8

C’erano momenti in cui la sua umanità quasi gli mancava, pensò Killoran. Era seduto in silenzio dietro a Emma nel suo palco, a teatro. Per una volta non si stava annoiando. Il pubblico lo divertiva e godeva delle occhiate malcelate che la gente lanciava alla sua ospite, che se ne stava lì quasi inconsapevole, rapita dalla rappresentazione, niente affatto interessata a quello che accadeva nei palchi attorno a lei.

I diamanti che aveva al collo luccicavano alla luce delle lampade. Metà delle donne presenti conosceva il prezzo di quella collana, ne era sicuro. Per non parlare dei gentiluomini che avevano delle amanti. Aveva fatto una precisa dichiarazione scegliendo di far indossare a Emma gioielli di quella taglia e lucentezza. Le persone ne erano ancora turbate.

Avevano cominciato a circolare voci riguardo a una loro presunta relazione anche prima della loro prima apparizione pubblica, lo aveva informato Nathaniel amareggiato. Killoran aveva accolto quell'informazione con un blando sorriso. Se le cose continuavano così, lo aspettava una primavera davvero molto soddisfacente e piena di divertimento. E finalmente avrebbe avuto la sua vendetta.

Guardò la sua protetta seduta davanti a lui totalmente inconsapevole della sua presenza, tutta concentrata sulla performance piuttosto mediocre di Orfeo ed Euridice sul palcoscenico.

Emma fremeva letteralmente di piacere. Killoran sedeva in un angolo del palco e poté osservarla bene. Colse l'entusiasmo nei suoi occhi, il rossore sulle sue guance, l'espressione sognante e sbalordita mentre la musica le fluiva attorno. Sotto la collana di diamanti il petto color crema si alzava e si abbassava, i capelli rossi a coprirle le spalle come uno scialle. La sua massa di ricci sciolti era un affronto e un insulto all'alta società, proprio come lui desiderava.

Le labbra di Emma erano socchiuse per lo stupore. Chissà che sapore avevano, si chiese, meravigliandosi di quella domanda.

Era assurdo, certo. Non gli era mai piaciuto baciare né essere baciato. Fare sesso era una cosa... l'appagamento di un desiderio, piacere reciproco vissuto da due persone esperte e disponibili. Baciare era tutt'altro. Era qualcosa di intimo e nella sua vita non c'era spazio per l'intimità.

Eppure voleva baciarla.

Probabilmente era per via delle lacrime. Lei l'aveva sempre guardato con collera, furia e disperazione, tuttavia i suoi occhi castani non si erano mai riempiti di lacrime. Si era dimostrata coraggiosa e insolente, non importava cosa doveva affrontare.

Quella sera, però, quando Orfeo aveva cantato la perdita della sua Euridice, Emma aveva pianto. Il cantante era mediocre, gli acuti incerti e il vezzo del tenore di fare delle lunghe e penose pause per prendere fiato era a dir poco snervante. Lei non l'aveva notato. Se ne stava seduta lì ad ascoltare la musica e piangeva.

Killoran non voleva ricordare il tempo in cui anche lui era così ingenuo. L'innocenza svaniva con grande facilità, era una terribile verità che lo addolorava e aumentava il suo rimorso. Quei sentimenti erano così potenti che minacciavano di travolgerlo. Avrebbe fatto qualunque cosa per scacciare lo stato d'animo in cui era piombato.

Ed era tutta colpa di Emma» Gli riportava alla mente dei ricordi dolorosi, come il profumo di terra verde e la confortante disorganizzazione dell'allevamento di cavalli dove i premurosi ma incauti genitori l'avevano cresciuto. C'era stato un tempo, così tanti anni prima che gli sembrava quasi un sogno, in cui era stato felice e amato.

Poi, però, tutto era cambiato. E la colpa era unicamente sua.

Il solo modo per riprendersi che aveva trovato era stato allontanarsi da tutto... da ogni genere di sentimento e convenzione sociale. Aveva seppellito i suoi genitori e lasciato l'Irlanda senza più farvi ritorno. In quegli ultimi dieci anni non ci aveva quasi mai pensato.

Ma Emma li aveva riportati a galla. Il ricordo e il dolore. Gli mancava... Gli mancava il fuoco della passione, lottare per una nobile causa, per degli ideali che si rivelavano una crudele trappola per incauti. Li vedeva ardere dentro Emma. Avrebbe voluto prenderla per le spalle e scuoterla per farla rinsavire. Avrebbe voluto impossessarsi della sua bocca e capire se poteva bere un po' della sua innocenza»

Avere un ultimo assaggio.

Non si mosse. Si era seduto nel palco in modo che, pur restando nell'ombra, nessuno dubitasse della sua presenza. In modo che tutti sapessero che era lì, a controllare la situazione.

Aspettò che la prima parte dello spettacolo, la più noiosa, finisse. Per una volta il pubblico non avrebbe rivolto gli occhi al palco bensì nella loro direzione, pensò divertito. Si piegò deliberatamente in avanti verso Emma, posandole una mano sulla spalla nuda, allargando le dita sulla sua pelle fredda e sfiorandole la guancia con la bocca.

Lei fece per sfuggirgli, ma Killoran la fermò con un gesto che poteva essere scambiato per una carezza. «Adesso andremo via» le mormorò, posandole la bocca contro la tempia.

Emma spostò il viso dall'altra parte, ma lui sentì il brivido che le attraversò il corpo.

«Non è ancora finito» protestò lei.

«Abbiamo un altro appuntamento.» «Ma...»

«Venite.» Le strinse le dita attorno a un braccio, attento a non farle male ma con la decisione necessaria a costringerla ad arrendersi.

Emma si alzò e, poco remissiva, lo seguì nel buio retro del palco prima di sottrarsi alla sua presa. A quel punto il conte fu pronto a lasciarla andare.

«Dov'è Nathaniel?» gli sussurrò, cosa ridicola visto che il resto del pubblico stava parlando così forte che quasi copriva la musica dell'orchestra.

«Detesta l'opera.» Killoran le drappeggiò il mantello di velluto nero sulle spalle, coprendole anche i capelli. Ora che nessuno li vedeva non c'era bisogno di toccarla e resistette all'impulso di spostarle delle ciocche dal viso. «Ci raggiungerà dai Darnley. Ho appena cominciato a presentarvi in società.»

«Non è un po' tardi per andare a una festa?»

Lui le offrì il braccio ed Emma lo prese, anche se sembrava non volerlo toccare.

«La notte, amor mio, è giovane. Andremo al ballo dei Darnley ma non ci tratterremo molto, dipende da come vanno le cose. Voi non danzerete» la avvisò alla fine.

«Tanto non so ballare.»

Il conte si fermò sulla porta del palco, stupito dal tono cupo della sua ospite. «Tutti sanno ballare.» .

«Nonio.»

«Ma dove siete cresciuta, cara Emma? In un convento?»

Lei lo guardò. Le lacrime nei suoi occhi etano scomparse, sostituite da un'intensa ostilità. «In un ospizio per poveri» ribatté con voce piatta.

«Certo» la zittì divertito. «Venite, cara. E ora di vedere chi altro potete scandalizzare.»

 

Emma non sapeva perché si sentiva così a disagio, perché aveva tutti gli occhi addosso. Era per via dei capelli sciolti sulle spalle? Del seno enorme che nessuno aveva mai visto prima? Dei grossi diamanti che portava al collo? O della mano di Killoran che le imprigionava il polso come per rivendicare che lei era una sua proprietà?

Qualunque fosse la causargli sguardi la seguivano dappertutto mentre il conte la conduceva attraverso la ressa di ospiti del ballo e si fermava di tanto in tanto per scambiare qualche osservazione pungente, senza mai presentarla.

Se avesse potuto farsi piccola piccola e nascondersi in un angolino lo avrebbe fatto, ma il conte la teneva così vicino, le sue mani possessive su di lei, e non c'era modo che la folla ignorasse la sua presenza.

Per qualche istante si lasciò distrarre dalla luce, dai colori e dalla musica che riempivano l'enorme salone. Senza farsi vedere, lanciò un'occhiata ai ballerini poi guardò il conte. Per la maggior parte del tempo, però, preferì tenere gli occhi bassi e la bocca chiusa. Killoran continuava a scrutarla con falsa preoccupazione. Si sedettero su una panca imbottita accanto alla pista da ballo. Lui era al suo fianco e, benché le avesse lasciato la mano, avvertiva la sua coscia muscolosa vicino alla gamba.

A separarli c'erano strati e strati di tessuto... la gonna e la sottogonna, la sottoveste e il corsetto, eppure riusciva à sentire la sua presenza lì accanto, quasi che fossero pelle contro pelle. Si morse un labbro sconfortata, dando un'occhiata furtiva al sorriso freddo e divertito del suo accompagnatore. Diversamente da lei, il conte sembrava essersi dimenticato della sua presenza, ma aveva già avuto modo di accorgersi che di rado dimenticava qualcosa.

«Ora ci divertiamo» la avvisò all'improvviso, rivolgendo i misteriosi occhi verdi sullo strano individuo che stava puntando nella loro direzione.

Da quando erano arrivati alla festa, nessuna donna gli aveva rivoltola parola. Le signore si tenevano a una certa distanza o, almeno, cercavano di evitarlo, spostando la gonna del vestito ai suo passaggio. I gentiluomini, soprattutto quelli dall'aria più volgare, erano stati gli unici a conversare con Killoran, ma non erano niente in confronto al dandy dagli abiti color pulce che camminava con passo incerto, evidentemente sbronzo, verso di loro.

I suoi abiti di raso impreziosito da gioielli erano assurdamente magnifici. Persino Emma, che se ne intendeva poco o niente, si accorse di quanto il suo aspetto fosse del tutto fuori luogo e, per un attimo, ne fu divertita. Finché l'uomo non si avvicinò rivelando l'evidente ostilità degli occhi azzurri, spenti per via dell'alcol. Lo sconosciuto non aveva per niente l'aria simpatica. In lui c'era qualcosa di strano, di inquietante.

«Chi è la ragazza, Killoran?» A quanto pareva il dandy color pulce era molto più coraggioso della maggior parte dei presenti. Oppure era solo più ubriaco.

Killoran sollevò pigramente lo sguardo su di lui e le strinse di nuovo la mano ma, visto che Emma la teneva appoggiata sulla gamba, fu costretto a toccarle la coscia. Quando lei provò a sottrarsi senza dare nell'occhio, il conte serrò la presa, facendole capire che tentare di fuggire era inutile.

«Darnley» lo salutò Killoran con una punta di astio. «Sono felice di vedere che vi siete ripreso.»

«Non grazie a voi» ribatté l'uomo con ben più di una punta di astio nella voce. «Dicono che è la vostra amante, ma credo che nemmeno una canaglia come voi oserebbe portare la sua sgualdrina alla festa di mia madre.»

«Mi sottovalutate. C'è molto poco che non oserei fare» replicò il conte con la solita indolenza. «E se date di nuovo della sgualdrina a mia sorella, sarò costretto a sfidarvi a duello.»

«Difenderete il suo onore?» domandò il padrone di casa divertito. «Non sapevo che conosceste il significato di questa parola. E lei non è vostra sorella.»

Killoran le lasciò andare la mano ed Emma tirò un sospiro di sollievo, ma il respirò le si bloccò in gola quando lui le fece scivolare le dita sulla gonna di seta che le copriva la coscia, «Non potete certo conoscere tutti i bizzarri componenti della mia famiglia. Emma, posso presentarvi il mio caro e simpatico amico, Jasper Darnley? Darnley, questa è una mia... lontana cugina, la signorina Emma Brown.»

Se quello era un caro e simpatico amico di Killoran, chissà com'erano i suoi nemici, pensò Emma confusa. La tensione tra i due era così palpabile e intensa che la travolse come un'ondata di calore proveniente da un fuoco appena acceso, dandole le vertigini. Il suo stato d'animo, però, era in gran parte dovuto alla mano affusolata e piena di anelli che le accarezzava lentamente la gamba.

Sollevò lo sguardo e notò le miriadi di occhi, quasi tutti gli ospiti presenti nel salone da ballo, che li scrutavano alla luce delle candele, attenti a non perdersi neppure un succoso particolare: la velata ostilità tra i due uomini, l'affronto che i capelli sciolti di Emma costituivano, il gesto lento e studiatoci Killoran che le toccava la coscia...

«Non imi sento molto bene» annunciò disperata e si alzò in piedi di' scatto, così all'improvviso che il conte non riuscì a fermarla.

Lo sguardo che colse negli occhi di Killoran non prometteva niente di buono.

«Codarda» le mormorò, raggiungendola con la consueta grazia. «Vi riaccompagno a casa, mia cara. Abbiamo fatto quello che dovevamo. Buonanotte, Darnley. Sono quasi certo che ci vedremo molto presto.»

«Ne sono più che certo» gli rispose l'altro con voce gelida e strascicata per via dell'alcol.

Mentre si facevano strada verso l'ingresso, ancora una volta le donne si scansarono al loro passaggio lasciandosi andare ai pettegolezzi, e ancora una volta gli uomini le rivolsero occhiate lascive.

«Cos'è che dovevamo fare?» si informò Emma, tenendo gli occhi sul suo accompagnatore, non volendo incontrare lo sguardo di nessun altro.

«Fare in modo che Darnley vi guardasse bene.»

«Perché?»

«Perché a Darnley piacciono le rosse. Lo fanno impazzire.»

«Ma a voi Darnley non piace.»

«Molto perspicace da parte vostra, mia cara. La maggior parte delle persone sembra non accorgersene. Pensano che per lui io provi lo stesso generalizzato disprezzo che provo per tutti gli altri. Hanno dimenticato i vecchi pettegolezzi e credono che l'abbia fatto anch'io, ma si sbagliano. Provo un disprezzo davvero molto speciale per il mio caro lord Darnley.» La guardò. «Illumina i miei giorni cupi.»

A quel punto erano arrivati in anticamera ed erano da soli.

«Non capisco ancora perché mi abbiate portata qui» insistette lei, cocciuta.

«Oh, per numerose ragioni» ribatté lui vivace. «Per esempio per vedere la reazione di tutte quelle persone mentre sventolo la mia sorella illegittima sotto il loro naso. Fanno già abbastanza fatica a tollerare un decadente aristocratico irlandese loro pari come me. Imporgli anche la mia sorella bastarda peggiora solo le cose. Soprattutto quando dimostro un po' troppo affetto per la carne della mia carne.» Fece una pausa. «Be', poi c'è Darnley. Mi piace vederlo rodersi dall'invidia.»

«Perché dovrebbe rodersi dall'invidia?»

«Perché vi desidera, mia cara. Voi non l'avete visto quando siete entrata nel salone, ma io sì. Non riusciva a togliervi gli occhi di dosso e tutto il vino rosso del mondo non è riuscito a distrarlo. Vi muore dietro e non sopporta l'idea che veniate a letto con me e non con lui.»

«Io non vengo a letto con voi» ribatté Emma controllando a malapena la collera.

«Ma Damley non lo sa e non ci crederebbe mai,, anche se giuraste che è vero. Tutta questa situazione mi diverte davvero tanto.»

«E la vostra reputazione? Non vi danneggerà che le persone pensino che avete una relazione incestuosa con vostra sorella?»

«Voi non capite... Io ho già una pessima reputazione. E una voce del genere non farà che peggiorarla.»

Emma lo fissò per un istante, in silenzio. «Siete completamente senz'anima!»

Per un momento l'espressione di scherno abbandonò il viso del conte, che si irrigidì, triste, svuotato.

«Killoran?» Un uomo dall'aria tormentata uscì dal salone da ballo e lo afferrò per una manica. «Dovete aiutarmi, vecchio mio. Ho un disperato bisogno di voi.»

«Cosa c'è ora, Sanderson?» chiese stancamente Killoran, sottraendosi alla sua stretta fastidiosa.

Sanderson scoccò un'occhiata imbarazzata a Emma, che restò in attesa. «Posso parlarvi un momento in privato, vecchio mio?»

«Aspettatemi qui, Emma» le ordinò Killoran, sospirando e voltandole la schiena per seguire l'amico.

Lei li guardò allontanarsi, chiedendosi sinceramente se odiava il conte. Da una parte era cinico, sarcastico e manipolatore, dall'altra l'aveva salvata due volte... ho, tre, se contava il suo tentativo di fuga nella tempesta di neve. E non aveva nemmeno tentato di portarsela a letto. Di sicuro avrebbe dovuto essergli grata.

E gli sarebbe stata grata se si fosse dimostrato un po' più gentile e se non l'avesse fatta sentire una prigioniera, benché sapesse di poter lasciare quella casa quando voleva.

Se solo avesse avuto un posto dove andare! Se solo lui non fosse stato così peccaminosamente, pericolosamente bello.

Non era abituata agli uomini belli. Se avesse avuto un po' di buonsenso, si sarebbe innamorata di Nathaniel, con le sue spalle larghe, le sue maniere da eroe, il suo fascino e la sua sincerità.

Ma, a quanto pareva, mancava totalmente di buonsenso. Era affascinata da Killoran, ossessionata da lui e dall'aura di mistero che lo circondava. Lei, che era sempre stata orgogliosa, della sua calma razionalità, era attratta da qualcuno che avrebbe potuto farle molto male. E, nonostante continuasse a ripetersi che si stava sbagliando, nulla sembrava riuscire a dissuaderla da quell'improvvisa ostinazione.

Scosse la testa, poco abituata alla pesante coltre di capelli che le avvolgeva le spalle. Aveva freddo e lì, da sola, nell'ingresso, si sentiva esposta. Alcune persone la squadrarono dalla testa ai piedi per poi distogliere subito lo sguardo, come se fosse un'appestata. Non avrebbe dovuto importarle, invece ne fu dispiaciuta.

Si allontanò dalla porta, puntando verso un'alta finestra con le vetrate a piombo che si affacciava sulla strada. Il ballo si teneva al primo piano del palazzo dei Darnley, che aveva una discreta vista su Kensington Park. La neve avvolgeva ancora tutto, anche se nelle vie fangose e sporche ormai era diventata un pantano. Se fosse scappata in quel momento, avrebbe trovato un posto dove nascondersi? Al collo aveva una collana di diamanti che valeva una fortuna, e di certo sarebbe bastata per garantirle una vita al sicuro, lontano da Londra.

Il problema era che non voleva fuggire. Almeno finché non scopriva cosa aveva in mente Killoran per lei. Finché non lo inquadrava. Quell'uomo era un enigma che la affascinava, la attirava e la terrorizzava allo stesso tempo. Se scappava in quel momento, inoltre, il conte le avrebbe dato la caccia finché non l'avesse trovata.

Avvertì uno sguardo sulla schiena e rabbrividì senza voltarsi. Probabilmente era Killoran, si disse. Be', non aveva niente di nuovo da temere. All'improvviso, però, le si contrasse lo stomaco.

Girò lentamente la testa: l'ubriaco color pulce la stava fissando. Per un momento si chiese perché poco prima l'avesse trovato comico. I suoi stravaganti abiti da dandy tradivano una certa dose di vanità, ma non c'era niente di frivolo negli occhi piccoli e azzurri o nelle labbra carnose contratte in un ghigno ripugnante.

«Suppongo che questa sia una trappola» le mormorò, puntando nella sua direzione.

«Scusate?»

«Non vi avrebbe mai lasciata qui da sola. Lo escludo, visto che vi ha portata qui apposta per sventolarvi sotto il mio naso come l'odore di una cagna in calore. Mi conosce fin troppo bene, dannazione!»

«Cosa?»

«Del resto non è il tipo d'uomo che affretta le cose. Dov'è vostro fratello?»

«Non è mio fratello» replicò secca lei.

Darnley si strinse nelle spalle, avvicinandosi ancora di più. «Non avevo dubbi in proposito, ma non mi importa. Se lo foste stata davvero, questo avrebbe solo reso il gioco più interessante.»

«Che gioco?»

L'uomo le era accanto, adesso. Puzzava di vino e di un profumo forte, opprimente. «Non sapete niente, vero?» le domandò sottovoce. «Vi ha portata qui per me, ve ne sarete accorta...»

Emma lo fissò, cercando di sfoggiare un'espressione indecifrabile. Per quanto ne sapeva, quell'uomo le stava dicendo la verità. Ignorava i motivi che avevano spinto Killoran a portarla lì, inoltre si era detto soddisfatto per la reazione di Darnley quando l'aveva vista.

«Scusatemi» mormorò Emma, provando a scansarlo per allontanarsi.

Benché fosse sbronzo, l'uomo si mosse velocemente. La afferrò con ferocia, spingendola da una parte e, un attimo dopo, venne trascinata in una stanza buia. Emma sentì la porta richiudersi con un tonfo dietro di loro e lui la immobilizzò contro un muro. Le baciò il collo con la bocca umida, palpeggiandole il seno e, quando provò a strapparle la collana di diamanti dal collo, le fece molto male. Lei cercò di respingerlo, ma Darnley non era né un ragazzo inesperto né un vecchio folle di desiderio. Lottò contro di lui, graffiandolo e colpendolo, ma il suo aggressore era troppo forte.

La collana si ruppe, le scivolò sulla pelle e cadde a terra. Il rumore sordo del gioiello che colpiva il pavimento le risuonò in un angolo della mente. A Darnley, però, non interessavano i diamanti. Aveva affondato il viso tra i suoi capelli, gemendo, schiacciandola, premendola con il peso del suo corpo, e non c'era niente che lei potesse fare per fermarlo.

All'improvviso una luce squarciò il buio, accecandola. Un attimo dopo il suo aggressore la lasciò andare ed Emma andò a sbattere contro il muro, sentendosi come un animale braccato e messo all'angolo, senza fiato, il cuore in gola.

Darnley giaceva raggomitolato a terra, confuso, lo sguardo puntato sul suo nemico.

Senza mai perderlo di vista, con un movimento lento ed elegante, Killoran si sistemò il pizzo della manica.

«Siete fortunato che sia arrivato» gli disse senza fretta. «Emma ha un bel caratterino e non le piace essere importunata. Forse vi ho addirittura salvato la vita.»

L'altro provò a mettersi a sedere, ma non ci riuscì. «Era una trappola» mormorò. La sua bocca sanguinava. «Lo sapevo,»

«Allora perché, caro mio, ci siete cascato?» domandò con gentilezza il conte. «Eppure vi siete appena ripreso da una lunga convalescenza.» Gli passò sopra senza tanti complimenti e raggiunse Emma che lo guardò mentre cercava ancora di riprendere fiato nascosta nella penombra della stanza. «Ben fatto, mia cara.»

Se Emma avesse avuto un'arma a portata di mano, avrebbe ucciso Darnley senza alcuna esitazione. Visto che non era successo, si limitò a fissarlo con odio, sapendo che lui non poteva vedere la sua espressione al buio.

Si inginocchiò e raccolse la collana di diamanti che era caduta. Non sapeva se mancasse qualche pietra, ma non intendeva mettersi a cercarle. Voleva solo andarsene, allontanarsi dall'uomo che giaceva sul pavimento guardandola con un misto di odio e desiderio, e allontanarsi dal conte che, senza dubbio, era molto soddisfatto che lei si fosse comportata come aveva previsto.

Provò a passargli accanto e fuggire, ma Killoran l'afferrò per un braccio e i suoi sforzi di liberarsi si rivelarono del tutto inutili.

Il conte si fermò sulla porta, guardando indietro verso Darnley. «Non potete averla» lo avvertì con il più gentile dei toni. «E, se la toccate di nuovo, vi uccido.»

Quando salirono in carrozza, lui si accomodò sul sedile. A quanto pareva era determinato a ignorarla. Emma aspettò, il mantello che le circondava le spalle, la collana stretta in mano. E la collera che le ribolliva dentro esplose.

«Era ciò che volevate, vero?» strillò. «Ucciderlo!»

Killoran la guardò. Nella fioca luce della lampada della carrozza la sua espressione sembrava fredda e distante, ma era identica a quella che aveva di giorno. «Sì.» «Allora perché non lo fate e basta? Perché mi avete coinvolta?»

«Perché ucciderlo e basta sarebbe terribilmente noioso. Dopotutto Darnley è un nobile inglese. Si merita una morte più spettacolare. Voglio prolungare la sua fine, renderla qualcosa di ricercato. Voglio che muoia sapendo che è stato il suo desiderio, la sua brama a ucciderlo.»

«Ed è qui che entro in gioco io...»

«Come ho detto, ha un debole per le donne dai capelli rossi.»

«E voi?»

«Oh, a me le donne piacciono tutte.»

«Perché volete ucciderlo?»

«Per molte ragioni» proseguì Killoran con gentilezza, stringendo gli occhi e scrutandola nel buio. «La nostra inimicizia risale a molto tempo fa. Credo che sia cominciata per via di sua sorella Maude. Non voleva che io la corteggiassi e abbiamo litigato furiosamente. Non approvava che un nobile irlandese squattrinato come me aspirasse a sposarla, l'ha palesato fin troppo bene. Per tutta risposta, gli ho detto che non avevo bisogno della sua approvazione e da allora le cose sono precipitate.»

«Quanto tempo è passato?»

«Oh, quasi dieci anni, ormai. La nostra guerra privata ha assorbito molto del mio tempo. Abbiamo avuto delle piccole scaramucce in questi ultimi anni, inclusa una qualche mese fa che ha costretto Darnley a letto per un periodo di tempo piacevolmente lungo. Probabilmente l'avrei lasciato stare per un anno o giù di lì, ma poi sono incappato in voi, lo strumento perfetto. Una vera fortuna...»

«Ne sono lusingata.»

Killoran scoppiò a ridere. «Sono quasi tentato di chiudervi insieme in una stanza e vedere chi sopravvive. Credo che Darnley sia troppo anche per un'assassina come voi. Vi siete comportata molto bene, però. Non riuscirà a starvi lontano. Il fatto che creda che siete mia sorella rende tutto più intrigante.»

«E cos'è successo a sua sorella?»

«Oh, è morta» rispose il conte, la voce priva di sentimento. «Si dice che fosse incinta ma, visto che non aveva ancora sposato il nobile bellimbusto inglese con cui era fidanzata, nessuno pensa sia vero. Però potrebbe essere questo il motivo per cui si è tolta la vita.»

«La amavate?»

L'espressione di Killoran era piena di compassione. «Fidatevi, bambina, non ho mai sprecato un solo istante del mio tempo a provare un sentimento così sdolcinato. Desideravo Maude Darnley. La desideravo per i suoi squisiti modi dia inglese, per il suo corpo perfetto, per la sua pelle bianca come il latte. La desideravo perché era una donna passionale e per i suoi capelli rossi, però non l'amavo.»

«Era vostro il figlio che aspettava quando è morta?» Non riusciva a credere di essere stata tanto sfacciata da porgli quella domanda. La serata era stata incredibilmente lunga ed era ancora turbata. Le faceva male il collo nel punto in cui Darnley le aveva strappato la collana, aveva freddo, era arrabbiata e sul punto di piangere. Aveva bisogno di qualcuno che la abbracciasse e la consolasse. Tuttavia, cosa strana, avrebbe voluto stringersi al conte e premergli la testa contro il petto.

«Siete sorprendentemente audace. E una delle cose che trovo irresistibili in voi.»

«Voi non mi trovate irresistibile» ribatté lei a voce bassa. «Grazie a Dio.»

Lui allungò una mano e le strinse la sua. Chiusa nel pugno Emma teneva ancora la collana rotta. Il conte le apri le dita senza sforzo e osservò il gioiello. «Non vi piacciono i diamanti?» le domandò e lei non riuscì proprio a interpretare il suo tono di voce.

«Si è rotta.» Gli consegnò la collana, mettendo della distanza tra loro nell'angusto spazio della carrozza.

«E impossibile, mia cara. Non compro gioielli scadenti per le mie amanti.»

«Io non sono la vostra amante.»

«Non importa» replicò Killoran, appoggiandosi allo schienale e permettendole di sfuggirgli. «Vorrà dire che la sostituiremo. Non vorrei che Darnley pensasse che non vi apprezzo come meritate.»

«Non voglio che mi coinvolgiate nella vostra guerra personale.»

«Potete scegliere, Emma.» Il suo tono divenne improvvisamente duro. «Potete vivere una vita comoda e piena di agi, senza che vi si chieda in cambio niente tranne un po' di collaborazione, o potete vivere in strada e morire entro poche settimane, forse persino poche ore.»

«E se scegliessi di andarmene e vivere per strada?»

«Dubito che vi lascerei andare via.»

«Avete detto che potevo scegliere.»

«Ho mentito.»

Emma lo studiò in silenzio, furiosa. La carrozza si era fermata e il cocchiere aveva già aperto lo sportello. Aveva cominciato a nevicare e l'aria era molto fredda.

«Perché volete ucciderlo?»

«Non sono obbligato a darvi nessuna spiegazione, bambina.»

«Perché volete ucciderlo?» insistette lei senza staccare gli occhi dal suo interlocutore, ignorando la mano inguantata di bianco del cocchiere che apparve nel buio.

Lui sospirò con fare anche troppo annoiato. «Perché non era mio il figlio che Maude aspettava quando è morta.»

«Allora di chi era?»

«Di suo fratello» le rispose lui, quindi la superò e scese dalla carrozza, lasciandola a bocca aperta.

 

Quando poco dopo Killoran entrò nella biblioteca gli venne quasi voglia di uscire di nuovo. Nathaniel lo stava aspettando, il bel viso contratto, l'espressione di chi è pronto a dare giudizi.

«Non potete farlo, Killoran!»

«Non siate assurdo. Posso fare tutto quello che mi pare. Di cosa vi lamentate, questa volta?»

«Non potete portare Emma in società spacciandola per vostra sorella. Non potete portarla a casa dei Darnley e accarezzarla come un incestuoso...»

«Santo cielo!» esclamò il conte. «Le notizie corrono veloci. E non eravate neppure presente. Molto gratificante. E, visto che a quanto pare mi stavate aspettando per dirmi quel che pensate, illuminatemi.»

«Non potete continuare con questa disgustosa farsa!»

«Perché no?»

Per un attimo Nathaniel sembrò disorientato da quella semplice domanda. Killoran ne approfittò per versarsi un bicchiere di cognac. Sapeva di bere un po' troppo. Sua madre lo aveva messo in guardia sui danni dell'alcol, ma lei non c'era più. I suoi genitori erano morti ed erano poche le cose che rendevano la sua vita sopportabile. Il cognac era una di queste, anche se ultimamente non gli faceva più tanto effetto.

«Perché è... Perché non si fa.»

«Volete per caso insegnarmi come comportarmi in società, ragazzo?» gli chiese il conte conia solita pronuncia strascicata. «Avete imparato cosi tanto nelle ultime settimane?»

«Dannazione, non potete far passare una completa estranea per vostra sorella. Non sapete neppure chi è davvero, da dove viene!»

«Nathaniel» cominciò il padrone di casa «io posso fare quel che mi pare. Pensavo che ormai vi foste affezionato alla mia giovane ospite.»

«Le sono così affezionato che non voglio vederla diventare una vittima dei vostri giochi.»

«Siete tutti vittime dei miei giochi! L'alta società è come un enorme mostro vorace che si nutre di chiacchiere. L'apparizione di Emma ha solo soddisfatto il suo insaziabile appetito.»

«Lasciatela andare.»

Il conte gli rivolse un sorriso falso, quello che usava per terrorizzare gli ingenui come il cugino. Funzionò, come sempre, e Nathaniel sbiancò.

«Non ho alcuna intenzione di lasciarla andare da nessuna parte. Vi ricordo che siete mio ospite. Non mi sono mai opposto al fatto che teneste compagnia a Emma, ma ora basta. Strisciate pure ai piedi di lady Barbara, ma tenete le mani e i vostri nobili principi lontano da Emma. Avete capito?» «No...»

«Allora vi chiarirò il concetto: lady Barbara è una preda facile. E evidente che voi siete innamorato di lei e, per qualche ragione, lei è estremamente paziente con voi. Se dovete salvare qualche peccatrice, concentratevi su di lei. Dovrebbe costituire una bella sfida per voi...»

«Dovrei farvi un occhio nero.»

«Non credo che ci riuscireste» sussurrò il conte tranquillo. «Scegliete voi, Nathaniel. Chi volete salvare? Su chi preferite che concentri le mie pericolose attenzioni? La misteriosa signorina Brown o lady Barbara? A vostra discrezione.»

Sì, era davvero un uomo malvagio, rifletté Killoran. Nathaniel sembrava sul punto di esplodere tanto era contrariato e frustrato. Non poteva rinunciare ad aiutare nessuna delle due donne, così si limitò a stare lì, furente.

Killoran bevve il suo cognac, si riempì di nuovo il bicchiere e ne preparò uno per il cugino.

«Non sprecate emozioni, ragazzo mio» gli consigliò, mettendogli in mano il bicchiere. L'altro lo prese controvoglia. «Tra sei mesi nessuna delle due avrà più alcuna importanza per voi.»

Il giovane alzò gli occhi, l'enorme mano stretta attorno al cristallo. «Non so chi mi fa più pena» confessò lentamente.

«Non impietositevi per nessuna delle due. Barbara sta facendo del suo meglio per assicurarsi un posto all'inferno e ci sta riuscendo molto bene. La signorina Brown, invece, lascerà questa casa con abbastanza soldi da vivere serenamente finché non troverà qualche pazzo che la sposi. Nessuna delle due merita la vostra pietà.»

«Non parlavo di loro» lo corresse l'altro. «Siete voi che mi fate pena.»

Per un attimo il conte sembrò turbato. «Ragazzo mio, forse dovrei uccidervi, dopotutto.»