16
Non c'era via di fuga e, nella luce del camino, Emma capì di non poter lottare.
In realtà sapeva che, qualora fosse riuscita a sottrarsi alla sua stretta, lui l'avrebbe lasciata andare. E, se fosse stata una donna forte e risoluta, sarebbe scappata.
Peccato che fosse tutt'altro che forte quando c'era di mezzo Killoran, dimostrandosi risoluta solo nell’autodistruggersi. Anche fuggendo, non si sarebbe mai liberata di quell'uomo.
Avrebbe potuto sottomettersi, visto che l'aveva segretamente desiderato fin dal loro primo incontro. La cugina aveva ragione: lei era una donna corrotta e provava dei sentimenti sconvenienti. E si sarebbe concessa al demonio, lì, su due piedi.
Gli cadde tra le braccia: dato che non poteva fermarlo, almeno non l'avrebbe tirata troppo per le lunghe. Si sarebbe stesa sul letto e gli avrebbe lasciato fare quello che voleva. Prima si fosse arresa, prima sarebbe finita. E dopo lui non l'avrebbe più desiderata. Miriam e Gertie erano state molto chiare in proposito: una volta posseduta una donna, gli uomini perdevano ogni interesse. Arrendersi a Killoran era la scelta più saggia, date le circostanze.
Il conte le affondò le dita tra i capelli e le tenne la testa tra le mani, alzandole il mento. Alla luce del camino aveva un aspetto pericoloso, animalesco e diabolico.
Emma restò ferma, in attesa.
«Vi offrite come vergine in sacrificio?» le mormorò. «Pensavo aveste più orgoglio.»
«Non farò resistenza» gli rispose in tono basso. «Mi dispiace, so che l'avreste preferito, ma non posso più ribellarmi. Tanto alla fine vincete sempre... a carte come a dadi o in duello.»
Lui le passò un pollice su una guancia, «Ho una fortuna del diavolo.» Premette il suo corpo fiero e muscoloso contro di lei, ricordandole ancora una volta quanto potente fosse, sia fisicamente che emotivamente.
Emma provò a ritirarsi in un luogo buio e oscuro della mente, poi la paura prese il sopravvento. E non era lui che temeva, ma se stessa. Chiuse gli occhi e lo sentì baciarle una palpebra. Il cuore le tamburellava disperato in petto e cercò di rassegnarsi.
Non era mai stata tanto vicina a un uomo. Avvertiva tutta la sua forza, il suo calore. Ovvio che non riuscisse a toglierselo dalla testa. Per quanto tentasse di resistergli, le emozioni che provava vanificavano ogni suo tentativo di controllarsi.
Killoran le sfiorò l'altra palpebra. Lei non pensava che gli piacesse baciare, eppure le sfiorò la tempia, le guance, il naso con le labbra. Poi, nella notte piena di ombre, le loro bocche si unirono.
Era luce e buio, peccato e perdono, inferno e redenzione.
Gli cinse la vita con le braccia, attirandolo ancora più vicino. Sentiva il calore della sua schiena sotto il fine tessuto di cotone della camicia. Le sue labbra sapevano di cognac. Killoran infilò le mani tra i loro corpi, toccandole il seno; ed Emma odiò gli strati di stoffa che li separavano.
Quel bacio era una celestiale tortura che le stava rubando la vita, l’anima, il respiro, ma non le importava. Se ne privava volentieri, pur di godere di quelle sensazioni. Aderì al suo corpo di maschio, stringendolo, desiderandolo, poi capì che Killoran stava provando a ritrarsi, a mettere della distanza tra loro.
Si aggrappò a lui, affondandogli le dita nella carne, avendo bisogno di sentirlo più vicino, ma il conte aveva molta più forza di lei e non temeva di usarla. La allontanò da sé ed Emma si appoggiò contro il muro, guardandolo scossa e piena di vergogna.
«Dimmi di no» le disse con voce bassa che trasudava amarezza. «Dimmi di lasciarti sola.»
«Toccami» gli ordinò invece Emma.
«Non hai un po' di buonsenso? Un po' di orgoglio? Ti rovinerò. Dimmi di no!»
Quello che le stava parlando non era Killoran, il freddo, elegante seduttore, era un uomo addolorato, bisognoso. Era il suo uomo, anche se solo per un breve istante.
«Sì» gli rispose sicura. Tese le mani nella sua direzione; le tremavano leggermente, non poteva evitarlo.
Lui avrebbe potuto girarsi per andarsene ed Emma non avrebbe potuto impedirlo. Tutto quello che poteva fare era offrirgli se stessa e aspettare.
Killoran le rivolse un'occhiata indifferente che la deluse e lei si sentì travolgere da un'ondata di dolore misto a disperazione. La sofferenza e il bisogno dell'uomo di fronte a lei erano svaniti, sostituiti da un'espressione indecifrabile, la bocca curvata in un sorriso di derisione. «E sia. Lungi da me negare il piacere a una donna.»
Lei ritrasse le mani, come se si fosse scottata, ma era troppo tardi.
Il conte gliele afferrò, imprigionandole tra le sue. «Sarà un piacere» la avvertì, la voce bassa e seducente., «Ho un dono raro, te ne accorgerai. Non ho mai perso al gioco, ho avuto un sacco di donne e ci so fare con i cavalli. So come spogliare un uomo della sua fortuna, domare uno stallone e sedurre una donna fino a farla gridare di piacere.»
La attirò vicino, inesorabilmente vicino. Emma provò a indietreggiare; aveva come l'impressione che quello non fosse Killoran, ma un uomo ancor più pericoloso di cui era meglio non fidarsi.
Le cose, però, erano andate troppo oltre.
Lui la stava tirando verso il letto. «Girati» le ordinò con voce leggermente roca.
Lei gli obbedì perplessa e gli diede la schiena, guardando il letto coperto dalla morbida pelliccia.
Killoran le sollevò i capelli dalle spalle e le posò la bocca sul collo, aprendole i lacci sui davanti del vestito con diabolica abilità. Quando l'abito le ricadde sulle braccia, le baciò le spalle, spogliandola con più velocità e destrezza di una cameriera esperta. Le slacciò il corsetto, quindi le sciolse i nastri delle sottogonne e del panier che teneva largo l'abito sui fianchi. Cadde tutto sul pavimento e lei restò lì, seminuda, rabbrividendo nonostante il calore della stanza.
La baciò ancora. Emma avvertì la sua bocca calda e umida attraverso la stoffa leggera della sottoveste. Lui si inginocchiò alle sue spalle, appoggiandole le mani sui fianchi, stuzzicandole la schiena con la lingua.
Meravigliata quanto incredula, Emma si sentì gemere. Le abili dita del conte la stavano accarezzando, calde sulla sua pelle bollente, scendendo sulle gambe e incendiandola. Avrebbe voluto afferrargli le mani perché le accarezzasse il seno, che premeva contro il cotone, invece restò immobile e chiuse la bocca cercando di tacere, godendo della sensazione delle sue dita sulle cosce, prima all'esterno, poi all'interno. Lo sentì ridere piano e allontanarsi. E all'improvviso Emma ebbe paura che avesse cambiato idea e non volesse più sedurla.
Quando la spinse gentilmente verso il letto, fu costretta a stendersi sul materasso a faccia in giù. Killoran la seguì, sdraiandosi sopra di lei, alzandole la sottoveste sui fianchi e sollevandogliela sopra la testa per spogliarla. Si era seduto a cavalcioni sulle sue cosce, i pantaloni di seta freddi contro la sua. pelle, facendo scorrere le mani sul suo corpo, sul suo posteriore, seguendo la linea della schiena.
Emma si inarcò per il piacere, come un gatto, incapace di trattenersi.
«Ti piace, vero?» le mormorò lui. «Non avevo dubbi. Sei una donna sensuale, tesoro, non importa quanto cerchi di nasconderlo. Sei nata per questo.»
Lei avrebbe voluto protestare. Non era nata per quello, era nata per stare con lui, ma sapeva che non l'avrebbe ascoltata. O, se l'avesse fatto, l'avrebbe abbandonata, avrebbe allontanato quelle mani forti e abili dal suo corpo. Solo il pensiero la faceva morire.
Così tacque, seppellendo il viso nella coperta di pelliccia intanto che lui da dietro le toccava i fianchi, modellandoli, impastandoli, continuando ad accarezzarla, a sfiorarla ai iati del seno, vicino ma mai abbastanza. Alle dita sostituì la bocca e la baciò dappertutto... tra le natiche e in su, lungo la schiena, fino alla base del collo, lentamente, eccitandola come non mai.
«Potrei prenderti così» le disse in tono sognante. «L'ho già fatto molte volte in questa posizione. Non dovrei vedere il tuo viso, non dovrei guardare dentro i tuoi dannati occhi castani e cogliere quell'indifesa espressione di desiderio. Potrei fingere che tu sia un'amante esperta come Barbara Fitzhugh e non potresti irretirmi. Peccato che tu sia vergine. Farlo così potrebbe spaventarti, essendo la prima volta.
Forse sarebbe meglio lasciar perdere. Puoi anche pensare di voler perdere la verginità, ma non sai cosa mi stai chiedendo di fare. Stai dando via Tunica cosa di valore che possiedi senza avere niente in cambio.»
Le sue parole erano severe, la sua voce melliflua e insinuante. Lei era persa in un sogno, in trance, incapace di opporre resistenza, incapace di replicare.
«Sono bravo a deflorare le vergini come te» le sussurrò all'orecchio. «Ho perso il conto di quante donne ho iniziato alle gioie del sesso, anche se è passato un po' di tempo dall'ultima volta che è successo. Ultimamente ho frequentato solo donne con una certa esperienza a letto, ma sono certo che mi tornerà in mente come si fa.»
"No" rispose Emma tra sé e sé. Killoran si sollevò per un attimo, facendola voltare sulla schiena, poi si rimise a cavalcioni sopra di lei, che rimase stesa al centro del letto a guardarlo, nuda e vulnerabile.
Lui aveva ancora tutti gli abiti addosso e la squadrò dalla testa ai piedi, senza perdere un solo dettaglio. Avrebbe notato le sue curve abbondanti, si preoccupò Emma. Avrebbe notato la voglia a forma di cuore che aveva sotto il seno sinistro e, più in giù, la cicatrice che aveva sul fianco e che si era fatta da piccola, quando era caduta da un albero. Avrebbe visto quello che nessun uomo aveva visto prima: il suo seno, il suo ventre, la sua...
La stanza precipitò nel silenzio. Lei abbassò le palpebre, provando uno strano imbarazzo oltre al desiderio, ma non resistette e le sollevò subito per controllare la reazione di Killoran, che aveva gli occhi socchiusi. All'improvviso ebbe paura di essere giudicata da un intenditore e di non essere all'altezza. Non la meravigliava che fino a quel momento non avesse mai cercato di portarla a letto e che non avesse dovuto fare grossi sforzi per proteggere la sua verginità.
A un certo punto Killoran si piegò su di lei. L'indifferenza era scomparsa dai suoi occhi e dal suo volto, anche se solo per un momento, sostituita dal desiderio. «Sei una rossa autentica. Tesoro mio, sei magnifica.»
«Non sono il tuo tesoro» replicò lei, ritrovando in qualche modo la voce.
L'espressione indecifrabile tornò a incupirgli il viso. «Vero, ma per stasera lo sei.» Le posò le mani sul seno e i suoi polsini di pizzo le fecero il solletico. «Non è così, tesoro?»
Emma avrebbe voluto contraddirlo, negargli quell'unico pezzo di se stessa, benché gli stesse concedendo tutto il resto. Lo conosceva fin troppo bene: sarebbe stato soddisfatto solo quando si fosse arresa completamente e avrebbe atteso finché non fosse successo. «Sì.»
Le strinse i seni tra le mani ed Emma si morse un labbro per trattenere l'urlo di piacere che le salì in gola. Quando poi le stuzzicò i capezzoli inturgiditi e sensibili con i pollici, non poté fare a meno di strillare.
Ti piace, mia cara? Non avevo dubbi. Nessun uomo ti ha mai toccato il seno, vero? In caso contrario, gli taglio le mani. Nessun uomo ti ha mai accarezzato in questo modo?» Lentamente le disegnò dei cerchi sulla pelle.
Emma sollevò i fianchi in risposta. «No» sussurrò, premendosi contrò di lui.
«Se ti piace questo, quello che ti farò adesso ti farà impazzire.» Si piegò in avanti e le posò la bocca sul seno, succhiandole il capezzolo come un bambino.
Lei si aggrappò al letto, ma la pelliccia le scivolò tra le mani. I lunghi ricci di Killoran le ricaddero sul viso, Sollevò una mano e gli affondò le dita tra i capelli per attirarlo più vicino, offrendogli il seno. Lui continuò a succhiarle il capezzolo, provocandole un'ondata di calore che le attraversò il corpo per concentrarsi in un punto caldo e umido in mezzo alle gambe.
Emma si mosse, inquieta, ansiosa e Killoran sollevò la testa per guardarla. Il suo seno era duro, gonfio, umido per la saliva, e lei desiderò solo che tornasse a leccarla.
«Stai diventando impaziente, Emma?» le domandò. «Bene.» E le coprì l'altro seno con la bocca, mordicchiandolo piano e con delicatezza.
Emma fremette in risposta, gemendo, e il conte si ritrasse, staccandosi dal suo corpo, stendendosi accanto a lei, facendo scorrere le dita sulla sua pelle sudata. La stanza odorava di legno bruciato e del loro profumò. Se non l'avesse presa subito, sarebbe morta. E lui lo sapeva.
Le abbassò la mano sul ventre, infilandogliela in mezzo alle gambe e lei le chiuse all'istante, nel panico. Continuò a baciarla, affondandole la lingua in bocca, gustando il suo sapore e fiaccando ogni sua resistenza finché Emma non aprì le ginocchia, permettendogli di toccarla.
Le dita si fecero largo tra la sua peluria umida, affondando infine dentro di lei. Spaventata e a disagio, Emma si contorse per le strane emozioni che provava, lasciandosi all'improvviso travolgere da un piacere avvincente. Tutto il suo corpo fu scosso dall'intensità delle sensazioni che provava e, quando terminarono, si sentì esausta, senza fiato. Confusa e sorpresa, guardò Killoran negli occhi.
Lui le sorrise per un attimo, l'espressione venata da un'insolita vulnerabilità. Poi la baciò di nuovo, facendo scivolare non una ma due dita dentro di lei.
Emma fremette turbata, tentando di protestare, ma il conte non le badò, baciandola ancora, accarezzandola, toccandola, eccitandola con le dita così come con la lingua. Una seconda ondata di piacere la immobilizzò. Il suo corpo si irrigidì e, prima che si riprendesse, una terza ondata la travolse, poi un'altra, ancora più intensa, si accavallò alla precedente. Lui smise di baciarla, ma continuò a tenerle le gambe aperte con le sue e non si fermò.
Lei non riusciva a respirare. Tremava forte, e lo colpì. Killoran non ebbe reazioni, prese gli schiaffi senza tentare di fermarla, continuando a toccarla con le sue abili dita, possedendola, accompagnandola verso una selvaggia follia che univa morte e vita insieme.
«Basta» urlò disperata. «Non posso...»
«Lasciati andare, Emma. Fammi vedere. Non opporre resistenza. Me lo merito. Vieni per me, fammi sentire come urli.»
Emma lo fece. Il suo grido rauco riempì la stanza, mentre il suo corpo era scosso dalle convulsioni, l'ultimo rimasuglio di autocontrollo che svaniva sotto le mani peccaminose e sante di Killoran.
Confusa, ricadde contro la coperta di pelliccia.
Lui si piegò su di lei, prendendole il viso a coppa tra le mani; Le sussurrò qualcosa contro la bocca, ma le parole le attraversarono la mente e si dispersero. Si sforzò di aprire gli occhi, ma non poteva. Ancora sconvolta, cadde nel sonno.
Per un momento Killoran giacque immobile accanto a lei e la osservò: aveva le lacrime agli occhi, anche se, probabilmente, non se n'era neppure accorta. Si sarebbe odiata, altrimenti. Non le piaceva ammettere di essere debole. Soprattutto se era lui a renderla debole.
Osservò il suo corpo formoso e perfetto, accaldato e sudato per il piacere. Era ancora vergine. Avrebbe potuto spingersi ben oltre con lei, ma non voleva farlo. Non l'avrebbe toccata di nuovo.
L'aveva già posseduta, e in modo completo, benché fosse ancora vergine. Chiunque poteva deflorarla, ma lui le aveva preso qualcosa di più importante, una parte della sua anima che Emma non avrebbe mai riavuto indietro. Una piccola parte inviolata di lei gli apparteneva, adesso. E quello gli bastava.
Si sollevò dal letto, attento a non svegliarla. Era così eccitato che gli doleva l'inguine. Si fermò un attimo per sistemarsi il cavallo dei pantaloni, poi si piegò in avanti e tirò la coperta di pelliccia per coprirla. Emma continuò a dormire, ignara, ma alla luce del camino Killoran notò i graffi della sua barba sul seno di lei.
Il fuoco nei salotto si era spento. L'aria era fredda, notò sollevato mentre si chiudeva la porta della stanza da letto alle spalle. Il gelo, però, pur adattandosi al suo pessimo umore, non cancellò la sua fiera erezione.
Si passò una mano tra i capelli. Il profumo di Emma gli impregnava la pelle e sentirlo lo eccitò, facendogli venir voglia di dare un pugno a qualcosa, molto forte., Si sforzò di riacquistare l'autocontrollo, appoggiandosi al tavolo di legno grezzo, rimpiangendo di aver lasciato la festa di Sanderson. Se solo avesse deciso di sfogare il suo desiderio su quella sgualdrina dai capelli tinti di rosso! Avrebbe potuto chiudere gli occhi e fingere che fosse Emma, lei si sarebbe inginocchiata tra le sue gambe per soddisfarlo e lui avrebbe potuto continuare a sentirsi d'acciaio, invincibile.
Tutti i suoi sforzi per tenersi lontano da lei, però, l'avevano solo avvicinato di più. Aveva pensato che seducendola, dimostrandole il suo potere, avrebbe scacciato i demoni, ma non aveva funzionato. Stuzzicando il suo corpo, la sua sensualità, aumentando il suo desiderio e facendole raggiungere il culmine del piacere, si era solo legato di più a lei.
Si sedette su una poltroncina, restando immobile per molti minuti, forse per delle ore» Poi udì un rumore provenire dalla stanza da letto e ci mancò poco che si mettesse a correre. Non ci riuscì, benché fosse la scelta più intelligente. Si limitò a restare seduto lì, sfoggiando la solita espressione beffarda, e aspettò che Emma riapparisse.
Altre donne si sarebbero sentite in imbarazzo, avrebbero esitato a incontrarlo. Altre donne si sarebbero nascoste sotto le coperte e l'avrebbero evitato, visto quello che era successo tra loro. Emma, però, era diversa e lo avrebbe affrontato. La conosceva, come conosceva se stesso e il suo arido cuore. Non si girò quando la porta si aprì. Restò seduto sulla poltroncina, le lunghe gambe appoggiate sul tavolo di fronte, l'aria rilassata.
Aspettò che gli andasse più vicino, pronto a voltarsi a guardarla, poi sentì qualcosa colpirgli un lato del viso facendolo quasi cadere.
Era un schiaffo.
«Accidenti a te!» esclamò lei in collera. E lo colpì di nuovo. «Ti odio.»
Killoran le bloccò le braccia, non era dell'umore adatto per farsi prendere a sberle da una donna infuriata né per mostrarsi gentile. La attirò a sé, immobilizzandola contro il proprio petto. «Suppongo che dovrei essere felice che tu non abbia sfoderato uno spadino o un attizzatoio» le rispose ironico.
A quelle parole Emma impallidì, si calmò per un momento, poi gli diede una ginocchiata all'inguine. Questo non gli fu di molto aiuto, viste le sue condizioni, e una parte di lui si chiese come sarebbe sopravvissuto alla giornata.
«Se li avessi avuti sottomano, ti avrei ucciso» rispose lei con voce sicura. Indossava di nuovo la sottoveste, che però non la protesse dagli occhi curiosi di lui. Emma lo ignorò.
«Non è la prima volta che una donna mi schiaffeggia, ma in genere non lo fanno così presto. Dovresti sentirti in debito con me, tesoro. Mi sono appena prodigato per farti provare un piacere sublime e ho conservato la tua verginità. Pochi uomini si sarebbero comportati in modo così nobile.»
«Nobile?» strillò lei in collera. «La nobiltà non c'entra niente. Non mi hai mai voluta, me l'hai dimostrato fin troppo bene. Se mi desideravi, mi avresti presa. Non sei il genere di uomo che rinuncia a qualcosa che lo attira. Io sono stata un gioco per te, un mezzo per vendicarti del tuo peggior nemico, un gingillo con cui divertirti. Volevi provarmi che potere hai su di me, quanto indifesa fossi; ed è quello che hai fatto, no?»
All'inizio Killoran non si prese il disturbo di rispondere. «Avevo dimenticato quanto diventano noiose le vergini quando si sentono offese» mormorò dopo qualche secondo. «In effetti c'è un fondo di verità nelle tue accuse. Mi dispiace. Mi sembrava che avessi dei dubbi riguardo al concedermi il tuo corpo meraviglioso. Non volevo che avessi dei ripensamenti e ti ho risparmiato la fatica. Dovresti essermi grata. Puoi ancora sposare qualche rispettabile proprietario terriero e offrirgli la tua verginità.»
Lei si dibatté per liberarsi dalla sua stretta e lui la lasciò andare. Indietreggiò di qualche passo e restò lì a guardarlo, il seno magnifico che si alzava e si abbassava, lo sguardo infuocato. «Molto gentile da parte tua.»
«Puoi dirlo, anche se a quanto pare non sei d'accordo. Ti dispiacerebbe spiegarmi cos'hai da obiettare? Hai ragione, non avrei dovuto nemmeno sfiorarti, ma eri irresistibile.»
«Ah!»
«Ah?»
«Se ero così irresistibile, allora perché sei venuto a sederti qui completamente vestito e io mi sono svegliata nel letto nuda e sola?»
Lui esitò per un momento. «Cara bambina, ti stai lamentando perché prima non sono andato fino in fondo?»
«No!» esclamò Emma con calma.
«Allora perché stai facendo tutto questo chiasso?»
«Perché non mi vuoi. Perché mi hai presa, usata e umiliata senza provare il minimo desiderio per me, sentendo solo il bisogno di mortificarmi e mettermi in imbarazzo e...»
Lui si mosse così velocemente da metterle paura, alzandosi dalla poltroncina e andandole vicino, prendendola per le spalle e spingendola contro il tavolo. «Non ti ho né mortificata né messa in imbarazzo né umiliata» le rispose a denti stretti.
«Non mi volevi...»
«Dio abbia pietà di me!» scattò lui alla fine, perdendo il controllo. Le afferrò una mano e se la portò all'inguine, premendosela sull'erezione. «Sai cos'è questo?»
Emma provò a ritrarsi, ma Killoran non la lasciò andare. Non sapeva se le stava facendo male o meno, ma non gli importava. Le premette la mano contro i calzoni, con forza, ritmicamente, incapace di trattenersi.
«Lo immagino.»
La sua risposta secca lo fermò solo per un momento. «Immagini bene. E un uccello, mia cara. Un pene dolorosamente eretto. E mi trovo in queste condizioni soltanto a causa tua, angelo mio. Ti sto mostrando rispetto, ed è incredibilmente difficile. Sto risparmiando la tua verginità per qualcuno che la meriti e che la apprezzi.»
Emma lo fissò perplessa. Era senza fiato e Killoran intravide la pelle scura dei suoi capezzoli sotto il leggero tessuto bianco della sottoveste. «Hai scelto uno strano momento per mostrarmi rispetto.»
«Accidenti a te!» Si allontanò da lei e si fermò accanto al tavolo, dandole le spalle. «Torna a letto.»
Sentiva il suo sguardo sulla schiena, il sensuale profumo di rosa e lavanda della sua pelle calda. "Vai" la pregò mentalmente. "Dio Santo, vai e basta!"
Emma gli passò accanto e lui cercò di concentrarsi su altro. E ci sarebbe riuscito, se lei non gli avesse sfiorato una mano, soffermandosi un pericoloso secondo di troppo.
La afferrò per un braccio, non pensando alle conseguenze del suo gesto.
Le prese il viso tra le mani, sollevandoglielo per baciarla sulla bocca, e quella fu l’ultima goccia. Le strappò la sottoveste e fece lo stesso con i suoi pantaloni. Era una bestia impazzita e la trascinò sul pavimento duro, coprendola con il suo corpo forte.
Killoran le allargò le gambe, rudemente, spingendosi dentro di lei, dimenticando per un momento tutto tranne il proprio selvaggio bisogno. Lei era pronta, umida, e le ruppe l’imene prima di potersi fermare. La sentì urlare, un breve grido di dolore ma, quando si fermò cercando di ritrarsi, lei lo circondò con le braccia e lo strinse forte, fortissimo a sé. Killoran la spinse a cingergli la vita con le cosce. Era troppo tardi: aveva tentato di resistere al desiderio, a Emma, ma Punico ad avere perso era lui. Cedette a un bisogno così potente che lo travolse e tutto quello che poté fare fu crogiolarsi nella sensazione di lei, del suo calore, del suo corpo contratto, del furioso battito del suo cuore che gli martellava contro il petto, delle sue unghie conficcate nella schiena che lo graffiavano mentre affondava in lei ancora e ancora, risvegliando una parte di lui che aveva perso tanto, tanto tempo prima.
Il pavimento era duro sotto le ginocchia e probabilmente Emma aveva male alla schiena a stare in quella posizione. Killoran allora si girò trascinandosela dietro, in modo che lei gli stesse sopra a cavalcioni. Sembrava turbata, anche se era terribilmente sensuale. Gli tremavano le mani mentre la afferrava per i fianchi, mostrandole come muoversi. I suoi lunghi capelli rossi le scendevano sulle spalle, coprendo anche lui.
Il volto di Emma era teso per l'impazienza, desiderando senza saperlo di raggiungere il culmine del piacere. Così Killoran la toccò, infilando una mano tra i loro corpi uniti per accarezzarla finché lei non esplose in un urlo selvaggio, il corpo rigido e scosso dalle convulsioni, muovendosi e stringendosi contro di lui, che non ebbe altra scelta che seguirla nell'estasi, inondandola con il suo seme.
Emma gli crollò addosso, afflosciandosi come una bambola di pezza. Killoran giacque sotto di lei nella stanza buia e fredda, accarezzandole i capelli, troppo sazio per pensare alle conseguenze di quello che era appena successo. Lei si era lasciata andare con la stessa intensità con cui affrontava ogni cosa e quella sua resa, completa e totale, lo divertì intenerendolo al contempo.
Quando Killoran si tirò su a sedere, allontanandosi delicatamente da lei, Emma si mosse a malapena. Lui si tolse i pantaloni strappati e la sollevò tra le braccia per portarla a letto.
L'aveva appena stesa sulla coperta di pelliccia quando Emma gli strinse le mani nelle sue, gli occhi sbarrati.
«Non lasciarmi» gli sussurrò terrorizzata. «Non lasciarmi mai.»
Lui la guardò, sapendo che l'avrebbe mandata il più lontano possibile. «No» le promise, mentendo. Le si sdraiò accanto e la abbracciò, sentendola ancora rabbrividire, scaldandola con il proprio corpo.
Emma gli credette, che stupida. Qualche istante dopo si addormentò di nuovo, morbida, calda, odorosa di sesso e di fiori poi gli si rannicchiò accanto come se si appartenessero reciprocamente.
Troppo pericoloso.
Lui non apparteneva a nessuno. Doveva ricordarselo, pensò Killoran. Le restò accanto, accarezzandole i capelli in un gesto dolce e gentile, guardandola nel buio rischiarato dalle prime luci dell'alba.