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«Che intenzioni avete con lei?»

Killoran sollevò pigramente lo sguardo dalla sua colazione che prevedeva birra calda e controfiletto. Era quasi il crepuscolo e si era svegliato senza il solito mal di testa, ma con molta fame, come non aveva da anni. Sapeva benissimo chi ringraziare per questo. L'appetitosa signorina Emma Brown età da qualche parte in quella casa e l'idealo eccitava terribilmente. Era più che sicuro che la sua ospite non si fosse mossa. La servitù lo temeva ed era davvero improbabile che l'avessero lasciata fuggire e, nel caso fosse riuscita ugualmente a scappare, i domestici se là sarebbero data a gambe levate piuttosto che affrontare la sua collera.

Il cugino sembrava molto indignato e lui non aveva alcuna voglia di impegnarsi a calmarlo. Quel giovane era davvero irritante. Se non si fosse infatuato di Barbara, l'avrebbe già rispedito da suo padre nel Northumberland.

La passione e il rispetto che Nathaniel mostrava nei confronti di quella che tutti consideravano una donna facile lo divertivano quasi quanto Emma Brown. L'ostentata disapprovazione del suo ospite era un fatto indubbiamente positivo per la sua anima ottenebrata. Sempre che ne possedesse ancora una, cosa di cui dubitava.

«Non intendo fare proprio niente, caro ragazzo» rispose lentamente, appoggiandosi allo schienale della sedia. «I vostri sospetti mi feriscono. E una derelitta e ha bisogno di un posto in cui ripararsi dalla gelida tempesta di neve che imperversa fuori. A essere sincero, però, non mi sembra così derelitta» aggiunse alla fine.

«Non tollero che...»

«Non dovete tollerare proprio niente, Nathaniel. Non ho alcun interesse a sedurre quella povera ragazza. In fondo, perché perdere tempo con lei quando posso avere lady Barbara ogni volta che voglio?»

Quelle parole sortirono l'effetto voluto e il giovane arrossì violentemente. Il conte, però, non provò nessuna soddisfazione e se ne chiese il motivo.

«Non spetta a me dirlo» balbettò il cugino.

«Non mi sembra che questo sia mai stato un problema per voi» replicò Killoran. «Non vi siete fatto nessuno scrupolo quando avete giudicato le mie intenzioni con la signorina Incognita. Perché non dovreste esprimere la vostra opinione sulla mia relazione con lady Barbara?»

«La signorina Incognita?» domandò Nathaniel, ignorando deliberatamente la provocazione. «Pensavo si chiamasse Brown.»

«Quella donna si chiama Brown tanto quanto si chiama Pottle. Effettivamente la nostra piccola derelitta è mia parente.» Il conte rifletté un istante, poi sorrise. «E la mia sorellastra.»

«Cosa?»

«Be'... non lo ammetteremmo mai. Diciamo solo che è una parente che ho acquisito dopo il matrimonio di mio padre anche se, sfortunatamente, il matrimonio non ha mai avuto luogo. Chi pensava che il mio rispettabile genitore si sarebbe dimostrato così licenzioso?»

«Non è la vostra sorellastra!» scattò Nathaniel.

«No? Be', dubito che possiate provarlo, visto che non intendo dichiararlo pubblicamente. Basterà una parola o due, solo un accenno, e l'informazione si propagherà velocemente in società.»

«Io negherò.»

«Certo che negherete. E lo farò anch'io. Non sarà una situazione piacevole e la gente crederà quel che vorrà, ma alla fine accetteranno la signorina Brown, sapendo che è di nobili origini. Vediamo, chi potrebbe essere sua madre? Qualche signora inglese con un titolo. La figlia di un duca che è cascata nel tranello di un focoso irlandese e ha ceduto a un momento di passione.»

«Siete un bastardo!»

«In realtà, no. Preferireste forse che la lasciassi in mezzo a una strada? La vostra idea di carità cristiana fa a pugni con la realtà, Nathaniel.»

«Io non...»

«Rifletteteci bene, ragazzo mio: se mi diverto con la mia nuova sorellina appena ritrovata, avrò meno tempo da passare con lady Barbara, dando a voi la possibilità di godere dei suoi favori.»

«Lady Barbara non è un giocattolo che ci si può passare!» dichiarò Nathaniel furibondo. «Non è una sgualdrina!»

Il conte si protese in avanti e suonò la campanella di cristallo accanto alla sua mano sinistra per chiamare Jeffries. «Perché non lo chiedete direttamente a lei?» gli suggerì. «La risposta potrebbe non piacervi.»

Se il maggiordomo non fosse arrivato subito, di certo il cugino gli sarebbe saltato al collo, provando in tutti i modi a prenderlo a pugni. Una vera sfortuna, visto che, presto o tardi, erano destinati ad azzuffarsi. Non vedeva l'ora, anche perché non era poi così sicuro di vincere. Dopotutto avevano dieci anni di differenza, inoltre Nathaniel aveva il fuoco tipico della giovinezza, oltre che dei principi da difendere. Da parte sua, invece, Killoran possedeva solo la saggezza datagli dall'età e la sua slealtà. Ma, a essere sincero, non aveva intenzione di lottare sul serio.

«Jeffries» disse, ignorando la collera del suo ospite «trovate mia sorella e portatela qui.»

«Vostra sorella, signore?» chiese il maggiordomo, inorridito. «E dove mi suggerite di cercarla, mio signore?»

«Nella stanza verde.»

«Perdonatemi, mio signore. La signorina è vostra sorella?»

Il conte abbozzò un sorriso, ma la sua espressione era tutt'altro che rassicurante. «Meglio non dire a nessuno che siamo fratelli. Fingiamo che sia solo mia cugina. So di poter contare sulla vostra discrezione, Jeffries. Non voglio che gli altri della servitù lo sappiano.»

«Certo, mio signore. Troverò la giovane e ve la porterò qui.»

Dopo che la porta si fu richiusa dietro le spalle del maggiordomo, Killoran si rivolse a Nathaniel. «Vedete? E semplice. Non c'è bisogno di aggiungere altro. Da domani mattina tutti sapranno che ho accolto la mia sorellastra in casa e moriranno dalla voglia di conoscerla. Sarà divertente, vedrete.»

«E per questo che la state ospitando qui? Per divertimento?»

«Tra le altre ragioni, nessuna particolarmente licenziosa. Vedo che state cominciando a capirmi. Se desiderassi quella donna, non avrei certo deciso di farla entrare in società, no? Sarà una sorella meravigliosa.»

«Per quanto?»

Il conte esitò. «Non ci ho ancora pensato. Finché sarà utile ai miei scopi. Appena mi sarò stancato di lei, credo che la manderò via. E così che mi comporto di solito. Quindi state attento: potrei liberarmi della vostra presenza, se continuate a essere così noioso.»

«Non mi dispiacerebbe andarmene.»

«Certo che non vi dispiacerebbe, per questo vi terrò qui con me. La vostra ostilità mi diverte.»

«Siete bravissimo a ispirarla.»

Il conte batté le palpebre. «Be', grazie davvero, caro ragazzo. Credo che sia il primo complimento che mi fate.»

 

Emma non voleva incontrarlo di nuovo. E aveva i suoi buoni motivi.

Quando aveva finito di fare il bagno, i suoi vestiti erano scomparsi, e al loro posto aveva trovato una vestaglia di seta nera con i bottoni argentati. L'indumento poteva appartenere solo a una persona.

Aveva lo stesso buon profumo della sua giacca... sapeva di cuoio, whisky e spezie. Se fosse stata più coraggiosa, si sarebbe rifiutata sdegnosamente di usarla.

Ma l'alternativa, ovvero aggirarsi per la stanza senza niente addosso, era inaccettabile, per tacere del freddo che avrebbe preso. Così aveva indossato la vestaglia e aveva finto che appartenesse al giovane coraggioso che l'aveva accompagnata in quella strana casa la sera precedente.

Aveva dormito poco o niente sull'enorme, morbido letto della stanza in cui l'avevano sistemata. Aveva mangiato tutto quello che la signora Rumson le aveva portato, poi si era raggomitolata sul sedile sotto la finestra, la vestaglia stretta attorno alle lunghe gambe, a guardare la neve che cadeva. Avrebbe dovuto essere piacevole stare lì, al caldo, con il camino acceso, ma non faceva che pensare alla vita pericolosa che la aspettava sulle strade di Londra.

Si strinse meglio nella vestaglia e rabbrividì. Perché, in nome di Dio, quell'inverno doveva essere così rigido?

Non aveva sentito la porta aprirsi, ma sapeva che Killoran era lì. Era un uomo molto silenzioso e la cosa avrebbe dovuto innervosirla, se non avesse sviluppato un sesto senso che ogni volta la avvertiva della sua presenza. Era abituata al rumore: lo zio era chiassoso e gradasso, mentre la cugina spesso alzava la voce per criticare o pregare. Nemmeno dietro, le tende chiuse della casa dei DeWinter c'erano tranquillità e pace.

La calma circondava Killoran come un'aura inquietante. Emma era già raggomitolata dentro la vestaglia e resistette alla tentazione di stringersela meglio addosso, mentre si voltava a guardarlo nella luce del crepuscolo.

«Mi ricordate una gazza» gli disse all'improvviso.

L'uomo era fermo sulla porta e la stava fissando, nei suoi occhi una rara espressione di interesse. «Vi faccio pensare a un uccello chiassoso e ciarliero? Piuttosto deprimente.»

Emma ruotò sul sedile, attenta a tenere le gambe coperte. I capelli ricci e ribelli le coprivano le spalle, ma non aveva trovato niente con cui legarli, dato che le avevano portato via tutto, così aveva deciso di lasciarli sciolti. «E chi ha mai detto che le gazze sono chiassose?» replicò severa.

«Va bene, ho sbagliato, ma non sono mai stato un amante degli uccelli. Spiegatevi meglio. In che senso somiglio a una gazza?»

«Le gazze sono dei begli uccelli, lo sapete. Il loro piumaggio bianco e nero è molto elegante.»

Lui annuì. «Va già meglio.»

«Hanno anche un debole per le cose che luccicano. Se vedono qualcosa che scintilla, la rubano e se la portano nel nido.»

Gli occhi verdi e crudeli del suo interlocutore le parvero scintillare divertiti, ma Emma era troppo miope per esserne certa.

«Pensavo che foste voi quella sospettata di furto.» La voce di Killoran era fredda come l'argento. «Mi riferisco a quella faccenda del fermacravatta di diamanti che avete rubato al giovane Varienne.»

«Ma voi sapete che non è vero.»

«Invece non so proprio niente di voi, bambina, a parte la vostra insolita passione per la violenza.» L'uomo si avvicinò, l'espressione circospetta come sempre, lasciando vagare lo sguardo sul suo corpo avvolto in quella bizzarra vestaglia. Emma non riuscì a capire cosa stava pensando. «Inoltre è innegabile che vi siete appropriata della mia giacca e dei miei fermacravatta di diamanti. A quanto pare avete anche una certa attitudine al furto.»

«Sono certa che avete recuperato i gioielli» replicò lei, soffocando l'improvviso senso di colpa.

«Certo, ma questo non vi assolve, né risponde alle mie domande. Suppongo che non abbiate intenzione di raccontarmi chi siete, vero?»

«Vi importa davvero saperlo?»

«No» ammise Killoran sorridendo.

«Appunto, quindi per voi sarò semplicemente la signorina Brown.»

«No, invece, non sarete per niente la signorina Brown. Mi rifiuto di proteggere qualcuno con un nome così noioso. Vi chiamate solo Emma. E un nome che vi calza a pennello, nonostante il vostro aspetto esotico. C'è qualcosa di molto perbene nel nome Emma. Suggerisce calma, ragionevolezza, sensibilità e generosità.»

«Pensate che io sia una persona calma e ragionevole?» Era sbalordita. Anche se era una definizione un po' troppo elogiativa rispetto a come lei si vedeva, il conte aveva dipinto un quadro abbastanza fedele della vera Emma. Educata, sensibile, gentile e serena, nonostante tutti i guai che le erano capitati ultimamente. Ma lui come faceva a saperlo?

Killoran la raggiunse e le si sedette accanto sul sedile sotto la finestra, attento a non sgualcire il broccato nero e argentato della sua giacca.

Cera troppo poca distanza tra loro, notò Emma tentando furtivamente di allontanarsi, ma sapeva che il conte controllava ogni suo gesto. Se fosse riuscita a sottrarsi alla sua presenza, sarebbe stato solo perché lui glielo permetteva.

«Conosco la specie umana» proseguì Killoran.

«Ma non ve ne importa molto.»

«A nessuno importa, non alle persone ragionevoli, almeno. Però non sono un mostro. A differenza della gazza che mi accusate di essere non vi porterò nel mio nido e non vi terrò lì come un nuovo giocattolo luccicante. Se desiderate fuggire, dovete solo dirlo. Siete libera di andarvene. Dovunque vogliate.»

Non era la più attraente delle offerte, rifletté Emma. La seta era morbida contro la sua pelle, il fuoco caldo. «E se restassi, invece?»

Negli occhi del conte non c'era segno di trionfo. «Allora dovrete rispettare i miei ordini. Indosserete gli abiti, mangerete i cibi e andrete nei posti che scelgo io. Sarete in mio potere e vivrete la vita che io decido per voi,»

«E diventerei la vostra amante?»

Lui scoppiò a ridere, cosa che non la rassicurò. «Non sembrate così infastidita. In effetti molte donne si sentirebbero onorate.» Sospirò. «Battete sempre sullo stesso tasto, bambina. Pensavo di avervi già spiegato che il vostro corpo, per quanto ben fatto e voluttuoso, non mi attira. Ho dei piani molto più interessanti per voi.»

«Che tipo di piani?»

«Come siete sospettosa... Niente di cui dobbiate preoccuparvi in questo momento. Vedremo come si sviluppano le cose. Nel frattempo intendo presentarvi in società come mia pupilla. Ah... non è che ci imbattiamo in qualche membro della vostra famiglia, vero?»

«No.»

«Bene. Siete deliziosa con la mia vestaglia, il nero vi si addice. Chiamerò una sarta e vi ordinerò un guardaroba all'altezza. I vostri modi sono abbastanza raffinati, forse più dei miei, e non ci sarà bisogno di migliorarli. Dopotutto, cosa possono aspettarsi da un irlandese? Per cominciare vi farò indossare l'abito adatto e vi porterò all'opera.»

«Adoro l'opera» rispose Emma. Una debole nota di speranza si insinuò nella sua voce.

«Non ci verrete per lo spettacolo. Ci verrete per osservare ed essere osservata.»

«Perché?»

«Perché faccio tutte le cose che faccio? Per divertimento. Voglio che per tutti sia chiara una cosa fondamentale: che voi non siete mia sorella.»

«Vostra sorella? E perché le persone dovrebbero credere un'assurdità simile?» replicò lei accalorandosi, scossa dalla notizia.

Poi Killoran la toccò. Allungò una mano elegante e le sfiorò il mento, sollevandole il viso verso il suo. La scrutò attentamente, gli occhi verdi che tradivano un interesse solo superficiale. «Non ne ho la minima idea» le rispose dopo un istante. «Ma le persone si convincono delle cose più strane, a volte. Voi negate sempre e comunque. Vedrete che alla fine l'equivoco si chiarirà da solo.» Dopodiché abbassò la mano e si alzò, alto, elegante e distante.

Nel punto dove lui l'aveva toccata Emma sentì prima caldo poi freddo. In tutta la sua vita non aveva mai voluto che nessuno la sfiorasse e di sicuro non desiderava che quell'uomo bello dal cuore gelido e dallo sguardo indifferente la accarezzasse. O sì?

Comunque fosse, non avrebbe ceduto così facilmente. «Siete certo che sia saggio da parte vostra?» chiese mentre lui usciva dalla stanza.

Il conte si fermò, voltandosi per guardarla. «Non capisco di cosa parliate. Non che mi sia mai importato di cosa è più saggio fare, ma perché non mi spiegate cos'è che vi preoccupa?»

«State ospitando in casa vostra una donna che ha già ucciso un uomo e tentato di ucciderne un secondo. Non siete preoccupato che io possa improvvisamente prendervi in antipatia?» gli chiese con voce più dolce possibile.

Killoran non sembrò turbato dalla domanda, accidenti a lui. «Prendermi improvvisamente in antipatia?» ripeté. «Significa che, nel frattempo, vi siete affezionata a me? Molto incoraggiante. State tranquilla, mia cara Emma, terrò gli oggetti contundenti e le pistole da duello fuori portata. Se capite che le vostre tendenze assassine si stanno di nuovo impossessando di voi, sfogatele su Nathaniel invece che su di me. Temo di essere molto difficile da uccidere.»

«Ci ha già provato qualcuno?»

«Un sacco di persone. E non sono più tra noi, adesso. Tenetelo a mente, tesoro» le rispose garbato, chiudendosi la porta dietro le spalle senza fare rumore.

 

«È un demonio!» esclamò Nathaniel amareggiato.

Barbara sollevò gli occhi, attenta a mantenere un'espressione guardinga. Il ventaglio colorato che teneva in mano era perfetto per quelle occasioni; poteva ruotarlo e dargli un colpetto, attirando lo sguardo di chi la stava fissando e distraendo l'attenzione dalle eventuali emozioni che le attraversavano il viso. Non era così brava a nascondere i suoi sentimenti, non quanto Killoran almeno, anche se probabilmente il conte non provava più niente. Ah, se solo fosse riuscita a diventare come lui!

«Non siate noioso, Nathaniel. E un uomo ed è come tutti gli altri uomini. Nonostante la sua grazia e le sue arie; sotto sotto è umano.»

Il giovane avvampò. Forse non avrebbe dovuto dirlo, pensò Barbara, Non avrebbe dovuto deprimerlo ancora di più, ricordandogli la sua relazione con il conte. Per quanto ne sapeva quel ragazzo, lei era la sua amante.

Forse, però, aveva fatto bene a ricordarglielo. Quando la guardava con quegli occhi azzurri adoranti, cominciava a pensare a come avrebbe potuto essere la sua vita e non le restava altro da fare che offenderlo. Per il suo stesso bene e per il proprio.

Non che fosse davvero l'amante di Killoran... Su questo era d'accordo con Nathaniel: quell'uomo era un demonio. Non capiva perché il conte le resisteva. Malgrado le frecciatine che gli aveva lanciato, sapeva benissimo che non gli piacevano gli uomini. Era famoso per le sue prodezze con le donne. Era da più di un anno che non frequentava nessuno, ma quell'astinenza era dovuta più alla noia che a un cambiamento di tendenze sessuali.

Si era illusa che fosse malato, che avesse riportato una grave ferita durante il suo ultimo duello, ma erano quattro anni che non ne affrontava uno ed era celebre l'episodio in cui era stato trovato a letto contemporaneamente con la moglie, la cognata e l'istitutrice di lord Malborough. La sua abilità sotto le lenzuola era nota a tutti e Barbara aveva tutta l'intenzione di averne una dimostrazione. In fondo, chi più di lei, una delle donne più dissolute di Londra, era degna di un libertino incallito come Killoran?

Lanciò un'occhiata alla sua immagine riflessa nello specchio sopra la testa di Nathaniel. Preferiva sempre sedersi in posti dove poteva guardarsi. In questo modo non correva il rischio di dimenticarsi chi e cos'era.

Avrebbe dovuto usare un po' più di trucco, notò. Nelle ultime settimane era stata insolitamente propensa a vestirsi in modo meno appariscente e truccarsi in modo meno provocante. Aveva la terribile sensazione che fosse tutta colpa dell'invadente presenza del giovane cugino di Killoran. Sapeva riconoscere l'adorazione negli occhi di un uomo, l'aveva vista molto spesso, ma non si era mai lasciata intenerire. Per qualche strana ragione, però, Nathaniel riusciva a commuoverla.

Accidenti a Killoran! Se si fosse limitato a prenderla, a usarla, come avevano fatto tutti i suoi amanti prima di lui, sarebbe stata distratta e avrebbe ignorato la tentazione costituita da quel giovane innocente che la guardava con occhi traboccanti d'amore.

Un amore privo di difetti. Nathaniel Hepburn, infatti, era assurdamente attraente con le sue spalle larghe, le gambe lunghe, la pancia piatta e le mani forti e abbronzate. Quando non legava i capelli castani in una coda, metteva delle semplici parrucche e i suoi abiti, in confronto all'eleganza ricercata di Killoran, erano sobri, di ottima fattura e si adattavano fin troppo bene al suo corpo atletico.

Era intelligente, simpatico, onesto, fiero e nobile. Una vera perla, se non per un piccolo difetto.

Era così folle da amarla.

Eppure tutti conoscevano la sua reputazione. A Londra i pettegolezzi correvano veloci e lei non si era mai sforzata di essere discreta, anzi. Aveva inseguito la notorietà con ogni mezzo, aveva le sue buone ragioni, ed era stata ben ricompensata per questo. A diciannove anni aveva già avuto cinque amanti, uno dei quali era un duca quasi sessantenne. Frequentava l'alta società con evidente sprezzo di ogni principio morale, prendendo il piacere dove lo trovava senza pensare alle conseguenze e, di certo, senza prestare attenzione ai giovanotti innamorati che venivano dalla campagna e che volevano portarla via per mettere su famiglia.

Nathaniel mirava proprio a quello, ne era più che sicura. Se gli avesse dato un minimo di corda, si sarebbe inginocchiato e le avrebbe offerto il suo cuore, la sua mano, la sua fortuna e un futuro nelle terre selvagge del Northumberland, lontano da negozi, teatri e civiltà.

Non lo aveva incoraggiato in nessun modo, a parte qualche freddo, sorriso di circostanza. Non si era ancora mostrata crudele con lui, ma prima o poi sarebbe successo, ne era sicura. Presto o tardi avrebbe dovuto rimetterlo al suo posto, per evitare di cedere alla tentazione di qualcosa che non avrebbe mai potuto avere.

Le conveniva sedurlo, rifletté. Probabilmente era vergine, benché ne dubitasse. Forse, se se lo fosse portato a letto e gli avesse mostrato quello che i suoi esperti amanti le avevano insegnato, l'avrebbe finalmente convinto della verità.

Ovvero che lei, lady Barbara Fitzhugh, era una sgualdrina. Degna né più né menò di uno spietato libertino come Killoran, che l'avrebbe usata e scaricata come la donnaccia che era.

Peccato che il conte non sembrasse avere alcuna intenzione di usarla. In ansia, si guardò di nuovo allo specchio. La sua bellezza era ancora lì: i ricci biondi, la pelle luminosa, gli occhi enormi e le labbra carnose. Non aveva ancora cominciato a sfiorire... non c'era ragione che Killoran le resistesse.

«Ha delle cattive intenzioni con lei, lo so» stava dicendo Nathaniel in tono aspro. «Non mi fido di lui nemmeno per un momento. Non è mai stato gentile con nessuno in vita sua e di certo non ha accolto quella ragazza in casa per bontà d'animo.»

«State parlando della sorella di Killoran?» domandò pigramente Barbara, soffocando l'irrazionale gelosia che la prese.

«E sua sorella tanto quanto lo siete voi, anche se è quello che vuole che la gente creda, e lo sapete benissimo. Non riesco proprio a capire che cosa vuole da lei.»

«E’ importante?»

«Non gli permetterò di corrompere una vergine innocente senza fare niente!»

«Perché no?»

Nathaniel la guardò, per un attimo senza parole. «Non sapete quello che dite, lady Barbara.»

«Certo che lo so. Che v'importa se seduce o no quella ragazza? E abbastanza carina, lo ammetto, anche se di una bellezza fuori dal comune. Perché vi infastidisce tanto se se la porta a letto? Avete un debole per lei?»

Il giovane arrossì violentemente, i meravigliosi occhi azzurri velati da un'espressione di sofferenza. «No.»

Non aggiunse altro. Il suo codice d'onore gli vietava di dichiararsi all'amante dell'uomo che lo ospitava. Probabilmente il suo codice d'onore avrebbe dovuto impedirgli di provare quei sentimenti, ma Barbara non si fece trarre in inganno. Colse la brama nel suo sguardo, La riconobbe perché, strano a dirsi, sentiva lo stesso fiero, fragile desiderio. Aveva abbastanza esperienza da non cedere a quelle emozioni, ma continuavano a ossessionarla, irrazionalmente, pericolosamente.

«In questo caso, vi consiglio di tenere la vostra preoccupazione e le vostre opinioni per voi. Conosco Killoran da diversi anni, ormai, e il suo caratteraccio è leggendario. Farà esattamente quello che vuole fare e nemmeno un eroe coraggioso come voi riuscirà a distrarlo dai suoi propositi.»

Nathaniel arrossì, proprio come Barbara aveva previsto. Si alzò e attraversò la stanza per raggiungerlo, ondeggiando leggermente, quanto bastava perché gli occhi del giovane si riempissero di desiderio. Cogliere la sua brama la compiacque e allo stesso tempo la addolorò. Doveva andare a letto con lui, pensò per l'ennesima volta. Per ricordare a se stessa che Nathaniel era solo l'ennesimo uomo che aveva posseduto il suo corpo e che aveva creduto ai suoi gemiti di piacere.

Lui la scrutò e Barbara tese una mano per toccarlo, riunendola quasi subito, prendendo la decisione più saggia per una volta nella vita. «Se fossi in voi, andrei a cercarmi un'amante giovane e formosa che mi soddisfi. Vedrete che dopo non sprecherete più tempo a preoccuparvi di quello che fa Killoran.»

«Non m'interessa trovarmi un'amante giovane e formosa, lady Barbara» le rispose lui, cogliendo il significato delle sue parole e stringendole la mano che aveva lasciato cadere.

Nathaniel era forte. Le sue dita erano ruvide, diverse da quelle morbide e curate degli uomini che l'avevano toccata prima.

Barbara lo guardò, quasi sperando, ma non c'era speranza per quelle come lei. L'aveva persa anni prima. Così ritrasse di nuovo la mano.

«Mio signore» cominciò ridendo piano «state sviluppando un vero talento per il flirt. Non lasciate che Killoran se ne accorga... non è un amante geloso, ma non rinuncia facilmente a ciò che è suo.»

«E voi siete sua, lady Barbara?» La voce di Nathaniel era bassa, intensa, e le risuonò dentro.

«Io, signore? Io non sono e non sarò mai di nessuno.» E, senza aggiungere altro, se ne andò, quasi di corsa.