17
«Non sono sicura che sia una buona idea.»
Nathaniel smise di camminare lungo il sentiero coperto di erbacce e si voltò a guardare Barbara. «Non mi pare di avervi chiesto di accompagnarmi» le rispose un po' meno rispettoso del solito.
«Voglio venire anch'io» continuò lei. «Voi siete preoccupato per Emma e io sono preoccupata per Killoran.»
«Sì, certo...» commentò il giovane sottovoce.
«Non capisco perché pensate che Emma non sia in grado di affrontare Killoran da sola. Dopotutto l'ha sempre tenuto a freno finora, no? E il conte non mi è sembrato particolarmente interessato a lei.» Lanciò un'occhiata poco convinta in direzione del casino. «Se la voleva, avrebbe potuto farsela benissimo a casa sua, non in questo posto squallido. L'enorme letto della sua stanza è comodissimo.»
L'aveva detto di proposito, voleva vedere la reazione di Nathaniel. La sua espressione, infatti, si incupì per un momento, pur ignorando la provocazione.
«Penso che sia dovere di ogni gentiluomo proteggere le vergini innocenti.»
«Allora questo esclude me. Non sono mai stata una vergine innocente. Neppure quando ero in fasce.»
Lo disse in tono leggero, ma aveva sottovalutato il suo interlocutore. Nathaniel, infatti, si fermò sulla porta e la osservò.
Dio, era un vero peccato che quell'uomo fosse così affascinante e così dannatamente nobile. Non ci sarebbero stati problemi, se si fosse rivelato un farabutto come la maggior parte degli uomini. Invece gli bastava guardarla con quegli occhi azzurri preoccupati e lei cominciava a sognare una vita che non avrebbe mai potuto permettersi. Perché non era brutto o meschino? O tutti e due?
«Barbara...»
Lei gli diede uno spintone per passare. «Lady Barbara» lo corresse con voce gelida. «Non credo che Killoran sarà molto felice di vederci arrivare, è mattina presto. Non c'era bisogno di partire nel cuore della notte per precipitarsi qui.»
«Potevate restare a casa.»
«Devo proteggere i miei interessi. Non voglio che quella verginella dai capelli rossi prenda il mio posto nel cuore di Killoran.»
«Non occupate alcun posto nel cuore di Killoran. Onestamente non credo che nel suo cuore ci sia posto per qualcuno.»
«Vero, ma non è gentile da parte vostra sottolinearlo. Be', allora diciamo che non voglio che quella donna prenda il mio posto nel letto di Killoran.» Era un'osservazione volutamente sarcastica, ma questa volta si era spinta troppo oltre.
«Se andate a letto con qualcuno, non è certo con Killoran» replicò lui in tono piatto. «Sono ospite a casa sua da più di un mese e non l'ho mai visto portarsi una donna a casa.»
«Fatta eccezione per quella santarellina di Emma» notò acida. «E Killoran sa essere molto discreto, quando vuole.»
«Non credo che si prenderebbe il disturbo di essere discreto.» La guardò. «Cos'avete contro Emma?»
Barbara rivolse al suo giovane eroe il sorriso più disinvolto che le riuscì. «Sono gelosa. Killoran ne è affascinato e voi siete pronto ad affrontare un drago per lei.»
«Affronterei un drago e anche prove peggiori per voi.»
«Troppo tardi, mio caro! E ora vediamo se riusciamo a coglierli sui fatto!»
«Mio cugino ha giurato che non l'avrebbe toccata e io gli credo.»
«Allora siete più sciocco di quanto pensavo.»
Lei aprì la porta e si fermò, imbarazzata per un attimo. Il conte era seduto da solo accanto al fuoco; indossava i pantaloni neri e la camicia, ma era senza giacca. Il suo volto totalmente privo di espressione non avrebbe dovuto spaventarla, eppure rabbrividì di inquietudine.
«Avete fatto un sacco di rumore là fuori» li redarguì Killoran. «Mi chiedevo se avreste continuato a discutere al gelo per il resto della giornata. A cosa devo il piacere di questa visita?»
Nathaniel spinse Barbara dentro casa, entrò e si chiuse la porta alle spalle. «Eravamo preoccupati.»
«Davvero? E per che cosa?»
Barbara cominciò a rilassarsi. «Non fingete di non capire, Killoran. Nathaniel era preoccupato per la sua piccola innocentina. Non che sia così piccola...» aggiunse stizzita. «Temeva che seduceste la sua verginella.»
La temperatura della stanza, già fredda, sembrò abbassarsi ulteriormente, mentre il conte rivolgeva lo sguardo indifferente sul cugino. «Non pensavo che foste innamorato di mia sorella.»
«Non è vostra sorella, dannazione!» esclamò il giovane con sicurezza. «E io non sono innamorato di lei. Mi preoccupo solo del suo benessere.»
«No» fu d'accordo il conte, rilassandosi un po'. «Non è mia sorella. E il suo benessere non vi riguarda.» «Dov'è?»
«E' ancora a letto.
«No, non sono più a letto.»
Tutti si voltarono in direzione di Emma, Killoran più lentamente degli altri. Lei era ferma sulla porta della stanza, i capelli raccolti in una treccia legata con un nastro, l'abito nero in ordine.
A Barbara bastò un'occhiata per capire cos'era successo. «Bastardo!» esclamò rivolta al conte.
«Non fate la noiosa. Da quando in qua siete diventata una devota sostenitrice del gentil sesso?» La voce del conte si inasprì. «Non fatelo!» ordinò a Nathaniel, che stava puntando su di lui con un'espressione furiosa in volto.
«Bastardo è una definizione troppo gentile per uno come voi... siete un figlio di puttana!» scattò il giovane.
«Non perdete tempo a insultare i miei genitori» gli fece notare Killoran gelido. «Però non insisterei troppo, se fossi in voi. Mi dispiacerebbe dovervi uccidere.»
«Pensate che abbia paura di affrontarvi?»
«Penso che siate così giovane e ingenuo da credere che vi salverete solo perché sostenete una giusta causa. Non sapete che solo i buoni muoiono giovani? Non avete alcuna possibilità di battermi;»
«Basta!» strillò Emma in collera, avanzando nella stanza. «Vi state comportando come due bambini. Cosa vi fa pensare di dover difendere il mio onore, Nathaniel?»
«Dio, è ancora vergine!» esclamò Barbara disgustata, lasciandosi cadere su una delle sedie traballanti. «Nell'animo, se non nel corpo. Fidatevi di me, mia cara. Basta guardarvi in faccia per sapere come avete, passato la notte. Per non parlare del morso che avete sul collo. Siete un vampiro, Killoran?»
In un'altra vita il rossore che imporporò le guance di Emma l'avrebbe divertita. In un'altra vita avrebbe assistito a quel piccolo melodramma con indifferenza, aspettando di vedere chi avrebbe battuto chi per difendere l'onore della damigella di turno. L'evidente indignazione di Nathaniel, però, e il pericolo che correva a sfidare un esperto di duelli come Killoran rendevano la situazione terribilmente seria.
Era gelosa, capì improvvisamente scossa. E non del succhiotto di Emma, né dello sguardo di risvegliata passione nei suoi occhi. Benché il conte fosse l'unico uomo ad aver resistito alle sue avance, non era lui a preoccuparla.
Era la cieca nobiltà di Nathaniel che le faceva male al cuore. Nessuno aveva mai preso le sue difese, nonostante ne avesse avuto così bisogno.
«Tutto questo è assurdo!» gridò. «State facendo tanto chiasso per niente! Emma non ha l'aria di chi è stata costretta a fare qualcosa che non voleva. Anzi, penso che dovremmo togliere il disturbo, caro Nathaniel. Non siamo i benvenuti qui...»
Qualcosa la zittì. Qualcosa nello sguardo di Killoran. Nessun altro nella stanza lo avrebbe riconosciuto, eccetto lei. Conosceva bene la disperazione e il vuoto che si celavano dietro un sorriso all'apparenza disinvolto, una fredda indifferenza, una raffinatezza ostentata.
«In realtà, se siete così preoccupato per Emma, sentitevi pure libero di salvarla dalle mie grinfie» disse lentamente il padrone di casa. «Riportatela subito a Londra con voi. Portatela dove volete!» Era brillo e si appoggiò allo schienale della poltrona, giocherellando con il bicchiere di vino che reggeva in mano. «Al suo posto potreste lasciarmi Barbara.»
Pur essendo un noto manipolatore, Killoran era riuscito a lasciarli senza fiato. Tutti e tre guardarono nella sua direzione, uno più sbalordito dell'altro.
Fu Emma a parlare per prima. Vulnerabile e sciocca, era evidentemente innamorata del conte. A molte donne capitava di innamorarsi del primo uomo che le portava a letto, rifletté cinicamente Barbara. E Killoran era molto esperto.
«Volete mandarmi via?»
Lui le scoccò un'occhiata pigra. «La novità mi ha stancato, mia cara. Una vergine infatuata di me può rompere la noia, di tanto di tanto, ma in generale preferisco le donne con maggiore esperienza. Stavo pensando di portare Barbara a Parigi. Se mi ci metto, potrei persino riuscire a risvegliare il suo appetito congelato.»
«State lontano da lei!» esclamò Nathaniel a denti stretti.
«Avete intenzione di proteggere tutte le donne che conosco dai miei appetiti rapaci, ragazzo mio? Vi stancherete presto, se non mi costringerete a uccidervi prima. Chiedete a Barbara se vuole venire con me a Parigi. In questi ultimi mesi non ha fatto altro che tentare di sedurmi con il suo meraviglioso corpo e penso sia giunto il momento di accontentarla. Se vi va, potete occuparvi dell'educazione sessuale di Emma. E un'allieva molto dotata e impara velocemente. Scommetto che in pochi mesi diventerà un'amante più esperta di quanto potrebbe mai essere Barbara.»
Il cugino si scagliò su di lui, il viso nero di furia omicida. Barbara gridò impaurita, certa che stessero per uccidersi. I due uomini caddero a terra con un tonfo. Nathaniel lottò con tutto il vigore della sua giovane età, ma Killoran lo superava per esperienza e sangue freddo. Pochi istanti dopo, infatti, Nathaniel giaceva immobile sul pavimento.
«L'avete ucciso!» gridò Barbara, precipitandosi al suo fianco.
«Improbabile.» Il conte si alzò e indietreggiò di alcuni passi. «Non ho mai ucciso nessuno per sbaglio.» Si guardò intorno appena un po' sorpreso. «Dov'è andata Emma?»
Nathaniel stava ancora respirando e Barbara appurò con sollievo che era solo svenuto. «Che vi importa? L'avete mandata via.»
«Infatti. Era ora che se ne andasse.»
«Dovevate proprio essere così crudele?»
«Dubito che se ne sarebbe andata, altrimenti. Emma è una donna molto decisa e ci vuole parecchio per scoraggiarla,» Attraversò la stanza e si avvicinò al tavolo. Il vino del bicchiere era finito sul pavimento, ma ce n'era ancora un po' nella bottiglia. Se la portò alla bocca e ne bevve un sorso. «Non pensate che sia tempo anche per voi di congedare Nathaniel?»
«Cosa volete dire?» Lei si sedette sui talloni e lo guardò.
«Imparate da me, mia cara. Le persone buone e pure non sono adatte a quelli come noi. Spezzerete solo il cuore di questo povero ragazzo. E anche il poco che è rimasto del vostro.» Killoran fracassò la bottiglia a terra. «Venite a Parigi con me. Vediamo se riesco a farvi apprezzare le gioie del sesso.»
«Perché? A voi non importa di me, come a me non importa di voi» gli rispose Barbara con voce bassa e calma. E si accorse di stare ancora stringendo forte la mano di Nathaniel.
Il conte sorrise tetro. «Proprio per questo.»
Emma si calò dalla finestra, non che pensasse che qualcuno l'avrebbe fermata. Killoran l'aveva mandata via, nel modo più crudele possibile, e lady Barbara poteva solo esserne felice. L'aiuto di Nathaniel, poi, avrebbe solo peggiorato le cose. Si era già sporcata le mani di sangue e non voleva rischiare di macchiarle anche con quello dell'amico.
No, si calò dalla finestra perché non sopportava l'idea di vedere di nuovo la faccia fredda, distante e dannatamente affascinante di Killoran. Era in dubbio se tentare di ucciderlo o scoppiare in lacrime. Nessuna delle due alternative avrebbe giovato e, visto che la sua dignità sembrava essere svanita insieme alla sua verginità, Tunica cosa che le restava da fare era fuggire.
Il primo pensiero fu di rubare uno dei cavalli della carrozza, sebbene fosse passato parecchio dall'ultima volta che aveva cavalcato. Non sapeva esattamente dove andare, ma sapeva che un cavallo l'avrebbe portata più velocemente via da lì. Be', poteva sempre rubare l'enorme castrato nero del padrone di casa ma, se non la sbalzava a terra è la uccideva, probabilmente ci avrebbe pensato Killoran.
Non dovette prendere nessuna decisione, comunque. Willie la stava aspettando.
«Siete qui, signorina» le disse il valletto avvicinandosi allo sportello della carrozza e aprendolo per lei.
Non avendo altra scelta, Emma lo raggiunse. «Dove siamo diretti?»
«Sua signoria ha detto di preparare la carrozza per voi. Potete tornare a Curzon Street, se volete, o andare da qualche altra parte. Sua signoria mi ha ordinato di portarvi sana e salva dovunque desideriate andare.»
«Preferirei bruciare all'inferno piuttosto che tornare a Curzon Street» replicò lei con voce falsamente calma. «Ma Londra andrà benissimo.»
«E Londra sia.»
Emma salì in carrozza con più velocità che grazia; Le faceva male dappertutto e conoscere la causa di quei dolori era come avere un coltello piantato nel cuore. Prese posto sul morbido sedile e, qualche istante dopo, il veicolo partì. Non guardò fuori dal finestrino né degnò di un'occhiata il piccolo casino di caccia. Tanto sapeva che nessuno era uscito per vederla partire.
Chiuse gli occhi e sospirò. Stava tremando. Sentiva ancora la bocca di Killoran sulla pelle, i cambiamenti che quell'uomo aveva provocato in lei. La novità l'aveva stancato, le aveva spiegato, ed Emma non poteva non credergli.
Perché aveva continuato a pensare che dietro il suo aspetto apparentemente disinvolto e i suoi modi da duro si celava un uomo ferito? Perché aveva creduto che Killoran fosse capace di amare, di provare affetto per qualcuno? La notte precedente l'aveva guardata con desiderio e disperazione, poi aveva provato a mandarla via. Lei, però, si era arresa come una sciocca, attirata dai suo fascino e dalla sua bellezza peccaminosa.
Che stupida! Come aveva potuto pensare di guarirlo?
Invece era stata lei a uscirne distrutta.
Si sarebbe ripresa, certo che si sarebbe ripresa. Aveva la pelle dura... Il padre discendeva da una rispettata famiglia di proprietari terrieri, era un gran lavoratore, come tutti gli inglesi, del resto. La madre era gentile e amorevole, leale e sincera. Quel lussurioso di Horace non aveva la loro forza d'animo ed era uno smidollato, diversamente da Miriam.
Avrebbe superato anche quello, si ripetè Emma. Era improbabile che una donna non più vergine facesse un buon matrimonio, ma la cosa non la preoccupava. Per il momento non voleva sposarsi, non ne aveva bisogno. L'unica cosa che le occorreva era il suo denaro.
Non tutto, certo. Le fonderie del padre avevano fruttato degli ottimi guadagni... il settore degli armamenti era florido e l'eredità di Emma era più di quanto potesse spendere in una vita intera. La cugina poteva anche tenersi il resto, a lei serviva solo il necessario per comprare una casa in campagna e condurre una vita decorosa. Al sicuro dagli uomini come Killoran e Darnley... e dal suo cuore vulnerabile.
Non sopportava l'idea di tornare nel mausoleo di Miriam a Crouch End e di chiederle del denaro. Il solo pensiero le faceva sudare il palmo delle mani, ma non aveva scelta. Non aveva nessuno da cui tornare, nessuno che potesse aiutarla. Nessuno eccetto Jasper Darnley, che avrebbe preteso da lei qualcosa di molto più pericoloso.
Si raggomitolò in un angolo della carrozza, stringendosi le braccia al petto. La coperta di ermellino era rimasta al casino. Per un attimo ripensò a se stessa stesa nuda sulla pelliccia con Killoran sdraiato sopra di lei che la guardava negli occhi come se gli importasse davvero. Le sue mani l'avevano accarezzata in un modo così sensuale... il solo pensiero le procurò un crampo di dolore e desiderio inappagato alla pancia. Lo odiava! Allora perché voleva sentire ancora le sue dita sulla pelle?
Cadde in un sonno discontinuo e, quando alla fine si svegliò, la carrozza era buia e fredda. Aveva le guance bagnate di lacrime, così si asciugò il viso e si affacciò dal finestrino.
Sapeva che erano arrivati in città: sotto le ruote la strada era meno impervia. Non riconobbe la zona che stavano attraversando, ma di una cosa era certa: non era né Curzon Street né Crouch End.
Batté contro il tettuccio, Willie però la ignorò. Pensò di aprire lo sportello e saltare giù sull'acciottolato, ma qualcosa la trattenne. C'erano posti peggiori in cui finire della casa della cugina, sebbene in quel momento non le venissero in mente. La sua esecuzione era stata solo rinviata, che le piacesse o no.
La carrozza si fermò. Emma aspettò, le mani chiuse a pugno in grembo, ascoltando il mormorio di voci all'esterno, cogliendo lo scintillio di una torcia che si avvicinava. Quando lo sportello si aprì, la luce era troppo forte perché riuscisse a vedere chi era. Sollevò una mano per schermarsi gli occhi, lanciando un'occhiata torva in direzione del valletto, che la guardò con espressione preoccupata.
«Dove siamo?» gli domandò. «Non siamo a Crouch End.»
«Sua signoria mi ha ordinato di non portarvi lì. Non siamo da lord Darnley, se è questo che vi preoccupa.»
«Pensavo che vi avesse ordinato di portarmi dove volevo. Perché dovrebbe importargli dove sono diretta?» chiese Emma con amarezza.
«Mi ha detto che, se non sapevate bene dove andare, dovevo portarvi qui.»
Non ebbe altra scelta che scendere. Fosse dipeso da lei, non sarebbe più salita su una carrozza in vita sua. Sollevò gli occhi su un palazzo abbondantemente illuminato e sulla figura stagliata sulla porta aperta.
«Dove siamo?» domandò, cominciando lentamente a salire la scala che conduceva all'ingresso. Un valletto provò ad aiutarla sorreggendola per un braccio, ma lei lo respinse. «In un bordello?»
«Accompagnatela dentro» ordinò una voce familiare in tono deciso. Emma era troppo miope per distinguere il volto della donna che aveva appena parlato, ma notò il suo corpo enorme e inciampò, improvvisamente commossa.
«Lady Seldane» la riconobbe, sollevata.
«Accompagnatela dentro» ripetè la padrona di casa. «Non vedete che questa povera ragazza è mezza morta per la fame e la stanchezza? Dannato Killoran! Perché deve sempre combinare guai? Venite dentro, bambina.»
Emma salì gli ultimi gradini senza quasi più forze. Un attimo dopo la donna la attirò contro il suo petto prosperoso e profumato, sussurrandole all'orecchio parole di conforto, che stranamente la tranquillizzarono. «Venite qui, bambina. Andrà tutto bene. Sistemeremo ogni cosa, ve lo prometto.»
Emma scoppiò a piangere. Una cosa davvero assurda, pensò. Non aveva mai pianto, soprattutto tra le braccia di una matrona temibile come lady Seldane, eppure stava succedendo e tutto quello che l'altra fece fu stringerla come la madre che non aveva mai conosciuto.
Alla fine smise di versare lacrime e riuscì a sciogliersi da quell'affettuoso abbraccio per sorridere, anche se in modo poco convinto.
«Molto meglio, bambina» disse lady Seldane soddisfatta. «Tutti hanno bisogno di lasciarsi andare a una crisi isterica, di tanto in tanto. Dopo, però, bisogna riprendersi e andare avanti con la propria vita. Vi ho ordinato un bagno e un pasto leggero. La vostra stanza è già pronta. Nelle prossime ventiquattr’ore voglio che vi riposiate. Voglio che siate riverita, viziata e coccolata.»
«Ma cosa farò...?»
«Non preoccupatevi di questo, adesso. Troveremo una soluzione, vedrete. Ho già qualche idea in proposito. Fidatevi di me, bambina. Metteremo tutto a posto.»
«Non dovrei essere qui» protestò lei a bassa voce. «Non sapete cos'ho fatto.».
«Cosa avete fatto?»
«Io... è che... Killoran...»
«Vi ha sedotta, non è così? Che fortuna! Se avessi vent'anni di meno e fossi più magra, non me lo lascerei sfuggire. A quanto pare non siete così felice di essere andata a letto con lui. Non mi sorprende. Quell'uomo ha combinato un guaio, ma è un buon segno. Un ottimo segno davvero.»
Emma la guardò con gli occhi bagnati di lacrime. «Cosa intendete dire?»
«Killoran sa essere squisitamente gentile, quando vuole. Sarebbe stato semplice sverginarvi e congedarvi, mandandovi via in modo così cortese e carino che neppure ve ne sareste accorta. Invece vi siete precipitata a Londra in piena crisi isterica e vi siete presentata alla mia porta con un biglietto scritto da quell'arrogante che mi prega di prendermi cura di voi. Io dico che è molto promettente.»
«Perché promettente?»
Lady Seldane sfoggiò un sorriso enigmatico. «Perché significa che c'è una possibilità per quel ragazzo di redimersi. Ora, però, venite dentro e accomodatevi, Emma. Presto risolveremo anche questo problema.»
Lei avrebbe voluto protestare ma quello stupido, odioso attacco di pianto le aveva tolto l'ultimo briciolo di forza che le restava. Si fece volentieri un bagno, mangiò lo squisito cibo che le servirono nell'enorme ed elegante stanza dove, la sistemarono e si stese sulle morbide lenzuola di seta del letto. Infine si addormentò.
Solo per sognare Killoran.
«Siete stato fortunato che non vi abbia ucciso» disse Barbara in tono piatto.
Nathaniel la guardò. Era sdraiato su un letto scomodissimo ed era già sera. La stanza era gelida e aveva un terribile mal di testa. Barbara era inginocchiata sul materasso accanto a lui e profumava di fiori.
«Mi stupisce che non l'abbia fatto. Dov'è?»
«E andato a una festa. A casa di Sanderson, credo. Non siamo stati invitati.»
«Pensavo che vi invitassero da tutte le parti.»
«Killoran mi ha proibito tassativamente di andare con lui. Suppongo, che sia una festa sfrenata,»
«Dovreste essere abituata a questo genere di feste...» replicò il giovane con amarezza.
Finalmente ci era arrivato, pensò lei. Finalmente l'aveva accettata per quello che era. «Sì» rispose stizzita, scendendo dal letto. «Ma, visto che ha deciso di portarmi a Parigi, immagino che voglia tenermi tutta per sé.»
«Andrete con lui?»
«Perché non dovrei?» Barbara si fermò davanti alla finestra chiusa e gli diede la schiena: dubitava di riuscire a mantenere a lungo l'espressione indifferente che aveva assunto. «Dopotutto pare che Killoran sia un amante molto esperto. Sarei una sciocca a non approfittare dell'occasione di diventare la sua amante, no?»
«Allora ammettete di non essere mai stata la sua amante?»
«Negarlo sarebbe solo una perdita di tempo. Siete molto perspicace, Nathaniel.» Si voltò e gli rivolse uno dei suoi sorrisi più incantevoli.
«Voi non lo amate.»
«Io non amo nessuno. Non credo nell'amore, solo gli innocenti ci credono. Tornate nel Northumberland. Trovatevi un'altra signorina Pottle. Non avete ancora capito, che io e Killoran siamo fatti della stessa pasta? Non siamo adatti alle persone come voi.»
Seguì un attimo di silenzio e lei preferì girarsi di nuovo verso la finestra, piuttosto che scorgere il disprezzo e la delusione sul volto di Nathaniel. Era la soluzione migliore, ricordò a se stessa. Il conte le aveva appena dato una lezione su come bisognava essere crudeli per salvare le persone care.
E lei non sarebbe stata da meno.
«Credo che mi ucciderebbe» proseguì lui dopo un istante, il tono stranamente sarcastico.
Barbara si voltò. «Di sicuro.»
«Ci sarà pure un altro modo...»
«Un altro modo per cosa?»
«Per convincerlo a lasciarvi qui, visto che non siete capace di badare a voi stessa e visto che state cercando di finire all'inferno da quando... com'è che avete detto? Ah... da quando eravate in fasce. Un giorno mi spiegherete perché vi comportate così.»
«Mai!»
Lui ignorò le sue proteste. «Allora l'unica cosa che mi resta da fare è tentare di convincere Killoran a partire da solo per Parigi. Voglio sposarvi, Barbara. E mi sono affezionato a mio cugino, nonostante il suo caratteraccio.»
«Avete battuto la testa troppo forte» ribatté lei in tono piatto. «State vaneggiando.»
Nathaniel si tirò su a sedere, poi le sorrise. Era un sorriso seducente, da spezzare il cuore, e lei dovette fare uno sforzo enorme per resistergli. «No, amore mio. Penso invece che Killoran mi abbia fatto rinsavire. Vi piacerà il Northumberland. E immerso in una natura selvaggia, ribelle e meravigliosa. Come voi.»
«Io amo la città, mi piace andare a teatro, per negozi e alle feste più sfrenate.»
«Voi amate me» le fece notare Nathaniel, «E prima o poi ve ne renderete conto.»
Ah, ma se n'era già accorta, pensò infastidita. Solo che non voleva ammetterlo. «Siete molto giovane, mi dimenticherete.»
«Dimenticare voi? Mai!»
E lei si chiese se doveva credergli.
«Venite qui, amor mio» la invitò lui dolcemente.
Barbara si allontanò circospetta. «Perché?»
«Voglio che vi stendiate qui vicino a me.»
Lei sentì la bocca curvarsi in un sorriso sgradevole. «Certo» rispose con finta allegria. «Mi chiedevo quanto ci avreste messo a cambiare idea.» Si avviò nella sua direzione, sollevandosi la gonna e atteggiando il viso a un'espressione seducente.
Nathaniel le prese la mano, costringendola a lasciar ricadere le sottane di seta mentre la attirava a sé. «No, voglio solo che vi stendiate accanto a me, Tutto qui.»
«Non siate assurdo. Che uomo siete? Farò tutto quello che volete che faccia e voi...»
«Voglio che vi sdraiate accanto a me. Qui, tra le mie braccia. Per tutta la notte. Niente di più.»
Barbara lo studiò per un attimo: guardò la sua mano che le stringeva il polso e i suoi fieri occhi azzurri. E fu presa da mille dubbi.
«Non mi volete?» domandò con voce impaurita.
Il sorriso di Nathaniel quasi spezzò il suo fragile cuore.
«Oh, amore, vi desidero più della mia stessa vita, ma non vi avrò finché non vi fiderete completamente di me.»
La attirò a sé, delicatamente, e Barbara non oppose resistenza e gli si avvicinò. Il letto era piccolo e il materasso sfondato. Lui la abbracciò. Il corpo di Nathaniel era muscoloso e caldo e la tenne stretta, facendole appoggiare la testa sulla propria spalla.
Lei si irrigidì: non era abituata alla gentilezza, alla tenerezza. Ma quando le spostò delle ciocche di capelli dal viso, baciandole la fronte e riadagiandosi sui cuscini, capì finalmente le sue parole di prima: pur desiderandola, non avrebbe fatto l'amore con lei finché non fosse stata davvero pronta.
La stanza era buia adesso, era scesa la notte.
Barbara si sentì protetta e al sicuro, abbastanza da metterlo in guardia. «Ci vorrà molto tempo» gli sussurrò contro il collo.
«Sono un uomo paziente. Aspetterò.»