15
Era una fortuna che il casino di caccia fosse piccolo. Mentre da fuori sembrava confortevole, dentro l'aria era stantia e le stanze sapevano di chiuso, come se fosse passato molto tempo dall'ultima volta che qualcuno aveva aperto le finestre. Willie faticò non poco a spalancare il portone d'entrata e l'atrio, buio e gelido, era tutt'altro che invitante.
Killoran si era già allontanato al galoppo senza neppure voltarsi indietro e a loro non era rimasta altra scelta che provare a rendere il posto accogliente. Emma si sforzò di non pensare alla festa dissoluta a cui era diretto. Se aveva scelto di andarci, non poteva certo impedirglielo, a meno che lui non la costringesse a seguirlo.
L'aggressione della notte prima per le vie di Londra e il lungo viaggio in carrozza l'avevano stremata. Voleva solo sedersi e piangere per la fame e per la stanchezza che provava, oltre che per qualcos'altro che stentava a definire.
Appoggiò la testa contro il rigido schienale della poltroncina, ricacciando indietro le lacrime ma, vedendo Willie tornare con della legna asciutta e un cesto di cibo, si alzò per accendere le candele. Si mosse per la stanza con vivace efficienza mentre il ragazzo si occupava del fuoco.
La casa era piccola ed elegante, arredata con gusto maschile, anche se maltenuta. Cera una tana di topi in una delle camere da letto, ma le altre tre sembravano a posto. Non c'era una vera e propria stanza padronale, erano tutte ugualmente piccole e semplici, così Emma si sistemò nella più sobria, quella con la finestra senza imposte che dava sul tetto e da cui poteva ammirare la luna.
Dopo un'ora il fuoco scoppiettava allegramente nel camino, scacciando la tetraggine e il freddo del salotto. Emma mangiò pane e formaggio e bevve un po' di sidro. Willie riuscì ad aprire gli scuri del piano terra prima di ritirarsi nella piccola stalla per dormire con i cavalli, rifiutando il suo invito a dormire al caldo, in casa.
«Il padrone non sarebbe d'accordo» le spiegò. «Inoltre preferisco stare insieme ai cavalli, se non vi dispiace.»
«No, non mi dispiace.»
Il giovane sbadigliò. «Non so come faccia il padrone a resistere senza dormire. Io sono stanchissimo. Non sono abituato a fare l'alba girando per Crouch End.»
«Crouch End?» domandò Emma attonita. «Per quale motivo sua signoria è andato a Crouch End?»
Willie scosse la testa. «Voleva incontrare la vecchia pelle e ossa, cosa che ha fatto, ma non so perché.»
Lei si sentì travolgere da un'ondata di gelo che la trasformò in un pezzo di ghiaccio. Sapeva bene chi era la vecchia pelle e ossa. Aveva sentito dei monelli per strada chiamare sua cugina Miriam così. «E l'ha incontrata?» si informò.
«Era l'alba e quella donna non l'ha lasciato entrare. Hanno parlato sulla soglia, ma non ho sentito cosa si sono detti. Alla fine lei gli ha chiuso la porta in faccia ma, quando è salito in carrozza, sua signoria stava sorridendo. Aveva quel sorriso... sapete, no? Quel genere di sorriso con cui potrebbe incantare un drago mentre gli sta tagliando la coda.»
«Conosco quel sorriso.»
Il ragazzo se ne andò. Nella piccola stanza da letto faceva fin troppo caldo. Emma lanciò un'occhiata al letto. Non erano riusciti a trovare delle lenzuola da nessuna parte, così Willie aveva recuperato la coperta di ermellino dalla carrozza e l'aveva coricata sul materasso. Se avesse avuto un po' di buonsenso, si sarebbe stesa e avrebbe cercato di dormire.
Invece diede la schiena alla luna e al letto, si sedette sull'unica poltrona della camera e fissò il fuoco. Stava tremando, ma sapeva che non era per il freddo.
Killoran aveva molto fascino, non c'erano dubbi in proposito, ma è stato il ricordo della cugina a mandarla nel panico. Come faceva Killoran a conoscerla? Le aveva sempre mentito? I due erano d'accordo? L'aveva portata lì per ucciderla?
Era possibile, anche se non gliene importava granché. Per qualche strana ragione si fidava di lui. Nonostante sapesse che era una canaglia, un libertino dichiarato è un dissoluto, si sentiva irrazionalmente al sicuro con Killoran. Forse perché l'aveva salvata in molte occasioni.
Ma questa volta non sarebbe riuscito a proteggerla, visto che l'aveva portata nella tana del lupo. Emma poteva contare solo su se stessa e, se avesse avuto un po' di buonsenso, sarebbe fuggita da quel posto e, soprattutto, da lui.
Più ci pensava, più si convinceva. Era affascinata da Killoran, dai suoi misteriosi occhi verdi, dalle sue mani eleganti, dalla sua voce bassa e sensuale e dalla sua anima ferita. Il conte non mentiva quando diceva di non avere cuore. Prima lo lasciava, prima si sarebbe dimenticata di lui.
La notte scese calma e immobile attorno a lei. Il crepitio del fuoco misto al suono del suo stesso respiro e al battito regolare del suo cuore la cullò in un sonno leggero e agitato. Sognò Killoran. E le sue abili ed eleganti mani.
La guardò dormire. Nonostante la corporatura robusta, sembrava stranamente fragile. La sua pelle era pallida in contrasto con la massa rossa dei capelli e l’abito nero non faceva che sottolinearne il biancore. Era quasi eterea lì, seduta sulla poltrona.
La temperatura nella stanza era alta, la legna nel camino mandava delle confortanti ondate di calore. Killoran si tolse la giacca e il panciotto e li gettò sul tavolo impolverato, poi si voltò di nuovo verso di lei.
Non c'erano altre sedie nella stanza. Poco male. Si accovacciò contro il muro e restò lì ad osservarla.
Pessimo segno, vistò che avrebbe dovuto tenersi il più lontano possibile da quella donna; pessimo quanto la decisione di non portarla alla dissoluta festa del suo amico Sanderson. Non ricordava di essere mai stato tanto protettivo in vita sua.
Pessimo segno davvero.
Poche ore o pochi giorni a quel licenzioso party le avrebbero impartito un'illuminante lezione. Avrebbe appreso più cose sugli uomini, i loro bisogni e le loro perversioni di quanto la maggior parte delle donne imparava in una vita intera. Quella conoscenza le sarebbe servita, se avesse deciso di sposarsi o prostituirsi, le uniche due alternative che aveva.
Si era ripetuto che l'aveva salvata per tormentare Darnley, ma aveva mentito a se stesso. L'aveva salvata per farsi del male.
Sanderson aveva portato con sé l'ottimo cuoco della sua cucina, ma il cibo non lo aveva interessato. Aveva preferito concentrarsi sul vino e sul cognac importati dalla Francia. Aveva bevuto troppo, ma neppure l'alcol aveva dissipato la fastidiosa, preoccupante sensazione che pesava sul buco nero che aveva al posto del cuore.
Le distrazioni non erano mancate; avrebbe potuto giocare al tavolo verde, dove lo aspettavano sia dei polli desiderosi di essere spennati, sia avversari più esperti che avrebbero costituito una vera sfida, ma non gliene era importato nulla.
Neppure ti sensuale corpo di una sgualdrina esperta l'aveva attratto. Per la festa Sanderson aveva invitato solo prostitute di alto bordo, ma anche attrici e aristocratiche annoiate in cerca di un diversivo, eppure nessuna di loro lo aveva eccitato.
«Cosa vi succede?» gli aveva chiesto l'amico, un bicchiere di champagne in una mano e l'altra infilata nella scollatura di una maggiorata con il volto coperto da una maschera, che Killoran sospettava essere la contessa Oliver. La stessa donna che, quando era appena arrivato a Londra, molto tempo prima, si era rifiutata di ballare con lui, un modesto nobile irlandese. Aveva curvato la bocca in un sorriso cinico. «E non fate così!» aveva proseguito il compagno di bevute, rovesciando il contenuto del flute sul petto color crema della contessa. «Sapete che odio quando sorridete in quel modo. Fareste rabbrividire un morto.»
La donna aveva emesso un gridolino. Killoran l'aveva ignorata, guardandosi intorno nella stanza affollata e rumorosa. «C'è anche lady Fitzhugh?» aveva domandato con scarso interesse.
«Barbara? No, non sono riuscito a convincerla a unirsi a noi. Meglio così, però. In queste ultime settimane è diventata noiosa. Non ho concluso niente con lei. Ops... domando perdono, vecchio mio» si era corretto l'uomo, ma era troppo tardi. «Dimenticavo che voi... che lei...» si era impappinato.
Killoran non ci aveva fatto caso. Così Barbara aveva rinunciato a partecipare a quella festa, il genere di occasione dove di solito fingeva di divertirsi. Interessante. Immaginava quale compagnia aveva preferito...
«Ma che ne è stato di vostra sorella?» era stato così imprudente da informarsi Sanderson. «Quando mi avete avvisato che vi sareste unito a noi, mi avevate assicurato che l'avreste portata. Non che molta gente porterebbe qui la propria sorellastra, ma non credo che voi siate come gli altri fratelli. Le siete molto affezionato... Mi piacerebbe farmela. Ho sempre avuto un debole per i seni grossi.»
«Ma caro!» aveva protestato la contessa.
«Ti adoro, tesoro. E solo che voglio portarmi a letto anche la sorella di Killoran.»
«Non lo metto in dubbio...» aveva mormorato freddamente il conte, chiedendosi perché all'improvviso avesse voglia di uccidere quello stupido di Sanderson. Era un vero peccato che una delle poche regole dei duelli stabilisse che non si poteva far fuori un uomo ubriaco fradicio. «Temo che mia sorella, però, non sia disponibile. La sto risparmiando.»
«Per Darnley o per voi?» aveva replicato l'altro, dimostrandosi meno svanito, di quanto sembrasse.
Forse era abbastanza sobrio da sostenere un duello,, aveva, pensato Killoran assorto. «Perché dite così?»
«Tutti sanno che tra voi e Darnley non corre buon sangue dà tempo immemorabile» aveva proseguito Sanderson, ignorando il pericolo che correva. «Dicono che abbiate sedotto sua sorella e che lei si sia tolta la vita; Sembra incredibile... Maude non era certo il tipo da buttarsi via... Be', sapete cosa voglio dire, vecchio mio. Aveva un'alta opinione di se stessa e teneva in grande considerazione il matrimonio. Senza offesa...»
«Nessuna offesa» l'aveva rassicurato lui in tono pigro, morendo dalla voglia di sparargli. «Be', se questa fosse la verità, Darnley sarebbe proprio un pessimo fratello a lasciarmi impunito...»
«Per quanto mi riguarda, Darnley è una pessima persona. G'è anche da dire che uccidervi è difficile. Nessuno osa più provarci.»
«Oh, qualcuno ci prova. Solo che nessuno ci riesce.» Conia coda dell'occhio aveva notato una donna formosa dai capelli rossi accanto alle scale e aveva sentito un barlume di interesse che l'aveva sorpreso. Di rado era attratto dalle prostitute.
«Be', ora pensate solo a godervela! Non avremo il piacere di vedere Darnley nei prossimi giorni. A quanto pare è di nuovo indisposto.»
«Sì, l'ho sentito dire anch'io. Come mi dispiace» aveva detto il conte con voce melodiosa.
«E suppongo che voi non c'entriate niente, vero?»
Ecco perché sopportava Sanderson, si era ricordato Killoran. Perché quell'uomo aveva un briciolo di cervello in più rispetto agli altri suoi conoscenti. «Non più di quanto c'entri con la sua recente assenza dai salotti della buona società» aveva risposto con sincerità.
L'altro aveva rabbrividito con melodrammatica esagerazione. «Ricordatemi di non offendervi mai, vecchio mio.»
«Troppo tardi.»
Stranamente quella dichiarazione non aveva preoccupato il padrone di casa. «Andate a divertirvi con la nuova sgualdrina di Harper. Quella rossa vi sta mangiando con gli occhi. Scommetto che a letto è una vera bomba.»
Il conte le aveva dato un'occhiata. La donna sapeva benissimo che stavano parlando di lei, notare certe cose faceva parte del suo lavoro. «Sì, credo che lo farò. Frequentare vergini stanca dopo un po'.»
«Non saprei...» aveva commentato Sanderson, versando altro champagne sul seno della maggiorata e cominciando a leccarglielo.
Killoran non aveva avuto bisogno di avvicinarsi alla sua preda, era stata lei a raggiungerlo, muovendo sensualmente i fianchi a ogni passo. Lui aveva socchiuso gli occhi per osservarla meglio. Era bella, incredibilmente bella, quasi quanto Emma, eppure c'era qualcosa che non andava.
I capelli, per cominciare. Il colore era troppo piatto, troppo esagerato ed era palesemente finto. Aveva gli occhi azzurri dall'espressione un po' stupida, la bocca imbellettata a forma di arco di Cupido, non il largo sorriso di Emma, e sapeva di muschio, non di rosa e lavanda.
Inoltre era troppo bassa.
Infatti non era Emma.
L'aveva soppesata con lo sguardo e aveva provato solo collera e rimpianto.
Non aveva perso tempo in quella che a quanto pareva era una causa persa. Emma l'aveva stregato, anche se non sapeva come. Nessun'altra era mai riuscita a mandare completamente all'aria la sua vita e i suoi piani. Gli era entrata nella testa come una lama arroventata entra nella cera e non riusciva a trovare un modo per liberarsene.
Nella stalla aveva trovato Willie che russava rumorosamente steso sulla paglia. Non l'aveva svegliato, e aveva dissellato e strigliato il cavallo da solo. C'era qualcosa di confortante e rilassante nello spazzolarlo, nel sentire la criniera sotto le dita. Aveva dimenticato quel piacere così semplice.
Ancora una volta aveva ripensato all'allevamento della sua famiglia, perso tanto tempo prima, alla passione per i cavalli che condivideva con il padre, alle lunghe ore passate a imparare a cavalcare i veloci e bellissimi pony Connemara.
Una voltala sua vita era così tranquilla e onesta... ma non lo sarebbe stata mai più.
Era così diversa da quella che conduceva ora, aveva pensato, dando un colpetto alla groppa di Satana e uscendo dalla stalla. Chissà cosa avrebbe detto Sanderson se avesse saputo che aveva lasciato i piaceri della sua festa dissoluta per strigliare un cavallo. Avrebbe pensato che era pazzo. E forse lo era davvero.
La luna era alta quando era andato a cercare Emma. Non si era fermato a chiedersi perché, aveva solo seguito il suo istinto infallibile. Era ancora ubriaco e aveva ripensato alla sgualdrina che aveva incontrato alla festa. Doveva vedere Emma, capire perché aveva lasciato quella donna per tornare da lei ma, quando l'aveva trovata che dormiva sulla scomoda poltrona davanti al fuoco, non era riuscito a darsi una risposta.
Il suo profumò riempiva la stanza... rosa e lavanda. Si appoggiò contro il muro a guardarla, poi capì. Che gli piacesse o no, non avrebbe permesso a Darnley di sfiorarla nemmeno con un dito. Quel bruto disgustoso non l'avrebbe spogliata. E, di sicuro, non avrebbe lasciato che quella vecchiaccia che si spacciava per sua cugina le si avvicinasse.
Doveva farle sposare un uomo forte, gentile e rispettabile. Qualcuno che non si sarebbe mai sognato di ferirla o picchiarla, qualcuno che l'avrebbe protetta e tenuta lontana da Londra e dai tipi come Darnley. E dai tipi come lui.
Gli venne subito in mente Nathaniel. Era giovane, forte e stupidamente idealista, un nobile eroe pronto a correre in aiuto delle damigelle in difficoltà. Aveva messo gli occhi su lady Barbara, ma lei era una causa persa e non aveva intenzione di farsi salvare. Quella ragazza era più adatta alle anime dannate come lui.
Il cugino sembrava essersi affezionato a Emma, visto che era sempre pronto ad ammonirlo, a guardarlo con sospetto, ad accusarlo di chissà quali orribili piani. Be', aveva ragione.
Emma sarebbe stata felice nel Northumberland, avrebbero avuto dei bambini e probabilmente alla fine si sarebbero innamorati. Qualora si fossero opposti, poteva sempre fare in modo che Nathaniel la rovinasse. Sarebbe stato un gioco da ragazzi e, dato che aveva sedotto Emma, sarebbe stato costretto a sposarla.
Aveva perfettamente senso, rifletté Killoran. In questo modo si sarebbe liberato di entrambi in una volta sola. Poi si sarebbe portato a letto Barbara e, forse, le avrebbe insegnato ad apprezzare i piaceri del sesso, anche se dubitava di averne voglia. Infine avrebbe rintracciato la sgualdrina che aveva incontrato alla festa di Sanderson e l'avrebbe usata come esca per Darnley.
Saggia decisione, ma c'era un piccolo imprevisto: non voleva che Emma stesse con un altro uomo.
Alzò la testa per guardarla, passandosi la mano tra i folti capelli. Cos'aveva quella donna? Come aveva fatto a rubargli l'anima, che del resto neppure possedeva? Cosa c'era in lei ad affascinarlo tanto, a indebolirlo, a fargli cominciare a credere in cose che non esistevano? Era solo una ragazza che aveva condotto una vita ritirata con una fanatica religiosa e uno zio lascivo. Era impavida, determinata, con uno straordinario sangue freddo e poteva uccidere un uomo senza svenire. Aveva persino affrontato lui... lui che aveva terrorizzato creature anche più coraggiose.
Era solo una ragazza...
E lui la voleva.
Chiuse gli occhi per un attimo. Era il cognac che lo stava privando dell'ultima goccia del suo leggendario autocontrollo? O era da troppo tempo che le girava attorno? Sembrava che fossero passati solo pochi giorni da quando era entrato nella sua stanza, alla locanda, e l'aveva trovata con le mani sporche di sangue accanto al cadavere dello zio. Aveva cercato di resisterle, ma ora aveva esaurito l'energia.
Doveva aver disturbato i suoi sogni. Nonostante non avesse fatto rumore, alla fine Emma aprì gli occhi miopi e assonnati. All'inizio non lo vide, accovacciato contro il muro. Killoran. assaporò il piacere furtivo di guardarla stirarsi con gesti lenti e deliziosi. Quando capì di non essere sola, lo scrutò nel buio con un'espressione cauta.
«Siete tornato» gli disse a voce bassa, leggermente senza fiato per la sorpresa. «Come mai? L'orgia era troppo poco interessante per voi?»
Killoran si alzò in piedi, vedendo crescere la diffidenza nel suo sguardo. «E cosa ne sapete voi di orge?»
«Ho letto qualcosa in proposito.»
«Avete letto dei libri che parlano di orge? Mi sorprendete. Non credevo che aveste degli interessi così lussuriosi. In effetti c'era solo un gruppo di sgualdrine seminude di tutte le condizioni sociali, vari tavoli da gioco e, un bel po' di cibo. Avete fame?»
«No. Ma sono curiosa di sapere uria cosa.»
Lui diede un'occhiata al letto. Era enorme e qualcuno, probabilmente Emma, vi aveva steso sopra la coperta di pelliccia della carrozza. Si chiese come sarebbe stata lei sdraiata sopra l'ermellino, i capelli sciolti attorno al suo corpo. Attorno ai loro due corpi nudi.
«Chiedetemi tutto quello che volete.»
«Intendete riportarmi da mia cugina Miriam?»
Killoran esitò. Benché ben mascherato, aveva colto il panico nella sua voce. Era la prima volta che la sentiva avere paura e, dopo aver conosciuto la formidabile signorina DeWinter, non la biasimava.
«A quanto pare Willie non sa tenere la bocca chiusa» replicò in un tono indifferente quanto pericoloso.
«Non gli avete ordinato di tacere.»
«Chi lavora per me dovrebbe saperle certe cose. Cosa vi ha raccontato? Che io e vostra cugina siamo amici per la pelle? Che me la sono fatta nell'ingresso?»
«Smettetela!»
«A dire la verità ho saputo dell'esistenza di Miriam DeWinter dal vostro più grande ammiratore, Darnley. A quanto pare lui e vostra cugina hanno in mente un piano. Mi chiedevo perché Darnley avesse ordinato ai suoi uomini di uccidervi prima di avere avuto la possibilità di venire a letto con voi, così ho scoperto che è stata la signorina DeWinter a tentare di ammazzarvi. Dev'essere di famiglia...»
«Non mi deridete.»
«Non lo farei mai, mia cara. Era solo una constatazione.»
«Le avete detto dove mi trovo?»
«Non ce n'è stato bisogno, lo sapeva già o, almeno, lo sapeva fino a stamattina, prima che decidessi che era meglio assentarci da Londra per un po'.»
Emma lo guardò incredula, dubitando che fosse stato spinto a intraprendere quel viaggio da qualche nobile motivo. Non era stupida fino a quel punto. «Mi rimanderete da lei?»
«Non sapevo che mi apparteneste.»
Un debole rossore le imporporò le guance pallide. «Me lo avete ripetuto in molte occasioni.»
«Non mi sono ancora comportato come se lo foste, però.»
Il silenzio nella stanza era palpabile. Lei lo guardò e nei suoi occhi color miele Killoran colse paura, diffidenza e coraggio. Oltre che un timido, irrazionale desiderio:
Emma lo voleva e lui lo sapeva.
Il suo desiderio lo meravigliava, eppure aveva sempre avuto successo con le donne, aveva un bel viso e un corpo affascinante che attraeva gli appartenenti a entrambi i sessi. Emma, però, era diversa da tutte le altre, era troppo determinata, troppo assennata per cadere nella sua trappola. Il suo sguardo era così ingenuo e sincero... E in quel momento Killoran capì che cos'era a renderla così irresistibile: dopò una vita di logori piaceri, il suo sapore di innocenza lo sopraffaceva.
L'avrebbe posseduta, decise, ormai non poteva più aspettare. L'avrebbe sedotta, le avrebbe strappato i vestiti, l'avrebbe fatta stendere sul letto è l'avrebbe privata della sua verginità. L'avrebbe fatta ansimare, tremare e fremere tra le sue braccia.
E, seducendola, si sarebbe liberato dell'insidioso effetto debilitante che quella donna aveva su di lui. E, finalmente, la fastidiosa, stupida debolezza sentimentale che provava si sarebbe dissolta, così come l'assurda brama che lo incatenava.
«Avete bisogno di aiuto per togliervi il vestito?» le domandò ostentando un tono gelido.
Emma avvampò ancora di più. «No, grazie. Dormirò con i vestiti addosso.»
«No» la contraddisse lui. «No che non lo farete.»
La diffidenza divenne panico, ma durò solo un attimo e ancora una volta Emma ritrovò il pieno controllo di sé. «Non diventerò mai la vostra amante, Killoran» gli rispose con fierezza. «Se avete certe voglie, allora tornate alla festa e andate con una delle invitate. Non dividerò il letto con voi.»
«Non dobbiamo farlo per forza a letto. Posso prendervi sul pavimento o sul tavolo della cucina.»
Lei sgranò gli occhi, «Non potete costringermi!»
«Oh, certo che posso, mia cara» replicò lui, scoppiando a ridere per poi emettere un debole gemito di rammarico.
«Presumo che vogliate costringermi con la forza...»
Quando Emma indietreggiò, lui avanzò nella sua direzione, lentamente, in silenzio, attento a impaurirla quel tanto che bastava e non di più. «Non dovrò ricorrere alla forza e voi non opporrete alcuna resistenza.»
Tese una mano verso di lei, che lo schiaffeggiò con una violenza tale da fargli girare la testa. Lui si fermò, guardandola, stranamente soddisfatto di vederla terrorizzata.
«Mi dispiace. Non avrei dovuto... Vi ho avvertito...»
«Non sprecate tempo a dispiacervi per una sberla. Risparmiate le scuse per quando mi ucciderete» la interruppe Killoran, appoggiandole le mani sulle spalle e attirandola a sé, preparandosi a qualcosa di peggio di uno schiaffo.
Emma, però, rimase ferma, in silenzio, affascinata, rabbrividendo nonostante il caldo della stanza. Killoran la tenne abbracciata, intuendo la battaglia che infuriava dentro di lei. Le fece appoggiare la testa sulla propria spalla, sorridendo nel buio. Un debole, amaro sorriso di trionfo, pregustando quello che li aspettava.
Emma sarebbe stata sua.
E lui sarebbe stato finalmente libero.