11
Killoran non pensava di far uscire Emma tanto presto. Aveva già fatto parlare abbastanza di sé la sera prima e la reazione di Darnley era stata quasi immediata. La scelta più saggia sarebbe stata tenersi alla larga dai salotti dell'alta società per qualche giorno e permettere alle chiacchiere di moltiplicarsi.
Ma non poteva farlo. Benché volesse che il mondo pensasse che si era rinchiuso nel suo covo di malvagità per sedurre la sua stessa sorella, non riusciva a starsene semplicemente seduto ad aspettare. Si disse che era troppo inquieto, troppo annoiato, ma sapeva qua! era la verità. James Michael Patrick, quarto conte di Killoran, libertino e giocatore dissoluto, farabutto egoista dai nervi d'acciaio e dal cuore di ghiaccio, non era sicuro di riuscire a tenere le mani lontane dalla sua riluttante pedina.
Emma restò in silenzio quando scese al piano di sotto, pronta per uscire.
Lui le rivolse un'occhiata critica, notando 1 lividi sul suo collo. «Penseranno che ho tentato di strangolarvi» disse soddisfatto.
«Vista la reputazione di cui godete, nessuno ne sarà sorpreso. Solo... è improbabile che abbiate fallito.»
«Oh, non sono famoso per uccidere a sangue freddo. Dissolutezza, depravazione e, forse, tortura sono le mie specialità, ma massacrare giovani donne virtuose mi manca.»
«Sono considerata una giovane donna virtuosa?»
Lui la guardò pensieroso. Il vestito nero che indossava sottolineava le curve del suo conturbante corpo e la scollatura, benché modesta in confronto a quella di lady Barbara, era scandalosamente bassa per una giovane rispettabile. I magnifici capelli rossi coprivano le spalle e la bocca morbida e umida era assolutamente provocante.
C'erano anche gli occhi, di un caldo color miele, che lo fissavano con incontestabile innocenza. Solo uno sciocco totale non l'avrebbe notata.
Ma quante persone avrebbero perso tempo a fissarla negli occhi quando c'erano così tanti posti deliziosi dove guardare? «Improbabile. Chiunque passi del tempo con me è considerato una persona corrotta.» Avanzò verso di lei, lentamente, concedendole il tempo di scappare.
Anche se avrebbe voluto fuggire, Emma non si mosse, un'espressione allarmata sul viso, un improvviso bagliore di panico negli occhi. Sollevò il mento in segno di sfida e non indietreggiò.
Povera bambina, pensò lui, non sapeva che il suo disprezzo e la sua paura lo attraevano ancora di più.
Le chiuse la collana che aveva scelto per quella sera attorno al collo, le perle che risplendevano contro la sua pelle. Resistette alla tentazione di accarezzarle i lividi, al bisogno di appoggiare la bocca su quei graffi, all'impulso di andare a chiudersi nello studio e ubriacarsi di brandy.
Fece un passo indietro, sfoggiando un sorriso falso. «Vi sta benissimo. Stasera andremo a una piccola festa dove si cena e si ascolta musica. Ci saranno solo un centinaio di persone, il fior fiore dell'alta società di Londra.»
«Davvero?» replicò Emma in tono freddo. A quanto pareva il suo coraggio cresceva a mano a mano che Killoran si allontanava da lei.
«Vi starete chiedendo perché sono stato invitato...»
«No.» Sembrava sinceramente perplessa.
«Sono un nobile, tesoro. Un irlandese, certo, ma pur sempre un nobile. E poi la padrona di casa, lady Seldane, ha un debole per me. E molto ricca e di alto lignaggio, perciò è nella posizione di fare tutto quello che le pare. Per questo sono stato invitato a una festa in cui di solito non sarei il benvenuto. E l'invito, ovviamente, è esteso anche; alla mia cara sorella.»
Aspettò che Emma negasse la loro parentela e fu quasi deluso quando lei restò in silenzio, limitandosi ad accettare il mantello di velluto nero che lui le mise sulle spalle.
Non fu altrettanto lieta di accettare il suo braccio. Non le piaceva toccarlo, pensò Killoran, trovandolo affascinante. E’ molto promettente.
Emma non si stava divertendo. Ancora una volta era l'oggetto dell'interesse, palese o celato che fosse, di tutti gli ospiti della festa. In pochi le avevano parlato e Killoran le aveva tenuto la mano sul braccio per tutto il tempo, un gesto di possesso che la innervosiva e contemporaneamente la eccitava. Era troppo tesa anche per assaggiare il cibo che le avevano messo davanti. I suoi vicini, poi, le avevano rivolto la parola quel poco che bastava per non essere scortesi e la maggior parte dei commenti aveva riguardato il tempo.
Dopo cena le cose erano andate anche peggio. Il concerto era stato orribile, con un tenore stonato, un soprano ansimante e una giovane che suonava il clavicembalo con la delicatezza di un elefante. Emma si era seduta su una poltroncina dallo schienale dorato, Killoran accanto a lei e i posti attorno a loro erano rimasti vuoti. Era stata una vera tortura. Sarebbe stato inutile pregare il suo accompagnatore di andare a casa: se l'aveva portata lì, c'era di sicuro una ragione. Per lo meno alla festa non c'era Darnley, fatto di cui Emma era davvero contenta. Il velato malanimo e l'evidente curiosità degli invitati erano già abbastanza duri da sopportare senza il peso dello sguardo bramoso di quell'uomo.
Emma trasalì per una stonatura molto evidente. Il suono che emise il conte poteva essere una risata, peccato che non stesse ridendo. «La giovane signorina Seldane non suona bene quanto voi» le mormorò, la bocca pericolosamente vicina al suo orecchio. «Vi faccio suonare? Li farete scomparire.»
«Non osate!» gli sussurrò furiosa.
«Sarebbe solo una perdita di tempo. Il vostro talento non sarebbe per niente apprezzato e, a meno che lady Seldane non sia nei paraggi, gli ospiti molto probabilmente rifiuterebbero di restare a sentirvi.»
Il conte si avvicinò ancora di più, la bocca proprio accanto al suo mento. Da qualche parte, a breve distanza da loro, Emma sentì un rantolo scandalizzato.
Killoran lo stava facendo apposta! Voleva mettersi in mostra per il perverso piacere che gli dava impressionare le persone!
Allungò una mano verso di lei e le spostò i ricci dal collo, accarezzandola, dopodiché spostò la sedia più vicino, in modo che le loro gambe si sfiorassero attraverso i numerosi strati di gonne e sottogonne. Fece scivolare le dita più in basso, toccandole lievemente la scollatura dell'abito, indugiando sul suo seno gonfio.
«Smettetela!» gli ordinò Emma sottovoce, provando a mantenere un'espressione neutra. «Cosa penseranno gli altri?»
«Esattamente quello che voglio che pensino, tesoro.»
Lei cercò di allontanarsi ma, sotto le balze della gonna, il conte era riuscito ad agganciare un piede attorno alla gamba della sua sedia, incatenandola a sé. Dall'altra parte del salone il soprano stonò, la musica di accompagnamento strimpellò ed Emma si sentì sull'orlo delle lacrime.
«Avevate detto che stavate facendo tutto questo per Darnley» lo pungolò. «Non è neppure qui!»
«Ma verrà bene informato.» Le accarezzò il collo e le tenne il mento tra le dita. La forza di quella mano affusolata era palpabile, ma non le fece alcun male. Non c'era alcuna violenza nel suo tocco, che la umiliava, la eccitava e la tormentava.
Da un certo punto di vista quello peggiorava solo le cose, pensò Emma. La crudeltà, la brutalità e il dolore potevano essere affrontati, neutralizzati, sopportati. Erano qualcosa che poteva affrontare. Ma le carezze languide, le occhiate sensuali... e sapere che faceva tutto parte di un gioco complicato, che lei non era niente di più che un'utile pedina da muovere avanti e indietro su una scacchiera rendeva la situazione insopportabile.
Non poteva farci niente, si disse rattristata. Un lamento soffocato le scappò di bocca prima che potesse fermarlo e Killoran si fermò all'improvviso. Le teneva ancora il mento tra le dita ma non la stava più accarezzando. La studiò e, strano ma vero, non c'era scherno o malvagità nei suoi occhi verdi. La guardò come per la prima volta e, se Emma non l'avesse conosciuto meglio, avrebbe giurato che aveva dei rimorsi di coscienza, sebbene fosse troppo tardi.
Poi il momento passò, così velocemente che sembrò non es< sere mai arrivato. Il conte si piegò in avanti e le posò la bocca sul seno pieno, baciandoglielo e leccandoglielo, afferrandole la mano perché non potesse spingerlo via.
Lei esitò, chiudendo gli occhi turbata da quella devastante carezza.
«Killoran, siete un demonio!» La voce le si insinuò nella mente e, mortificata, Emma spalancò gli occhi per incontrare quelli di una anziana matrona ingioiellata. «Lasciate immediatamente stare quella ragazza!»
Lui si ritrasse, lo sguardo di nuovo maligno, il sorriso ironico, «E perché mai?» domandò lanciando un'occhiata alla donna.
«Perché sono l'unica a cui abbiate mai dato ascolto» rispose l'altra con severità. «Presentatemi la ragazza, Killoran, e poi allontanatevi. Mi sembra che stiate mettendo in imbarazzo questa povera creatura.»
«Lady Seldane, posso avere l'onore di presentarvi mia... ehm... una mia parente, la signorina Emma Brown?» disse Killoran mellifluo, alzandosi in piedi e costringendo la sua protetta a fare altrettanto. Lei quasi inciampò tra le gambe delle sedie. «Emma, questa è la padrona di casa, lady Seldane.»
«Lo sa. Non è una stupida» replicò l'anziana signora. «Perché l'avete fatta vestire di nero? Certo sta benissimo. Formate una coppia singolare, ma non è un po' troppo teatrale?»
«Mi piacciono gli effetti teatrali» le rispose Killoran cordiale. «Ce l'ho nel sangue. E mia... Emma ha avuto un lutto di recente.»
Lady Seldane non sembrò molto colpita. «E chi è morto?»
«Il suo amato zio» proseguì lui, insinuante come sempre. «E stato assassinato in una locanda poche settimane fa. E stato molto doloroso per lei...»
Emma avrebbe voluto ucciderlo. Le sue parole erano deliberatamente ironiche. Era una specie di avvertimento: l'aveva salvata una volta, no, più di una volta, ma poteva smascherarla in qualsiasi momento.
«Molto doloroso, ne sono certa» rispose lady Seldane, sospirando. «Ma non penso che si sia vestita di nero solo perché è in lutto. Anzi, sono sicura che questo si adatta perfettamente ai vostri piani, Killoran.» Sventolò il ventaglio finemente decorato. «Venite con me, bambina, raccontatemi un po' di voi. Questo individuo mostruoso andrà a prenderci dello champagne e ci lascerà sparlare un po' di lui.»
«Il pensiero mi terrorizza» commentò lui sottovoce.
Lady Seldane lo colpì forte con il ventaglio. «Niente può terrorizzarvi, Killoran, per questo mi piacete.» Si rivolse a Emma, gli occhi piccoli e scuri sul faccione tondo. Indossava un'altissima parrucca adornata di nidi di uccello e di pizzi, e sfoggiava un abito rosso più adatto a una donna di un quarto della sua età e di qualche taglia in meno. «Venite, bambina, Troviamo un posto dove stare tranquille» le disse, avviandosi per il salone.
Emma non ebbe altra scelta che seguirla. L'anziana matrona era più bassa di lei di oltre una spanna e molto, molto più in carne, come sottolineava la sua ampia gonna. L'alternativa era impraticabile; restare con il conte e permettergli di toccarla era più di quanto potesse sopportare. E la lasciva, orribile curiosità degli altri invitati era altrettanto inquietante. Lady Seldane le offriva una via di fuga, per quanto temporanea, anche se Killoran gliel'avrebbe fatta pagare per questo.
Non si accorse che stava trattenendo il fiato finché non giunsero in un salottino tranquillo e intimo. Le pareti erano di un rosa pallido e l'arredamento era, strano a dirsi, piuttosto malconcio.
La donna si chiuse la porta alle spalle e si diresse verso un divano davvero poco elegante ma dall'aria comoda. «Siete sorpresa?» le domandò intuendo i suoi pensieri. Il sofà scricchiolò sotto il suo peso. «Non mi meraviglia. Non è per niente in stile col resto della casa, vero? Ho fatto un buon matrimonio, ma sono cresciuta in una misera canonica. Ero molto povera e, dopo il matrimonio, ho portato questi mobili con me. Quando ho bisogno di sentirmi davvero me stessa, vengo in questa stanza e chiudo la porta. Non ho mai invitato nessuno dei miei ospiti qui.»
Emma la guardò turbata. «Allora perché avete invitato me?»
«Perché voi mi interessate, bambina. E perché nutro un grande affetto per Killoran, benché lui me lo renda difficile. Voglio sapere dove vi ha trovata. E non guardatemi così, so benissimo che non siete sua sorella. Fa tutto parte del suo piano. Voglio sapere cos'ha intenzione di fare con voi. Non gli permetterò di fare del male a un'anima innocente come voi.»
«Perché?»
«Dio santo, sedetevi!» esclamò la matrona esasperata, «Siete troppo alta così in piedi, mi verrà il torcicollo a forza di guardarvi. Io, invece, sono un vero tappo...» aggiunse, sospirando.
Emma obbedì. All'inizio si accomodò con prudenza ma, per quanto vecchia, la sedia che aveva scelto si rivelò molto robusta. Si appoggiò allo schienale sospirando con gratitudine. «Perché dovrebbe importarvi ciò che mi succede?»
«Siete una bambina saggia. Infatti non c'è ragione. Nonostante sembriate una brava persona, non come le signore boriose che in genere varcano la porta di casa mia, l'unico di cui mi importa davvero è Killoran. Se facesse del male a un'innocente, sarebbe insostenibile per lui.»
«E chi lo punirebbe? Non mi pare così vulnerabile...»
«Suvvia, vi credevo una ragazza intelligente, noti costringetemi a cambiare opinione. Killoran punirebbe se stesso. Non ditemi che siete così sciocca da abboccare alla maschera da principe delle tenebre che sfoggia in società. Ha fatto del suo meglio per cancellare ogni traccia di umanità o di rispettabilità che gli è rimasta, ma ogni tanto il vero Killoran riaffiora. Voglio bene a quel ragazzo e non voglio vederlo soffrire.»
«Non credo che esista nessuno in grado di impedirgli di fare quello che vuole.»
«Questo è vero ma, quando ho visto voi, mi sono chiesta...»
Quella pausa la stava facendo impazzire. «Vi siete chiesta che cosa?» domandò Emma incuriosita.
«Cosa sapete di Killoran? Del suo passato, della sua famiglia, della sua infanzia?»
«Molto poco. Suo cugino Nathaniel mi ha raccontato che sua madre era cattolica e suo padre ha ereditato il titolo poco prima di morire.»
«E avete idea di cosa significa essere cattolici in un paese del genere? Non si può aspirare a nessuna carica pubblica, non si possono possedere terreni, non si può ricevere una buona educazione. Il padre di Killoran era protestante, oltre a essere fratello di un conte; quel titolo offrì protezione alla sua famiglia, almeno per i primi anni. Erano abbastanza felici, vivevano in modo semplice: allevavano cavalli e si tenevano alla larga dalla politica.»
«E stato Killoran a raccontarvi tutto questo?»
«Cielo, no! Non metterebbe mai in piazza i suoi affari privati. Io ero la madrina di sua madre. Maeve era una donna dolce e gentile e anche suo marito era una brava persona, un uomo rispettabile.»
«A quanto pare Killoran non ha preso molto dai genitori...»
Lady Seldane soffocò una risata. «Più o meno. E sempre stato un ragazzo ribelle, diabolico. Se solo suo zio non si fosse rotto l'osso del collo! Dopo la morte del fratello, il padre di Killoran ha ereditato il titolo e ha lasciato la fattoria per trasferirsi nella villa del conte insieme alla sua famiglia. E le cose sono andate di male in peggio.»
«Non mi pare che ereditare un titolo e una tenuta sia da considerarsi una sfortuna...»
«Ma vi state dimenticando che Killoran era cattolico. Un ragazzo ribelle appena diventato uomo non poteva sopportare le offese, le beffe e le limitazioni imposte dalla società. E ha deciso di combatterle.» Lady Seldane si sistemò meglio sul logoro sofà, aspettando che Emma le chiedesse di continuare il racconto.
«Che cos'ha fatto?»
«Avete mai sentito parlare dei White Boys? Probabilmente no. Siete troppo giovane per ricordarli. Per quale motivo, poi, una giovane inglese dovrebbe intendersi di politica irlandese? I White Boys erano uno spericolato gruppo di giovani cattolici. Indossavano delle camicie bianche e cavalcavano per la campagna irlandese come dei cavalieri vendicatori, causando guai, distruggendo gli steccati di confine, assaltando gli esattori delle tasse e i proprietari terrieri disonesti. Era solo questione di tempo prima che le autorità protestanti prendessero provvedimenti. E la rappresaglia è stata esemplare: hanno impiccato i capi che sono riusciti ad acciuffare. Hanno dato la caccia anche a Killoran, sapendo quanto fosse pericoloso un conte per la causa. Hanno dato fuoco alla sua tenuta. Quella notte, però, Killoran non era a casa, a differenza dei suoi genitori...» «Oddio!»
«Non si è mai perdonato di non essere riuscito a salvarli. Che i suoi ideali abbiano provocato la morte della sua famiglia. Non me ne ha mai parlato, ma credo sia per questo che ha deciso di non interessarsi più a niente e a nessuno,»
«Che ne è stato degli uomini che hanno dato fuoco alla sua tenuta?»
Lady Seldane scosse la testa e la sua torreggiante parrucca tremò. «Girano delle voci, ma nessuno lo sa con certezza. Killoran ha lasciato l'Irlanda un anno dopo che i genitori sono stati uccisi e credo che in quel lasso di tempo sia stato parecchio occupato. La cosa strana della vendetta è che può distruggere sia chi la medita sia chi la subisce.»
«Ed è stato così? Killoran ne è uscito distrutto?»
«Non lo so. Per un po' ho pensato che fosse ormai senza speranza. Finché non ho sentito parlare di voi, E ho cominciato a chiedermi se magari non potrebbe salvarsi.»
Emma non voleva sentire altro. All'improvviso desiderò fuggire, invece restò seduta lì. «E io cosa c'entro in tutto questo?» domandò senza quasi rendersene conto.
Ma l'anziana signora sembrava annoiata, a quel punto. Appoggiò la schiena al divano, che scricchiolò di nuovo, e si sventolò energicamente il ventaglio davanti al viso. «Credo che lo scoprirete abbastanza presto» le rispose in tono stanco.
«Non voglio!» sussurrò lei, ma lady Seldane la sentì benissimo.
«Siete codarda? Non mi sembrate il tipo, bambina. Avete un cuore da leonessa. Ve lo leggo negli occhi.» La donna annuì. «E dovrete battervi con le unghie e con i denti, se volete salvarlo dai suoi demoni. E ci riuscirete, bambina, se vi dimostrate abbastanza coraggiosa e forte. Ma dovrete mettervi completamente in gioco... sacrificare il vostro cuore, la vostra anima... rischiare persino la morte per lui. Senza neppure la certezza di una ricompensa.»
«Perché dovrei farlo?»
L'altra scoppiò a ridere e il suo imponente corpo si scosse tutto. «Perché lo amate, bambina. Persino uno stupido se ne accorgerebbe. Siete condannata. E, anche se volete fuggire, è troppo tardi. Lo salverete. O morirete nel tentativo di sottrarvi al vostro destino.» Dopodiché tacque, abbassando gli occhi sulle mani grassocce che teneva unite in grembo.
Emma avrebbe voluto negare con tutta se stessa, invece restò in silenzio. Aspettò un'altra perla di saggezza da parte dell'enigmatica donna seduta di fronte a lei, qualche parola di avvertimento o di assoluzione, ma Lady Seldane si limitò a sbuffare.
Si era addormentata.
Lei amava Killoran, rifletté Emma. Persino uno stupido se ne sarebbe accorto. E il conte era tutt'altro che stupido. Avrebbe voluto scappare, sottrarsi alla verità, così chiara per gli altri, ma non aveva nessun posto dove andare.
Uscì dal salotto e richiuse la porta dietro di sé, attenta a non fare rumore per non svegliare lady Seldane. A una prima occhiata il corridoio sembrava deserto, il rumore della festa lontano, e si chiese come avrebbe affrontato di nuovo Killoran.
Poi una figura misteriosa si mosse nell'ombra» avanzando nel buio, e lei capì che lui l'aveva trovata.
«Vi siete alleggerita la coscienza?» le domandò in tono divertito. «No.»
«Allora è stata lady Seldane ad alleggerirsi la coscienza? Potrebbe far arrossire persino Barbara, se volesse. Ha vissuto una vita avventurosa ed è una donna che ama parlar chiaro.»
"Voi lo amate" le risuonò nella mente. "Persino uno stupido se ne accorgerebbe."
«Sì» rispose poco convinta.
Avrebbe dovuto sapere che Killoran non si sarebbe lasciato ingannare. «Cosa voleva da voi? Gli scandalosi dettagli del vostro passato? Ha cercato di scoprire se siete davvero mia parente?»
«Sa benissimo che non sono vostra sorella» replicò lei, sforzandosi di mantenere un tono severo. «Per la verità voleva semplicemente mettermi in guardia.»
«Mettervi in guardia? Sorprendente. Pensa che io voglia sedurvi e abbandonarvi?» Non sembrava granché interessato.
«Non lo so, sembrava più preoccupata del vostro benessere che del mio.»
«Ah. Allora forse pensa che siate voi a voler sedurre e abbandonare me. Fortuna che non sa che siete un'assassina, altrimenti sarebbe ancor più preoccupata.» La prese per il braccio in un gesto cortese ed Emma riuscì a non rabbrividire. «Vi mando a casa.»
«Perché?»
«Perché intendo trattenermi fino a tardi e preferisco sapervi a casa. Ci sono diversi tavoli da gioco nella stanza verde e il ricco figliastro di lady Seldane è un vero idiota.»
«Non avete bisogno del suo denaro.»
«No, infatti, ma voglio distrarmi dandogli una lezione.»
«Da cosa dovete distrarvi?»
Killoran tacque per un momento. Il suo sguardo indugiò su di lei, lento, languido, scaldandola più che se l'avesse toccata. Poi le passò una mano tra i capelli e le accarezzò il collo. «Forse da voi» sussurrò, abbassando la testa nella sua direzione. Emma si chiese se l'avrebbe baciata di nuovo, come era successo quel pomeriggio nel buio del salone impolverato.
Voleva baciarlo. Voleva che la stringesse tra le braccia e la prendesse. "Persino uno stupido se ne accorgerebbe" le risuonò nella mente, e questa volta fremette.
Un attimo dopo lui la lasciò, un sorriso di derisione sulle labbra sottili. «O, più semplicemente, ho bisogno di distrarmi dalla noia, tesoro. Mi annoio terribilmente e per divertirmi o vinco una fortuna o mi porto a letto una sgualdrina.»
Emma fu felice che il buio nascondesse l'espressione triste del suo viso. «Lady Seldane non si offenderà se spillate denaro al suo figliastro?»
«No. E non si offenderà se privo il suo figliastro di una buona notte di sonno, visto che questo mi terrà alla larga da sua nipote. La verginità di quella giovane è salva, per ora. È una donna di larghe vedute e non giudica né la sua progenie né me.»
Avevano raggiunto la porta di ingresso. Un valletto le mise il mantello sulle spalle e Killoran la condusse fino alla carrozza. «Sono certa che vi divertirete.»
«Ci proverò. Perdonatemi se non vi accompagno fino a casa. John, il mio cocchiere, baderà a voi» le disse il conte, allontanandosi dalla vettura.
Si era già dimenticato di lei, pensò rattristata. «Starò benissimo» lo rassicurò allegra. «Forse Nathaniel è a casa e mi terrà compagnia.»
Lui si fermò, dandole la schiena mentre saliva i gradini e, per un momento, Emma si chiese se si fosse spinta troppo oltre.
Killoran si voltò a guardarla, l'espressione subdola. «Nathaniel è più saggio di quanto pensate. Non metterà inutilmente in pericolo là sua vita» la informò, dopodiché scomparve.
Era una notte fredda ed Emma si coprì con la coperta di ermellino, rabbrividendo intanto che la carrozza partiva. Attraversarono le buie strade di Londra e il rumore degli zoccoli sull'acciottolato, Punico suono che si sentiva, la cullò.
Avvolta nella calda pelliccia doveva essersi assopita, poi l’improvviso sobbalzo della carrozza la svegliò. Lo sportello venne spalancato e delle mani si insinuarono all'interno, afferrandola e trascinandola fuori.
Emma lottò, aggrappandosi alla maniglia della portiera e tirando calci. Sentì il suo abito lacerarsi, quindi si ritrovò nella fredda aria della notte.
Non sapeva quanti fossero e non le importava. Qualcuno le infilò qualcosa di scuro e maleodorante in testa e provò a caricarsela in spalla, ma Emma si ribellò, finendo a terra insieme al suo assalitore. Era stata troppo impegnata a difendersi per, strillare, ma scelse proprio quel momento per rovesciare la testa all’indietro e urlare a squarciagola. Uno dei briganti tornò ad aggredirla, schiacciandola sull'acciottolato, impedendole sia di respirare che di lottare.
Emma si agitò più che poteva, chiedendosi se l'avrebbero uccisa, violentata ò magari rapita,, chissà poi per quale spregevole ragione. Le strapparono la collana dal collo e udì le perle sparpagliarsi per la strada gelata sotto di leiv Killoran non le avrebbe più dato gioielli da indossare, visto che li trattava così male, pensò assurdamente.
Non riusciva a respirare. Il ruvido, maleodorante cappuccio di lana nera la soffocava, il corpo sopra di lei era pesante e la asfissiava. Era semplice: stava per morire. Aveva solo un piccolo rimpianto. Si pentiva di aver ceduto al fascino di Killoran, ai suoi occhi spietati e al suo tocco stranamente gentile.
Seguì uno scoppio fragoroso.
L'uomo che la stava immobilizzando trasalì e si irrigidì. Emma sentì colare del liquido caldo, probabilmente sangue,, che si versò sopra di lei macchiandole l'abito. Spinse via il cadavere, che ricadde di lato.
Rimbombò un altro rumore, ma questa volta riconobbe il suono di uno sparo. Si levò il cappuccio in tempo per vedere uno dei suoi assalitori scomparire nella notte. L'uomo accanto a lei giaceva morto a terra. Più in là un altro brigante si stava dissanguando nel fango.
Sollevò gli occhi e incontrò quelli di Killoran. Impugnava due pistole da duello, l'aria imperturbabile. Era in sella a un enorme cavallo nero che Emma non aveva mai visto e sembrava tranquillo, a suo agio. Ripose le armi e le tese una mano.
«Farete meglio a salire sul mio cavallo. Il cocchiere non è nelle condizioni di portarvi a casa.»
Il terreno era duro e ghiacciato sotto di lei, che era inzuppata di sangue. Uno dei suoi aggressori, a quanto pareva ancora vivo, gemette. Il conte si voltò di scatto, l'espressione risoluta, e gli puntò la pistola addosso.
«Non uccidetelo!» gli urlò Emma terrorizzata, alzandosi in piedi.
«Perché no? Vi avrebbe ucciso. E sono certo che ci riproveranno, dato che questi incapaci hanno fallito. La loro morte scoraggerà chiunque voglia attentare di nuovo alla vostra vita.»
«Perché qualcuno dovrebbe volermi uccidere?»
Killoran sorrise con aria distaccata e, nella strada buia e deserta, Emma vide il vapore del suo fiato uscirgli dalla bocca.
«Immagino che voi sappiate la risposta meglio di me. Forse, però, volevano solo rapinarvi. O rapirvi per portarvi da Darnley.» Avvicinò il cavallo. «Allora, venite con me?»
Lei lanciò un'occhiata alla carrozza. I cavalli erano tranquilli e fermi, il cocchiere se ne stava raggomitolato in cassetta e, steso a terra, il brigante continuava a gemere.
Afferrò la mano del conte. Indossava dei sottili guanti di cuoio, infatti avvertì il calore della sua pelle. La forza dell'uomo era evidente e la turbò, intanto che la sollevava in aria senza il minimo sforzo, facendola sedere davanti a lui. Quell'improvvisa consapevolezza insieme all'odore di sangue e di morte che la circondava la allarmò, scuotendola nel fondo dell'anima.
«Come avete fatto ad arrivare così in fretta?» gli domandò con voce calma. Killoran spronò il cavallo, che partì al galoppo. Le sue braccia la circondavano e i loro corpi erano pericolosamente vicini.
«Stavo seguendo la carrozza.»
«Sapevate che stava per succedere qualcosa?» Voleva che lui negasse. Voleva che le dicesse che non l'aveva messa intenzionalmente in pericolo.
«Be', me l'aspettavo.»
La risposta la confortò poco. «Così mi avete usata.»
«E per questo che siete qui, tesoro» replicò lui calmo. «Siete un burattino nelle mie mani. Vi userò a mio piacimento e, una volta che non mi servirete più, vi ricompenserò come si deve. E una situazione che conviene a entrambi. Voi avete bisogno di un lavoro che vi faccia guadagnare del denaro e io ho bisogno di una giovane donna con i vostri innegabili... requisiti. Siamo una coppia perfetta.»
«Non andremo certo in paradiso per questo» replico lei con amarezza.
«No, andremo all'inferno. Ma consideratevi fortunata, cara Emma.»
«Fortunata per cosa?»
«Voi, almeno, potrete scappare.»