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Emma aveva sempre pensato di possedere poche buone qualità, che compensavano un egual numero di difetti. Era coraggiosa ma, quando qualcuno alzava le mani su di lei, il suo viso assumeva una calma espressione di disprezzo che di solito peggiorava la situazione. Era forte, cosa che la rendeva capace di sopportare il dolore, sia fisico che emotivo, in situazioni in cui un'anima più debole sarebbe sicuramente scoppiata in lacrime, mettendo così fine al tormento. Si considerava passabile, anche se la sua bellezza era decisamente fuori dal comune, viste le sue generosissime forme. La sua altezza e il suo corpo formoso, però, intimidivano i corteggiatori. Il viso era abbastanza piacevole, benché la sua pelle pallida fosse punteggiata da lentiggini disposte in un modo poco attraente. E gli occhi castani, pur carini, erano miopi in modo allarmante. Poi c'era anche il problema dei capelli: avrebbe dato qualsiasi cosa per averli di un bruno normalissimo e insignificante, invece del color rame con cui era nata. Miriam chiamava i suoi ricci rossi "la seta del diavolo".
Ma, cosa più importante, lei era troppo intelligente per essere una donna. Quell'intelligenza, comunque, le era sempre tornata utile. Se non fosse stata tanto acuta e perspicace, non avrebbe mai capito cos'aveva in mente lo zio quando era entrato nella sua stanza al Pear and Partridge.
Nel bene e nel male aveva ereditato una fortuna. Non era un patrimonio tale da garantirle una vita di lusso sfrenato, ma era comunque una bella somma. La cugina governava la casa e lo zio con fare inflessibile e si era assicurata che Emma non reclamasse mai un penny del denaro che suo padre, morendo, le aveva lasciato. Le rendite delle attività della sua famiglia andavano alle opere pie, le aveva spiegato Miriam, ma Emma non ne aveva ancora avuto prova. Una cosa però era sicura: se fosse stata povera non si sarebbero mai disturbati a ospitarla e, men che meno, avrebbero tentato di ucciderla.
Un’idea la turbava ancora. Non le era mai piaciuto lo zio Horace... le sue mani paffute che tentavano di toccarla, il suo ventre rotondo che si sfregava contro di lei, il suo alito cattivo, che provava invano a nascondere masticando foglie di menta piperita. Detestava il luccichio dei suoi occhi slavati quando pensava che nessuno lo stesse guardando e i suoi crudeli pizzicotti, ma era stata così ingenua da credere che fossero sintomi di un desiderio mal riposto. Non che, a diciannove anni, sapesse cosa significa provare desiderio per qualcuno. La cugina aveva il doppio della sua età, era una donna di inattaccabile virtù e di alti principi morali, e praticamente l'aveva tenuta segregata dentro la loro casa a Crouch End. I pochi uomini ammessi in sua presenza erano o molto vecchi o spaventati a morte da Miriam.
Ma Gertie, l’indaffaratissima cameriera personale della cugina, le aveva spiegato tutto sul sesso, in un modo che, se da una parte era esageratamente schietto, dall'altra era davvero affascinante. I dettagli della procreazione le erano parsi disgustosi, soprattutto quando li collegava all'immagine dello zio. La domestica era convinta che il padrone mirasse a quello ogni volta che sfiorava Emma come per sbaglio o la fissava con quello strano e inquietante scintillio negli occhi.
Se la situazione precipitava, lei aveva imparato a chiamare in aiuto Miriam. Bisognava agire d'astuzia, però. Se quel cerbero smilzo e malvestito della cugina avesse sospettato che Horace nutriva dei desideri indecenti per lei, avrebbe reso la vita un inferno a entrambi. Non che non lo facesse già...
Ma una cosa era certa: Miriam era capace di amare e voleva bene al padre. Al contrario, non le importava niente di Emma, che era rimasta orfana e che disponeva di un'eredità che, un giorno, sarebbe andata per intero all'uomo che avrebbe sposato e di cui lei non avrebbe visto un centesimo.
Miriam non avrebbe preso molto bene la notizia della morte di Horace.
Emma non sapeva quando quell'avido dello zio avesse deciso di assassinarla, l'idea era così inconcepibile che stentava ancora a crederci. Non riusciva ancora a convincersi di averlo ucciso con le proprie mani.
Eppure era morto. Aveva controllato il suo corpo senza vita, intontita e raggelata dalla paura, una debole voce nella testa che le diceva di scappare prima che la trovassero e la impiccassero all'albero più vicino.
Poi era apparso Lui, quello strano uomo dalla parlata lenta e strascicata che l'aveva derisa, turbata, che aveva preso atto della situazione e si era assunto la colpa del delitto.
Il motivo che l'aveva spinto a farlo non avrebbe dovuto meravigliarla. Aveva guardato in fondo ai suoi occhi scintillanti e vi aveva letto un freddo vuoto. Non la sorprendeva che le avesse salvato la vita solo per combattere la noia che lo perseguitava.
Allora perché non ci credeva?
Non che avesse qualche obiezione, dopotutto le aveva salvato la vita. Inoltre, se era vero che l'aveva fatto per puro divertimento, non gli doveva proprio niente. Il loro era stato uno scambio vantaggioso: la sua vita per il divertimento di una sera... Erano pari.
Inoltre non capiva perché Toste l'avesse avvicinata offrendole una moneta d'oro e il nome di una misteriosa donna di Londra; ancora meno capiva perché l'uomo, che fino a poco prima l'aveva trattata con sospetto, avesse insistito per organizzarle il viaggio di ritorno in città. Probabilmente aveva qualcosa a che fare con il suo misterioso soccorritore, ma lei aveva preferito non fare domande.
Si fece forza e scacciò l'ondata di panico che minacciava di travolgerla. Era giovane, era forte, era... come la cugina le ripeteva spesso... abbastanza intelligente. Sarebbe riuscita di certo a trovare un modo per sopravvivere.
Non voleva diventare una prostituta, ma era sicura che fosse quello il lavoro che le avrebbe offerto la misteriosa signora Withersedge. Una donna non aveva molte occupazioni tra cui scegliere a Londra, e la moneta d'oro dell'oste non sarebbe durata in eterno. Era la punizione che si meritava e avrebbe dovuto scontarla fino alla fine. Dopotutto aveva ucciso un uomo. Se le avessero offerto una pena adatta, l'avrebbe accettata.
Meglio che vivere per strada...
Così, due giorni dopo, andò a Mount Street, pronta per cominciare la sua vita come prostituta d'alto bordo.
Non sapeva cosa comportasse fare la prostituta. Le sue informazioni riguardo a un'attività che i gentiluomini reputavano così importante erano limitate, ma era sicura di riuscire a mentire a letto, al buio, lasciando che l'amante armeggiasse sotto la sua camicia da notte e si prendesse tutte le libertà che voleva. Dopotutto si sarebbe comportata nello stesso modo, se mai si fosse sposata. La prima notte era un dovere della moglie verso il marito, una maledizione, e lei avrebbe anche potuto essere pagata per quello.
La casa di Mount Street non aveva l'aria del bordello, anche; se, a essere sincera, Emma non ne aveva mai visto uno in. vita sua. Il portiere che la fece entrare non aveva niente di vizioso e non c'erano donne dissolute in giro.
Si fermò in mezzo alla stanza, non essendo stata invitata ad accomodarsi, quando la padrona di casa entrò.
La signora Withersedge fu una vera sorpresa: la sua semplice parrucca grigia era più adatta a una vedova che a una ruffiana e il suo abito a righe era accollato, le spalle coperte da uno scialle bianco. Era truccata in modo piuttosto semplice, con uno spesso strato di cipria bianca a illuminarle il viso e un piccolo neo accanto al naso aquilino.
Emma si era fatta un bagno, si era sistemata il groviglio di capelli rossi come meglio poteva e aveva indossato il vestito più audace che aveva trovato nel suo modesto guardaroba. Miriam si era sempre assicurata che i suoi abiti fossero tetri, smorti e discreti, più adatti a un'orfana di campagna che a, un'ereditiera, e i pochi capi che aveva messo in valigia, malgrado fossero colorati,, non erano certo da sgualdrina.
La signora Withersedge non proferì parola, limitandosi a girarle attorno, a scrutare il suo corpo alto e formoso e a strizzare gli occhi. «Avete ottime possibilità» commentò all'improvviso, la voce sonora ed energica, la pronuncia raffinata a nascondere l'educazione borghesi. «Cosa avete in mente, figliola?»
Emma esitò. «Non lo so molto bene.»
La donna si allontanò e si sedette dietro un'elegante e ordinatissima scrivania. «Sono molto esigente con chi lavora per me, ragazza mia. Non assumo chiunque. Ho bisogno di referenze.»
«Referenze?» ripeté Emma sottovoce. Per fare la prostituta? Era meravigliata. «Temo di non averne nessuna.»
La signora Withersedge tamburellò con un dito sul piano di mogano. «Non avete mai lavorato, vero? Siete più bella delle giovani donne con cui lavoro di solito, ma vi prenderò comunque in considerazione. Quali sono i vostri requisiti?»
Emma avvampò, Non aveva la benché minima idea di quali fossero i requisiti richiesti a una prostituta, a parte un bel corpo, ma immaginava che la maggior parte delle ragazze che chiedevano di lavorare lì avessero una preparazione di base. «Sono vergine» confessò tutto d'un fiato.
L'altra la guardò per un istante, quindi scoppiò a ridere fragorosamente. Una profonda, sonora risata di pancia. «Buon per voi, figliola» mormorò, asciugandosi le lacrime. «E’ una cosa rara, oggigiorno, ma dubito che questo abbia qualche importanza per la posizione che vorrei ricopriste per me. Sedetevi, figliola, siete troppo alta così in piedi e mi viene male al collo a guardarvi.»
Emma si accomodò. «Posizione?» si informò in modo un po' troppo brusco, temendo di sembrare stupida.
«Non è per questo che siete venuta qui?»
«Ehm... certo.» Una posizione, rifletté velocemente. Gertie, la cameriera della cugina, aveva accennato a diverse posizioni... con l'uomo dietro, no, forse con la donna sotto... ma non aveva prestato molta attenzione.
«Che requisiti avete, ai di là della vostra verginità? Sapete leggere e scrivere? Sapete ricamare? Dipingete con gli acquarelli?»
«Certo» rispose sorpresa. Faceva parte della sua educazione, anche se dipingeva solo soggetti religiosi, e i libri che leggeva erano per la maggior parte trattati che sfioravano il fanatismo.
«Certo» sussurrò la signora Withersedge. «E sapete fare tutte queste cose?»
«Sono così richieste?»
«Per fare l'istitutrice, sì.»
«L'istitutrice?»
«Avete problemi d'udito, figliola?» La donna stava perdendo la pazienza. «Gestisco un'agenzia di lavoro e sono specializzata nel trovare personale qualificato per famiglie d'alto rango. Non è per questo che siete qui? Non volete un lavoro?»
«Certo» ripeté Emma, rilassando leggermente le spalle irrigidite. «Mi piacerebbe molto fare l'istitutrice.»
«A quanto pare non avete mai messo piede in un'agenzia di lavoro. So chi vi manda. Non può che essere stato Killoran a farvi il mio nome.»
«Killoran?»
«Il conte Killoran. E' difficile dimenticarselo, una volta incontrato. Un gentiluomo dall'aria tranquilla, vestito di bianco e nero con ricami d'argento. Non ha né cuore né anima, ma ha una prontezza di spirito e il più malizioso...»
«E' stato lui» la interruppe Emma irritata, ricordando quegli occhi verdi privi di vita e sentimento.
«E cosa pensavate fosse questo posto, esattamente?»
Lei non era mai stata capace di mentire. «Un bordello.»
La signora Withersedge scosse la testa per uri momento. «Probabilmente non sareste stata nemmeno pagata e avreste faticato il doppio. Ma, se desiderate diventare una prostituta,. potrei provare ad aiutarvi...»
«No, grazie. Penso che sarei un'ottima istitutrice. Mi piacciono molto i bambini.»
L'anziana donna la studiò con espressione dubbiosa. «Amare i bambini e dipingere bene non vi porterà da nessuna parte in questa vita, ragazza mia. Come vi chiamate?»
«Emma» rispose lei senza pensarci. «Emma... Brown» aggiunse dopo qualche istante, celando la sua vera identità.
«Brown? Il nome più comune in Inghilterra... Non ho molti lavori da offrirvi attualmente, signorina Brown. In genere cerco di evitare di mandare una donna attraente come voi in case dove ci sono dei giovani un po' troppo... emotivi, ma temo di non avere scelta. La signora Varienne non è la più signorile dei datori di lavoro, e ha ben due figli dell'età giusta per inguaiarsi con una delle domestiche che abitano sotto il loro stesso tetto. E meglio che stiate attenta a quei due, se deciderà di assumervi.»
Emma fu travolta da un'ondata di improvvisa speranza che le fece brillare gli occhi. «Mi impegnerò al massimo nel mio lavoro, ve lo garantisco. D'altra parte, non credo di essere il genere di donna che ispira i bassi istinti degli uomini.»
La signora Withersedge la squadrò dall'alto in basso, quindi sbuffò. «Pensavo che voi e Killoran vi conosceste meglio» mormorò senza dare altre spiegazioni.
La casa era fredda, buia, avvolta nell'ombra. Le tende erano tirate. Dall'immacolata cucina proveniva un persistente odore di cavolo. Nel salotto riecheggiava il suono di passi regolari.
Miriam DeWinter camminava lentamente e nervosamente per la stanza, avanti e indietro. Il lutto non aveva modificato il suo abbigliamento, era sempre vestita di nero. Aveva rinunciato agli abiti colorati quando era giovane, esile e insignificante. A ventiquattro anni, alla fine del periodo di lutto per la morte della madre, aveva deciso che il nero le si addiceva. Le dava un'aria matura, un senso di potere che bramava e, raggiunti i trent'anni, aveva preso in mano le redini della famiglia e della casa.
Non aveva mai voluto ospitare quella marmocchia, l'aveva fatto solo per carità cristiana. D'altra parte, lo zio Roderick aveva trasformato la sua piccola fonderia in un affare straordinariamente redditizio e lei era un'appassionata devota del denaro quasi quanto del Dio possessivo e vendicativo che adorava. Finché Emma fosse vissuta lì, non ci sarebbero state distrazioni o tentazioni e nessun gentiluomo l'avrebbe chiesta in moglie, rubandole la sua enorme fortuna. Aveva insegnato alla cugina tutto quello che sapeva: ad amare e temere Dio, a vivere in modo casto e umile e, soprattutto, a lasciare a lei la gestione del suo patrimonio.
Se solo il padre avesse tenuto a bada la sua irrefrenabile lussuria! Se solo Emma non avesse avuto l'aspetto di una sgualdrina, con quel suo corpo disgustosamente formoso e femminile e quei suoi capelli rossi che gridavano al peccato. Miriam aveva pregato, ma Dio, a quanto pareva, non l'aveva ascoltata. E ora era costretta ad affrontare le conseguenze.
Horace avrebbe dovuto uccidere Emma. Il piano era semplice, ma il suo adorato padre non ascoltava mai i consigli. La sua sfrenata libidine e l'alcol gli avevano annebbiato la mente. Quelli e la presenza della cugina nella loro casa.
Emma doveva morire, il padre non aveva avuto dubbi in proposito. Dovevano ucciderla il più presto possibile. Presto o tardi la cugina se ne sarebbe andata oppure qualche giovane se la sarebbe portata via, e loro avrebbero dovuto dire addio a tutto il suo patrimonio. Il piano era semplice: sarebbe bastato spingerla giù dalla scalinata di marmo perfettamente tirato a lucidò dell'ingresso o buttarla fuori da una carrozza in corsa e nessuno avrebbe mai scoperto il colpevole dello sfortunato incidente.
Avrebbero trovato una persona disposta a sporcarsi le mani e il gioco era fatto. Horace, però, non l'aveva ascoltata. Non voleva coinvolgere né pagare nessuno, le aveva detto, temendo che potessero chiedere altro denaro o, peggio, ricattarli a vita.
Lui era un uomo, poteva benissimo uccidere Emma da solo, le aveva assicurato.
Miriam, però, non era una stupida. Aveva colto il bagliore di desiderio negli occhi del padre, ma non c'era stato niente che potesse dire per convincerlo a cambiare idea. Era la figlia buona e obbediente, così non aveva aperto bocca quando Horace aveva portato via Emma, sapendo che non l'avrebbe mai più rivista. Non erano fatti suoi cosa le avrebbe fatto il padre prima di tagliarle la gola.
Peccato che fosse stato lui a morire. Ucciso dal suo stesso spadino, per mano di un lord irlandese. Ed Emma era scomparsa, facendo perdere ogni traccia di sé.
Miriam si disse che prima o poi l'avrebbe trovata e che gliel'avrebbe fatta pagare per i suoi peccati, convinta che fosse la cugina la vera responsabile del vergognoso assassinio di Horace. Probabilmente era stata lei a incoraggiare quell'irlandese ad ammazzarlo, dopodiché era scappata.
Quando le avevano portato il corpo del padre, l'aveva pianto a lungo. Ora, però, si era ripresa dal dolore ed era assetata di vendetta, che avrebbe perseguito con la stessa devozione con cui pregava.
Emma avrebbe avuto la punizione che meritava. E nessuno avrebbe ereditato la sua sostanziosa fortuna.
Eccetto la sua cara e devota cugina Miriam.
Prima, però, doveva trovarla.
«Ho una storia divertente da raccontarvi, Killoran.»
Il conte sollevò gli occhi dal libro che stava leggendo. Non lo interessava particolarmente, era un trattato di agricoltura che aveva comprato una decina di anni prima, quando pensava ancora di tornare in Irlanda. In realtà lo stava sfogliando per innervosire la sua ospite e, a quanto pareva, stava funzionando.
«Ah, sì?» rispose pigramente.
Barbara corrugò le labbra per un istante, poi sorrise. Per fortuna Nathaniel non era presente. Era già abbastanza cotto di quella donna senza ammirare il suo sorriso. Era davvero affascinante. Se uno voleva restarne affascinato.
«Ricordate i miei vicini, i Varienne? Quella famiglia spaventosamente priva di stile?»
«Non mi pare.» Posò il libro e la squadrò con un'espressione annoiata.
In realtà Barbara non lo annoiava. La sua insistenza nel volerlo sedurre a ogni costo, unita a una totale mancanza di vero interesse verso le sue innumerevoli attrattive, lo divertiva quasi quanto la devozione immediata e appassionata di Nathaniel nei confronti di lei. Lo strano rapporto che si era creato tra loro tre continuava a ravvivare le sue giornate.
Presentandosi a casa sua a colazione, pranzo e cena con la solita e assoluta mancanza di decoro, Barbara stava erroneamente convincendo tutto il mondo che lei era la sua nuova amante. Killoran aveva fatto di tutto per scoraggiarla, ma questo sembrava solo accrescere la sua determinazione a conquistarlo, e non avrebbe smesso di provarci finché non fosse riuscita a portarselo a letto.
Lui non capiva il perché. Conosceva molto bene le donne e lo sguardo di Barbara, per quanto provocante, mancava di vera sensualità. Non c'era reale desiderio nelle sue labbra piene. I piaceri della carne sembravano esserle indifferenti quanto a lui i tomi di agricoltura che usava per ignorarla. Era quasi tentato di cederle per scoprire cosa nascondeva... Era andata a letto con moltissimi uomini, inclusi alcuni suoi conoscenti che erano abbastanza sciocchi da considerarsi suoi amici. Nessuno sembrava aver notato che per lei quello era solo un gioco. Un gioco a cui lui non aveva alcuna voglia di partecipare.
Nathaniel, però, rendeva la situazione molto più intrigante. Quando la guardava con quel suo sguardo colmo di passione, sentimento che Killoran dubitava avesse mai provato in tutta la sua tranquilla vita in campagna, il cugino riusciva a metterla in difficoltà, nonostante fosse una seduttrice esperta. Il comportamento rispettoso e la perfetta condotta di Nathaniel innervosivano Barbara, cosi lei provava in ogni modo a sfuggirgli.
Vedere i suoi due ospiti all'opera lo divertiva enormemente e questo gli bastava per tollerare la loro presenza.
«Sono una famiglia di arricchiti» continuò lei, alzandosi dalla poltrona per puntare nella sua direzione. Erano le quattro e mezza di venerdì pomeriggio, era arrivata per pranzo e, nonostante i tentativi di Killoran di cacciarla fuori di casa, si era rifiutata di andarsene. «Uno dei loro foruncolosi figli continua a mandarmi fiori.» Rabbrividì in modo esagerato.
«Non che non meritiate tutti quegli omaggi floreali» ribatté svogliatamente lui. «Ma perché ve li manda?»
«Voi non mi avete mai mandato dei fiori» notò lei, addolcendo il tono.
«Voi non volete i miei fiori, tesoro...»
Barbara sorrise allegra e sfacciata, ma i suoi occhi blu non si illuminarono. «Vero. Quel giovane sa apprezzare il mio fascino... più di voi. Mi spia sempre dalla finestra della sua stanza da letto, che dà direttamente sulla mia.»
«Affascinante. E cosa avete fatto per meritare la sua adorazione?»
«Quel povero ragazzo pensava che non me ne fossi accorta. Spegneva sempre la lampada e si nascondeva dietro quelle orribili tende di pizzo che sua madre ha fatto mettere a tutte le finestre della casa, ma io lo vedevo comunque. Notte dopo notte mi spiava, sperando di vedere qualcosa. Pensavo che tale devozione meritasse una ricompensa.»
«Non ne dubito.»
«Credo di aver combinato un bel pasticcio.»
«Spero che arriviate subito alla conclusione di questa complicata storia e che sia divertente. Altrimenti dovrò tornare a dedicarmi al mio libro di agricoltura.» Barbara attraversò la stanza e gli si inginocchiò accanto. Il vestito che indossava era troppo scollato per essere indossato di giorno, e sottolineava i suoi seni piccoli e ben fatti, che emanavano un piacevole profumo di violetta. «Mi sono spogliata davanti alla finestra per una settimana. Ho lasciato sempre tutte le candele accese e mi sono assicurata che Clothilde, la mia cameriera, stesse dietro di me, in modo da non coprire la vista a quel povero ragazzo.» Sospirò. «Malvagio da parte mia, non credete?»
«Molto malvagio, anche se prevedibile.»
«La malvagità non è mai prevedibile, Killoran. È per questo che vi trovo così interessante. Ho continuato a spogliarmi alla finestra per una settimana, poi ho smesso all'improvviso. Quel povero ragazzo non è più uscito dalla stanza. E andato fuori di testa, in attesa di potermi vedere di nuovo. Ho davvero un bel corpo... lo sapete, Killoran. Sono stati in molti a dirmelo.»
«L'ho visto» ribatté lui distratto.
«Ma non mi desiderate.»
Lui sorrise. «Finite di raccontare la vostra storia.»
«Mi sono messa a spiarlo io, dopotutto sono molto più.furba di lui. Quel ragazzo non immaginava certo che sarei rientrata nella mia stanza da letto al buio e mi sarei appostata dietro le tende. Ha un corpo molto muscoloso. E ha i brufoli, anche se non si vedono molto da quella distanza.»
«Siete una sgualdrina libidinosa» commentò Killoran secco, sapendo che non era vero. «Sono certo che vi siete divertita.»
Lei sorrise, passandosi la lingua sulle labbra piene in un gesto così abitudinario da essere ormai privo di significato. «Stamattina, però, ho visto qualcosa di più interessante del suo corpo nudo.»
«Vi prego, non ditemi che l'avete visto portarsi a letto una delle sue domestiche. Pensavo che una donna esperta come voi si fosse ormai stancata del voyeurismo. Dopotutto c'è un numero limitato di posizioni e immagino che le abbiate provate quasi tutte. Di sicuro ne sapete di più di un adolescente foruncoloso.»
«Oh, quello che ho visto è molto più interessante di due persone che scopano» spiegò lei, usando deliberatamente quel termine, quasi per provare che riusciva a pronunciarlo senza battere ciglio. Suonava triste e assurdo sulle sue giovani labbra. «Ho assistito a un omicidio.»
Killoran chiuse il libro. «Davvero? E chi è stato ucciso? Il giovane e foruncoloso voyeur?»
«Presumo di sì. L'ho vista colpirlo alla testa con un attizzatoio e, anche se ero lontana, ho notato gli schizzi di sangue.»
«L'avete vista? Chi? La domestica, presumo... Questo rende tutto meno interessante. E troppo prevedibile, tesoro.»
«Pensavo che fosse la sorella, però, da quanto ho capito, la piccola viene tenuta sotto stretta sorveglianza. Credo che si tratti della nuova istitutrice, ma non l'ho ancora appurato.»
«E perché l'istitutrice avrebbe dovuto ucciderlo?»
«Lui ha tentato di violentarla. Le ha strappato i vestiti e l'ha strattonata. Temo che sia colpa mia. Devo averlo reso un po'... smanioso.»
Il conte sbuffò leggermente. «Ne sarete lusingata, mia adorata» scherzò. «E poi? Cos'è successo?»
«Lei l'ha colpito con un attizzatoio e lui è caduto a terra in una pozza di sangue. Lei è rimasta lì a guardarlo, immobile, per un bel po'. Mi aspettavo che entrasse qualcuno nella stanza, ma non è successo niente. Alla fine ha gettato l'attizzatoio a terrà e si è data una sistemata. Si vedeva chiaramente che le tremavano le mani.»
«Non tutti hanno il vostro sangue freddo mia cara.»
«Poi si è abbassata ed è scomparsa alla vista. Non so se lo stava finendo o stava provando ad aiutarlo. Dopo un po' si è rialzata, si è raccolta i capelli ed è uscita dalla stanza.»
«E poi?»
«Ho atteso un'ora, aspettandomi di sentire delle grida, ma nessuno ha capito cos'è successo. Nella stanza non è entrato nessuno e presumo che il corpo non sia ancora stato scoperto. Poi sono venuta qui per pranzo. Non vi dispiace, vero? Dopo tutta quell'eccitazione, avevo bisogno di compagnia.»
«Mi sa che vi siete persa tutto il divertimento, visto che nel frattempo, probabilmente, la vostra istitutrice assassina sarà già stata condotta in prigione, il cadavere del ragazzo sarà stato rimosso e gli scuri della sua stanza saranno stati chiusi. Lo spettacolo sarà quasi alla fine. Se fossi in voi, tornerei di corsa a casa, nel caso ci fosse ancora qualcosa da vedere.»
«State provando a liberarvi di me, Killoran?»
«Sì.»
«Preferite un trattato sulla coltivazione dei cereali ai piaceri che potrei offrirvi io?» gli domandò con voce roca, posandogli una mano sulla coscia muscolosa.
«I piaceri che siete così ansiosa di offrirmi non sono niente di cui non abbia già goduto in abbondanza. Dubito che possiate farmi provare qualcosa di diverso.»
«Perché siete così crudele con me? Non mi volete? Ve lo assicuro, mi dedicherei completamente a voi. Sono molto... creativa.»
«Ne sono certo, Babs. Resta il fatto che la vostra creatività è solo apparenza. Non desiderate davvero gli uomini che vi portate a letto, come non desiderate me. Pertanto non intendo fare l'amore con una frigida, bugiarda e aristocratica puttanella che mi annoierebbe e basta. Se volete diventare una vera sgualdrina, Babs, dovreste sforzarvi di essere più convincente.»
Lei ritrasse la mano. «Siete un bastardo insensibile!» esclamò amareggiata. «Se fossi come quella istitutrice dai capelli rossi, alta ed energica come lei, sarei quasi tentata di ammazzarvi.»
Il contentava per andarsene, ma si fermò. «Un'istitutrice dai capelli rossi, alta ed energica?» si informò. «Ecco, questo mi interessa molto di più di un ragazzino pieno di foruncoli. Avete dimenticato di raccontarmi questa parte.»
«Allora anche voi siete un voyeur, Killoran. Il giovane Varienne non è riuscito a strapparle tutti i vestiti di dosso proprio perché quella ragazza era più alta e più robusta di lui. E davvero un bel bocconcino, non mi sorprende che le volesse saltare addosso. E riuscito a strapparle solo la parte davanti dell'abito e a scioglierle i capelli. Erano di un bel rosso acceso, fiero e molto irlandese. Probabilmente è per questo che lei lo ha ucciso. Dicono che quel colore dia alla testa e renda le persone pazze.»
«E’ da tanto che lavorava in quella casa?»
«Come faccio a saperlo?» rispose lady Barbara infastidita.
«I domestici di una famiglia di cafoni come i Varienne non mi interessano!»
«Vi interessa solo la loro vita sessuale...»
«In effetti» proseguì la giovane, scoccandogli un'occhiataccia «credo che non lavorasse lì da molto tempo. Da quindici giorni al massimo... Tendono a cambiare il personale di servizio con una certa frequenza. I giovani Varienne sono lascivi e la loro madre è una vera tiranna.»
«Quindici giorni...» ripetè lui pigramente.
«Più o meno da quando è arrivato vostro cugino. Per quanto si tratterrà ancora, Killoran?»
«Non vi piace Nathaniel, mia cara? E un vostro devoto ammiratore.»
«Non mi piacciono gli ammiratori devoti.»
«L'ho notato.» Killoran si alzò di scatto, allontanandosi da quella giovane appiccicosa e profumata. «Vi accompagno a casa, Babs.»
Era riuscito a sorprenderla. «Mi accompagnate a casa?» domandò lei con diffidenza, lo sguardo trionfante ma privo di entusiasmo sincero. «Sì.»
«Avete rifiutato tutti i miei inviti, perché all'improvviso avete cambiato idea?»
Lui le tese la mano e Barbara la afferrò. «Ho un debole pelle assassine dai capelli rossi.»
Emma si sedette ad aspettare nella sua stanza in soffitta. La camera era silenziosa e fredda. Erano due settimane che lavorava per i Varienne e non si era ancora abituata né alla bassa temperatura della nuova casa né ai capricci del signorino Frederick.
L'occhio vigile della sua nuova datrice di lavoro e la sua terribile spilorceria non l'avevano spaventata. In confronto alla cugina Miriam quella donna era quasi il ritratto della gentilezza. E, davvero, il signorino Frederick le era sembrato solo un piccolo fastidio, una pulce vagante da scacciare con una cortese risata. Bastava stare attenta e girargli al largo.
Ora, però, lui giaceva morto in una pozza di sangue sul pavimento della sua camera da letto. E, disgraziatamente, era stata lei ad ammazzarlo. Era la seconda volta che le capitava. La prima aveva agito d'impulso: o ammazzava lo zio oppure lui l'avrebbe uccisa, così era stata costretta a difendersi. Assassinare due uomini in meno di un mese, però, era davvero inaccettabile. Si sentiva un mostro e meritava di essere duramente condannata per questo.
Così restò seduta nella sua stanza e aspettò.
Stava scendendo il sole e l'aria fresca della sera le diede i brividi. La signora Varienne teneva i camini del piano della servitù spenti ed Emma sperava sempre che la chiamassero per cenare insieme a loro in modo da scaldarsi un po'. Il più delle volte i padroni richiedevano la sua presenza quando ricevevano ospiti. Non aveva impiegato molto per capire il vero motivo di quella gentilezza.
I Varienne erano sì ricchi, ma talmente volgari da far sembrare suo zio Horace un vero signore. Ogni volta che qualcuno veniva a trovarli, lei era costretta a scendere e sorbirsi l'imbarazzante adulazione dei presenti. Emma si era accorta così di somigliare alla sua aristocratica madre più di quanto sospettasse. Non poteva esserci nessun'altra ragione dietro al desiderio dei suoi nuovi datori di lavoro di mostrarla a tutti i loro conoscenti.
Ma c'era un prezzo da pagare per quelle lunghe riunioni conviviali. Dopo ogni serata di moine e lusinghe, la padrona di casa la trattava con crescente ostilità.
Poi c'era Frederick.
La signora Withersedge l'aveva avvisata di stare attenta ai giovani Varienne. In realtà Theodore, il secondogenito, era stato troppo occupato a portarsi a letto la sguattera per notare la sua presenza in quella casa, ma Frederick, che trascorreva troppo tempo chiuso nella sua stanza, le aveva messo gli occhi addosso fin da subito e aveva cominciato a perseguitarla, con grande dispiacere di sua madre.
Era quasi riuscito a darle un bacio, una volta; un bagnato, soffocante e bavoso tentativo che l'aveva convinta di non essere tagliata per diventare né una moglie né una sgualdrina. Era successo una sera, quando sapeva che Emma non avrebbe osato gridare. Le aveva pizzicato il sedere e palpeggiatoli seno. Da allora lei aveva fatto del suo meglio per stargli alla larga, chiudendosi nella stanza dei bambini con la piccola Amalia e il giovane signorino Edward, un malizioso undicenne che nel giro di qualche anno avrebbe sicuramente battuto i fratelli maggiori in quanto a lussuria.
Quella mattina, però, la signora Varienne l'aveva chiamata nella sua stanza per assegnarle i vari compiti della giornata e, mentre lei passava in corridoio, Frederick aveva spalancato la porta della sua camera da letto e l'aveva tirata dentro, tappandole la bocca con quella sua mano crudele prima che potesse urlare.
Quel giovane si era dimostrato più forte di quanto Emma pensasse, più forte persino di suo zio Horace. Lei aveva lottato con tenacia, in silenzio, sperando solo di riuscire a fuggire. Poi aveva afferrato la prima cosa che le era capitata in mano e, solo dopo aver sentito un orribile colpo sordo e aver visto Frederick cadere a terra, si era accorta di ciò che aveva combinato. Di nuovo.
Il ragazzo si era accasciato sul tappeto, immobile, gli occhi chiusi. La ferita sulla sua fronte foruncolosa aveva perso cosi tanto sangue...
Era rimasta lì a guardarlo terrorizzata, sentendo ancora quelle mani sul corpo livido e straziato.
Aveva agito d'istinto: aveva afferrato il corpo privo di vita per le mani e l'aveva spostato, nascondendolo dietro il letto, poi aveva fatto le scale di corsa e si era rifugiata nella sua piccola, angusta stanza al terzo piano, chiudendo la porta a chiave e aspettando.
Ma nessuno era venuto a cercarla. I bambini erano partiti per andare a trovare la nonna in campagna e quello avrebbe dovuto essere il suo giorno di riposo. Se avesse avuto un briciolo di cervello, sarebbe fuggita.
Due uomini morti in meno di un mese, però, erano troppi. Sarebbe rimasta seduta ad attendere la punizione che meritava. L'elegante e decadente conte Killoran non sarebbe venuto in suo aiuto, questa volta. Questa volta sarebbe stata condannata a morte. La cugina probabilmente avrebbe assistito all'esecuzione, avrebbe ringraziato Dio per aver appagato il suo desiderio di vendetta e infine avrebbe ballato sulla sua tomba.
E Miriam non ballava mai.
Sentì un rumore provenire dai piani inferiori, I Varienne non avevano in programma nessuna festa per quella sera, quindi la ragione dell'arrivo di tutta quella gente era un'altra. Erano venuti ad arrestarla. Avevano trovato li cadavere di Frederick, Ora era solo questione di tempo.
Emma si alzò, raddrizzando la schiena con aria di sfida. Si era stufata di stare seduta lì, ad aspettare vigliaccamente che venissero a prenderla e la trascinassero in prigione urlante e in lacrime.
Il corridoio era buio e caldo, il calore che saliva dai piani inferiori si concentrava tutto lì. Scese lentamente le scale, la mente annebbiata, le mani strette una all'altra, nascoste sotto il grembiule di pesante mezzalana che la signora Varienne insisteva a farle indossare quando non c'erano ospiti da impressionare.
Le parve di udire una risata femminile, al piano di sotto. Era leggera, vivace e squillante, non l'aveva mai sentita prima. Si chiese di chi fosse ma non trovò risposte. Era completamente intontita.
Scese al piano terra e, senza riflettere, si diresse verso il salone principale. La voce profonda della signora Varienne rimbombò dall'interno della stanza, il tono malizioso e colmo di civetteria. Qualcuno le rispose, ma parlava troppo piano perché Emma riuscisse a capire quello che stava dicendo. Quell'ultima voce, però, aveva un suono stranamente familiare. Aveva una pronuncia strascicata, mascolina, con una lieve cadenza. L'aveva sentita anche nei suoi sogni. E nei suoi incubi.
Aprì la porta senza bussare. La padrona di casa, seduta sul divano di broccato come un grosso ragno nero, sollevò gli occhi su di lei e la guardò. Al suo fianco, la più bella donna che Emma avesse mai visto: sembrava la creatura di una fiaba e indossava un elegante vestito di pizzo leggero e trasparente.
Emma si voltò e, con orrore, scorse il viso di Frederick, per niente morto. Aveva l'aria sofferente e un lato della testa avvolto da una spessa benda bianca che lo faceva somigliare a un pirata e gli celava i brufoli.
Vedere il giovane che pensava di aver ucciso avrebbe dovuto turbarla, ma fu una bazzecola in confronto a quello che provò notando l'oscura figura che uscì dall'ombra e si materializzò alla luce delle candele.
Davanti a lei, vestito con i suoi soliti abiti bianchi e neri ricamati d'argento, c'era il suo salvatore del Pear and Partridge. Le labbra sottili curvate in un sorriso, gli occhi verdi che scintillavano divertiti, l'uomo guardò prima lei poi la fasciatura sulla fronte di Frederick con l'aria di chi la sapeva lunga.
Emma aprì la bocca per dire qualcosa, qualsiasi cosa. Possedeva l'intelligenza. L’autocontrollo e la determinazione necessari per fingere indifferenza, si disse per farsi forza. Poteva benissimo gestire quell'impossibile situazione. Poteva parlare con modi distanti e cortesi, dopodiché scusarsi e andarsene. Poteva resistere in quella stanza come se niente fosse successo, come se non avesse appena tentato di ammazzare il primogenito dei suoi datori di lavoro, come se non fosse stata sorpresa con le mani sporche di sangue dall'uomo malizioso che era improvvisamente rientrato nella sua vita.
Poteva farcela senza alcun problema, tentò di convincersi emettendo un gemito soffocato. Dopodiché cadde svenuta a terra.