con me.»
«Credevo che avesse in programma di portare lady Barbara a Parigi.»
«Ve l'ha detto lui? Che assurdità! Non sono per niente adatti a stare insieme. Anche lei è tornata in città, come anche il signor Hepburn, ma non ho sentito chiacchiere riguardo a una loro presunta partenza. Anzi, pare che lady Barbara si stia tenendo alla larga da entrambi. Nonostante non esca mai, cerco sempre di tenermi aggiornata.» Strinse gli occhi. «Per esempio, so che Killoran ha fatto tutto quello che era in suo potere per rovinarsi e ha giocato in modo più rischioso del solito...»
«Pensavo che non perdesse mai...»
«Non interrompetemi. Da quando è tornato a Londra, sembra che Killoran sia riuscito a vincere la sfida con se stesso e a perdere una grande quantità di denaro. Beve parecchio, gioca forte e, più di tutto, ha fatto una scommessa ridicola: è convinto di poter arrivare fino a Dover in groppa a quel suo mostruoso cavallo nero in sole cinque ore. Ha puntato la casa in cui vive, oltre che molti soldi. Se non fosse così assurda, questa situazione sembrerebbe molto promettente.»
«Nessuno può arrivare fino a Dover in cinque ore, Non è umanamente possibile. Si romperà il collo!»
«Oh, se qualcuno può riuscirci, quello è di sicuro Killoran. E un ottimo fantino e ci sa veramente fare con i cavalli. Credo comunque che sia un'impresa impossibile, soprattutto visto lo stato mentale in cui si trova il conte in questo momento.»
«Allora perché vi sembra molto promettente come situazione?»
Lady Seldane la guardò per un momento. «Siete molto giovane, bambina mia. Se a quell'uomo non importasse di voi, non sarebbe così deciso ad autodistruggersi, no? Ora... dove vi piacerebbe andare?»
«Sarebbe meglio se cominciassi a cavarmela da sola. Ho abusato fin troppo della vostra gentilezza.»
«Non dite sciocchezze, bambina! La mia vita è noiosa e voi me la vivacizzate un po'. Allora, dove andiamo?»
«Andiamo?» domandò lei stupita. «Ma voi non andate mai da nessuna parte.»
«E passato dannatamente tanto tempo dall'ultima volta che ho fatto un viaggio. Voglio rivedere l'Irlanda. Ho una casa vicino a Sligo. Che ne dite di andarci e trattenerci per un po'?»
Emma la fissò per qualche istante. Sembrava il paradiso. Senza Killoran, però, sembrava l'inferno. «Sì» rispose a bassa voce, tornando a concentrarsi sulla minestra.
«Su con la vita!» cercò di rincuorarla l'altra fiduciosa. «Dimenticate il passato e concentratevi sul futuro. Vi troveremo un marito, mia cara. Un irlandese alto, affascinante e con l'animo del poeta. Cosa ve ne pare?»
Lei la guardò negli occhi. «Killoran è irlandese.»
Lady Seldane sorrise. «Lo so, cara. Lo so.»
«Dove vogliono andare?» domandò Darnley in tono minaccioso.
Miriam non batté quasi ciglio. Disprezzava quell'uomo con tutta l'anima, ma era una donna pratica. Aveva bisogno di lui. Se avesse avuto qualche possibilità di raggiungere i suoi scopi da sola, avrebbe evitato di frequentarlo. Il fatto che Killoran sapesse chi era e cosa voleva dalla cugina, però, complicava tutto. Ma ultimamente le cose erano cambiate...
«In Irlanda» rispose col tono paziente di chi sta parlando con un incapace. «Ho pagato qualcuno per sorvegliarla e questa persona mi ha appena aggiornata. Temo che dovrò occuparmi della cosa da sola.» Si guardò intorno. La stanza di Darnley era in disordine, l'aria era pesante e faceva un po' troppo caldo, ma non era poi così male.
«E Killoran? Andrà con lei?»
«Non credo. Lo sanno tutti che è da una settimana che non vede mia cugina. Ha tagliato tutti i ponti con lei.»
Darnley assunse un'espressione villana. «Cosa vi fa pensare che sia ancora interessato alle vostre macchinazioni, donna?» le domandò, pulendosi il panciotto celeste da una briciola unta, il viso pallido. «E Killoran il mio obiettivo. Se vostra cugina non gli interessa più, perché dovrei interessarmene io?»
Miriam si chiese fino a che punto poteva spingersi per convincerlo. I suoi informatori le avevano raccontato che tipo era, ma secondo lei, che aveva una certa esperienza, Darnley era davvero pazzo. Sembrava peggiorato dall'ultimo loro incontro, sia fisicamente che mentalmente. Aveva una brutta cera, gli occhi vitrei e si muoveva come se gli facesse male dappertutto.
«Pensavo che aveste Un debole per le donne dai capelli rossi» gli suggerì come se niente fosse.
«Perché dovrei volere gli scarti di Killoran?»
«Perché, se la inseguite, lui sarà costretto a intervenire.»
«Non capisco perché. Killoran non è mai stato un tipo eroico. Quando, tempo fa, mia... una giovane donna si è rivolta a lui per chiedergli aiuto, lui l'ha ignorata e lei ha finito per ammazzarsi. E stata colpa sua» le spiegò Darnley con fierezza. «Dubito che difenderà vostra cugina.»
«Forse avete ragione, forse la lascerà andare. Voi siete un giocatore esperto, lord Darnley, abituato a scommettere. Quanto a me, sono sicura che Killoran la seguirà. E merita una punizione sia per aver ucciso mio padre a sangue freddo, sia per aver convinto quell'innocente di Emma ad abbandonare la sua famiglia, oltre che per averla sedotta e abbandonata. Devono pagare entrambi. Killoran perché è un demonio, Emma perché è una donna dissoluta. Ma posso vendicarmi anche senza il vostro aiuto» concluse Miriam, quindi si alzò e si avviò verso la porta.
«Non mi sembra di avervi congedata...»
«Non sono né ai vostri ordini né inferiore a voi» gli rispose Miriam e si fermò, lanciandogli un'occhiata. Quell'uomo era meschino e diabolico, ma sapeva di poterlo manipolare.
«Irlanda, eh?» mormorò Darnley cauto. «Si può fare. Ho ancora un conto aperto con vostra cugina. Non sono poi così schizzinoso, dopotutto. Forse Killoran le ha insegnato qualche giochetto interessante prima di liberarsi di lei.»
«Dovete fare qualcosa. Subito. Partiranno tra pochi giorni.»
Lui la osservò. «Non mi è mai piaciuto prendere ordini dalle donne. Soprattutto dalle borghesi.»
«Volete Killoran morto, no? E volete farvi Emma, no? Vi sto solo suggerendo come raggiungere i vostri scopi. In cambio vi chiedo solo una cosa: quando avrete finito con lei, dovete ucciderla. Qui o in Irlanda, non importa.»
«Non preferite essere presente, quando la farò fuori?» Darnley la raggiunse. Odorava di medicinali, di malattia e di malvagità, ma Miriam restò immobile. «Potrei occuparmi di voi, dopo» le sussurrò, giocherellando con una ciocca dei suoi capelli grigi.
Lei gli scoccò un'occhiata minacciosa e l'uomo abbassò la mano, indietreggiando come se avesse appena toccato una vipera. «Uccidetela» gli ripeté. «E tutto quello che vi chiedo.»
Darnley annuì, un leggero sorriso a increspargli le labbra imbellettate.
«Questa scommessa è una follia.»
Killoran sollevò gli occhi sul viso preoccupato di Nathaniel, Aveva bevuto troppo, ma pochi se ne sarebbero accorti. Aveva tutta l'intenzione di ubriacarsi, doveva solo decidere se farlo al club o restare lì, da solo.
Mescolò lentamente le carte che aveva in mano, osservandole distratto. «Nessuno ha chiesto la vostra opinione, caro ragazzo, ma questo non vi ha mai impedito di sputare sentenze, vero? Siete sempre così pronto a dare giudizi! Forse è tempo che torniate a casa, dalla vostra famiglia. Avete visto abbastanza depravazione qui in città da bastarvi per il resto della vostra vita, mi pare...»
«Vi ammazzerete.»
«Non me ne importa un accidente di niente!» replicò brusco il conte, raccogliendo ancora una volta le carte. «E non dovrebbe importacene neppure a voi. Se mi rompo Tosso del collo, non potrò portare lady Barbara a Parigi e lei sarà disponibile, anche se dubito che vi degnerà di attenzione. E più che decisa a finire all'inferno e voi siete un po' troppo buono per un tipo del genere.»
Il cugino fece un passo minaccioso nella sua direzione e Killoran sollevò stancamente una mano. «Non di nuovo, ragazzo. Se non smettete di volermi picchiare ogni volta che insulto il vostro amore, prima o poi morirete. Sono paziente, ma il mio temperamento sanguinario è stato messo a dura prova ultimamente.»
«Voi non porterete Barbara a Parigi!»
Il padrone di casa si strinse nelle spalle. «Le ho proposto di partire con me e lei ha accettato, non c'è molto che possa fare al riguardo, a questo punto. E una questione di onore.»
«Onore? Mi pare che sia Tunica cosa che manca in tutta questa squallida situazione.»
«Certo... voi sapete bene cos'è l'onore, la rettitudine e la perfezione morale. Li riconoscete dall'odore» replicò il conte con un sogghigno. «Mi sorprende persino che riusciate a stare nella stessa stanza con due peccatori come me e Barbara.»
«Voglio che ritiriate il vostro invito.»
«Davvero? E perché dovrei? Barbara è intelligente, bella ed è un'amante esperta... la compagna di letto ideale di qualunque uomo.»
«Allora perché non siete mai stato con lei?»
«Strano da parte mia, vero? Mi sono lasciato distrarre da Emma... Ma, ora che è sana e salva lontano da qui, posso concentrami su donne più adatte alla mia natura. Come Barbara Fitzhugh.»
«Come fate a sapere che Emma è sana e salva?»
Killoran gli lanciò un'occhiata pigra. «Pensate male di me, vero? Vi sbagliate: questa volta mi sono lasciato stranamente trasportare dai sentimenti. Mi sono accertato che Willie la accompagnasse in un posto sicuro.»
«Dove?»
«Vi struggete ancora per lei? Ficcatevelo in testa una buona volta: non potete salvare tutte le donne dalla mie grinfie. Pensavo che desideraste lady Barbara.»
«Sono innamorato di Barbara» dichiarò Nathaniel con voce ferma.
Il conte provò un improvviso fastidio e represse quella sensazione, non capendo a cosa fosse dovuta. «Sono certo che Barbara sarà molto soddisfatta. Metà degli uomini di Londra pensano di essere innamorati di lei e quella ragazza sa come ricompensarli della loro devozione. Purché vostro padre non lo venga mai a sapere...»
«Non capite: io voglio sposarla.»
Killoran posò le carte a faccia in giù sul tavolo. «Non siate assurdo. E figlia di un conte e voi siete solo un proprietario terriero. E fuori dalla vostra portata... siete abbastanza inglese da capirlo. Voi siete un giovane fastidiosamente rispettabile, noioso, onorabile, mentre lei è una nota sgualdrina. Non è alla vostra portata. E una relazione impossibile.»
«Ciononostante voglio sposarla.»
«Prima o dopo il nostro viaggio a Parigi?»
«Voi non la porterete a Parigi.»
«Be', potrei sempre rompermi l'osso del collo mentre cavalco all'impazzata lungo la strada per Dover. Potete sperare che io muoia. Ma, supponendo che io sopravviva, dopo voglio portarla in Europa con me.» «No che non volete.»
«Non siate assurdo, non ho mai fatto niente che non volessi fare.»
«Non è Barbara che volete nel vostro letto e lo sappiamo tutti e due.»
«Mi state di nuovo seccando. Credo che vi ucciderò, dopotutto.»
«Sono pronto a sfidarvi a duello, se è Punico modo per avere lady Barbara.»
Il conte strizzò gli occhi e lo osservò. «C'è un altro modo» mormorò, riempiendosi il bicchiere con mano malferma e versando un po' di chiaretto anche per il cugino. «Potete giocarvela a carte.»
«Cosa?»
«Mi avete sentito benissimo. Ci giocheremo lady Barbara. Chi vince se la prende, chi perde si ritira senza tante storie.»
«Siete un selvaggio!»
Killoran gli rivolse uno dei suoi sorrisi più seducenti. «Sono irlandese, ve lo ricordate? L'Irlanda è un paese di selvaggi. Che ne dite di giocare a picchetto? E un gioco abbastanza semplice, persino un giocatore inesperto come voi potrebbe vincere.»
«Non mi giocherei mai...»
«E la vostra unica chance» lo interruppe il conte.
Probabilmente in quel momento il cugino lo odiava. Se Killoran avesse avuto un po' di decenza, ne sarebbe stato dispiaciuto, ma la sua vita mancava totalmente di decoro. Restò seduto ad aspettare che il giovane prendesse una decisione.
E così accadde.
Nathaniel spostò la sedia dall'altra parte del tavolo e afferrò il mazzo di carte. «Siete un uomo scorretto e privo di onore» lo insultò in tono glaciale.
«E voi state dando il vostro piccolo contributo. Non preoccupatevi, vi spoglierò solo di un po' della vostra rettitudine. Sarà un'esperienza istruttiva, vedrete...»
«Non potete!»
«E una sfida.» Spinse il secondo bicchiere attraverso il tavolo coperto dal panno verde.
All'inizio Nathaniel non brillò in quanto ad abilità. Giocava con la stessa sobria intelligenza con cui conduceva la sua vita, il conte gli tenne testa, trastullandosi con lui. Il tempo di aprire la terza bottiglia di vino e il cugino era indietro di alcuni punti, ma non così tanti.
Fu in quel momento che Killoran si scagliò all'attacco. Giocava con imprudente abbandono, guidato dal selvaggio istinto che gli aveva sempre portato fortuna. Quando Jeffries servì loro la quarta bottiglia, Nathaniel gli doveva più di quanto suo padre potesse permettersi, un'espressione di vuota disperazione negli occhi.
Il conte lo soppesò conio sguardo e tese meglio la sua trappola. Non si fermò a pensare perché lo stava facendo. Finché il cugino fosse rimasto a Londra e avesse vissuto lì, gli avrebbe costantemente, furiosamente ricordato tutto quello che lui non sarebbe mai stato. L'unico modo per liberarsene, liberarsene davvero, era farlo scendere al suo stesso livello, ma non poteva riuscirci trascinandolo in un bordello o spingendolo a ubriacarsi: Nathaniel era troppo deciso per soccombere. Però poteva fargli qualcosa di peggio.
Con un semplice raggiro l'avrebbe spinto ad andare contro una delle più importanti regole di ogni inglese: l'avrebbe costretto a barare a carte.
L'aveva incastrato proprio bene. Nonostante si fosse scolato una bottiglia in più del cugino, aveva la situazione perfettamente in pugno. Riconobbe la disperazione nei suoi occhi e nel tremore delle sue mani: l'aveva vista spesso nei giovani che erano stati così sciocchi da sfidare la sua fortuna innaturale. Non aveva mai avuto pietà di loro. E non avrebbe avuto pietà neppure di Nathaniel.
«Siete trentamila sterline sotto, ragazzo mio» osservò, facendo le carte con naturale destrezza. «Forse è venuto il momento di arrendervi.»
«Trentamila sterline» ripetè il suo avversario con voce cupa.
«E avete perso lady Barbara. Non avreste mai dovuto sfidare un giocatore esperto come me. Mi toccherà andare al ' club per fare una partita decente.»
«Ancora una mano.»
«Molto bene, voglio essere generoso. Ci giochiamo trentamila sterline. Se vincete questa mano, il vostro debito sarà cancellato.»
«E se perdo?» gli domandò Nathaniel con voce rauca.
«Credo che vostro padre ne sarà molto dispiaciuto.»
«Non abbiamo tutti questi soldi.»
«E un vero peccato. Ricordatevi la lezione, ragazzo mio. Mai puntare più di quanto potete permettervi di perdere.»
«E che mi dite di lady Barbara?»
«Possiamo metterci dentro anche lei. Non perderò, lo sapete.» Killoran spinse il mazzo al centro del tavolo. «Tocca a voi fare le carte.»
Si alzò e si allontanò per aprire una bottiglia di vino. Riflessa sullo specchio colse l'espressione sconfortata del cugino, il sudore che gli bagnava la fronte. Temporeggiò più che poteva, infine grugnì per la frustrazione: Nathaniel mescolò le carte in modo maldestro ma senza imbrogliare, non approfittando dell'occasione che gli aveva offerto.
Tornò a sedersi e raccolse le sue carte. In tutta la sua onestà Nathaniel gli aveva involontariamente servito una mano vincente. E, dal modo in cui l'altro serrò la mascella, capì che non era stato altrettanto fortunato.
A quanto pareva Nathaniel aveva bisogno di una tentazione più forte...
Il conte si alzò di nuovo e batté intenzionalmente le gambe contro il tavolo, rovesciando le sue carte sul piano, mostrando gli assi, i re e le regine all'avversario. Poi, dandogli la schiena e fingendo di non accorgersi dei suoi movimenti impacciati, si affacciò alla finestra.
Il cugino barava peggio di come giocava. Avrebbe dovuto impegnarsi parecchio, se voleva davvero vincere la partita, notò Killoran, tornando stancamente al suo posto, un cigarillo tra i denti.
Controllò le sue carte. Anche imbrogliando, Nathaniel non avrebbe potuto battere la sua fortuna. Restava solo una cosa da fare: doveva barare anche lui.
«Mi dispiace, vecchio mio, ho una pessima mano. Possiamo ricominciare da capo?» gli domandò, continuando a pensare alle conseguenze delle sue azioni.
Il giovane arrossi infelice e, annuendo in colpa, posò sul tavolo le carte truccate.
La partita finì in un attimo. Benché Killoran non avesse mai barato in vita sua, gli venne naturale. Preparò velocemente un altro mazzo e distribuì le carte giuste..
Una luce di trionfo cancellò l'ansia dal viso del cugino, almeno per un momento.
«Fantastico» commentò pigro Killoran, quando il giovane gli mostrò cos'aveva in mano. «Anche voi dovete avere una fortuna del diavolo. Pensavo che foste spacciato, invece.»
«Cancellerete il mio debito di gioco?»
Il conte accennò un sorriso. «Certo. E preparo un biglietto per lady Barbara. O preferite informarla voi stesso?»
L'espressione felice del giovane svanì di colpo. «In che senso?» gli chiese nel panico.
«Dovremo spiegarle che l'avete vinta al gioco. Non sarà felice di sapere che ho cambiato idea. Avrò tanti difetti, ma non ho mai mentito né barato.»
Il ragazzo avvampò. «State forse insinuando che ho vinto quest'ultima mano perché ho barato?»
«So che non l'avete fatto.»
Nathaniel non sembrò molto sollevato.
Killoran lo guardò lasciare la stanza. Sapeva di avergli appena tolto ogni illusione e si sentiva in colpa per questo.
Restò seduto da solo al tavolo finché le candele non si consumarono e si spensero. La legna nel camino lasciò il posto alla cenere. Non sapeva dove fosse diretto il cugino, ma dubitava che fosse andato da lady Barbara. Aveva dei demoni da esorcizzare, adesso, demoni che lui e la sua malvagità avevano contribuito a creare.
L'unica cosa che lo confortava in quei momento era sapere che Emma era sana e salva con lady Seldane.
Se c'era una persona di cui si fidava al mondò era lady Seldane. Era una donna dalla lingua sciolta, l'unica parente della madre che gli restava, e le era affezionato. Lei avrebbe protetto Emma.
Sarebbe riuscita a dimenticarsi di lui? Lo odiava? Lo desiderava? Lo compativa?
Certo che lo compativa, le aveva dimostrato fin troppo bene quanto fosse indegno. Non sarebbe passato molto prima che Emma lo sostituisse con qualcun altro. Avrebbe capito che ciò che era successo non era stato colpa sua, che lui era una persona malvagia, e sarebbe andata per la sua strada. Lady Seldane le avrebbe trovato un buon marito e si sarebbe assicurata che nessuno le facesse del male. Emma si sarebbe trasferita lontano da Londra, lontano da lui. .
E finalmente Killoran se la sarebbe tolta dalla testa. E, se per qualche perverso gioco del destino, gli fosse tornata in mente, l'avrebbe semplicemente considerata uno sbaglio, un attacco di follia causato da chissà cosa.
Non avrebbe più pensato a Emma, si disse. Si sarebbe concentrato su Darnley. Il sangue del suo peggior nemico gli avrebbe purificato l'anima. O gliel'avrebbe dannata del tutto.
La notte era immobile e buia, rischiarata a stento da uno spicchio di luna. Nathaniel si strinse addosso il mantello e camminò senza sapere dove stava andando.
Non gli importava.
Aveva tradito il suo onore. Non poteva ancora credere a ciò che aveva fatto, Aveva ceduto alla tentazione e aveva guardato le carte dell'avversario. Era andato contro tutto quello che gli era stato insegnato. Sarebbe stato meglio uccidere, rubare o commettere adulterio piuttosto che imbrogliare.
E Dio l'aveva punito: pur avendo barato, aveva comunque perso e ne era stato felice... Finché aveva stranamente vinto l'ultima mano.
Era stato quasi sul punto di barare di nuovo, di dire a Killoran che le sue carte erano pessime e di rimetterle nel mazzo prima che l'altro potesse controllare. Non che il cugino dubitasse di lui. Lo considerava una specie di santo, la perfezione fatta in persona, incapace dì mentire e di essere falso. Incapace di barare al gioco.
Non era riuscito a restare un momento di più in quella stanza, in quella casa, senza confessare la sua colpa. Non l'avrebbe mai fatto, però.
Aveva tradito i suoi principi per una ragione. Per più di una ragione. Li aveva traditi per amore. Barbara sarebbe andata a Parigi con Killoran, sarebbero andati a letto insieme e nessuno dei due avrebbe avuto il buonsenso di capire che non era ciò che volevano. Se il prezzo per salvare la sua amata era perdere l'onore, allora ne era valsa la pena. L'avrebbe rifatto ancora e ancora.
E ne avrebbe pagato le conseguenze.
Fu solo quando giunse davanti al piccolo ed elegante palazzo di Barbara che si accorse dove l'avevano portato i piedi. Quasi tutte le finestre erano buie e le guardò frustrato.
Lei l'aveva evitato per tutta la settimana. Quando si era svegliato nel casino di caccia di Killoran, si era ritrovato nel letto da solo, il leggero profumo di Barbara sulle lenzuola a ricordargli che si era addormentata tranquillamente, fiduciosamente tra le sue braccia. Da allora non l'aveva più rivista e, quando era andato a trovarla, lei si era rifiutata di riceverlo. Si era tenuta lontana anche da Killoran e dai salotti dell'alta società.
Era in casa in quel momento? Da sola? O si stava divertendo con uno dei suoi molti amanti, ridendo di Killoran e di quello stupido malato d'amore di suo cugino?
No, non avrebbe riso di lui, in fondo al cuore ne era sicuro. Il conte si era raccomandato di raccontarle la verità e Nathaniel non poteva più aspettare. Salì la scala che conduceva all'ingresso e bussò alla porta, non gli importava di disturbare.
Ci volle un po' prima che qualcuno venisse ad aprirgli. L'anziana governante di Barbara socchiuse l'uscio e lo scrutò nel buio. «Cosa diavolo pensate di fare svegliando delle persone rispettabili a quest'ora della notte?» cominciò, poi strizzò gli occhi «Oh, siete voi...»
«E' in casa lady Barbara?»
«Se anche fosse uscita, non sarebbero comunque affari vostri, signor Hepburn» replicò la donna in tono sgarbato. «Il cuore della notte non è il momento giusto per fare visite di cortesia.»
Nathaniel aspettò che gli sbattesse la porta in faccia, invece la spalancò, invitandolo a entrare. Barbara era in piedi dietro di lei e lo guardava turbata.
«Cos'è successo?» gli domandò. «Perché siete qui?»
«Devo parlarvi.»
«A quest'ora?»
«Non posso aspettare.».
La governante sbuffò. «Se non avete bisogno di me, signora, io tornerei a letto.»
La padrona di casa le fece segno con la mano per congedarla, aspettò finché non scomparve nell'ombra, infine si voltò verso di lui.
«Perché vi siete rifiutata di ricevermi?» le domandò il giovane.
Barbara, che reggeva in mano un candelabro, restò in silenzio per un attimo, quindi sospirò esausta. Nathaniel si aspettava che si trasferissero in salotto, invece lei si appoggiò alla scalinata curva e si strinse addosso la camicia da notte.
Solo allora lui si accorse dell'abbigliamento della donna. Era convinto che dormisse con qualcosa di trasparente oppure nuda. Invece indossava una casta camicia da notte a collo alto di calda flanella bianca.
«Mi è sembrata la scelta più saggia» rispose Barbara alla fine. «Non abbiamo futuro insieme, dovreste saperlo anche voi, Sto per partire per Parigi con Killoran e voi troverete una giovane simpatica e rispettabile da sposare...»
«Voi non partirete per Parigi con Killoran» dichiarò brusco.
«Non potete fermarmi.»
«L'ho già fatto. Vi ho vinto a carte.»
«Avete fatto cosa?» gli domandò lei, calmissima.
«Ho sfidato Killoran a carte. Voi eravate la posta e ho vinto.»
«Capisco» mormorò lei dopo un lungo istante. «Killoran non ha mai perso, deve aver barato. Molto avvilente.»
«Lui non ha barato» proseguì Nathaniel guardandola negli occhi. «Sono stato io a farlo.»
Barbara non sapeva se ridere o piangere. Il suo eroe senza macchia era sceso al suo stesso livello. Giocarsi i suoi favori a carte, tradire tutti i principi pur di averla. E la colpa era solo sua, si disse sentendosi ancor più' indegna. Di nuovo.
«Capisco» rispose fingendosi tranquilla. «Allora, se siete arrivato a tanto, suppongo che vogliate godervi la vostra vincita.» Appoggiò il candelabro su un tavolino, sollevò le mani e cominciò a slacciarsi la camicia da notte. «Volete prendermi qui sulle scale o preferite andare in camera da letto? Là scelta sta a voi, certo, ma...»
Nathaniel le afferrò le mani e la fermò. «Non capite.»
«Oh, capisco benissimo. Mi desideravate e mi avete vinta. Piuttosto stupido da parte vostra, visto che avreste potuto avermi ogni volta che volevate. Lo sapete benissimo. Non capisco perché abbiate aspettato tanto. Ho una certa esperienza in materia, conosco molte posizioni, ma temo che resterete deluso. Non avreste dovuto prendervi tutto questo disturbo. Gli uomini tendono a sopravvalutare le mie abilità amatorie, avreste potuto ottenere gli stessi servizi da molte altre prostitute d'alto bordo.»
«Smettetela!»
«Smetterla?» domandò allegramente lei, sollevando i meravigliosi occhi azzurri sul suo interlocutore, sfidando il suo disprezzo. «Mio caro ragazzo... perché siete un ragazzo, no? Sono andata a letto con così tanti uomini da aver perso il conto. Tutto quello che avete sentito dire sul mio conto è vero. Ho fatto anche di peggio. Sono contenta che vi siate deciso, alla fine, perché tutta quest'attesa stava cominciando a stancarmi. Anche se non penso di essere all'altezza delle vostre aspettative.» E con gelida pazienza attese la dura reazione di Nathaniel.
Lui, però, non si mosse. La fissò per un lungo istante, senza fiato, poi parlò.
«Barbara» cominciò in tono gentile, sollevando una mano per accarezzarle il viso. «Non permetterò più a nessuno di farvi del male.»
Lei si preparò al duro colpo che l'attendeva. Aveva provato a farlo infuriare, ma la comprensione che lui le stava offrendo la ferì più di qualsiasi altra cosa.
Sentì le lacrime pungerle gli occhi mentre lottava contro l'insidioso effetto che quelle parole avevano su di lei e trattenne il fiato tentando di sottrarsi al suo tocco gentile, incapace di lasciarsi andare.
«Vi odio» sussurrò con voce rauca.
Nathaniel la guardò per un momento e le accarezzò il collo cori le sue dita forti. «No, voi non mi odiate» replicò, la voce improvvisamente sicura. Non era più quella di un ragazzo. «Voi mi amate. E ve lo proverò.» Dopodiché abbassò la testa e le posò delicatamente le labbra sulle sue in un bacio così meraviglioso da farla sciogliere in lacrime.