8. L’IPOTESI DEL MARCATORE SOMATICO
Ragionamento e decisione.
“Noi non pensiamo quindi affatto al presente; e se ci pensiamo, È solo per prendere lumi per predisporre l’avvenire” (1). Queste sono parole di Pascal, ed È facile vedere quanta percezione egli avesse della virtuale non esistenza del presente, essendo noi rosi dall’abitudine di usare il passato per pianificare ciò che verrà poi, tra un momento o in un futuro lontano. Ragionamento e decisione riguardano tale incessante, onnicomprensivo processo di creazione; questo capitolo riguarda una frazione delle sue possibili basi neurobiologiche.
Può essere corretto affermare che lo scopo del ragionare È decidere, e che l’essenza del decidere È scegliere una possibile risposta, cioÈ un’azione non verbale, una parola, una frase - o una loro combinazione - tra le molte disponibili al momento e in rapporto con una situazione data. Ragionamento e decisione sono così intrecciati che spesso si usano i due termini in modo intercambiabile; Philip Jo-hnson-Laird ha colto quest’intreccio con la frase: “Per decidere, giudicate; per giudicare, ragionate; per ragionare, decidete - su che cosa ragionare” (2).
Inoltre, i due termini per solito implicano che chi decide conosca: a) la situazione che richiede una decisione; b) le differenti possibili scelte di azione (risposte); c) le conseguenze di ciascuna di tali scelte (esiti) nell’immediato e in tempi futuri. La conoscenza esiste nella memoria sotto forma di rappresentazione disposizionale e può essere resa accessibile alla coscienza in versioni sia linguistica sia non linguistica, pressoché simultaneamente.
I due termini implicano anche che chi decide possegga qualche strategia logica per produrre inferenze efficaci sulla base delle quali scegliere un’adeguata risposta, e che siano operanti i processi di sostegno che il ragionamento richiede. Tra questi ultimi si citano di soli-to l’attenzione e la memoria operativa, ma nemmeno un accenno si fa all’emozione o al sentimento, e quasi nulla si dice del meccanismo mediante il quale si genera un repertorio di opzioni diverse tra cui scegliere.
Se ne desume che non tutti i processi biologici che culminano nella scelta di una risposta rientrano nell’àmbito del ragionamento e della decisione quali li abbiamo definiti. I seguenti esempi serviranno a illustrare questo punto.
Primo esempio: si consideri quello che accade quando il livello degli zuccheri nel sangue si abbassa e i neuroni dell’ipotalamo rilevano questo calo. Vi È una situazione che richiede un’azione; vi È un "know-how" fisiologico iscritto nelle rappresentazioni disposizionali dell’ipotalamo; vi È infine, iscritta in un circuito neurale, una “strategia” per selezionare una risposta, consistente nell’istituire una condizione di fame che alla fine porterà il soggetto a mangiare. Ma il processo non coinvolge alcuna conoscenza dichiarata, alcun dispiegamento esplicito di opzioni e conseguenze, alcun meccanismo conscio di inferenza, fino al momento in cui il soggetto diviene consapevole di essere affamato.
Come secondo esempio, si consideri quel che accade quando si fa un movimento brusco per schivare un oggetto che cade. Vi È una situazione (l’oggetto che cade) che richiede un’azione immediata; vi sono opzioni d’azione (scansarsi o no), ognuna delle quali comporta conseguenze diverse. Ma per scegliere la risposta non si adotta una conoscenza conscia (esplicita), Né una strategia di ragionamento conscia. La conoscenza richiesta era conscia, la prima volta in cui si È appreso che un oggetto che cade può ferire, e che evitarlo o fermarlo È meglio che esserne colpiti; poi l’esperienza fatta con tali scenari, via via che si cresceva, ha fatto sì che il cervello accoppiasse in modo fermo lo stimolo agente con la risposta più vantaggiosa. Ora, la “strategia” di scelta della risposta consiste nell'attivare il forte legame tra stimolo e risposta, così che l'attuazione di quest'ultima avviene in modo "automatico" e "rapido", senza sforzo o deliberazione, anche se si può volontariamente tentare di prepararla.
Il terzo esempio mette assieme una varietà di casi radunabili in due gruppi. Il primo comprende la scelta di una carriera; di chi amare o assistere; la decisione di volare o no quando c'È minaccia di tempeste; la decisione di come votare, o di come investire i propri risparmi; di perdonare o no una persona che ci ha fatto del male, o - per il governatore di uno Stato - di commutare la pena di un detenuto recluso nel braccio della morte. Quanto al secondo gruppo di esempi, per la maggior parte degli individui esso comprenderebbe il ragionamento che accompagna la costruzione di una nuova macchina, o la progettazione di un nuovo edificio, o la risoluzione di un problema matematico, la composizione di un brano musicale o la stesura di un libro, o il giudicare se una nuova proposta di legge si accorda o contrasta con lo spirito o la lettera di un emendamento alla Costituzione.
Tutti i casi elencati nel terzo esempio si fondano sul processo (supposto chiaro) di desumere conseguenze logiche da premesse date per scontate, di trarre inferenze affidabili che, sgombre da passioni, ci consentano di fare la migliore scelta, che conduca all'esito migliore, per il problema peggiore che possa presentarsi. Così non È difficile separare il terzo esempio dai primi due. In tutti i casi che rientrano nel terzo esempio, le situazioni di stimolo hanno parte maggiore; le opzioni di risposta sono più numerose; le rispettive conseguenze hanno più ramificazioni e sono spesso differenti, nell'immediato e nel futuro, proponendo in tal modo conflitti tra possibili vantaggi e svantaggi entro cornici temporali diverse. Complessità e incertezza si profilano talmente grandi che non È facile arrivare a previsioni affidabili. Non meno importante È il fatto che deve presentarsi alla coscienza un gran numero di quella miriade di opzioni e di esiti, Perchè si possa fissare una strategia di attività. Per selezionare la risposta finale bisogna applicare il ragionamento, e ciò comporta il tenere a mente una moltitudine di fatti, registrare i risultati di azioni ipotetiche e associarli agli obiettivi intermedi e a quelli ultimi: tutte cose che richiedono un metodo, qualche tipo di piano di gioco tra i molti già saggiati.
Sulla base delle lampanti differenze fra il terzo esempio e i primi due, non fa sorpresa lo scoprire che ad essi corrispondono meccanismi del tutto privi di relazioni, sia mentalmente sia neuralmente -separati in tale misura che Cartesio pose l’uno all’esterno del corpo, come marchio caratteristico dello spirito umano, mentre gli altri rimanevano all’interno, contrassegno degli spiriti animali; talmente separati che l’uno indica chiarezza di pensiero, competenza deduttiva, capacità algoritmica, mentre gli altri connotano oscurità e la meno disciplinata vita delle passioni.
Ma se la natura dei casi che illustrano il terzo esempio indica una differenza vistosa rispetto ai primi due, È anche vero che tali casi non sono tutti dello stesso tipo. Scontato che tutti richiedono ragione, nella accezione usuale del termine, alcuni sono però più vicini degli altri alla persona e all’ambiente sociale del decisore. Così, decidere di amare o perdonare, scegliere una carriera, compiere un investimento, rientrano nel dominio immediato personale e sociale, mentre risolvere l’ultimo teorema di Fermat o decretare la costituzionalità di un capitolo di legislazione sono più distanti dal nucleo personale (anche se non È difficile pensare a eccezioni). Il primo gruppo richiama la nozione di razionalità e di ragione pratica, il secondo ricade più facilmente nel dominio della ragione in senso più generale, della ragione teoretica, financo della ragione pura.
E tuttavia, a dispetto delle manifeste differenze tra gli esempi e del loro apparente raggrupparsi per ambito e per livello di complessità, può ben esservi un filo comune che li percorre tutti, nella forma di un nocciolo neurobiologico condiviso.
Ragionamento e decisione nello spazio personale e sociale.
Ragionare e decidere può essere arduo, ma lo È in modo particolare quando sono in gioco l'esistenza e il suo contesto sociale immediato. Vi sono diverse buone ragioni per farne un dominio separato. In primo luogo, a una profonda menomazione della capacità personale di decidere non si accompagna necessariamente una menomazione altrettanto profonda nell'àmbito non personale - come hanno confermato i casi di Phineas Gage, di Elliot e altri. Attualmente, stiamo indagando per scoprire con quanta competenza tali pazienti ragionino quando le premesse non li riguardano in modo diretto e con quanta efficacia possano pervenire alle conseguenti decisioni: può darsi che, quanto più i problemi sono staccati dal loro essere personale e sociale, tanto meglio essi riescano ad affrontarli. In secondo luogo, basta osservare il comportamento umano con il comune buon senso per vedere confermata un'analoga dissociazione delle capacità di ragionare, che va in entrambe le direzioni. Tutti conosciamo qualche persona eccezionalmente abile nella navigazione sociale, infallibile nel cercare ciò che È di vantaggio per sè e per il proprio gruppo, ma che può rivelarsi vistosamente inetta quando sia alle prese con un problema non personale e non sociale. Non meno patente È la condizione opposta: sappiamo di artisti e scienziati di grande creatività il cui senso sociale È una sciagura, e che con il proprio comportamento danneggiano regolarmente sè e gli altri (una variante inoffensiva di quest’ultima tipologia È il professore con la testa fra le nuvole). In tali differenti personalità ravvisiamo la presenza o l’assenza di quella che Howard Gardner chiama “intelligenza sociale”, oppure di una delle sue molteplici intelligenze, come quella “matematica” (3).
Il dominio personale e sociale immediato È quello che si trova più vicino alla nostra sorte, e anche quello che comporta il massimo di incertezza e complessità. Parlando in generale, all’interno di tale dominio decidere bene significa selezionare una risposta che alla fine sarà vantaggiosa per l’organismo, direttamente o indirettamente, in termini di sopravvivenza e di qualità di tale sopravvivenza. Decidere bene significa anche decidere alla svelta, specie quando il tempo È essenziale, o almeno decidere entro un arco temporale che si giudica adeguato al problema in questione.
So bene che È arduo definire che cosa sia vantaggioso, e mi rendo conto che alcuni esiti possono essere vantaggiosi per alcuni individui e non per altri. Ad esempio, essere milionari, o vincere un premio, non È necessariamente un bene; molto dipende dal quadro di riferimento e dall’obiettivo che ci si prefigge. Quando definisco vantaggiosa una decisione, io mi riferisco sempre a esiti personali e sociali di base: la sopravvivenza dell’individuo e del suo gruppo parentale, la sicurezza di un tetto, la salute fisica e mentale, occupazione, solvibilità finanziaria, una buona collocazione nel gruppo sociale. A Gage o a Elliot la nuova mente non consentiva di procacciarsi tali vantaggi.
Razionalità all'opera
Si consideri, per cominciare, una situazione che richiede una scelta: siete il proprietario di un'impresa, in procinto di incontrare - oppure no - un possibile cliente che potrebbe farvi concludere un buon affare, ma che È anche acerrimo nemico del vostro miglior amico. Il cervello di un adulto normale, intelligente e istruito, reagisce creando rapidamente scenari diversi di possibili risposte e di esiti conseguenti, che alla nostra coscienza si presentano come scene immaginarie e molteplici: non un film continuo, ma piuttosto una rapida giustapposizione di singoli quadri, immagini lampeggianti che corrispondono a scene cruciali e che vengono toccate saltando dall'una all'altra. Ad esempio: l'incontro con il possibile cliente; il vostro amico che vi vede in sua compagnia, e la minaccia che ciò comporta per la vostra amicizia; oppure, la rinuncia all'incontro e la perdita di un buon affare, ma a tutela di un'amicizia che per voi È preziosa; e così via. Quello che voglio fare osservare, qui, È che la vostra mente non È tabula rasa, all'inizio del processo di ragionamento; piuttosto, È dotata di un repertorio di immagini diverse, generate per il complesso delle situazioni che state affrontando; esse entrano ed escono dalla coscienza in una varietà troppo ricca Perchè voi possiate abbracciarla tutta. Anche in questo esempio un po' forzato È possibile ravvisare il tipo di dilemmi che ci si trova ad affrontare quotidianamente o quasi. Come si fa a risolverli? Come si selezionano le questioni inerenti alle immagini che sfilano davanti all'occhio della mente?
Vi sono almeno due possibilità distinte: la prima discende da una nozione tradizionale, “di ragione alta”, del decidere; la seconda, dall'ipotesi del marcatore somatico.
La prospettiva “di ragione alta” non È altro che quella del buon senso, e giudica che, al meglio della nostra capacità di decidere, noi siamo orgoglio e vanto di Platone, Cartesio e Kant. La logica formale di per sè ci condurrà alla soluzione migliore tra quelle disponibili, per qualsiasi problema. Un aspetto importante di questa concezione razionalistica È che bisogna escludere le emozioni, per ottenere i migliori risultati: l’elaborazione razionale non deve essere impacciata da passioni.
In questa prospettiva, i differenti scenari sono considerati, fondamentalmente, uno alla volta e, per usare il gergo manageriale oggi di moda, su ciascuno di essi si compie un’analisi costi/benefici. Avendo in mente l’“utilità soggettiva attesa” (che È ciò che si vuole massimizzare), si deduce per via logica che cosa È buono e che cosa non lo È. Per esempio, si considerano le conseguenze di ogni opzione in momenti diversi del futuro previsto e si “pesano” guadagni e perdite che ne conseguirebbero. Via via che si procede nella deduzione, l’analisi diventa tutt’altro che facile, Poiché la maggior parte dei problemi presenta ben più di due alternative, come nell’esempio riportato. Ma si osservi che anche un problema a due alternative non È così semplice. Acquisire un nuovo cliente può portare un guadagno immediato, e anche un sostanzioso guadagno futuro; quanto, però, non si sa, e perciò bisogna stimarne l’entità e l’andamento nel tempo, in modo da poter istituire un confronto con le potenziali perdite - tra le quali vanno annoverate anche le conseguenze della rottura di un’amicizia. E siccome queste ultime variano nel tempo, bisognerà anche stimarne il tasso di “deprezzamento”! Di fatto, quindi, ci si trova ad affrontare un calcolo complesso, da impostare in epoche immaginarie differenti e ponendo a paragone risultati di natura differente, che devono essere in qualche modo riportati a una moneta unica, Perchè il paragone abbia un senso. In buona misura, tale calcolo dipenderà dalla generazione ininterrotta di nuovi scenari immaginari, costruiti su schemi uditivi e visivi (fra gli altri), e anche dalla generazione ininterrotta di narrazioni verbali che accompagnano quegli scenari e che sono essenziali per tenere in attività il processo di inferenza logica.
Quello che voglio sostenere ora È che, se questa strategia È l"'unica" disponibile, la razionalità descritta in precedenza non può funzionare. Nel migliore dei casi, la decisione richiederà un tempo troppo lungo, assai più lungo di quanto si possa accettare se nella medesima giornata si deve fare qualcosa d'altro; nel peggiore, poi, non si arriverà ad alcuna decisione, ma ci si ritroverà smarriti nel labirinto dei calcoli. Per quale motivo? Perchè non È facile tenere a memoria i molteplici livelli di guadagni e perdite che bisogna confrontare: dalla lavagna della memoria semplicemente scompaiono le rappresentazioni dei passi intermedi che bisogna tenere in serbo e poi passare in rassegna per trasferirli nella forma simbolica richiesta per operare l'inferenza logica. Di quei passi intermedi si perdono le tracce, giacch, attenzione e memoria operativa hanno capacità limitata. Alla fine, se la mente opera di solito secondo calcoli puramente razionali, si potrebbe scegliere in modo errato e vivere rammaricandosi dell'errore, o rinunciare a tentare, frustrati.
L'esperienza fatta con pazienti come Elliot suggerisce che la strategia fredda sostenuta da Kant (fra gli altri) ha molto più a che vedere con il modo in cui pazienti colpiti da lesioni prefrontali si adoperano per decidere che con il modo di operare dei soggetti normali. Ovviamente, anche i ragionatori puri possono fare meglio di così, aiutandosi con carta e matita: basta stendere un elenco di tutte le possibili opzioni e delle miriadi di scenari che se ne diramano, delle loro conseguenze, e così via. (Sembra che Darwin suggerisse di fare così, per scegliere la persona giusta da sposare). Ma, in tal caso, procuratevi un bel po’ di carta e un temperamatite robusto, e non aspettatevi che gli altri abbiano la pazienza di seguirvi fino a che sarete giunti alla fine.
E’ importante anche osservare che le pecche della prospettiva di buon senso vanno oltre la limitatezza della capacità di memoria. Come hanno dimostrato Amos Tversky e Daniel Kahneman, le strategie di ragionamento di per sè sono disseminate di punti deboli - anche per chi disponga di carta e matita per fissare la conoscenza necessaria (4). Stuart Sutherland ha suggerito che una di tali debolezze risieda nella devastante ignoranza e nello scarso impiego, da parte degli esseri umani, della statistica e della teoria della probabilità (5). Tuttavia il nostro cervello sovente può decidere bene in minuti o in frazioni di minuto, a seconda del quadro temporale che stabiliamo come appropriato per gli obiettivi che vogliamo conseguire; se così È, allora non È soltanto con la ragione pura che esso deve eseguire il suo mirabile compito. Occorre un’altra prospettiva.
L’ipotesi del marcatore somatico.
Si considerino di nuovo gli scenari da me delineati. I componenti chiave si dispiegano nella nostra mente in modo istantaneo, a grandi linee e pressoché in simultanea, con troppa rapidità Perchè i particolari possano essere nitidamente definiti. Ma ora si immagini che, prima di applicare un qualsiasi tipo di analisi costi/benefici alle premesse, e prima di cominciare a ragionare verso la soluzione del problema, accada qualcosa di molto importante: quando viene alla mente, sia pure a lampi, l’esito negativo connesso con una determinata opzione di risposta, si avverte una sensazione spiacevole alla bocca dello stomaco. Dato che ciò riguarda il corpo, ho definito il fenomeno con il termine tecnico di stato "somatico"; e dato che esso “contrassegna” un'immagine, l'ho chiamato "marcatore". Si osservi ancora una volta che uso il termine “somatico” nel senso più generale, e che quando faccio riferimento ai marcatori somatici includo sia sensazioni viscerali sia sensazioni non viscerali.
Che cosa fa il "marcatore somatico"? Esso forza l'attenzione sull'esito negativo al quale può condurre una data azione, e agisce come un segnale automatico di allarme che dice: attenzione al pericolo che ti attende se scegli l'opzione che conduce a tale esito. Il segnale può farvi abbandonare "immediatamente" il corso negativo d'azione e così portarvi a scegliere fra alternative che lo escludono; vi protegge da perdite future, senza ulteriori fastidi, e in tal modo vi permette di "scegliere entro un numero minore di alternative". E' ancora possibile impiegare l'analisi costi/benefici e l'appropriata competenza deduttiva, ma solo "dopo" che il passo automatizzato ha ridotto drasticamente il numero di opzioni. Nel normale processo umano di decisione i marcatori somatici possono non essere sufficienti, Poiché in molti casi (seppure non in tutti) avrà ancora luogo un successivo processo di ragionamento e decisione finale. I marcatori somatici rendono più efficiente e preciso, con ogni probabilità, il processo di decisione, mentre la loro assenza riduce efficienza e precisione. Questa È una distinzione importante, anche se È facile che sfugga. L'ipotesi non riguarda i passi di ragionamento che seguono l'azione del marcatore somatico. In breve, "i marcatori somatici sono esempi speciali di sentimenti generati a partire dalle emozioni secondarie". Quelle emozioni e sentimenti "sono stati connessi, tramite l'apprendimento, a previsti esiti futuri di certi scenari". Quando un marcatore somatico negativo È giustapposto a un particolare esito futuro, la combinazione funziona come un campanello d’allarme; quando invece interviene un marcatore positivo, esso diviene un segnalatore di incentivi.
Qui sta l’essenza dell’ipotesi; ma per coglierne appieno la portata È opportuno procedere nella lettura: si scoprirà, ad esempio, che al-l’occorrenza i marcatori somatici possono operare celati (cioÈ senza emergere alla coscienza), e possono utilizzare un anello “come se”. Essi non deliberano per noi; assistono il processo illuminando alcune opzioni (pericolose o promettenti) ed eliminandole presto dall’analisi successiva; li si può vedere come un sistema di automatica qualificazione delle previsioni che opera - lo si voglia o no - valutando i più diversi scenari del prevedibile futuro che si prospetta. Li si può immaginare come dispositivi che attribuiscono un “segno”. Ad esempio, supponete che vi si prospetti un investimento ad altissimo rischio, ma che potrebbe comportare un guadagno insolitamente alto, e che vi si chieda di approvarlo o rifiutarlo in un tempo assai breve, e mentre siete distratti da altri problemi analoghi. Se il pensiero di procedere a tale investimento È accompagnato da uno stato somatico negativo, ciò contribuirà a farvi respingere quell’investimento e vi costringerà a un esame più minuzioso delle sue conseguenze potenzialmente nocive: lo stato negativo connesso con il futuro bilancia la seducente prospettiva di una rimunerazione forte e immediata.
La descrizione del marcatore somatico È, così, compatibile con la nozione che il comportamento personale e sociale efficace richiede che gli individui si formino “teorie” adeguate della propria e delle altrui menti. Su tale base È possibile prevedere quali teorie gli altri si stanno formando delle proprie, di menti; e ciò con una precisione e una minuziosità che sono ovviamente essenziali quando ci si avvicina a una decisione critica in una situazione sociale. Ancora, immenso È il numero degli scenari in esame, e la mia idea È che i marcatori somatici (o qualcosa di simile) assistano il processo di cernita entro tale ricchezza di particolari - anzi, essi riducono il bisogno di cernita Perchè forniscono una rilevazione automatica dei componenti dello scenario che È più probabile siano rilevanti. Dovrebbe risultare così evidente l’associazione tra processi cosiddetti cognitivi e processi chiamati “emotivi”.
La descrizione generale qui esposta si applica anche alla scelta di azioni che hanno conseguenze immediate negative ma che generano esiti futuri positivi: ad esempio, tollerare sacrifici oggi per ottenere qualche beneficio più avanti. Supponete che, per dare una svolta positiva alle fortune della vostra azienda in declino, voi e i vostri lavoratori dobbiate accettare da subito una riduzione degli stipendi e insieme un cospicuo aumento del numero di ore di lavoro. La prospettiva immediata È poco piacevole, ma il pensiero di un vantaggio futuro crea un marcatore somatico positivo, e ciò vince la tendenza a decidere contro l’opzione immediatamente penosa. Il marcatore somatico positivo, che È innescato dall’immagine di un esito futuro buono, deve costituire la base per l’accettazione di una scelta spiacevole come premessa di un potenziale miglioramento. Altrimenti, resta inspiegabile come si possano accettare la chirurgia, il jogging, gli studi universitari o la scuola di medicina... Per pura forza di volontà? E come spiegare, allora, la forza di volontà? Questa attinge alla valutazione di una prospettiva, che non può avere luogo se l’attenzione non È opportunamente convogliata sia sul disagio immediato sia sulla ricompensa futura, sulla sofferenza "di adesso" e insieme sulla gratificazione "a venire". Togliete quest’ultima, e avrete tolto ogni capacità sostentatrice alle ali della vostra forza di volontà - quest'ultimo essendo solo un nome diverso per designare l'idea di scegliere in accordo con esiti a lungo anzich, a breve termine.
Una digressione sull'altruismo.
A questo punto È possibile vedere se la descrizione si applica alla maggior parte se non a tutte le decisioni usualmente classificate come altruistiche: i sacrifici che i genitori fanno per i propri figli, o che individui qualsiasi fanno per altri individui, o che i bravi cittadini una volta facevano per il re o per lo Stato - e che gli ultimi eroi del nostro tempo ancora fanno. Oltre al bene evidente che gli altruisti arrecano ad altri, vi È il bene che essi possono accumulare su di sè nella forma di autostima, considerazione sociale, affetto e onori pubblici, prestigio, forse anche denaro. Alla prospettiva di una qualsiasi di tali ricompense può accompagnarsi l'esaltazione (la cui base neurale io vedo come un marcatore somatico positivo), e senza dubbio ne può seguire un rapimento ancora più palpabile quando la prospettiva si fa realtà. I comportamenti altruistici beneficiano chi li pratica anche in un altro modo, che qui È importante notare: essi preservano l'altruista dalle sofferenze e dai dolori futuri che sarebbero stati provocati dalle perdite o dalla vergogna per "non" essersi comportati in modo altruistico. Non solo l'idea di rischiare la vita per salvare quella di vostra figlia vi fa sentir bene, ma l'idea di non farlo e di perderla vi fa sentire assai peggio di quanto farebbe il rischio immediato. In altre parole, la valutazione ha luogo confrontando dolore immediato e premio futuro, e anche dolore immediato e più grave dolore futuro. (Un esempio simile È l'accettare il rischio di combattere in guerra: nel passato, la struttura sociale nella quale si intraprendevano le guerre “morali” includeva un riconoscimento positivo per i sopravvissuti, vergogna e disonore per chi si fosse sottratto) .
Significa, tutto ciò, che non vi È vero altruismo? Corrisponde a una visione troppo cinica dell’animo umano? Io non lo credo. In primo luogo, l’autentico altruismo (o qualsiasi comportamento equivalente) ha a che fare con la relazione fra ciò che noi "internamente" crediamo, sentiamo o ci ripromettiamo, e ciò che "esternamente" dichiariamo di credere, di sentire o di riprometterci. La verità non riguarda le cause fisiologiche che ci fanno credere, sentire o proporci in un dato modo. Credenze, sentimenti e propositi sono il risultato di una varietà di fattori radicati nel nostro organismo e nella cultura nella quale siamo stati immersi, anche se tali fattori possono essere remoti e possiamo non esserne consapevoli. Se ragioni neurofisiologiche o legate all’educazione fanno sì che alcune persone siano oneste e generose, sia; non ne segue che la loro onestà e generosità perdano merito. Inoltre, comprendere i meccanismi neurobiologici che stanno dietro alcuni aspetti della cognizione e del comportamento non ne riduce il valore, la bellezza o la dignità.
In secondo luogo, sebbene biologia e cultura determinino spesso, in modo diretto o indiretto, il nostro ragionamento e possa sembrare che limitino l’esercizio della libertà individuale, va riconosciuto che gli esseri umani hanno qualche agio per tale libertà, per volere e compiere azioni che possono andare contro la tessitura manifesta di biologia e cultura. Alcune sublimi conquiste umane scaturiscono dal rigetto di quello che biologia o cultura spingono gli individui a fare; esse sono l’affermazione di un nuovo livello dell’essere, nel quale si possono inventare nuovi artefatti e forgiare più giusti modi di esistere. Tuttavia in certe circostanze la libertà dai vincoli biologici e culturali può anche essere un marchio di follia, può nutrire le idee e gli atti del demente.]
Da dove provengono i marcatori somatici?.
Qual È la loro origine, in termini neurali? Come siamo arrivati a possedere questi dispositivi così utili? Sono congeniti - e, se no, come sono scaturiti?
Si È visto nel capitolo precedente che siamo nati con l'armamentario neurale occorrente per generare stati somatici in risposta a certe classi di stimoli: l'armamentario delle emozioni primarie, che È intrinsecamente diretto a elaborare i segnali riguardanti il comportamento personale e sociale, e incorpora sin dall'inizio disposizioni ad accoppiare un grande numero di situazioni sociali con risposte somatiche adattative. Con questa concezione si accordano alcune risultanze relative a esseri umani normali, come pure le prove di schemi complessi di cognizione sociale in altri mammiferi e in uccelli (6). Ciò nonostante, la maggioranza dei marcatori somatici che noi impieghiamo per decidere in modo razionale È stata probabilmente creata nel nostro cervello durante il processo di istruzione e socializzazione tramite la connessione di specifiche classi di stimoli con specifiche classi di stati somatici. In altre parole, si basano sul processo delle emozioni secondarie.
Lo sviluppo dei marcatori somatici adattativi richiede un cervello e una cultura normali; quando l'uno o l'altra sono in difetto sin dall'inizio, È improbabile che i marcatori somatici siano adattativi. Un esempio del primo tipo di deficit si può riscontrare se non altro in alcuni pazienti affetti da una condizione nota come sociopatia dello sviluppo o psicopatia. Tali soggetti ci sono ben noti dalla cronaca: essi rubano, violentano, uccidono, mentono. Spesso sono individui di intelletto vivace. La soglia alla quale le loro emozioni entrano in gioco (se entrano in gioco) È talmente alta da farli apparire imperturbabili; per loro esplicita ammissione, essi sono insensibili e noncuranti degli altri: la perfetta rappresentazione della freddezza che viene sempre raccomandata per riuscire a fare, all’occorrenza, la cosa giusta. A sangue freddo, e con svantaggio di tutti (anche proprio), essi ripetono i loro crimini. Sono, in effetti, un altro esempio di uno stato patologico nel quale un declino della razionalità È accompagnato da riduzione o assenza del sentimento. E’ certamente possibile che la psicopatia scaturisca da una disfunzione all’interno del medesimo sistema complessivo che era menomato in Gage, a livello corticale o subcorticale. Ma anzich, derivare da un manifesto danno macroscopico sopravvenuto in età adulta, la menomazione degli psicopatici scaturirebbe da anormalità delle connessioni e dei segnali chimici, e inizierebbe in uno stadio precoce dello sviluppo. Comprenderne la neurobiologia potrebbe condurre a forme di prevenzione o di terapia; potrebbe anche contribuire a farci capire in quale misura i fattori sociali interagiscono con quelli biologici per aggravare la condizione o farla comparire più di frequente, e gettare un po’ di luce su stati che possono essere all’apparenza simili e tuttavia dipendere in larga misura da fattori socioculturali.
Quando (come nel caso di Gage) il meccanismo neurale che specificamente regge l’edificazione e il dispiegamento dei marcatori somatici viene danneggiato in età adulta, il dispositivo del marcatore somatico cessa di operare in modo corretto, anche se fino a quel momento È stato normale. Per descrivere una parte dei comportamenti di tali soggetti io uso il termine di sociopatia “acquisita”, come notazione abbreviata e con riserva; peraltro tra i miei pazienti e i so-ciopatici vi sono svariate differenze non ultimo il fatto che di rado i miei pazienti manifestano violenza.
Sul sistema di ragionamento di un "adulto" normale gli effetti di una “cultura malata” sembrano essere meno vistosi di quelli di una lesione cerebrale in un'area focale; ma vi sono diversi controesempi. In Germania e in Unione Sovietica durante gli anni Trenta e Quaranta, in Cina durante la Rivoluzione culturale e in Cambogia durante il regime di Pol Pot (per menzionare solo i casi più evidenti), una cultura malata prevalse su un presumibilmente normale andamento della ragione, con conseguenze disastrose. Io temo che anche settori piuttosto grandi della società occidentale si stiano gradualmente avviando a costituire altri tragici controesempi.
Così i marcatori somatici vengono acquisiti attraverso l'esperienza, sotto il controllo di un sistema di preferenze interne e sotto l'influenza di un insieme esterno di circostanze che comprende non solo entità ed eventi con i quali l'organismo deve interagire, ma anche convenzioni sociali e norme etiche.
La base neurale del sistema di preferenze interne consiste di disposizioni regolatrici per lo più innate, poste per assicurare la sopravvivenza dell'organismo. La conquista della sopravvivenza coincide con la riduzione massima degli stati somatici insoddisfacenti e con il raggiungimento di stati omeostatici, cioÈ stati biologici funzionalmente in equilibrio. Il sistema di preferenze interno È intrinsecamente orientato a evitare il dolore e cercare il potenziale piacere; probabilmente esso È presintonizzato per conseguire tali obiettivi in situazioni sociali.
L'insieme esterno di circostanze abbraccia le entità, l'ambiente fisico e gli eventi rispetto ai quali l'individuo deve agire; le possibili scelte di azione; i possibili esiti futuri di queste; la punizione o la ricompensa che accompagnano una data azione (subito o con un certo ritardo) come esiti del dispiegarsi dell’azione scelta. Nelle prime fasi dello sviluppo, punizione e ricompensa vengono somministrate non solo dalle entità stesse, ma anche da genitori, anziani e pari, i quali incarnano l’etica e le convenzioni sociali della cultura cui l’organismo appartiene. L’interazione tra i due sistemi estende il repertorio di stimoli che diverranno automaticamente marcati.
Senza dubbio È nell’infanzia e nell’adolescenza che si acquisisce l’insieme critico, formativo, di stimoli per l’appaiamento somatico; ma l’accumulo di stimoli somaticamente marcati cessa solo con il cessare della vita, e quindi È corretto descriverlo come un processo di apprendimento continuo.
A livello neurale, i marcatori somatici dipendono dall’apprendimento all’interno di un sistema che può collegare certe categorie di entità o di eventi con il formarsi di uno stato corporeo, piacevole o spiacevole. Va detto che È importante non restringere il significato di punizione o ricompensa, in interazioni sociali che si evolvono: la mancanza di ricompensa può costituire punizione e risultare spiacevole, così come la mancanza di punizione può costituire ricompensa e dare grande piacere. Il fattore decisivo È il tipo di stato somatico e di sentimento prodotto in un dato individuo a un dato momento della sua storia e in una data situazione.
Quando alla scelta dell’opzione X, che porta all’esito cattivo Y, fa seguito la punizione, e quindi stati corporei dolorosi, il sistema dei marcatori somatici acquisisce la rappresentazione disposizionale nascosta di tale connessione arbitraria, non ereditata, guidata dall’esperienza. Una nuova esposizione dell’organismo all’opzione X, o il pensare all’esito Y, avranno ora il potere di rappresentare di nuovo lo stato corporeo doloroso, servendo così da promemoria automatico delle cattive conseguenze a venire.
Quanto detto costituisce una semplificazione spinta, che però coglie il processo di base quale io lo vedo. I marcatori somatici possono operare in modo celato (non occorre che siano percepiti a livello conscio) e possono adempiere altre utili funzioni, oltre a segnalare “Pericolo!” o “Via libera!”.
Una rete neurale per i marcatori somatici".
Il sistema neurale critico ai fini dell'acquisizione dei marcatori somatici emettitori di segnali si trova nelle cortecce prefrontali, dove È in buona misura coestensivo con il sistema che È critico per le emozioni secondarie. Per ragioni che espongo qui di seguito, la posizione neuroanatomica delle cortecce prefrontali È quella ideale, per lo scopo indicato.
In primo luogo, le cortecce prefrontali ricevono segnali da tutte le regioni sensitive nelle quali si formano le immagini che costituiscono i nostri pensieri, comprese le cortecce somatosensitive nelle quali sono rappresentati in continuità gli stati corporei passati e presenti. Le cortecce prefrontali ricevono i segnali (che possono scaturire da percezioni riferite al mondo esterno, o da pensieri riguardo al mondo esterno, o da eventi del corpo) e ciò È vero per tutti i loro settori separati, Poiché i vari settori frontali sono mutuamente interconnessi, nell'àmbito della regione frontale. Quindi le cortecce prefrontali contengono alcune delle poche regioni cerebrali che sono al corrente di segnali riguardanti tutte, o quasi, le attività che si svolgono nel corpo o nella mente, in un qualunque momento (7). (Le cortecce prefrontali non sono le uniche postazioni di sorveglianza; un'altra È la corteccia entorinale, la porta di accesso all'ippocampo).
In secondo luogo, le cortecce prefrontali ricevono segnali da diversi settori bioregolatori del cervello umano: tra questi, i nuclei neurotrasmettitori nel midollo allungato (ad esempio, quelli che distribuiscono la dopamina, la norepinefrina e la serotonina), come pure l'amigdala, il cingolato anteriore e l'ipotalamo. Si potrebbe dire che le cortecce prefrontali ricevono messaggi da tutto il personale del Bureau of Standards and Measures. Tali segnali convogliano alle cortecce prefrontali le preferenze innate dell'organismo, legate alla sua sopravvivenza (il suo sistema di valori biologico, potremmo dire) e sono, così, parte integrante dell'apparato di ragionamento e decisione.
In effetti i settori prefrontali si trovano in una posizione privilegiata, tra i vari sistemi cerebrali. Le loro cortecce ricevono segnali riguardo alla conoscenza fattuale (esistente e in arrivo) relativa al mondo esterno; riguardo alle preferenze regolatrici biologiche innate; riguardo allo stato corporeo, precedente e presente, modificato di continuo da quella conoscenza e da quelle preferenze. Non fa meraviglia, quindi, che essi siano così fortemente implicati nel processo che affronterò tra poco: la categorizzazione delle nostre esperienze di vita in accordo con molte dimensioni contingenti.
In terzo luogo, le stesse cortecce prefrontali rappresentano catego-rizzazioni delle situazioni nelle quali l'organismo È stato coinvolto, classificazioni delle circostanze della nostra esperienza di vita. Ciò significa che le reti prefrontali stabiliscono rappresentazioni disposizionali per certe combinazioni di cose e di eventi dell'esperienza di ciascuno, in accordo con la rilevanza che hanno per il soggetto. Spieghiamolo con un esempio. L'incontro con un certo tipo di per-sona, simpatica ma autoritaria, può essere stato seguìto da una situazione nella quale vi siete sentiti sminuiti o, al contrario, rafforzati; l’essere costretti ad accettare un ruolo di preminenza può avervi spinto a dare il meglio, o il peggio; un soggiorno in campagna può avervi reso malinconici, mentre la vista dell’oceano vi fa diventare incurabilmente romantici. In ognuno di questi casi, il vostro vicino può avere avuto l’esperienza esattamente opposta, o almeno un’esperienza diversa. E’ qui che si applica la nozione di "contingenza": È una cosa vostra, connessa con la vostra esperienza, relativa a eventi che variano da persona a persona. L’esperienza che voi, il vostro vicino o io abbiamo avuto con pomi d’ottone o manici di scopa può essere meno contingente, Perchè la struttura e il funzionamento di entità come queste sono nel complesso coerenti e prevedibili.
Le zone di convergenza ubicate nelle cortecce prefrontali sono così il magazzino delle rappresentazioni disposizionali per le evenienze -opportunamente categorizzate e uniche - della vostra esperienza di vita. Se io vi chiedo di pensare a matrimoni, quelle rappresentazioni disposizionali prefrontali si impadroniscono di tale categoria e possono ricostruire diverse scene nuziali nel vostro spazio mentale delle immagini. (Si ricordi che, sul piano neurale, la ricostruzione non avviene nelle cortecce prefrontali, ma piuttosto in varie cortecce sensitive di ordine inferiore, dove possono formarsi le rappresentazioni topograficamente organizzate). Se vi chiedessi di pensare a matrimoni ebraici, o cattolici, potreste essere in grado di ricostruire gli appropriati insiemi di immagini categorizzate, e concettualizzare l’uno piuttosto che l’altro tipo di matrimonio; potreste anche aggiungere se vi piacciono i matrimoni, quale tipo di cerimonia nuziale vi piace di più, e così via.
L’intera regione prefrontale sembra dedicata a categorizzare le evenienze nella prospettiva di una rilevanza personale. E’ quanto È stato stabilito per la prima volta con riferimento al settore dorsolaterale nei lavori di Brenda Milner e Michael Petrides e di Joaquim Fuster (8). Le ricerche compiute nel mio laboratorio non solo confermano tali osservazioni, ma suggeriscono che altre strutture frontali, nei settori ventromediano e del polo frontale, sono non meno cruciali per il processo di categorizzazione.
Per fare previsioni e programmi bisogna produrre una ricchezza di scenari di esiti futuri; le evenienze categorizzate ne costituiscono la base. Il nostro ragionare tiene conto di obiettivi e di scale temporali per la messa in atto di tali obiettivi: occorre una grande abbondanza di conoscenze categorizzate su scala personale, se si vuole prevedere il dispiegarsi e l’esito di scenari relativi a obiettivi specifici e in quadri temporali appropriati.
E’ probabile che domìni diversi di conoscenza siano categorizzati in settori prefrontali diversi. Il dominio bioregolatore e sociale sembra dotato di un’affinità per i sistemi del settore ventromediano, mentre ai sistemi della regione dorsolaterale sembrano competere i domìni che includono la conoscenza del mondo esterno (entità quali oggetti e persone, le loro azioni nello spazio-tempo; il linguaggio; la matematica e la musica).
Vi È una quarta ragione che rende le cortecce prefrontali idealmente adatte a partecipare al ragionamento e alla decisione: esse sono direttamente connesse con ogni percorso di risposta chimica e motoria presente nel cervello. I settori dorsolaterale e mediano superiore possono attivare le cortecce premotorie e, da qui, portare in linea la cosiddetta corteccia motoria primaria (M1), l’area motoria supplementare (M2) e la terza area motoria (M3) (9). Parimenti, È accessibile alle cortecce prefrontali l'apparato motorio subcorticale dei gangli basali. Ultima considerazione, ma non meno importante: le cortecce prefrontali ventromediane mandano segnali agli effettori del sistema nervoso autonomo e possono suscitare risposte chimiche associate all'emozione, fuori dell'ipotalamo e del midollo allungato.
Il primo a dimostrarlo È stato il neuroanatomista Walle Nauta, e la dimostrazione non giunse per caso: tra i neuroscienziati, Nauta era quello che assegnava la più grande importanza all'informazione viscerale nei processi cognitivi. In conclusione, le cortecce prefrontali (e in particolare il loro settore ventromediano) sono idealmente adatte ad acquisire un legame a tre vie fra i segnali implicati con particolari tipi di situazioni: i differenti modi e pesi dello stato corporeo che sono stati associati a certi tipi di situazioni nell'esperienza individuale, e gli effettori di quegli stati corporei. Scambi in su e in giù si accompagnano armoniosamente, in tali cortecce.
Il teatro dei marcatori somatici è nel corpo o nel cervello?
Alla luce di quanto finora detto sulla fisiologia delle emozioni, ci si aspetterebbe non un solo meccanismo per il processo del marcatore somatico, ma due. In virtù del meccanismo di base, le cortecce prefrontali e l'amigdala impegnano il corpo ad assumere un particolare profilo di stato, il cui risultato viene quindi segnalato alla corteccia somatosensitiva, seguìto e reso conscio. Nel meccanismo alternativo, il corpo viene aggirato: le cortecce prefrontali e l'amigdala semplicemente dicono alla corteccia somatosensitiva di organizzarsi secondo l'esplicito schema di attività che essa avrebbe assunto se il corpo fosse stato posto nello stato deliberato e dal basso fossero giunti i segnali corrispondenti. La corteccia somatosensitiva opera come se stesse ricevendo segnali riguardo a un particolare stato corporeo, e per quanto lo schema di attività “come se” non possa essere esattamente lo stesso che se fosse generato da uno stato corporeo reale, pure esso può ancora influenzare la decisione. I meccanismi “come se” sono un risultato dello sviluppo. E’ probabile che, via via che venivamo socialmente “sintonizzati”, durante l’infanzia e l’adolescenza, la maggior parte dei nostri processi di decisione venisse plasmata da stati somatici correlati con punizioni e ricompense. Ma con il procedere verso la maturità, e con il ripetersi di situazioni che venivano categorizzate, diminuiva il bisogno di fondarsi su stati somatici per ogni circostanza in cui c’era da prendere una decisione, e si sviluppava un altro livello di automazione, più vantaggioso. Prendevano l’avvio strategie di decisione dipendenti in parte da “simboli” di stati somatici, ed È una questione empirica di grande importanza stabilire in quale misura noi dipendiamo da tali simboli “come se”, piuttosto che dalla occorrenza reale. Io credo che tale dipendenza sia molto variabile, da persona a persona e da argomento ad argomento: l’elaborazione simbolica può essere vantaggiosa oppure deleteria, a seconda delle circostanze e dell’oggetto.
Marcatori somatici manifesti o celati.
Il marcatore somatico in sè ha più di una via di azione: ne ha una attraverso la coscienza e una fuori della coscienza. Indipendentemente dal fatto che gli stati corporei siano reali o fittizi (“come se”), il corrispondente schema neurale può essere reso conscio e costituire un sentimento. Tuttavia, anche se molte scelte importanti coinvolgono i sentimenti, un buon numero delle nostre decisioni quotidiane sembra procedere facendone a meno. Questo non significa che non ha avuto luogo la valutazione che di norma conduce a uno stato corporeo, o che lo stato corporeo (o il suo surrogato fittizio) non È stato impegnato; o che non È stato attivato il sottostante apparato disposizionale di regolazione. Molto semplicemente, può darsi che uno stato corporeo segnale (o il suo surrogato) sia stato attivato ma non sia divenuto il centro dell'attenzione. Senza attenzione, Né l'uno Né l'altro sarà parte della coscienza, anche se l'uno o l'altro può essere parte di un'azione non manifesta sui meccanismi che governano, senza alcun controllo volontario, i nostri atteggiamenti appetitivi (avvicinamento) o avversivi (allontanamento) rispetto all'ambiente. Il sottostante apparato nascosto È stato attivato, ma la nostra coscienza non lo saprà mai. Per di più, l'avvio dell'attività da parte dei nuclei neurotrasmettitori (che ho descritto come una parte della risposta emotiva) può orientare i processi cognitivi in modo nascosto e così influenzare il ragionamento e la decisione.
Con il dovuto rispetto per gli esseri umani, e con tutte le cautele che sempre richiedono i confronti tra specie diverse, È manifesto che, negli organismi i cui cervelli non forniscono ragionamento e coscienza, al centro dell'apparato di decisione si trovano meccanismi celati, che sono un mezzo per costruire “previsioni” di esito e orientare i dispositivi di azione dell'organismo affinch, esso si comporti in un dato modo - il che all'osservatore esterno può sembrare una scelta. Con ogni probabilità, È così che le api operaie “decidono” su quali fiori posarsi. Non sto qui suggerendo che nel profondo del cervello di ciascuno di noi vi sia un cervello d'ape che prende le nostre decisioni: l'evoluzione non È la grande catena dell'essere, ma ha imboccato molte strade distinte, una delle quali ha condotto agli esseri umani. Credo, però, che sia molto proficuo studiare in qual modo organismi più semplici eseguano compiti che sembrano intricati disponendo di mezzi neurali modesti; forse alcuni meccanismi dello stesso tipo operano anche in noi. Tutto qui.
Honeysuckle rose!
“You’re confection, goodness knows, honeysuckle rose”: così suonano le parole di un vecchio motivo jazz di Fats Waller, e così va il destino dell’ape laboriosa. Il successo riproduttivo, e in definitiva la sopravvivenza di una colonia di api, dipendono dall’esito dell’approvvigionamento di nettare da parte delle operaie; se il lavoro di queste non riesce a raccoglierne abbastanza, non vi sarà miele, le risorse energetiche andranno declinando e lo stesso accadrà alla colonia.
Le api operaie sono munite di un apparato visivo che consente loro di distinguere il colore dei fiori; inoltre dispongono di un apparato motorio grazie al quale possono volare e posarsi. Studi recenti hanno dimostrato che le api operaie imparano, dopo poche visite a fiori variamente colorati, a riconoscere quali È più verosimile che contengano il nettare di cui esse vanno in cerca. E’ chiaro, quindi, che all’aperto esse non si posano su tutti i fiori per vedere se in ciascuno vi È nettare; si comportano come se prevedessero quali fiori più probabilmente ne conterranno, e su questi si posano più di frequente. Leslie Real, che ha studiato sperimentalmente il comportamento del bombo operaio ("Bombus pennsylvanicus"), così afferma: “Sembra che i bombi si costruiscano delle probabilità sulla base della frequenza con cui si imbattono in tipi differenti di stati di ricompensa; cominciano senza alcuna stima a priori di possibilità” (10). Come fanno le api, con il loro modesto sistema nervoso, a produrre un comportamento che suggerisce con forza l’esistenza di una ragione “alta”, e sembra indicare l'impiego di conoscenza, teoria della probabilità e strategie di ragionamento orientate verso un traguardo?
La risposta È che la deliberazione viene raggiunta, a quanto sembra, disponendo di un sistema semplice ma potente che È in grado di fare le seguenti cose: in primo luogo, di avvertire stimoli che sono posti in modo innato come positivi e quindi costituiscono un rinforzo; in secondo luogo, di rispondere alla presenza (o alla mancanza) di ricompensa con una inclinazione che può influenzare il sistema motorio verso un particolare comportamento (ad esempio, posarsi o no), quando nel campo visivo si presenta la situazione che ha prodotto (o no) il rinforzo (ad esempio, un fiore di un certo colore). Di recente Montague, Dayan e Sejnowski hanno proposto un modello per tale sistema impiegando dati sia comportamentali sia neurobiologici (11).
Le api hanno un sistema neurotrasmettitore non specifico che probabilmente fa uso di octopamina e che non È dissimile dal sistema della dopamina nei mammiferi. Quando viene avvertita la ricompensa (nettare), il sistema non specifico può mandare segnali sia al sistema visivo sia a quello motorio, e quindi modificarne il comportamento di base. Ne risulta che alla prossima occasione in cui si presenta alla vista il colore che era associato alla ricompensa (il giallo, supponiamo), il sistema motorio È incline al posarsi sul fiore giallo, ed È allora probabile che l'ape vi trovi il nettare. In effetti l'ape sta compiendo una scelta, non consapevolmente Né deliberatamente, bensì impiegando un dispositivo automatico che incorpora valori naturali specifici - una preferenza. Secondo Real, devono essere presenti due aspetti fondamentali della preferenza: “Un guadagno atteso alto sarà preferito a un guadagno atteso basso; un rischio basso sarà preferito a un rischio alto”. Per inciso, considerata la piccola capacità di memoria dell’ape (che ha solo una memoria a breve termine, e nemmeno molto ampia), il campionamento sulla base del quale opera il sistema di preferenza deve essere estremamente modesto. Basteranno, a quanto sembra, non più di tre visite.
Ancora, non voglio qui suggerire che tutte le nostre decisioni provengono da un cervello d’ape nascosto; ma È importante sapere che un dispositivo semplice come quello descritto può eseguire un esercizio così complicato.]
Intuizione.
Agendo a un livello conscio, gli stati somatici (o i loro surrogati) marcherebbero gli esiti delle risposte come positivi o negativi, e ciò condurrebbe a evitare o a perseguire, in modo deliberato, una data opzione di risposta. Ma essi possono anche operare in modo non manifesto, cioÈ fuori della coscienza. Le immagini esplicite relative a un esito negativo verrebbero, sì, generate; ma invece di produrre un cambiamento percepibile dello stato corporeo esse inibirebbero i circuiti neurali di regolazione siti nel nucleo del cervello, che mediano i comportamenti appetitivi, o di avvicinamento. Con l’inibizione della tendenza ad agire, o con l’effettiva intensificazione della tendenza a ritrarsi, verrebbero ridotte le possibilità di una decisione potenzialmente negativa. Quanto meno, si avrebbe un guadagno di tempo, durante il quale una deliberazione conscia potrebbe accrescere la probabilità di prendere una decisione appropriata - se non la più appropriata. Inoltre, potrebbe in definitiva essere eliminata un’opzione negativa, oppure una fortemente positiva potrebbe essere resa più probabile dall’intensificazione dell’impulso ad agire. Questo meccanismo celato sarebbe la fonte di ciò che noi chiamiamo intuizione: quel misterioso processo attraverso il quale arriviamo a risolvere un problema senza ragionarvi su.
Il ruolo dell'intuizione nel processo complessivo del decidere È bene espresso da un passaggio del matematico Henri Poincar,, in pieno accordo con il quadro che io ho in mente:
“Infatti, che cos'È la creazione matematica? Essa non consiste nel produrre nuove combinazioni di entità matematiche già note; questa È cosa che chiunque potrebbe fare, ma le combinazioni così prodotte sarebbero in numero infinito, e per lo più prive di ogni interesse. Creare consiste esattamente nel non produrre combinazioni inutili e nel produrre quelle che sono utili, e che sono una piccola minoranza. L'invenzione È discernimento, scelta.
“Ho spiegato in precedenza come si operi tale scelta: i fatti matematici degni di essere studiati sono quelli che, in virtù della loro analogia con altri fatti, sono capaci di condurci alla conoscenza di una legge matematica, proprio come i fatti sperimentali ci portano alla conoscenza di una legge fisica. Sono quelli che ci rivelano parentele insospettate tra altri fatti, già noti da tempo, ma erroneamente creduti estranei gli uni agli altri.
“Tra le combinazioni scelte, le più feconde spesso saranno quelle formate da elementi tratti da domìni assai distanti. Non intendo, con questo, che per l'invenzione basti mettere assieme oggetti quanto più possibile disparati: la maggior parte delle combinazioni così formate sarebbe del tutto sterile. Ma alcune di queste combinazioni, molto rare, sono le più fruttuose.
“Ho detto che inventare È scegliere; ma il termine, forse, non È completamente esatto. Esso fa pensare a un acquirente dinanzi al quale si dispieghi un gran numero di esemplari e che li esamini, l'uno dopo l’altro, per operare una scelta. Nel nostro caso gli esemplari sarebbero così numerosi che non basterebbe una vita intera, per esaminarli tutti. In realtà le cose non stanno così. Le combinazioni sterili neppure si presentano, alla mente dell’inventore. Mai, nel dominio della sua coscienza, si manifestano combinazioni che non siano davvero utili, salvo alcune che egli rigetta ma che hanno qualche apparenza di utilità. Le cose procedono come se l’inventore fosse un esaminatore di secondo grado, incaricato di interrogare soltanto i candidati che hanno già superato un precedente esame” (12).
La prospettiva di Poincar, È simile a quella da me suggerita. Non È necessario applicare il ragionamento all’intero campo delle possibili opzioni, Poiché ha luogo una preselezione - a volte celata, a volte aperta. C’È un meccanismo biologico che effettua la preselezione, esamina i candidati e consente solo ad alcuni di presentarsi all’esame finale. E si noti che la mia proposta vale, prudenzialmente, per il dominio personale e per quello sociale (per i quali vi sono elementi a sostegno), anche se le parole di Poincar, suggeriscono che potrebbe essere estesa ad altri domìni.
Qualcosa di analogo ha sostenuto il fisico e biologo Leo Szilard: “Lo scienziato creativo ha molto in comune con l’artista e con il poeta. Pensiero logico e capacità analitica sono attributi necessari dello scienziato, ma non bastano certo per un lavoro creativo. Nella scienza, le intuizioni che hanno portato a un progresso non sono logicamente derivate da conoscenze preesistenti: i processi creativi su cui si basa il progresso della scienza operano al livello del subconscio” (13). Jonas Salk ha sviluppato con solide argomentazioni il medesimo punto di vista proponendo che la creatività poggi su un “amalgama di intuizione e ragione” (14).
Il ragionamento fuori del dominio personale e di quello sociale".
Nel mio giardino, uno scoiattolo si arrampica su un albero per sfuggire al gatto nero del mio vicino; non ha ragionato molto, per agire così. Lo scoiattolo non ha pensato alle varie opzioni, per calcolare costi e vantaggi di ciascuna; ha visto il gatto, È stato scosso da uno stato corporeo ed È balzato via. Lo guardo, mentre se ne sta tutto raccolto su un solido ramo del pino, e posso vedere che il cuore gli batte forte in petto, mentre la coda si muove a scatti, al ritmo nervoso della sua paura. Ha avuto una forte emozione e ora È sconvolto.
L'evoluzione È parsimonioso bricolage: nei cervelli di numerose specie, essa ha potuto disporre di meccanismi di decisione basati sul corpo e orientati alla sopravvivenza, che si sono dimostrati proficui in una varietà di nicchie ecologiche. Via via che aumentavano le contingenze ambientali e che si evolvevano nuove strategie di decisione, sarebbe stato economicamente giustificato che le strutture cerebrali occorrenti per tali nuove strategie mantenessero un legame funzionale con quelle che le avevano precedute. Il loro scopo (la sopravvivenza) È lo stesso, e sono gli stessi anche i parametri che ne controllano il funzionamento e ne misurano il successo: benessere, assenza di dolore. Numerosissimi esempi dimostrano che la selezione naturale opera proprio così: conservando ciò che funziona, selezionando altri dispositivi che possono fronteggiare una maggiore complessità, solo di rado facendo evolvere da zero meccanismi interamente nuovi.
E' plausibile che un sistema adeguato a produrre marcatori e segnali per guidare le risposte “personali” e “sociali” sia stato cooptato per contribuire alle “altre” decisioni. L'apparato che vi aiuta a decidere chi assistere vi aiuterebbe anche a progettare una casa il cui scantinato non possa allagarsi. Naturalmente, non sarà necessario che i marcatori somatici siano percepiti come “sentimenti”; ma essi agirebbero ancora nascostamente - nella forma di un meccanismo di attenzione - per gettare luce su alcuni componenti piuttosto che su altri, e per controllare in effetti i segnali (“vai”, “f,rmati”, “cambia direzione”) necessari ad alcuni aspetti della pianificazione e della decisione nei domìni non personale e non sociale. Questo sembra il tipo di marcatore generale che Tim Shallice ha proposto per la decisione, anche se egli non ha specificato un meccanismo neurofisiologico per i suoi marcatori (Shallice espone alcune considerazioni su una possibile somiglianza in un suo articolo recente) (15). La fisiologia sottostante potrebbe essere la stessa: segnalazione a base corporea, conscia o no, grazie alla quale È possibile mettere a fuoco l’attenzione.
In una prospettiva evoluzionistica, il più antico dispositivo di decisione attiene alla regolazione biologica di base; quello successivo, al regno personale e sociale; il più recente, a un insieme di operazioni astratte e simboliche tra le quali si possono trovare il ragionamento scientifico, quello artistico, quello utilitaristico-ingegneristico, gli sviluppi del linguaggio e della matematica. Ma anche se ere di evoluzione e di sistemi neurali dedicati possono conferire una certa indipendenza a ognuno di questi “moduli” di ragionamento/decisione, io credo che essi siano tutti interdipendenti. Quando vediamo segni di creatività negli esseri umani di oggi, stiamo probabilmente assistendo all’operare integrato di svariate combinazioni di tali dispositivi.
L’aiuto dell’emozione, per il meglio e per il peggio.
Il lavoro di Amos Tversky e Daniel Kahneman dimostra che il ragionamento oggettivo da noi impiegato nelle decisioni quotidiane È assai meno efficace di quanto sembri, e di quanto dovrebbe essere (16). Detto più alla buona, le nostre strategie di ragionamento sono difettose, e Stuart Sutherland tocca un tasto importante quando parla dell'irrazionalità come di un “nemico dentro” (17). Ma anche se le nostre strategie di ragionamento fossero perfettamente accordate, sembra che non potrebbero cavarsela troppo bene con l'incertezza e la complessità dei problemi personali e sociali. I fragili strumenti della razionalità hanno bisogno di un'assistenza speciale.
Peraltro, il quadro È anche più complicato di quanto io abbia esposto finora. Credo, certo, che per assistere la ragione “fredda” occorra un meccanismo basato sul corpo; ma È anche vero che alcuni di quei segnali a base corporea possono menomare la qualità del ragionamento. Riflettendo sulle ricerche di Kahneman e Tversky, vedo alcuni fallimenti della razionalità come dovuti non solo a una fondamentale debolezza di calcolo, ma anche all'influenza di impulsi biologici quali obbedienza, acquiescenza, il desiderio di preservare la stima di sè, che spesso si manifestano come emozioni e sentimenti. Ad esempio, la maggior parte delle persone ha più paura di volare che di andare in auto, a dispetto di ogni calcolo razionale del rischio, da cui risulta in modo inequivocabile come sia di gran lunga più probabile sopravvivere a un volo anzich, a un viaggio in auto tra le due medesime città: c'È una differenza, a favore del volo, di svariati ordini di grandezza, e tuttavia la maggioranza si sente più sicura facendo quel viaggio in auto piuttosto che in aereo. Il ragionamento cade in difetto per quello che si chiama “errore di disponibilità” che, secondo il mio punto di vista, consiste nel permettere che l’immagine di un disastro aereo, con tutto il suo carico emotivo, domini il paesaggio del ragionamento, generando un’inclinazione negativa verso quella che È la scelta corretta. Questo esempio può sembrare in contrasto con il mio argomento principale; ma non e così. Esso mostra che emozioni e pulsioni biologiche possono, chiaramente, influenzare la decisione, e suggerisce che l’influenza “negativa” basata sul corpo, per quanto in disaccordo con le statistiche, È comunque orientata alla sopravvivenza: infatti, È pur vero che ogni tanto qualche aereo precipita, e agli incidenti aerei sopravvivono meno persone che agli incidenti d’auto.
Ma se pulsioni biologiche ed emozione in alcune circostanze possono dare origine a irrazionalità, in altre esse sono indispensabili. Le pulsioni biologiche e i meccanismi automatici di marcatore somatico che su di esse si fondano sono essenziali per alcuni comportamenti razionali, soprattutto nel dominio personale e in quello sociale; d’altra parte a volte possono essere assai nocive a una decisione razionale, generando una forte inclinazione negativa verso fatti oggettivi, o anche interferendo con meccanismi di supporto della decisione, come la memoria operativa.
Un esempio tratto dalla mia esperienza personale contribuirà a chiarire ancora meglio quanto detto. Non molto tempo fa, venne nel nostro laboratorio un paziente con una lesione in posizione prefrontale ventromediana. Era una fredda giornata d’inverno, era caduta pioggia mista a neve e le strade erano coperte da una sottile patina di ghiaccio che rendeva assai rischiosa la guida. Così, quando egli fu arrivato, al volante della propria auto, gli chiesi se avesse avuto problemi a guidare su quel fondo stradale. La risposta fu pronta e serena: non aveva avuto problemi, non più del solito, salvo un po’ di at-tenzione nel seguire le procedure che vanno osservate per la guida sul ghiaccio. Poi il paziente mi descrisse in breve alcune di tali procedure, opportune e razionali, e mi disse di aver visto che alcune automobili e alcuni camion erano finiti fuori strada per non averle seguite. Anzi, proprio la vettura che procedeva davanti alla sua era andata a fermarsi in un fossato, dopo un paio di vistose sbandate, Perchè la guidatrice era capitata su un tratto ghiacciato, l'auto era slittata e la donna, invece di manovrare con dolcezza per evitare il testacoda, si era fatta prendere dal panico e aveva frenato bruscamente. Il mio paziente, invece, all'apparenza per nulla turbato dalla scena, aveva superato solo un istante dopo lo stesso tratto ghiacciato guidando con tutta calma e proseguendo senza alcun inconveniente; e con la medesima calma ora mi raccontava l'episodio.
Non v'È dubbio che in questo caso l'assenza di un meccanismo normale di marcatore somatico sia stata molto vantaggiosa. La maggior parte di noi avrebbe dovuto fare ricorso a una decisione deliberata e forzante per impedirsi di piantare una vigorosa frenata, per non provare panico - o una totale solidarietà nei confronti della sfortunata guidatrice davanti a noi. Quindi i meccanismi automatici di marcatore somatico possono anche essere molto perniciosi, per il nostro comportamento; in alcune circostanze, la loro assenza può essere vantaggiosa.
La scena ora si apre sul giorno successivo. Sto parlando con il medesimo paziente per fissare la sua prossima venuta in laboratorio, e gli suggerisco due date, a pochi giorni di distanza l'una dall'altra. Il paziente tira fuori l'agenda e comincia a scorrerla. Il comportamento che segue (e del quale possono testimoniare diversi ricercatori, che erano presenti alla scena) È straordinariamente interessante. Per quasi mezz'ora il mio paziente va avanti a elencare ragioni pro e contro la scelta dell’una o dell’altra data: precedenti impegni, altri appuntamenti in ora troppo ravvicinata a quella della visita, evoluzione delle condizioni meteorologiche - tutto, o quasi, quello che si potrebbe ragionevolmente pensare a proposito di un appuntamento. Con la stessa imperturbabilità mostrata guidando sul ghiaccio, e poi riferendo l’episodio al quale aveva assistito, egli ora ci conduce attraverso una spossante analisi costi/benefici, una descrizione interminabile e uno sterile confronto di opzioni e di possibili conseguenze. Ci vuole un enorme sforzo di autocontrollo per stare ad ascoltarlo senza picchiare un pugno sul tavolo e gridargli di smetterla; alla fine, riusciamo a interromperlo e a suggerirgli, con calma, di venire nel secondo dei due giorni possibili. Con altrettanta calma, e con prontezza, egli risponde: “Va bene”, si rimette in tasca l’agendina e se ne va.
Ecco un bell’esempio dei limiti della ragione pura; e anche un bell’esempio delle dannose conseguenze che comporta la mancanza di meccanismi automatici di decisione. Un meccanismo automatico di marcatore somatico sarebbe stato certo d’aiuto al paziente, e per diverse ragioni. Per cominciare, gli avrebbe consentito un migliore inquadramento generale del problema. Nessuno avrebbe speso tanto tempo a esaminare la questione, giacch, un dispositivo automatico di marcatore somatico avrebbe aiutato a svelare la natura infruttuosa e troppo tollerante dell’esercizio; se non altro, ci saremmo resi conto di quanto fosse ridicolo il tutto. A un altro livello, avvertendo il possibile spreco di tempo, avremmo scelto una delle due date con un comportamento analogo al lancio di una moneta, o all’affidarsi alla sensazione del momento. Oppure avremmo potuto lasciare la decisione al nostro interlocutore, dicendogli che per noi non aveva alcuna importanza e che qualunque data da lui scelta sarebbe andata bene.
In breve, ci saremmo immaginati la perdita di tempo e l'avremmo marcata come negativa; ci saremmo immaginati l'opinione degli altri che ci attorniavano, e l'avremmo marcata come imbarazzante. V'È ragione di credere che il paziente si fosse formato qualcuno di questi “quadri” interni, ma che l'assenza di un marcatore impedisse di prestarvi attenzione e di considerarli nel modo dovuto.
Se vi state interrogando sulla stranezza di emozioni e pulsioni biologiche che possono essere benefiche e perniciose assieme, lasciatemi aggiungere che questo non sarebbe l'unico esempio, in biologia, in cui un dato fattore o meccanismo può risultare negativo o positivo a seconda delle circostanze. Tutti sappiamo che l'ossido di azoto È tossico: può inquinare l'aria e avvelenare il sangue. Eppure il medesimo gas funziona da neurotrasmettitore, inviando segnali tra le cellule nervose. Un altro neurotrasmettitore, il glutammato, ci offre un esempio ancora più sottile. Lo si trova ovunque, nel cervello, dove viene impiegato da una cellula nervosa per eccitarne un'altra. Ma quando le cellule nervose vengono lese, come avviene in un colpo apoplettico, esse liberano glutammato in eccesso, che si diffonde nell'area circostante e quindi può provocare sovreccitazione delle innocenti cellule nervose sane tutt'intorno, fino a ucciderle.
In ultima analisi, la questione qui posta riguarda il tipo e l'entità della marcatura somatica apposta a differenti configurazioni del problema da risolvere. Il pilota di un aereo di linea che sta per atterrare in un aeroporto in un momento di traffico aereo molto intenso, e in cattive condizioni meteorologiche, non deve consentire che i sentimenti disturbino la sua attenzione ai particolari dai quali dipende la sua decisione. E tuttavia egli deve avere dei sentimenti, per tener fermi gli obiettivi più ampi del suo comportamento in quella particolare situazione: sentimenti connessi con il senso di responsabilità riguardo alla vita dei passeggeri e degli altri membri dell’equipaggio, riguardo alla propria vita e a quella della propria famiglia. Un eccesso di sentimento nella configurazione più ristretta o un difetto di sentimento in quella più allargata possono avere conseguenze disastrose. In un impaccio analogo può trovarsi un agente di borsa durante una contrattazione.
Ma lo studio più affascinante di questi aspetti È quello compiuto su Herbert von Karajan (18). Gli psicologi austriaci G. e H. Harrer ebbero l’opportunità di osservare le risposte del sistema nervoso autonomo del celebre direttore in svariate circostanze: mentre atterrava all’aeroporto di Salisburgo con il suo jet, mentre dirigeva l’orchestra in uno studio di registrazione, mentre riascoltava il pezzo registrato (l’ouverture "Leonora", n. 3, di Beethoven).
La prestazione musicale di von Karajan era punteggiata da ampi cambiamenti di risposta. La frequenza del polso arterioso aumentava più vistosamente durante i passaggi di forte impatto emotivo che durante quelli di reale sforzo fisico; il profilo di tale frequenza, rilevato mentre egli riascoltava la registrazione, era parallelo a quello rilevato durante l’esecuzione. L’atterraggio, invece, lo compì come in un sogno, e anche quando - aveva appena toccato il suolo - gli fu chiesto di effettuare un decollo di emergenza, con angolo di salita piuttosto elevato, la frequenza del polso aumentò di poco: assai meno che durante gli esercizi musicali. Il suo cuore era tutto nella musica, come doveva essere, e come io stesso ebbi modo di scoprire assistendo a un suo concerto. Proprio un istante prima che egli abbassasse la bacchetta per dare inizio a un’esecuzione della "Sesta" di Beethoven, io sussurrai alcune parole all'orecchio di mia moglie, che mi sedeva accanto. Von Karajan bloccò il movimento del braccio, si voltò e mi fulminò con lo sguardo. Peccato che nessuno abbia potuto rilevare, in quel momento, la frequenza del polso - sua e mia!
Accanto e oltre i marcatori somatici.
Per quanto necessario possa essere qualcosa come il meccanismo del marcatore somatico al fine di costruire una neurobiologia della razionalità, È chiaro che ciò non lo rende sufficiente. Come ho già detto, entra in gioco la competenza logica, oltre i marcatori somatici. Inoltre, vi sono diversi processi che devono precedere, accompagnare o seguire a ruota i marcatori somatici, per consentirne l'intervento. Quali sono questi processi? E' possibile azzardare qualche ipotesi sul loro substrato neurale?
Cominciamo con il chiederci che cos'altro accade quando i marcatori somatici compiono - in modo visibile o celato - il loro lavoro di orientamento. Che cosa accade, nel cervello, per far sì che le immagini sulle quali ragionate siano mantenute per l'arco di tempo necessario? Torniamo a un problema accennato all'inizio di questo capitolo. Quando vi trovate di fronte a una decisione, ciò che domina il paesaggio della mente È il ricco, vasto dispiegamento di conoscenze sulla situazione che si genera per il fatto stesso di prenderla in esame. Vengono attivate, e messe a fuoco di continuo, immagini corrispondenti a miriadi di opzioni d'azione e a miriadi di esiti possibili. E' presente anche, pronta a portarsi sotto i riflettori, la controparte linguistica di quelle entità e scene: le parole e le frasi che raccontano ciò che la vostra mente vede e ascolta. Questo processo si basa su una creazione continua di combinazioni di entità ed eventi, e sfocia in una giustapposizione riccamente diversificata di immagini, in accordo con la conoscenza precedentemente categorizzata. Jean-Pierre Changeux ha proposto la denominazione “generatori di diversità” per le strutture prefrontali che presumibilmente compiono questa funzione e portano al formarsi di un ampio repertorio di immagini in altri siti cerebrali. Il suggerimento È ben adeguato, Poiché il generatore di diversità evoca i propri precursori immunologici, e inoltre dà luogo a un acronimo notevole [le iniziali di "generator of di-versity", in inglese, danno "god", cioÈ dio] (19)..
Questo generatore di diversità richiede un ampio deposito di conoscenza fattuale: sulle situazioni che possiamo trovarci a fronteggiare, sugli attori, su ciò che questi possono fare e sul modo in cui azioni diverse producono esiti diversi. La conoscenza fattuale viene categorizzata (i fatti che la costituiscono essendo organizzati in classi, secondo certi criteri costitutivi) e la categorizzazione contribuisce alla decisione classificando tipi di opzioni, tipi di esiti e connessioni tra opzioni ed esiti. La categorizzazione, inoltre, ordina opzioni ed esiti con riferimento a qualche particolare valore. Di fronte a una certa situazione, la categorizzazione precedente ci permette di scoprire senza indugio se È probabile che una data opzione o esito siano vantaggiosi, o in qual modo contingenze diverse possano modificare l’entità del vantaggio.
Il processo di dispiegamento della conoscenza È possibile solo se sono soddisfatte due condizioni. In primo luogo, bisogna essere capaci di sollecitare i meccanismi dell’"attenzione di base", che consentono di far permanere un’immagine mentale nella coscienza a scapito di altre; in termini neurali, ciò dipende, probabilmente, da un’esaltazione dello schema di attività neurale che sostiene una certa immagine, mentre la restante attività neurale tutt’attorno È indebolita (20). In secondo luogo, bisogna possedere un meccanismo di "memoria operativa di base" che trattenga le immagini separate per un periodo relativamente “prolungato” di centinaia o migliaia di millisecondi (da qualche decimo di secondo fino a diversi secondi consecutivi) (21). Questo significa che il cervello ripete, nel tempo, le rappresentazioni topograficamente organizzate su cui poggiano quelle immagini separate. Qui, naturalmente, si pone una domanda importante: che cosa guida la memoria operativa e l'attenzione di base? La risposta non può che essere: i "valori di base", cioÈ l'insieme delle preferenze di base intrinseche alla regolazione biologica. Senza memoria operativa e attenzione di base non vi È prospettiva alcuna di un'attività mentale coerente, e anzi i marcatori somatici non possono proprio operare, Poiché non vi È arena definita nella quale essi possano compiere la loro funzione. Comunque È probabile che memoria operativa e attenzione continuino a essere necessarie anche dopo che il meccanismo del marcatore somatico ha operato: sono necessarie per il processo di ragionamento, durante il quale si confrontano gli esiti possibili, si stabiliscono gerarchie di risultati e si compiono inferenze. Io suggerisco che uno stato somatico, negativo o positivo, causato dalla comparsa di una data rappresentazione, agisca non solo come "marcatore del valore di ciò che È rappresentato, ma anche come propulsore di attenzione e memoria operativa in attività". I processi sono “rinvigoriti” da ogni segno indicante che È in corso una loro valutazione - positiva o negativa - in termini di obiettivi e preferenze del soggetto. Non È per miracolo che attenzione e memoria operativa vengono assegnate a un obiettivo e mantenute in attività: esse sono motivate innanzitutto da preferenze intrinseche all'organismo e poi da preferenze e obiettivi acquisiti sulla base delle preferenze intrinseche.
Con riferimento alle cortecce prefrontali, io suggerisco che i marcatori somatici, i quali agiscono sul dominio bioregolatore e sociale pertinente al settore ventromediano, influenzino l’agire dell’attenzione e della memoria operativa entro il settore dorsolaterale - quello dal quale dipendono le operazioni su altri domìni di conoscenza. Rimane in tal modo aperta la possibilità che i marcatori somatici influenzino l’attenzione e la memoria operativa anche entro lo stesso dominio bioregolatore e sociale.
In altre parole, negli individui normali i marcatori somatici che scaturiscono dall’attivazione di una contingenza particolare stimolano e sostengono l’attenzione e la memoria operativa lungo tutto il sistema cognitivo. Quando È lesa la regione ventromediana, tutte queste azioni saranno compromesse, in misura più o meno grande.
Inclinazioni e creazione di ordine.
Vi sono quindi tre comprimari, nel processo di ragionamento, su un vasto paesaggio di scenari generati dalla conoscenza fattuale: "gli stati somatici automatizzati", con i loro meccanismi che producono inclinazioni; "la memoria operativa; l’attenzione". Tutti e tre questi attori interagiscono, e tutti e tre sembrano implicati nel critico problema di creare un ordine a partire da dispiegamenti spaziali paralleli. Il problema (riconosciuto per la prima volta da Karl Lashley) nasce Perchè il cervello È fatto in modo tale da permettere, in un qualsiasi momento, solo un tot limitato di esito mentale conscio e di esito di movimento (22). Le immagini che costituiscono i nostri pensieri devono essere strutturate in “frasi”, le quali a loro volta devono essere ordinate nel tempo “secondo proposizioni”, così come i fotogrammi di movimento che costituiscono le nostre risposte esterne devono essere “messi in frasi” in un certo modo, e poi tali frasi devono essere disposte secondo un particolare ordine “di proposizione”, Perchè un atto motorio abbia l'effetto voluto. La scelta dei fotogrammi che alla fine comporranno le “frasi” e le “proposizioni” della nostra mente e dei nostri movimenti viene fatta su un ventaglio di possibilità in parallelo. E siccome sia il pensiero sia il movimento richiedono un'elaborazione coordinata e simultanea, l'organizzazione di più sequenze ordinate deve procedere in continuo.
Sia che si concepisca la ragione come basata sulla selezione automatica, sia che la si concepisca come basata su una deduzione logica mediata da un sistema simbolico, oppure ancora - e meglio - su entrambe, non si può ignorare il problema dell'ordine. La mia soluzione È la seguente: 1) se va creato un ordine tra le possibilità disponibili, allora queste devono essere classificate; 2) per classificarle occorrono certi criteri (valori o preferenze sono termini equivalenti); 3) i criteri sono forniti dai marcatori somatici i quali esprimono, in un momento dato, le preferenze cumulative che noi abbiamo sia ricevuto sia acquisito.
E in qual modo i marcatori somatici funzionano come criteri? Una possibilità È che quando marcatori somatici differenti vengono giustapposti a differenti combinazioni di immagini, essi modifichino il modo in cui il cervello le tratta, e operino così come orientatori. Tale azione di orientamento potrebbe potenziare in misura diversa l'attenzione destinata a ogni componente, con la conseguenza di una assegnazione automatica di gradi di attenzione diversi a contenuti diversi, e quindi del formarsi di un paesaggio disuguale. Così, per esempio, il punto focale dell'elaborazione conscia potrebbe essere spostato da un componente a un altro, in accordo con la loro posizione in una classifica. Ma Perchè tutto questo avvenga i componenti devono rimanere dispiegati per un intervallo di tempo dell’ordine delle centinaia - o poche migliaia - di millisecondi, in configurazione relativamente stabile; e questo È il compito della memoria operativa. (Ho trovato qualche conferma di questa idea generale in alcuni recenti studi di William T. Newsome e collaboratori sulla neurofisiologia della decisione percettiva: un cambiamento dell’equilibrio dei segnali applicati a una particolare popolazione di neuroni rappresentativa di un particolare contenuto si È tradotto in una “decisione” a favore di quel contenuto, secondo un meccanismo apparentemente del tipo “chi vince prende tutto”) (23).
La cognizione e il movimento normali richiedono l’organizzazione di sequenze interattive in concorso. Dove occorre ordine occorre decisione, e dove occorre decisione deve esservi un criterio che permetta di decidere. Dal momento che molte decisioni hanno un’influenza sul futuro di un organismo, È plausibile che alcuni criteri siano radicati, direttamente o indirettamente, nelle pulsioni biologiche dell’organismo (le sue ragioni, per dir così). Queste possono essere espresse in modo manifesto o celato, e possono essere usate per orientare un marcatore, dietro intervento dell’attenzione, in un campo di rappresentazioni che la memoria operativa mantiene attivo.
Per la maggior parte di noi, abbastanza fortunati da essere stati allevati in una cultura relativamente ricca, il dispositivo automatico del marcatore somatico È stato conformato, dall’istruzione, agli standard di razionalità propri di tale cultura. Nonostante abbia radici nella regolazione biologica, il dispositivo È stato accordato alle prescrizioni culturali intese ad assicurare la sopravvivenza in una particolare società. Supposto che il cervello sia normale e che la cultura in cui esso si sviluppa sia una cultura florida, il dispositivo È stato reso razionale rispetto all'etica e alle convenzioni sociali.
Per la razionalità, l'azione di pulsioni biologiche, stati corporei ed emozioni può essere un fondamento indispensabile. I livelli più bassi dell'edificio neurale della ragione sono gli stessi che regolano l'elaborazione di emozioni e sentimenti, insieme con le funzioni globali del corpo, in modo che l'organismo possa sopravvivere. Questi livelli inferiori mantengono relazioni mutue e dirette con il corpo, ponendolo così all'interno della catena di operazioni che consentono alla ragione e alla creatività le conquiste più alte. E' probabile che la razionalità sia foggiata e modulata da segnali corporei, anche quando essa compie le distinzioni più sublimi e agisce di conseguenza.
David Hume, il quale era ben consapevole del valore delle emozioni, potrebbe non dissentire da queste affermazioni; e Pascal, il quale affermò che “il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce”, avrebbe giudicato plausibile quanto detto finora (24); ma io vorrei modificare il suo enunciato, in questo modo: "l'organismo ha alcune ragioni che la ragione deve utilizzare". Non vi È dubbio che il processo continui oltre le ragioni del cuore. Da un lato, usando gli strumenti della logica possiamo controllare la fondatezza delle scelte che le nostre preferenze ci hanno aiutato a fare. D'altro lato, possiamo andare oltre usando le strategie di deduzione e di induzione in proposizioni linguistiche facilmente disponibili. (Quando avevo già completato la stesura di questo libro mi sono imbattuto in svariate voci che si accordano con quanto io sostengo. J.St.B.T. Evans di recente ha suggerito che esistono due tipi di razionalità, in larga misura relativi ai due domìni da me indicati, quello personale/sociale e l’altro; il filosofo Ronald De Sousa ha sostenuto che le emozioni siano intrinsecamente razionali; P. N. Johnson-Laird e Keith Oatley hanno avanzato l’ipotesi che le emozioni di base contribuiscano a fare agire in modo razionale) (25).