14
Miriam era inginocchiata a terra. Stava pregando al suo personale Dio di castigare i suoi nemici, quando sentì bussare forte alla porta.
Era mattina presto, la casa era fredda e vuota, e il pavimento gelido contro le gambe.
A quell'ora non c'era nessuno che potesse andare ad aprire. Lei detestava i domestici a tempo pieno... le donne erano troppo deboli e gli uomini troppo lascivi per i suoi gusti. Finché Emma aveva vissuto lì, se l'era cavata con pochissima servitù: Gertie preparava i loro modesti pasti e le faceva da cameriera personale, mentre diverse ragazzine sottopagate aiutavano Emma con le pulizie.
Era la soluzione migliore: il duro lavoro teneva a bada la natura peccaminosa della cugina e Miriam si era assicurata che non restasse mai con le mani in mano. Negli ultimi mesi, però, era stata costretta ad assumere una seconda cameriera. Non aveva avuto altra scelta, a meno di non contribuire lei stessa alle faccende di casa.
Erano le sei del mattino, Gertie stava per arrivare e l'uomo addetto ad accendere i camini non avrebbe osato aprire la porta, così Miriam dovette per forza alzarsi e percorrere i lunghi e stretti corridoi dalle pareti spoglie che conducevano al portone. Scese le scale prive di tappeti e talmente lucide che rappresentavano un pericolo per chiunque fosse stato tanto imprudente da muoversi con frettolosa spensieratezza.
Non che in quella casa ci fosse qualcuno di spensierato...
Camminò lentamente, con nobile dignità, mentre fuori continuavano a bussare con insistenza.
Forse era di nuovo Darnley, ipotizzò. Non era soddisfatto della loro collaborazione, cosa che non la sfiorava minimamente. Era uno sciocco se pensava di controllarla... nella sua vita non aveva mai permesso a nessuno di farlo. Lui pensava di usarla per vendicarsi di Killoran e per mettere le mani su Emma, invece era lei Tunica che lo stava usando, Tunica che si sarebbe vendicata del conte e, cosa più importante, della cugina. Se Darnley prima riusciva a violentarla, non le importava. Emma sarebbe morta e anche il conte. Poteva aver fallito una volta, ma non avrebbe più commesso lo stesso errore. Avrebbe assunto di persona degli uomini, invece di fare affidamento su quelli di Darnley e, nel caso non fossero riusciti a portare a termine la loro missione, avrebbe agito da sola.
Spalancò la porta scrutando nella nebbia del primo mattino.
Il valletto in livrea davanti a lei non aveva più di vent’anni e sembrava spaventato. Si diede un'occhiata dietro le spalle come aspettandosi di vedere un fantasma materializzarsi lì vicino, poi si voltò a guardarla.
«Perdonate, signorina DeWinter» le disse. «Il mio padrone desidera incontrarvi.»
Miriam scrutò nella luce fioca. Era miope come Emma, e altrettanto vanitosa da non portare gli occhiali. L'alta figura che si stagliava a pochi passi da lei poteva essere una sola persona.
«Lord Darnley» lo salutò in tono gelido. «Perché siete tornato?»
Killoran avanzò uscendo dalla nebbia e, per la prima volta, Miriam ebbe paura.
«Vi sbagliate, signorina DeWinter» cominciò lui. «Ma mi chiedevo cosa ci fosse venuto a fare Jasper Darnley a Crouch End.»
Miriam era una donna formidabile. Le ci volle un attimo per ritrovare il controllo di sé e scacciare la collera omicida che l'aveva assalita. «Non saprei, conte...»
Il sorriso dell'uomo era freddo, affascinante, ma lei non si mosse, bloccando l'enorme ingresso di casa. «Come fate a sapere che sono un conte?»
Aveva commesso un errore, riconobbe Miriam, ma poteva rimediare. L'uomo che aveva di fronte era furbo come il demonio. Avrebbe dovuto misurare ogni parola, attenta a non tradirsi, però era difficile visto che la sua anima reclamava giustizia.
«Il vostro valletto indossa la livrea. E sulla vostra carrozza c'è uno stemma.»
«Non credevo che riusciste a vedere la mia carrozza con tutta questa nebbia.»
«Ci vedo molto bene.»
«Davvero? Non mi sembra che questa sia una caratteristica della vostra famiglia.»
Miriam ignorò la provocazione. «Come posso aiutarvi? In genere non accolgo i gentiluomini in vestaglia e pantofole.»
«Immagino di no.»
«Dite quello che dovete dire e poi andatevene, per piacere.»
«Sono venuto per parlare con voi, signorina DeWinter. Della vostra famiglia. E del vostro pessimo gusto in fatto di amici.»
«Temo di non avere alcun interesse a parlare con voi, lord Killoran.»
«Ah... non ricordo di avervi detto come mi chiamo.»
«Siete molto conosciuto... Siete un libertino, un giocatore d'azzardo e un assassino. Non so che farmene di un peccatore come voi. Andatevene!»
«Un assassino? Mi dichiaro colpevole degli altri crimini ma, a quanto ne so, non ho mai assassinato nessuno.»
«Andatevene!» esclamò lei, fuori di sé.
Killoran non si mosse. «Be', se vi riferite al vostro defunto, lussurioso padre, allora devo informarvi che è stata pura autodifesa» le spiegò, provocando finalmente una sua reazione.
«Lui non era un lussurioso. È stata lei. Quella lurida sgualdrina l’ha adescato, portandolo alla rovina. Ma me la pagherà, ve lo assicuro. E anche voi. Non trarrete vantaggi dall'assassinio di mio padre. Ve lo impedirò...» La voce di Miriam si affievolì sotto lo sguardo calmo e ironico del suo interlocutore.
«Sì, signorina DeWinter?» le disse cortese. «E come intendete vendicarvi? A quanto pare con l'aiuto di Darnley, ma dubito che sia molto affidabile. Formate una strana coppia.»
L'ultimo rimasuglio di autocontrollo scomparve e Miriam lasciò trapelare tutta la collera che provava.
«So che la ospitate nella vostra casa, che ve la portate a letto» strillò tremando. «Diteglielo pure: morirà. Me ne occuperò personalmente. E riderò. E ballerò sulla sua tomba. Dio farà giustizia. Se qualcuno arreca un'offesa, va eliminato! Mi vendicherò...»
«Amen...»
«Insolente! Blasfemo!»
Killoran annuì. «Faccio del mio meglio. Buongiorno anche a voi, signorina DeWinter. Penso che mi abbiate detto tutto ciò che avevo bisogno di sapere.»
«È una sgualdrina!» gli urlò dietro la donna, ignorando i vicini curiosi. «Una prostituta, una fornicatrice, una poco di buono che venera il diavolo.»
«Le porterò i vostri saluti» rispose il conte, salendo in carrozza.
«Che Dio vi fulmini entrambi!» urlò ancora Miriam, ma il Signore non la ascoltò e la fredda aria del mattino mista alla quiete delle strade le fece intendere ragione. Sbatté la porta per richiuderla e ci si appoggiò sopra senza fiato.
Non c'erano dubbi: Dio era un uomo. Se fosse stato una donna, non avrebbe esitato a infliggere a quel disgraziato la punizione che meritava, uccidendolo all'istante. Per sua fortuna c'era Miriam a porre rimedio ai suoi errori e a vendicarlo.
Raggiunse il salotto e si inginocchiò sul pavimento per riprendere a pregare. Doveva sbrigarsi a compiere la sua vendetta, si disse. A quanto pareva Killoran era un seguace del diavolo, non la sorprendeva che fosse riuscito a farle ammettere l'odio che provava per la cugina. Ora che era stato messo in guardia, sarebbe corso ai ripari, magari portando Emma in un posto sicuro.
Ma non poteva proteggerla per sempre e lei era disposta ad aspettare anni, se doveva.
La pazienza, però, non era mai stata il suo forte. E c'era una bella somma di denaro in ballo, una fortuna a cui non avrebbe avuto accesso finché la cugina restava viva.
Quello non era il momento di aspettare, era il momento di agire, si convinse mettendosi in piedi e andando a fare una sana colazione.
Emma non era pronta per alzarsi e affrontare il mondo. Era stata una notte agitata. Aveva male dappertutto per via dell'aggressione subita la sera prima; aveva la testa piena di pensieri... di persone che le riempivano la testa, parlandole, mettendola in guardia. Aveva sognato lady Seldane, i suoi occhi piccoli e scuri la guardavano con fare accusatorio. «Voi io amate» le aveva detto, ma la voce che era uscita dalla sua bocca imbellettata e corrucciata era quella di Miriam.
Anche l’uomo che aveva tentato di rapirla l'aveva perseguitata nel sonno. Dopo che Killoran gli aveva sparato, lei si era avvicinata e lo aveva guardato, certa che non sarebbe sopravvissuto. L'incubo era pieno di sangue, desiderio e collera e, proprio quando Emma stava per scappare, lui si era trasformato in Miriam. C'era anche Killoran nel sogno, era fermo nell'ombra e la guardava. Non poteva vedergli il volto, solo le mani, le dita affusolate, il pizzo che gli penzolava dai bizzarri polsini, le lunghe gambe avvolte nei pantaloni neri. La stava fissando e lei sapeva di dover affrontare quegli spettri per raggiungerlo, visto che non si sarebbe mosso.
C'era qualcun altro a dividerli. Tese le mani per farsi largo a spintoni ma si ritrovò faccia a faccia con la pallida immagine di se stessa. Il suo doppio, vestito di nero, le stava impedendo di raggiungere il conte, di andare incontro al suo destino, facendola arrabbiare e disperare.
«Pensavo che non vi sareste mai svegliata» le disse la signora Rumson. Il tono cordiale della donna non dissipò la sua ansia. «E mezzogiorno passato e sua signoria vuole mettersi in viaggio appena siete pronta. Mi sono permessa di farvi preparare un bagno e Dora vi ha già fatto le valigie con i vestiti nuovi.»
«In viaggio?» domandò confusa lei, mettendosi a sedere e guardandosi intorno. La porta della sua stanza era aperta, la serratura rotta e il legno scheggiato. «Dove andiamo?»
«Sua signoria si è messo in testa di andare a una festa in campagna, credo nell'Oxfordshire, e dovete accompagnarlo.»
«Non sembrate approvare...»
La governante si strinse nelle spalle. «Non sta a me approvare o disapprovare le scelte dei miei padroni, solo che non ho un'alta opinione degli amici di sua signoria... sempre che si possano chiamare amici.»
«Forse dovrei restare a Londra.»
«Non avete scelta, signorina. Il signor Hepburn resterà qui. Dovete per forza accompagnare il padrone e dovete pure sbrigarvi. Sua signoria ha detto che, se non siete pronta entro un'ora, manderà Jeffries a sollevarvi di peso e mettervi sulla carrozza.»
Sdegno e divertimento lottarono per avere il controllo della mente stanca di Emma. Il divertimento ebbe la meglio. «Dubito che un uomo debole come Jeffries ce la farebbe a sollevarmi.»
«Be', meglio lui che sua signoria.»
«Già...» mormorò lei, tirando indietro le coperte. Discutere sarebbe stato solo una perdita di tempo, quello era chiaro. Dopotutto era felice di allontanarsi da Londra, dal pericolo costituito dalla cugina, dagli uomini che aveva ingaggiato per rapirla e da quel depravato di Darnley. Sarebbe stata perfettamente al sicuro a una festa. Ci sarebbero stati chaperon, compagnia, salvezza.
L'unica cosa che la innervosiva era restare da sola con Killoran, visto il devastante incontro della notte precedente. Le ore di viaggio che li aspettavano, costretti insieme nell'angusto spazio della carrozza, sarebbero state un inferno, rifletté pregustandole con paura mista a desiderio. Lui si sarebbe sicuramente mostrato distante e beffardo, e lei non avrebbe avuto niente da temere. Niente per cui sperare.
Quando, lavata e vestita, scese le scale era perfettamente in orario. Scoprì presto che non c'era niente di cui preoccuparsi. Il conte era in sella allo stesso enorme cavallo nero della sera prima, e le diede a malapena un'occhiata. Willie, il nuovo cocchiere, la aiutò a salire nella carrozza vuota, poi partirono.
Emma aveva trascorso la maggior parte della sua vita da sola. Dalla morte di suo padre, dopo essere finita sotto le grinfie della cugina, si era abituata a passare le sue ore libere a leggere, a suonare il clavicembalo, a sognare in solitudine. La faceva sentire in pace con se stessa. Ora, però, non aveva più un attimo di tranquillità e la colpa non era né della morte dello zio né del brusco cambiamento di vita. Era tutta colpa del suo incontro con Killoran.
Sia che fosse vicino sia che fosse lontano, quell'uomo la ossessionava. Non era possibile amare un uomo del genere. Era crudele, immorale, insensibile, dissoluto e avrebbe potuto distruggerla. Doveva fare appello ai più rigidi principi morali impartitile dalla cugina per resistere al suo fascino decadente.
Eppure nemmeno quello bastava. Per qualche ragione lui era diventato il centro della sua vita. Non riusciva a liberarsi dello straordinario potere che aveva su di lei, non imporr tava quanto lottasse.
Doveva essersi addormentata. La signora Rumson le aveva preparato un cestino con del pollo freddo, formaggio, pane francese e una bottiglia di vino rosso. Il cibo era pessimo ed Emma bevve quasi tutto il vino, che la stordì leggermente. Non era abituata all'alcol, ma non c'era molto altro con cui occupare la mente durante quel viaggio che sembrava non finire mai. Solo il ricordo del corpo di Killoran premuto contro il suo; la sua bocca, calda, umida ed esigente; le sue abili mani che la eccitavano, il suo tocco, i suoi baci, i loro reciproci desideri che si fondevano insieme, facendole venir voglia di urlare di dolore e di brama.
Quando aprì gli occhi era già scesa la sera, la carrozza si era fermata e le faceva male la testa. Udì delle voci: quella serafica e pigra di Killoran mista ai saluti di due persone chiaramente ubriache.
«Ormai avevo perso le speranze, vecchio mio!» farfugliò il primo uomo. «Pensavo che non avreste lasciato vostra sorella per venire a spassarvela!»
«Non so se quella donna ne vale davvero la pena» continuò il secondo. «Si tratta solo di un capriccio passeggero, ne sono certo, ma ci sono comunque delle regole. Non che mi dispiaccia che vi facciate vostra sorella, ma la società disapprova certe cose. Dovreste tenere segreto questo genere di relazioni.»
«Apprezzo il consiglio, Sanderson» rispose freddamente Killoran. «Ma sapete bene che faccio sempre quello che mi pare.»
«Buon per voi! Che vadano a farsi fottere, dico io. Venite dentro, Killoran. C'è una gallinella che potrebbe tentare persino voi. Ha il più bel paio di tette che avete mai visto.»
«Davvero?» domandò il conte annoiato.
«Riuscirebbe a eccitare persino voi. In nome del cielo perché siete venuto a cavallo in una sera così fredda?»
«Ho portato un'ospite.»
Emma lo sentì avvicinarsi e si raggomitolò inutilmente in un angolo della carrozza. Lo sportello si aprì: Killoran era in mezzo ai due sconosciuti, che erano più bassi e più giovani di lui. E completamente sbronzi, mentre guardavano dentro con un'espressione quasi comica.
«Avete portato compagnia?» disse quello che doveva essere Sanderson, sbirciando nella sua direzione. «Non riuscite proprio a staccarvi dalla vostra amante, a quanto pare.;. Be', è difficile tornare alla normalità, se uno è abituato alle peggiori perversioni.»
«Mica male...» notò l'altro, ammirandola soddisfatto e facendosi largo a spallate per avvicinarsi. «Io e Sanderson potremmo dividercela. Abbiamo visto Barkley e Howard fare una cosa a tre con una sgualdrina, ieri notte. Mi piacerebbe provare. Magari avete qualche consiglio da darci, Killoran.»
Il conte restò in silenzio e fissò Emma, lo sguardo assente, gli occhi socchiusi. Fuori dalla carrozza lei intravide le luci della villa e udì delle risate acute.
«Cosa vi fa pensare che Killoran sappia come si fa, idiota?» domandò Sanderson con ebbro decoro.
«Killoran è un esperto in questo genere di faccende, no? Tutti sanno quanto sono arrapati gli irlandesi. Potremmo dividercela tutti e tre. Dopotutto ha una bocca, due tette, una figa e un culo...»
«Allontanatevi dallo sportello, Sanderson» gli disse Killoran in tono conciliante.
«Su, vecchio mio, non fate il geloso con noi. Non l'avreste portata a casa di uno scapolo, se non aveste voluto dividerla con noi. Avrà pure l'aria da verginella, ma sono sicuro che a letto è una bomba.» L'uomo si tese verso di lei e le prese una mano per aiutarla a scendere.
Era pronta a cedere, si disse Emma. Se era veramente per quello che Killoran l'aveva portata lì, allora non le importava più di niente. Avrebbe buttato via la sua innocenza con quei due sciacalli affamati e il conte sarebbe rimasto a guardare, come gli avevano suggerito di fare i suoi amici. E si sarebbe pure divertito.
Stava quasi per mettere la testa fuori dalla carrozza quando la ruvida mano di Sanderson lasciò la presa ed Emma ricadde sul sedile. Sentì un acuto strillo di dolore, simile al verso di un maiale. Fece per alzarsi, ma lo sportello si chiuse e, un momento dopo, i cavalli partirono al galoppo.
Si aggrappò alla maniglia della portiera, ma fu sballottata avanti e indietro. Non capiva cosa avesse spaventato gli animali: se il nuovo cocchiere aveva ritenuto necessario allontanarsi per salvarla o se Killoran aveva improvvisamente sviluppato una coscienza. Quell'ultima possibilità sembrava la più remota, ma era troppo stanca, spaventata e turbata per pensare. Si sforzò di ritrovare l'equilibrio intanto che la carrozza correva nella notte.
Era una battaglia persa. Finì a terra insieme alla coperta di ermellino e sbatté la testa contro il sedile. Per quanto ne sapeva, era intrappolata su una carrozza fuori controllo. Be', se proprio doveva finire giù da un dirupo, sperava solo che succedesse il più presto possibile.
Il vino che aveva bevuto fece sentire la sua presenza e le venne la nausea. Appoggiò il viso sui tappeto steso sul pavimento e gemette. Forse morire non era poi così terribile^ visto quanto stava male:
La carrozza cominciò a rallentare, impercettibilmente all'inizio, e il malefico dondolio andò scemando. A quanto pareva non era ancora venuto il suo momento.
Emma decise di non muoversi, non voleva rischiare di sbattere di nuovo contro il sedile. L'abitacolo era buio e freddo, il rumore delle ruote misto allo scalpitio dei cavalli la stordì del tutto. Non sapeva se Sanderson o il suo disgustoso amico avevano preso possesso della carrozza, ma poteva comunque provare a dormire. Sempre meglio che dare di stomaco.
Seguì una brusca frenata. Un attimo dopo Killoran aprì lo sportello, il volto celato nell'ombra, la voce piatta. «State bene?»
Lei si svegliò del tutto, guardandolo disorientata e turbata. «Dove siamo?»
«In un piccolo casino di caccia che ho vinto alcuni anni fa a carte, da una delle molte mie vittime disperate. Dato che non vado mai a caccia, non l'ho usato molto, ma credo che sia ancora in buone condizioni. Willie si occuperà di voi.»
«E voi dove andate?» gli domandò lei stupidamente, sfacciatamente.
Il sorriso del conte era freddo come l'aria della notte. «Torno alla festa. Voi non sareste molto di compagnia, Dopotutto siete solo una vergine inesperta e i miei amici si aspettano qualcuno con maggior esperienza a letto. Sareste una grossa delusione per loro e mi riterrebbero responsabile, La mia pessima reputazione non reggerebbe il colpo.» «Immagino di no.»
Il conte le stava tendendo la mano con impazienza, aspettando che lei la afferrasse. Emma non ebbe scelta. Scese nella fredda aria della sera, ma inciampò. E Killoran la afferrò al volo, accidenti a lui. Il suo corpo era caldo sotto il mantello irrigidito dal freddo e le sue mani, coperte dai guanti di pèlle, erano forti, gentili e la strinsero oltre il necessario mentre lei ritrovava l'equilibrio.
Poi la lasciò andare. «Willie si assicurerà che abbiate tutto quello di cui avete bisogno. Non permetterà a nessuno di infastidirvi.»
Emma guardò oltre le sue spalle, verso la casa buia e con le imposte chiuse. Nella luce della luna poteva vedere gli alberi e gli arbusti che vi crescevano attorno. Il posto sembrava ben tenuto e accogliente, anche se non lussuoso. Be', qualsiasi cosa era preferibile al postaccio dove si erano fermati poco prima.
«Davvero state tornando a quella festa?»
«E a poche miglia da qui. I miei amici si staranno chiedendo che fine ho fatto. Non è da me lasciarmi sfuggire un'occasione per spassarmela. Ci saranno un sacco di belle donne esperte e piene di inventiva da portarsi a letto, e un esercito di uomini ansiosi di giocare che non hanno ancora perso con me. Per tacere dei cibo e del vino, che saranno di sicuro migliori di ciò che Willie riuscirà a mettere insieme qui. Per quale ragione non dovrei andarci?»
Emma si allontanò da lui e si avvolse il mantello sulle spalle. Il vento le scompigliava i capelli, gettandoglieli sul viso e nascondendo la sua espressione. Che era una fortuna.
«Nessuna ragione, mio signore» rispose a bassa voce.
«Non starete per caso pensando di offrirmi il vostro corpo, vero? Una cosa è sicura: le donne alla festa di Sanderson hanno molta più esperienza di voi in queste faccende e sanno come dare piacere a un uomo, per quanto anche l'impacciato entusiasmo della prima volta sia a suo modo divertente. Devo restare?»
«Restare?» ripeté stupidamente lei.
«E venire a letto con voi?» le domandò brusco.
Killoran si comportava in modo strano, notò Emma. I suoi modi non erano mai bruschi e per un attimo si chiese come avrebbe reagito se gli avesse risposto di sì. Se lo sarebbe quasi meritato... vedere quell'espressione impassibile e distante trasformarsi per la sorpresa.
«No, grazie. Sono stanca per il lungo viaggio. Credo che io e Willy staremo benissimo.»
«Non troppo bene, spero» mormorò il conte, più a se stesso che a lei. I suoi occhi brillarono, forse di stupore, forse persino di riluttante rispetto, ma durò solo un attimo. «Non mi meraviglia che siate stanca. La scorsa notte a causa di quell'aggressione avete fatto tardi. Non inviterò nessuno dei miei amici, allora. La casa è molto piccola e non penso di riuscire a convincerli a starvi lontano. Potrebbero decidere di portarvi a letto e scoprire quanto siete deludente. Io non potrei mai farlo.»
Emma alzò la testa, squadrandolo. «Perché no?»
Il suo sorriso era gelido. «Perché voglio conservare la vostra verginità per Darnley. Sogni d'oro, mia cara.»