9
L’alba illuminava la città di Londra, La neve si era sciolta, la primavera stava lentamente arrivando, ma non c'era gioia, allegria o senso di attesa nell'aria. Non che Killoran li avrebbe notati...
Sedeva accanto al camino, le gambe stese di fronte a sé, un bicchiere di cognac in mano. Cristallo irlandese. Per qualche strana ragione, sentimentale forse, lo preferiva.
Attraverso il vetro della finestra vide la grigia luce del mattino. Ben si adattava al suo stato d'animo. Da qualche parte, al piano di sopra, Emma stava riposando, i capelli rossi sparsi sul cuscino.
Si disse che il pensiero non lo turbava minimamente, ma sapeva che era una menzogna. Non aveva mai avuto bisogno di dormire molto e, in realtà, non gli importava. Non gli piaceva sognare né voleva evocare ricordi ed eventi che aveva allontanato dalla sua vita. Odiava che lo sorprendessero mentre era assopito.
La notte che si era ormai conclusa era stata un vero successo, pensò, chiedendosi perché non si sentisse affatto trionfante. Quell'alcolizzato di Darnley aveva reagito anche meglio di come aveva sperato. In realtà, incontrare Emma era stato un dono del cielo, sarebbe stato uno sciocco a non approfittarne. Lo strumento della sua vendetta, entrato nella sua vita proprio quando ne aveva così bisogno, era steso di sopra, nel letto, i ricci che le incorniciavano il viso. E lui aveva tutta l'intenzione di sfruttarlo.
Per un attimo ripensò alla sensazione delle sue dita forti a contatto con il corpo del suo nemico. Se avesse voluto, avrebbe potuto rompergli il collo e aveva dovuto fare appello al suo leggendario autocontrollo per non cedere all'impulso di ucciderlo. Soprattutto quando la fredda collera omicida che aveva coltivato per dieci lunghi anni era improvvisamente esplosa alla vista di Darnley che maltrattava Emma.
Forse era quello a turbarlo tanto. Aveva giurato a se stesso che non sarebbe mai più stato debole in vita sua. Si era crudelmente privato di ogni emozione e sentimento, concedendosi qualche mediocre divertimento serale, in attesa solo della sanguinosa morte di Darnley. Tuttavia, ora sentiva uno strano desiderio agitarsi dentro di lui. Erano anni che non provava una cosa del genere. E non gli piaceva.
Nemmeno a Emma piaceva, notò con fare assente. Aveva percepito la sua animosità, calda, intensa, quasi sessuale, irradiarsi verso di lui prima, durante la corsa in carrozza che li aveva ricondotti a casa. Era stato così... eccitante. Quello, insieme al ricordo del suo viso mentre guardava l'opera, i suoi occhi lucidi per la commozione. Avrebbe voluto andarle vicino, stringerle la mano, attirarla a sé, accarezzarla e cancellare il segno delle grasse mani di Darnley che l'avevano toccata. Emma, però, l'avrebbe respinto e non sarebbe stato divertente portarsi a letto una donna restia a lasciarsi andare.
Gli sarebbe piaciuto scoprire quanto avrebbe impiegato per soddisfarla. Che suoni avrebbe emesso mentre le abbassava l'abito di seta nera fino alla vita, liberandole i seni dalla morbida sottoveste che le aveva comprato? E, dopo averla fatta stendere sul letto della sua stanza ed essere scivolato dentro di lei, lei avrebbe gemuto? Sarebbe stato facile farle raggiungere l'apice del piacere? O si sarebbe irrigidita, mostrandosi timida, cauta, costringendolo a sedurla lentamente.., oh... così dolcemente...
Killoran era sicuro di poterlo fare. Emma lo desiderava ed era affascinata dalla sua presenza. Non le piaceva molto, cosa prevedibile, ma, come la maggior parte delle donne, faceva Terrore di pensare che in lui ci fosse ancora una scintilla di rispettabilità. Se si era concessa delle fantasie su loro due insieme, probabilmente si era illusa di poterlo salvare.
Peccato che fosse troppo tardi. E, non appena si fosse vendicato di Darnley e fosse stato pronto a lasciarla andare per la sua strada, le avrebbe dimostrato quanto si sbagliava. Se la sarebbe portata a letto e, in questo modo, le avrebbe dato una dura lezione su quanto malvagio poteva essere un uomo. Le avrebbe fatto conoscere il piacere della carne e insegnato come raggiungerlo. L'avrebbe istruita sulle diverse posizioni, sia quelle più convenzionali sia quelle più strane, e l'avrebbe trasformata in una creatura che viveva solo per lui e perle sue carezze. Dopodiché l'avrebbe lasciata. Sapendo che non sarebbe mai più stata capace di trovare un uomo che la facesse sentire viva come riusciva a farla sentire lui.
Reclinò la testa all'indietro e chiuse gli occhi per un momento. A spingerlo a mandare via Emma era un motivo tutt'altro che rispettabile; la rispettabilità c'entrava poco con l'insaziabile desiderio che provava per la donna che dormiva al piano di sopra.
Aveva gettato la giacca su una sedia, togliendosi il fermacravatta di diamanti e la parrucca. I capelli gli ricadevano sciolti sulle spalle e il calore del fuoco si aggiungeva a quello del cognac, che lo stava scaldando da dentro. Ascoltò lo scoppiettio della legna nel caminetto, poi colse un altro debole rumore... dei passi sulle scale.
E riaprì gli occhi.
Emma stava un'altra volta tentando di scappare? Si stava davvero stancando di inseguirla. Certo, lei era fondamentale per il contorto piano che aveva escogitato ma, se gli avesse procurato più guai che vantaggi, avrebbe semplicemente rinunciato alla sua vendetta contro Darnley, limitandosi a ucciderlo in duello. Al diavolo la giustizia machiavellica! Dopo non avrebbe avuto più scuse per tenere quella donna lì con lui e sarebbe stato costretto a cacciarla via.
Lui era nella biblioteca, l'uscio aperto sul corridoio. Raggiunta la fine delle scale, Emma avrebbe potuto dirigersi verso la porta principale senza essere costretta a passare davanti alla sua stanza. E, anche se non ne aveva alcuna voglia, lui avrebbe dovuto correre a riprenderla.
La sua ospite si fermò in mezzo al corridoio e, per qualche strana ragione, Killoran trattenne il respiro, aspettando di sapere cosa avrebbe fatto. Poi i passi si avvicinarono, muovendosi nella sua direzione, lontano dall'ingresso.
La sua silhouette si stagliò sulla porta della biblioteca, una nuvola di capelli a circondarle il pallido viso. Indossava una pesante camicia da notte bianca che non rivelava assolutamente niente delle sue curve voluttuose, e lui si maledisse per non aver prestato attenzione a quel particolare dettaglio, quando le aveva ordinato il nuovo guardaroba. Non che avesse in programma di toccarla, ma ammirare il suo meraviglioso corpo non gli avrebbe fatto male.
La sua ospite restò ferma lì, l'espressione turbata, poi strizzò gli occhi, guardandolo di traverso. «Siete ancora sveglio?»
«A quanto pare.» Si chiese pigramente se avesse intenzione di sedurlo. Sembrava improbabile, visto il genere di donna che era, ma c'era sempre la possibilità che si fosse sbagliato. «Perché siete scesa?»
«Ho qualcosa per voi.»
Killoran fremette. In altre circostanze quella reazione lo avrebbe divertito. Non era un uomo lascivo e aveva frequentato abbastanza donne da sapere che era sempre la solita routine. Portarsi a letto una vergine inesperta, poi, non si preannunciava un'esperienza particolarmente divertente. Eppure quella donna a piedi nudi di fronte a lui, apparsa nel cuore della notte per offrirgli Dio solo sa cosa, era la cosa più eccitante che avesse visto in quegli ultimi anni.
Era perché somigliava a Maude, si disse leggermente nel panico, cosa insolita da parte sua. Gli ricordava il tempo in cui era stato più vulnerabile.
Ma sapeva che non era vero. Emma Brown non somigliava per niente a Maude Darnley. Maude era una vittima, dolce, indifesa e leggermente perfida. Ed era stata quella la sua rovina. Killoran si era stranamente affezionato a lei, ma non aveva mai commesso l'errore di pensare di amarla. L'aveva conosciuta subito dopo essere arrivato in Inghilterra, l'anima ancora scossa dalla morte dei suoi genitori. Maude era carina, frivola e vergine, una distrazione perfetta dal dolore che provava. Ed era stato fin troppo facile mandarla via quando si era rivolta a lui nella più totale disperazione.
Emma, invece, non era una vittima. Se Maude avesse avuto un decimo della sua forza, sarebbe stata ancora viva.
Certo, entrambe avevano dei vaporosi capelli rossi. Emma, però, era più fiera, il corpo più voluttuoso, lo sguardo più ingenuo. Nonostante l'apparente somiglianza, tra le due non c'erano legami. Eccetto che nei suoi piani, rifletté. E nel perverso desiderio di Jasper Darnley.
Dimostrando il suo coraggio, Emma si avvicinò, gli occhi fissi su di lui nella grigia luce dell'alba e nel bagliore del camino, un leggero rossore che le imporporava le guance.
Così non aveva in mente di sedurlo, dedusse Killoran, accettando il fatto con una punta di delusione.
Aveva capito che Emma era davvero miope, uno dei pochi difetti che sembrava avere quella donna. La osservò con aria pigra, senza prendersi il disturbo di alzarsi.
Lei sollevò una mano e gli fece cadere qualcosa in grembo. L'oggetto luccicò in aria e, quando lo afferrò, Killoran capì che era uno dei diamanti della collana. Quando al loro ritorno l'aveva infilata nella tasca della giacca, non aveva neppure controllato se mancavano delle pietre.
«Volevo tenerlo» gli confessò lei con un filo di voce. «Volevo usarlo per scappare da qui. Ero a letto, di sopra, cercando di capire come riuscirci, ma non posso. Voi siete stato troppo buono con me, troppo gentile, e non tradirò la vostra generosità rubandovi qualcosa che vi appartiene.»
Killoran avrebbe voluto schiaffeggiarla. Non aveva mai picchiato una donna in vita sua... non provava nessun piacere nell'infliggere dolore fisico, soprattutto a chi era più piccolo e più debole di lui, ma sentì ugualmente l'impulso di farle del male.
«Non sono né buono, né gentile, né generoso» sottolineò a denti stretti. «Siete dura di comprendonio? Quante volte ve lo devo ripetere?»
Oddio, Emma gli si era inginocchiata accanto e gli aveva preso una mano tra le sue.
«Non capisco perché insistete così tanto nel volermi convincere che siete un farabutto. Il mondo potrebbe anche crederlo, ma io so che c'è un uomo rispettabile dietro quell'aria da... quell'aria da...»
«Da gazza?» suggerì lui. Rigirò la mano tra le sue, catturandogliene una, stringendogliela, accarezzandole le dita. «Siete una bambina, Emma. Una bambina sciocca. Non sono per niente una persona rispettabile. Vi ho salvato al Pear and Partridge perché mi divertiva. Vi ho salvato dalla signora Varienne perché ho una vecchia questione da sistemare e voi mi siete utile a vendicarmi. Se aveste avuto i capelli castani o color topo, vi avrei lasciato a quello che meritereste.»
«Non vi credo.»
«Su, bambina, non potete credere che io passi il mio tempo a fare buone azioni e salvare damigelle bisognose di aiuto!» le fece notare guardandola impallidire, cogliendo il dolore e il rifiuto di crederci nei suoi occhi senza che gliene importasse nulla. «Voi potete essermi utile a risolvere una questione ancora aperta. Valete solo questo per me e nient'altro.» Le rimise il diamante in mano, chiudendole le dita a pugno. «Prendetelo pure. Capirete che ve lo siete più che guadagnato.»
Oddio, sembrava come un cucciolo ferito, notò Killoran.
«E cosa volete che faccia per voi? Che diventi la vostra sgualdrina? Che vada a letto con quell'uomo color pulce? Che lo uccida per voi? Mi sembrava che aveste detto che non è vostra abitudine assoldare persone per uccidere e che preferite farlo da solo.»
«Avete una buona memoria, bambina.»
«E non chiamatemi bambina!»
«Allora non fatela! Quell'uomo color pulce, come l'avete giustamente definito, sa già perché siete qui. Siete una trappola. Una trappola a cui lui non può resistere. Voi lo condannerete a morte e io gli darò il colpo di grazia. Dopodiché, mia cara, saremo beatamente liberi l'uno dall'altra.»
Lei lo fissò. In qualche modo riuscì a riprendersi da quella sua espressione di dolore, ma il calmo sguardo di approvazione che gli lanciò lo rese quasi più nervoso. «Capisco» sussurrò e si rimise in piedi.
Era l'alba e, intanto che Emma si allontanava, dalla finestra filtrò un raggio di luce che le illuminò il collo, coperto dalla camicia da notte.
All'improvviso Killoran imprecò ad alta voce, si alzò dalla poltrona e la fermò prima che uscisse dalla stanza, afferrandola per un braccio con una mano e sollevandole il mento con l'altra.
«Non fatelo!» gli ordinò Emma, ma era fiato sprecato.
Il conte le strappò il colletto della casta camicia da notte, poco interessato al resto del corpo, e i bottoni che la tenevano chiusa rimbalzarono sul pavimento.
Emma provò a scappare, ma lui la riacciuffò, tenendola ferma, cingendole semplicemente la vita con un braccio e attirandola a sé. Poi le sollevò il mento ed esaminò i lividi che aveva sul collo.
«È stato Darnley a farvi questo?» le domandò, la voce piatta.
Colpita dalla sua reazione, Emma cercò di calmarlo. «Non voleva farmi del male, Killoran. E stata la collana.»
«Non importa, mia cara, tanto lo ucciderò comunque. Glielo renderò solo più doloroso.» Le passò delicatamente la punta dell'indice sulla pelle tumefatta.
Emma rabbrividì tra le sue braccia, ma sfoggiò comunque un tono prosaico. «E meno grave di quanto sembra. In realtà pare quasi che mi abbiano impiccato. Adatto a un'assassina, non vi pare?»
Se sperava di distrarlo, fallì miseramente.
«Molto adatto» mormorò Killoran, avvertendo il calore della sua pelle e la forma perfetta delle sue curve sotto la mano. La stoffa della camicia da notte poteva anche essere spessa, ma non nascondeva quanto lei fosse meravigliosa.
Non era mai stato uno che resisteva alle tentazioni o che si vantava del proprio onore, rispettabilità e correttezza. Ripensò agli occhi di Emma prima, all'opera, e alzò la testa, premendole la bocca sulla base del collo, appena sotto i lividi.
Contro le labbra avvertì il pulsare del suo cuore, che batteva rapido. Per paura? Per desiderio? O, forse, per entrambi? Non gli importava.
La fece voltare, così da guardarla in pieno viso. Era una donna alta, più alta di quelle a cui era abituato. Il corpo di Emma sembrò adattarsi perfettamente al suo... sentiva i fianchi di lei contro i propri, il seno contro il petto e il collo di lei era ad altezza bocca mentre le leccava la pelle ferità, dolcemente. Emma rabbrividì di nuovo e a lui piacque. Staccando le dita dal suo mento, fece scivolare la mano tra i loro corpi, nella scollatura lacerata della camicia da notte, e le accarezzò la pelle morbida e sensuale, le sue intriganti forme femminili. Terrorizzata ed eccitata, lei gli tremò tra le braccia e il brivido che le corse lungo la schiena calda e profumata lo fece crollare.
La desiderava. Voleva perdersi nel suo morbido corpo, baciarla sulla bocca, leccarle i seni. Voleva dimenticarsi chi era, cadere in un caldo e oscuro oblio insieme a lei. Al diavolo tutti i piani di vendetta! Al diavolo l'attesa!
L'avrebbe sollevata tra le braccia e fatta stendere sul divano. No, l'avrebbe portata su in camera da letto e le avrebbe strappato i vestiti piano, poi l'avrebbe posseduta, ancora e ancora, finché non fossero stati entrambi sudati, sazi e senza forze. Non le avrebbe permesso di scappare per giorni. L'avrebbe presa lentamente, poi velocemente e con foga... Avrebbe fatto l'amore con lei infinite volte e non l'avrebbe più lasciata andare.
Quella certezza gli risuonò nella testa come una campana a morto. Subito si irrigidì, staccandosi da lei, pur continuando a sostenerla con un braccio in modo che non cadesse intanto che indietreggiava. L'espressione turbata e vulnerabile di prima non era niente in confronto a quella che aveva in quel momento: il petto che si sollevava e abbassava rapidamente sotto la camicia da notte strappata, le labbra pallide e tremanti... Grafie a Dio non l'aveva baciata sulla bocca, pensò quasi sorpreso.
Emma era troppo sconvolta per notare che gli tremava una mano.
«Molto carina» riuscì a dire, pronunciando le parole con un tono distante, attento a dominare quello che provava ad averla accanto. «In un attimo avreste Darnley ai vostri piedi. Con un po' di fortuna, non dovreste neppure andarci a letto.»
Lo disse di proposito, per stuzzicarla. Voleva che Emma si arrabbiasse, voleva che diventasse una furia. Voleva che lasciasse immediatamente la sua casa con i gioielli. Questa volta non avrebbe commesso Terrore di inseguirla. Quella donna era troppo seducente per la sua pace mentale.
Lei, però, restò in silenzio, limitandosi a guardarlo, gli occhi color miele colmi di un infinito dolore. Poi si voltò e uscì dalla stanza.
Killoran non si mosse e restò in ascolto. La sentì salire le scale, i piedi nudi che risuonavano sui pavimento di noce, attutiti dagli spessi tappeti francesi, infine udì una porta richiudersi e la casa piombò di nuovo nei silenzio.
Recuperò la bottiglia di cognac, sfoggiando un sorrisetto compiaciuto e cinico. Dovette buttare giù parecchi bicchieri per farsi passare il tremore alla mano, per cancellare dalla sua mente sconvolta il ricordo del calore del corpo di Emma e il ricordo del profumo della sua pelle, per cadere in un sonno agitato e pieno di incubi.
Il Dio di Miriam DeWinter era davvero prodigioso. Comunque, lei non avrebbe mai tollerato un essere divino che non fosse all'altezza. Le capitava di rado di leggere il giornale e di certo non perdeva tempo su notizie che non riguardassero la finanza e la politica. La finanza, perché amava il denaro sopra ogni cosa. La politica, perché di solito significava guerra, e guerra significava più soldi per la Langolet Ironworks.
La mattina di mercoledì, però, era stata diversa da tutte le altre. La notte precedente aveva sognato la cugina e per colpa di quell'incubo si era alzata con la luna storta. Era così arrabbiata che non era riuscita a fare nient'altro che passeggiare avanti e indietro per il piccolo, buio studio dove gestiva gli affari di famiglia. Aveva già sfogato la sua collera su coloro che erano stati così sfortunati da capitarle a tiro: aveva schiaffeggiato la cameriera del piano di sopra, litigato con il cuoco e graffiato Pringle, il suo discreto e obbediente segretario.
Miriam non cedeva quasi mai alla collera, preferendo dispensare giustizia con freddo distacco ma, una volta rimasta da sola nella stanza cupa e soffocante, che comunque le si addiceva perfettamente, aveva afferrato il brutto cane di porcellana preferito dal padre e l'aveva scagliato nel camino.
Poi era affondata con il suo magro corpo nel divano, che aveva immediatamente cigolato in segno di protesta, e aveva afferrato il giornale pronta a scorrere le pagine riguardanti il settore della navigazione in cerca di notizie interessanti per i suoi affari.
Proprio in quel momento L'Onnipotente aveva diretto la sua attenzione sulla sezione della cronaca mondana. In particolare su un articolo relativo a una misteriosa donna dai capelli rossi che aveva appena debuttato in società.
«Pringle!» strillò Miriam, e la sua voce rimbombò nei corridoi bui della vecchia casa di famiglia.
Pringle, un uomo dall'aspetto funebre e di età indeterminata, apparve poco dopo sulla soglia. «Sì, signorina DeWinter?» le domandò in tono lugubre.
La sua padrona puntò un dito ossuto sul giornale. «Voglio che scopriate chi è questa ragazza», gli ordinò secca. «Qui c'è scritto solo lady X e lord Z e la signorina puntini puntini. Voglio sapere nomi, cognomi e titoli di tutti. E li voglio sapere oggi.»
Pringle si inoltrò circospetto nella stanza, come uno che deve entrare nella gabbia di una tigre affamata, e sollevò il quotidiano. «Non inseriscono mai i nomi veri negli articoli di cronaca mondana» osservò con cautela.
«Perché no?»
«Credo che pensino che tutti sappiano di chi stanno parlando, visto che sia chi scrive sia chi legge appartiene all'alta società. E, se voi non lo sapete, significa che non avete il diritto di conoscere la verità.»
Miriam afferrò il giornale e glielo strappò di mano. «Ci sono diciassette persone menzionate nell'articolo, Pringle. Diciassette persone che sono andate all'opera, al ballo di lady X e alla festa di lord e lady Q. Voglio quei nomi! E li voglio subito!
Il segretario afferrò il quotidiano al volo. Raramente la padrona lanciava le cose, ma la scomparsa di sua cugina, accompagnata dalla morte del padre, aveva messo a dura prova il suo gelido autocontrollo. «Farò del mio meglio, signorina» DeWinter.»
«Dovete riuscirci!» ribatté lei con una pericolosa calma.
Pringle deglutì a fatica. «Sì, signorina DeWinter.»
Jasper Darnley era in ginocchio e stava dando di stomaco. Ormai si era abituato a cominciare la giornata in quel modo: da circa un anno era come se il suo corpo si ribellasse dopo una certa quantità di alcol, ma non aveva intenzione di smettere di bere. Alzava sempre di più il gomito, per cancellare il dolore che provava e trasformare la nausea in un inconveniente senza alcuna importanza.
Killoran sapeva cos'era che lo ossessionava, ma Darnley non capiva come fosse possibile. L'ultima volta che si erano affrontati, quando gli era capitato di incappare in lui in un tratto di strada deserto tra Londra e Barnstaple, pensava che la loro lite avrebbe condotto a un duello. Invece si erano semplicemente presi a pugni, a mani nude, e lo scontro era finito nel sangue.
Era ancora sorpreso di come era finita. Lui era molto più corpulento del conte e aveva la capacità di incassare i colpi di un orso, ma Killoran era più veloce, più furbo, più alto e gli aveva assestato dei pugni così forti e micidiali da farlo barcollare. E, dopo che era caduto lungo disteso in mezzo alla strada, incapace di sollevarsi, l’altro l'aveva preso a calci nello stomaco, attento a evitare la testa, per non ucciderlo con i suoi stivali.
Aveva vomitato sangue per un mese.
Tuttavia, era stato felice di accorgersi che il suo nemico non si faceva alcuno scrupolo. Erano molto simili, in un'altra vita probabilmente sarebbero stati amici. Be', forse non amici, nessuno di loro due dava tanta importanza all'amicizia, ma sarebbero potuti andare a donne insieme., In effetti, avevano finito per dividere la stessa donna.
Era stata tutta colpa di Killoran. Se non avesse osato aspirare a una come Maude, Darnley non l'avrebbe mai nemmeno notata. Non l'aveva toccata per anni, dopotutto andava ancora a scuola e avrebbe anche potuto dimenticarsi di lei, se quel villano irlandese non l'avesse corteggiata. I tentativi di Killoran di conquistarla avevano fatto scattare tutta la sua possessività. Non poteva impedirle di sposare qualche rispettabile aristocratico inglese, ma non le avrebbe permesso di farsi toccare da uno sporco irlandese.
Guardò il contenuto del vaso da notte, poi tornò lentamente a sedersi sul pavimento, appoggiò la testa dolorante contro la parete e prese un profondo respiro. L'aveva sognata di nuovo: quella sensuale sgualdrina l'aveva eccitato e, mentre cercava di liberarla dal diavolo che aveva in corpo, non era riuscito a resistere. Questa volta, però, mentre le stringeva il collo con le dita grassocce, non erano gli occhi azzurri di Maude a guardarlo. Era Emma, la sorellastra di Killoran.
Sapeva benissimo che non era davvero sua sorella, sarebbe stata una coincidenza assurda, quella donna era troppo irresistibile, ma voleva crederci. Li aveva notati subito appena erano arrivati al ballo della madre, come aveva notato la mano affusolata del conte posata con fare possessivo sul corpo di lei, circondato da un'indecente massa di capelli rossi. Il solo pensiero l'aveva fatto impazzire. Aveva già sentito parlare della sorella appena ritrovata del conte. Non c'era pettegolezzo, soprattutto quelli riguardanti il suo acerrimo nemico, che non gli arrivasse quasi subito. Nessuno, però, aveva specificato che la sorella di Killoran somigliava a Maude.
Maude era più bassa, più debole e anche più magra. E non aveva cercato di ribellarsi quando l'aveva aggredita o, almeno, non in modo così feroce. Quella donna, al contrario, l'aveva ridotto male. Era pieno di dolori, aveva dei graffi sulle guance e, dannazione a lei, gli aveva assestato una ginocchiata pericolosamente vicino all'inguine. Ma gliel'avrebbe fatta pagare. Si sarebbe proprio divertito. E Killoran sarebbe rimasto a guardare.
Non aveva idea di come realizzare il suo proposito. In quegli ultimi mesi aveva sempre la mente intorpidita. Cercava di riprendersi con il brandy insieme alla giusta dose di laudano, peccato che avesse la tendenza a eccedere e i momenti in cui era lucido erano davvero rari.
Gli faceva incredibilmente male la testa. Aveva lo stomaco sottosopra, ma ormai era vuoto. Stringendosi la pancia, si piegò in avanti e gemette. Avrebbe dovuto essere più moderato, non indulgere nei vizi, almeno per un po'... Quanto bastava per farsi Emma e finirla con quel bastardo irlandese. C'era un conto in sospeso tra loro due ed era venuto il momento di chiuderlo. Prima avesse fatto fuori Killoran, prima avrebbe continuato a godersi la sua vita.
Poche settimane di relativa astinenza non erano un prezzo troppo alto da pagare, no? Il suo stomaco e la sua mente lo avrebbero ringraziato. E la ricompensa, sotto forma della sensuale sorella del conte, ne valeva la pena.
Poteva ancora sentire la sua bocca sulla gola.
Emma era stesa nel letto, le coperte tirate su, il freddo dell'inverno attenuato dal fuoco nel camino. Si sfiorò il collo ricordando le carezze del conte, il calore delle sue dita affusolate contro la pelle, lo sguardo sognante e perso sul suo volto mentre si avvicinava a lei.
Era rimasta molto delusa quando, all'improvviso, si era ritratto, lasciandola scossa e intorpidita.
Perché? Perché si era tirato indietro? Perché non aveva osato di più? Lei era troppo stupida per respingerlo e il conte probabilmente lo sapeva. D'altra parte, perché Killoran avrebbe dovuto desiderarla quando aveva lady Fitzhugh?
Strano, però, non li aveva mai visti entrare o uscire dalla camera da letto del conte e lui non passava abbastanza tempo fuori casa per prendere parte ai piaceri che quella donna notoriamente offriva.
Forse si asteneva per gentilezza verso Nathaniel, chiaramente infatuato di lady Barbara, ma ne dubitava. Killoran era senza dubbio un uomo migliore di quanto dichiarava, ma questo non significava nulla. Non era il tipo da frenare i suoi impulsi animali per rispetto a un giovane ingenuo che era stato cosi sciocco da innamorarsi dell'amante del cugino.
Anche quello doveva far parte del complicato gioco orchestrato da Killoran. Con ogni probabilità pensava di convincerla a partecipare tentandola con diamanti e carezze che si spingevano fino a un certo punto e non oltre. Se era così, non era poi quel cinico esperto nel giudicare le persone che sosteneva di essere.
Era pronta a fare tutto quello che lui voleva.
Le ragioni della sua scelta erano innumerevoli e non avevano niente a che vedere con i diamanti o le carezze. Be\ un po' le carezze c'entravano, ammise con brutale onestà.
Gli avrebbe obbedito perché aveva come l'impressione che fosse passato molto tempo dall'ultima volta che qualcuno aveva fatto qualcosa per lui, senza volere qualcosa in cambio, senza pensare a cosa ci avrebbe guadagnato. Se Killoran voleva che lei si fingesse sua sorella, che frequentasse l'alta società, che attirasse il suo nemico, allora lo avrebbe accontentato. Aveva il sospetto che sarebbe persino andata a letto con Darnley, se Killoran glielo avesse chiesto.
Dio, stava impazzendo, non c'erano dubbi. E sapeva bene qual era il motivo. Lei, che aveva vissuto la maggior parte della sua esistenza come una reclusa, senza vedere o parlare con nessuno, si era completamente, disperatamente innamorata del primo uomo che aveva incontrato.
E il fatto che non fosse né giovane né bello, ma il più tenebroso, il più cinico e il più decadente dei ricchi gentiluomini non sembrava avere alcun effetto sul suo buonsenso. Era dissoluto oltre ogni immaginazione e l'immaginazione di Emma era davvero sfrenata.
Si era sempre considerata una donna ragionevole e, mentre era stesa nel letto al buio, analizzò la difficile situazione in cui si trovava. Non era poi cosi strano che avesse sviluppato un'irrazionale passione per Killoran, dopotutto era comparso dal nulla, come un cavaliere dall'armatura scintillante, e l'aveva salvata da morte certa. Il fatto che le sue ragioni fossero tutt'altro che nobili poco importava. L'aveva aiutata e lui era così maledettamente attraente! Nessuna meraviglia che ne fosse affascinata e terrorizzata allo stesso tempo.
E avrebbe anche potuto dimenticarlo, se non fosse riapparso proprio quando aveva più bisogno di lui. In realtà il ricordo dello zio che giaceva morto ai suoi piedi e dei giorni trascorsi nella zona peggiore di Londra la turbava ancora.
Ricacciò indietro l'angoscia, era sicura che prima o poi sarebbe scomparsa. Killoran era tutt'altro che una persona ammirevole e, nonostante fosse l'uomo più affascinante su cui aveva posato gli occhi, dato che nelle successive settimane avrebbe frequentato i migliori salotti di Londra, come lui aveva deciso, probabilmente avrebbe incontrato uomini persino più attraenti, uomini che non erano restii ad ammettere di essere buoni, gentili e d'onore.
Avrebbe potuto sposarne uno. Improbabile, certo, ma lei era molto ricca e i giovanotti delle classi più elevate erano sempre a caccia di ereditiere. Se fosse riuscita a sottrarre alle avide mani della cugina il suo patrimonio, alla fine avrebbe anche potuto essere felice.
Tranne per la piccola, cocciuta parte di lei che non riusciva a immaginare un lieto fine che non includesse Killoran.