5. ELEMENTI DI UNA SPIEGAZIONE
Una misteriosa alleanza.
Nella prima parte, lo studio dei pazienti con sopravvenute menomazioni del ragionamento e della decisione ha portato a identificare in loro un particolare insieme di sistemi cerebrali che erano stati danneggiati. Inoltre, ha permesso di individuare un gruppo apparentemente bizzarro di processi neuropsicologici che dipendevano dall’integrità di quei sistemi. Ma, innanzitutto, che cosa connette tali processi tra loro, e che cosa li lega ai sistemi neurali descritti a grandi linee nel capitolo precedente? Qui tenteremo di dare alcune risposte provvisorie.
In primo luogo, raggiungere una decisione riguardo al tipico problema personale posto in un ambiente sociale, che È complesso e il cui esito È incerto, richiede sia conoscenze estese sia strategie di ragionamento che consentano di operare su tali conoscenze: queste includono fatti riguardanti oggetti, persone, situazioni del mondo esterno. Ma le decisioni personali e sociali non sono separabili dalla sopravvivenza, e perciò le conoscenze includono anche fatti e meccanismi riguardanti la regolazione dell’organismo nel suo insieme. Le strategie di ragionamento ruotano attorno a obiettivi, scelte di azione, previsioni di esiti futuri e programmi per il conseguimento di quegli obiettivi a varie scale temporali.
In secondo luogo, i processi dell’emozione e del sentimento sono parte essenziale dell’apparato neurale per la regolazione biologica, il cui nucleo È costituito da controlli omeostatici, pulsioni e istinti.
In terzo luogo, per il modo in cui È fatto il cervello, l’estesa conoscenza necessaria dipende da numerosi sistemi che si trovano in regioni cerebrali relativamente separate, piuttosto che in un’unica regione. Larga parte di tale conoscenza viene richiamata sotto forma di immagini in molti siti cerebrali anzich, in uno solo. Anche se È comune l’illusione che ogni cosa confluisca in un unico teatro anatomico, recenti risultati suggeriscono che non È così. Probabilmente, lo svolgersi relativamente simultaneo delle attività in siti diversi lega assieme le parti separate della mente.
In quarto luogo, dal momento che solo in modo distribuito e “per pacchetti” È possibile richiamare la conoscenza da siti in molti sistemi paralleli, Perchè le strategie di ragionamento possano operare occorre che la rappresentazione di miriadi di fatti sia mantenuta attiva in un’ampia mostra parallela e per un lasso di tempo prolungato (al minimo per diversi secondi). In altre parole, le immagini sulle quali ragioniamo (immagini di specifici oggetti, azioni e schemi relazionali, nonch, di parole che aiutano a tradurre quelle immagini in forma linguistica) non solo debbono essere “a fuoco” (qualcosa che si consegue con l’attenzione), ma devono essere anche “mantenute attive nella mente” (il che si consegue mediante la memoria operativa di ordine superiore).
Io sospetto che la misteriosa alleanza dei processi svelati alla fine del capitolo precedente sia dovuta in parte alla natura del problema che l’organismo si trova a risolvere e in parte al modo in cui È fatto il cervello. Le decisioni personali e sociali sono cariche di incertezza e, in modo diretto o indiretto, hanno un influsso sulla sopravvivenza, perciò richiedono un ampio repertorio di conoscenze riguardanti il mondo esterno e il mondo interno all’organismo. E però, dal momento che il cervello conserva e richiama le conoscenze in modo spazialmente confinato anzich, integrato, esse richiedono anche attenzione e memoria operativa, affinch, quel componente di conoscenza che viene richiamato come esibizione di immagini possa essere manipolato al tempo giusto.
Quanto alla ragione per cui i sistemi neurali identificati si sovrappongono con tanta evidenza, io credo che vada ricercata nella convenienza evolutiva. Se una regolazione biologica di base È essenziale per guidare il comportamento personale e sociale, allora È verosimile che nella selezione naturale sia prevalsa una conformazione del cervello nella quale i sottosistemi preposti alla decisione e al ragionamento rimanevano strettamente allacciati a quelli connessi con la regolazione biologica, dato che gli uni e gli altri sono implicati nella sopravvivenza.
La spiegazione generale anticipata in tali risposte permette di cominciare ad avvicinarsi alle domande poste dal caso di Phineas Gage: che cos’È, nel cervello, che consente agli esseri umani di comportarsi in modo razionale? E come opera? Di solito sono restìo a includere il tentativo di rispondere a tali domande nell’espressione “neurobiologia della razionalità”, che suona ufficiale e pretenziosa, ma di questo si tratta, "in nuce": dei germogli di una neurobiologia della razionalità umana al livello dei sistemi cerebrali a larga scala.
In questa seconda parte, voglio considerare la plausibilità della spiegazione generale accennata più sopra e farne discendere un’ipotesi che si possa mettere alla prova. Ma l’argomento ha ampie ramificazioni; per questo restringerò la discussione a un numero selezionato di punti necessari per rendere più comprensibili le idee esposte.
Questo capitolo È un ponte tra i fatti della prima parte e le interpretazioni che darò più avanti; spero che il lettore non lo consideri un’interruzione. Esso ha diversi scopi: passare in rassegna le nozioni alle quali mi richiamerò spesso (ad esempio organismo, corpo, cervello, comportamento, mente, stato); discutere brevemente le basi neurali della conoscenza, con un’attenzione particolare per la sua natura “a pacchetti” e per la sua dipendenza dalle immagini; formulare commenti sullo sviluppo neurale. Non sarò esauriente (sarebbe stata opportuna e utile, ad esempio, una discussione sull’apprendimento e sul linguaggio, ma nessuno dei due argomenti e indispensabile per il fine che mi prefiggo); di nessun tema darò una trattazione da libro di testo; non giustificherò ogni opinione qui espressa. Si tratta, il lettore ricorderà, di una conversazione.
I capitoli successivi torneranno alla vicenda principale e toccheranno la regolazione biologica, il modo in cui questa si esprime nell’emozione e nel sentimento, e i meccanismi attraverso i quali emozione e sentimento possono essere impiegati nel decidere.
Qui sarà opportuno ripetere un’osservazione già fatta nell’Introduzione: il mio libro È un’indagine aperta, piuttosto che un catalogo di fatti assodati; io prendo in esame ipotesi e test empirici, non faccio affermazioni di certezza.
Su organismi, corpi e cervelli.
Quali che siano le possibili domande riguardo a chi siamo e Perchè siamo come siamo, È sicuro che noi siamo organismi viventi complessi, dotati di un corpo in senso stretto (corpo, in breve) e di un sistema nervoso (cervello, in breve). Ogni volta che mi riferisco al corpo io intendo l’intero organismo meno il tessuto nervoso (componenti centrali e periferici del sistema nervoso), anche se in senso convenzionale il cervello È parte del corpo.
L’organismo ha una struttura e miriadi di componenti: ha uno scheletro osseo con molte parti, connesse mediante articolazioni e mosse da muscoli; ha numerosi organi, combinati in sistemi; ha una superficie di delimitazione esterna, o membrana, costituita in gran parte da pelle. In alcune occasioni farò riferimento agli organi - vasi sanguigni, organi della testa, del torace e dell’addome - chiamandoli “visceri”. Anche qui, vi andrebbe incluso il cervello, nel senso convenzionale, ma io lo escludo.
Ogni parte dell’organismo È fatta di tessuti biologici, a loro volta fatti di cellule. Ogni cellula È costituita da numerose molecole disposte in modo da creare uno scheletro per la cellula (citoscheletro), svariati organi e sistemi (nuclei e vari organelli cellulari) e una superficie di confine che abbraccia il tutto (membrana cellulare). La complessità di strutture e funzioni È scoraggiante, quando si guarda a una di tali cellule in azione, ed È sbalorditiva, quando si guarda a un sistema di organi del corpo.
Stati degli organismi.
Nella trattazione che segue, si farà spesso riferimento a “stati corporei” e “stati mentali”. Gli organismi viventi cambiano in continuazione, assumendo una successione di “stati”, ciascuno dei quali È definito da svariate configurazioni di attività in corso in tutti i suoi componenti: lo si potrebbe raffigurare come l’insieme composito delle azioni di una moltitudine di persone e di oggetti operanti all’interno di un’area circoscritta. Immaginate di trovarvi al terminal di un grande aeroporto e di guardarvi in giro, all’interno e all’esterno; potete vedere e udire l’affaccendarsi continuo di molti sistemi differenti: gente che si imbarca o sbarca dagli aerei, che se ne sta seduta o in piedi; gente che si muove o cammina con uno scopo apparente; aerei che rullano, che decollano, che atterrano; meccanici e addetti ai bagagli che si spostano per il proprio lavoro. E ora supponete di bloccare sul fotogramma questo filmato, o di riprendere un’istantanea della scena con un obiettivo grandangolare: otterrete l’immagine di uno stato, un’artificiosa, momentanea sezione di vita indicante ciò che stava accadendo nei vari organi di un vasto organismo durante la finestra temporale definita dalla velocità dell’otturatore. (Le cose, in realtà, sono un po’ più complicate di così: a seconda della scala a cui si effettua l’analisi, gli stati degli organismi possono essere unità discrete, oppure fondersi in continuazione).
Corpo e cervello interagiscono: l’organismo dall’interno.
Cervello e corpo sono indissolubilmente integrati da circuiti neurali e biochimici che dall’uno puntano all’altro, e viceversa. Due sono le principali vie di interconnessione: quella alla quale si pensa per prima È costituita da nervi periferici sensitivi e motori che convogliano segnali da ogni parte del corpo al cervello e dal cervello a ogni parte del corpo. L’altra via, alla quale È meno immediato pensare, anche se È molto più antica dal punto di vista evolutivo, È il flusso sanguigno, che trasporta segnali chimici quali ormoni, neurotrasmettitori, modulatori.
Basta una sintesi semplificata per rivelare quanto siano intricate tali relazioni.
1) Quasi ogni parte del corpo - ogni muscolo, ogni articolazione, ogni organo interno - può mandare segnali al cervello attraverso i nervi periferici. Questi segnali entrano nel cervello al livello del midollo spinale o del midollo allungato e alla fine vengono portati dentro il cervello, di stazione neurale in stazione neurale, fino alle cortecce somatosensitive nel lobo parietale e nelle regioni dell’insula.
2) Attraverso il flusso sanguigno le sostanze chimiche prodotte dall’attività del corpo possono raggiungere il cervello e influire sul suo funzionamento, o direttamente oppure attivando particolari siti cerebrali come l’organo subfornicale.
3) Nel verso opposto, il cervello può agire su tutte le parti del corpo, attraverso i nervi. Gli agenti sono il sistema nervoso autonomo (o vegetativo) e il sistema nervoso muscoloscheletrico (o volontario). I segnali per il sistema nervoso autonomo scaturiscono dalle regioni evolutivamente più antiche (amigdala, cingolato, ipotalamo e midollo allungato), mentre quelli per il sistema muscoloscheletrico scaturiscono da diverse cortecce motorie e nuclei motori subcorticali, di varie età evolutive.
4) Il cervello agisce sul corpo anche producendo o ordinando la produzione di sostanze chimiche che vengono liberate nel flusso sanguigno: ad esempio ormoni, trasmettitori e modulatori. (Su questo punto, altri particolari verranno dati nel capitolo seguente).
Quando affermo che corpo e cervello formano un organismo indissolubile non esagero; in realtà, sto semplificando troppo. Si consideri che il cervello riceve segnali non solo dal corpo, ma - in alcuni suoi settori - da proprie parti che ricevono segnali dal corpo! L’organismo costituito dalla associazione corpo-cervello interagisce con l’ambiente come un tutt’uno: l’interazione non È del solo corpo Né del solo cervello. Ma organismi complessi quali i nostri non si limitano a interagire, a generare le risposte esterne - spontanee o reattive - complessivamente designate come comportamento. Essi generano anche risposte interne, alcune delle quali costituiscono immagini (visive, uditive, somatosensoriali, eccetera), che io suppongo essere la base della mente.
Su mente e comportamento.
Molti organismi semplici (anche quelli costituiti da una sola cellula e privi di cervello) eseguono azioni, spontaneamente o in risposta a stimoli dell’ambiente: in altre parole, producono comportamento. Alcune di tali azioni sono racchiuse all’interno degli organismi stessi e possono essere celate a un osservatore (ad esempio, la contrazione di un organo interno), oppure osservabili dall’esterno (ad esempio, una mioclonia, o l’estensione di un arto); altre azioni (strisciare, camminare, tenere un oggetto) sono dirette verso l’ambiente. Ma in alcuni organismi semplici e in tutti quelli complessi le azioni - sia spontanee sia reattive - sono provocate da comandi provenienti da un cervello. (Si osservi che organismi dotati di corpo e non di cervello, ma capaci di movimento, precedettero e poi coesisterono con organismi dotati sia di corpo sia di cervello).
Non tutti gli atti comandati da un cervello sono deliberati; al contrario, È corretto supporre che la massima parte delle cosiddette azioni provocate dal cervello, compiute in un momento qualsiasi, non lo sia affatto. Esse sono semplici risposte, delle quali dà esempio un riflesso: uno stimolo convogliato da un neurone che porta un altro neurone ad agire.
Via via che gli organismi acquisivano complessità sempre maggiore, le azioni “provocate dal cervello” richiedevano più elaborazione intermedia: tra il neurone di stimolo e il neurone di risposta venivano interpolati altri neuroni, e così venivano allestiti circuiti paralleli diversi; ma non ne seguì che l’organismo dotato del cervello più complicato dovesse avere una mente. I cervelli possono presentare molti stadi intermedi nei circuiti che collegano stimolo e risposta, e tuttavia non avere menti, se non soddisfano una condizione essenziale: la capacità di dispiegare immagini internamente e di ordinarle in un processo chiamato pensiero. (Le immagini non sono soltanto visive: vi sono anche “immagini sonore”, “immagini olfattive”, eccetera). Ora È possibile completare la mia affermazione sugli organismi con un comportamento dicendo che non tutti hanno una mente, e cioÈ che non tutti presentano fenomeni mentali (il che equivale a dire che non tutti hanno cognizione, cioÈ processi cognitivi). Alcuni organismi hanno sia comportamenti sia cognizione; alcuni presentano azioni intelligenti ma nessuna mente: non sembra esservi alcun organismo che sia dotato di mente e non manifesti azione.
A mio giudizio, allora, avere una mente significa questo: un organismo forma rappresentazioni neurali che possono divenire immagini, essere manipolate in un processo chiamato pensiero e alla fine influenzare il comportamento aiutando a prevedere il futuro, a pianificare di conseguenza e a scegliere la prossima azione. Qui sta il centro della neurobiologia, secondo la mia concezione: il processo tramite il quale le rappresentazioni neurali, che consistono di modificazioni biologiche create in un circuito neuronico dall’apprendimento, diventano immagini nella nostra mente; il processo che consente a invisibili modificazioni microstrutturali dei circuiti neuroni-ci (nei corpi cellulari, nei dendriti, negli assoni e nelle sinapsi) di diventare una rappresentazione neurale, e questa a sua volta diviene un’immagine che ciascuno di noi avverte come propria.
In prima approssimazione, la funzione generale del cervello È quella di essere informato su ciò che avviene nel resto del corpo, su ciò che avviene nel cervello stesso, e sull’ambiente che circonda l’organismo, in modo che tra organismo e ambiente si possa raggiungere un adattamento adeguato e propizio alla sopravvivenza. Secondo una prospettiva evoluzionistica, non si dà il contrario: se non vi fosse stato corpo, non vi sarebbe stato cervello. Per inciso, di organismi semplici dotati di corpo e di comportamento, ma non di cervello o di mente, ce ne sono ancora, e tanti: anzi, in realtà sono di molti ordini di grandezza più numerosi degli esseri umani. Basta pensare ai molti batteri come "Escherichia coli" che vivono beati dentro ciascuno di noi.
Organismo e ambiente interagiscono: confronto con il mondo di fuori.
Se corpo e cervello interagiscono in modo intenso, non meno vigorosamente l’organismo che essi formano interagisce con ciò che gli sta attorno. Tali relazioni sono mediate dai movimenti dell’organismo e dai suoi dispositivi sensoriali.
L’ambiente appone il proprio segno sull’organismo in una varietà di modi: ad esempio, stimolando l’attività neurale nell’occhio (dentro il quale si trova la rètina), nell’orecchio (dentro il quale si trovano la chiocciola, per la percezione dei suoni, e l’apparato vestibolare, per la percezione dell’equilibrio) e in una miriade di terminazioni nervose presenti nella pelle, nelle papille gustative e nella mucosa nasale. Le terminazioni nervose inviano segnali a determinati e ben circoscritti punti di accesso del cervello, le cosiddette cortecce sensitive di ordine inferiore della visione, dell’udito, delle sensazioni tattili, del gusto e dell’olfatto, assimilabili a una sorta di porto sicuro per i segnali. Ognuna di tali regioni È una collezione di svariate aree e in ognuna di tali regioni si ha un fitto incrociarsi di segnali tra le aree (fig. 5.1). Dirò più avanti in questo stesso capitolo che a mio giudizio questi settori interconnessi sono la base delle rappresentazioni organizzate topograficamente, la sorgente delle immagini mentali.
Fig. 5.1.
Schema semplificato di alcune interconnessioni tra le “cortecce visive di ordine inferiore” (V1, V2, V3, V4, V5) e le tre strutture subcorticali visivamente correlate: il nucleo genicolato laterale (LGN), il pulvinare (PUL) e il collicolo superiore (coll). V1 È nota anche come corteccia visiva “primaria” e corrisponde all'area 17 di Brod-mann. Si osservi che la maggior parte dei componenti di questo sistema È interconnessa da proiezioni neuroniche in avanti e all'indietro (indicate dalle frecce). L'input visivo perviene al sistema dall'occhio attraverso il nucleo genicolato laterale e il collicolo. Le uscite dal sistema provengono da molti componenti, in parallelo (ad esempio da V4, V5, eccetera), e sono dirette verso bersagli corticali e subcorticali.
A sua volta, l’organismo agisce sull’ambiente attraverso movimenti dell’intero corpo, degli arti e dell’apparato vocale, che sono controllati dalle cortecce M1, M2 e M3 (quelle dalle quali scaturiscono anche i movimenti diretti al corpo), con l’aiuto di diversi nuclei motori subcorticali. Vi sono, quindi, settori del cervello ai quali arrivano in continuazione segnali provenienti dal corpo o dagli organi di senso del corpo. Tali settori “di ingresso” sono anatomicamente separati e non comunicano l’uno con l’altro in modo diretto. Vi sono anche settori del cervello dai quali scaturiscono i segnali chimici e motori: tra questi settori “di uscita” si annoverano il midollo allungato, i nuclei dell’ipotalamo e le cortecce motorie.
Digressione sull’architettura dei sistemi neurali.
Supponete di star progettando il cervello umano partendo da zero, e di avere già indicato - a matita - tutti i porti ai quali occorre convogliare i molti segnali sensoriali; non vi verrebbe voglia di fondere assieme i segnali provenienti da differenti fonti di sensazioni (vista e udito, ad esempio) con la massima rapidità possibile, in modo che il cervello potesse generare “rappresentazioni integrate” di cose viste e udite simultaneamente? Non vorreste connettere tali rappresentazioni ai controlli motori, in modo che il cervello potesse rispondere con efficacia? La vostra risposta sarà un bel sì squillante; ma non È stata questa la risposta della natura. Un paio di decenni fa, un fondamentale studio delle connessioni neuroniche ad opera di E. G. Jones e T.P.S. Powell, ha mostrato che la natura non consente che i porti delle sensazioni dialoghino direttamente tra loro, e nemmeno che essi parlino direttamente ai controlli motori (1). Ad esempio, al livello della corteccia cerebrale, ogni collezione di aree sensitive di ordine inferiore deve prima parlare a una varietà di regioni interposte, le quali parlano ad altre regioni più distanti, e così via. Il messaggio È trasportato da assoni che si proiettano in avanti (proiezioni "feedforward"), i quali convergono in regioni poste più a valle, e queste a loro volta convergono in altre regioni.
Può sembrare che questa molteplicità di flussi paralleli e convergenti vada a finire in alcuni vertici, come la corteccia più vicina all’ippocampo (corteccia entorinale) o alcuni settori della corteccia prefrontale (quello dorsolaterale o quello ventromediano); ma ciò È impreciso. Per un verso, i flussi paralleli non “terminano” mai, in quanto tali, Poiché dai dintorni di ogni punto nel quale essi si proiettano in avanti si diparte una corrispondente proiezione all’indietro, e quindi È corretto affermare che i segnali del flusso muovono sia in avanti sia all’indietro. Anzich, un flusso che si muove in avanti si trovano anelli di proiezioni in avanti e di proiezioni retroagenti, che possono dar luogo a un ricorso perpetuo.
Vi È un’altra ragione per la quale i flussi non “terminano” nel vero senso della parola: le proiezioni dirette verso i controlli motori, che si trovano fuori di alcune delle loro stazioni, soprattutto di quelle site in avanti.
Così la comunicazione tra settori d’ingresso e quella tra settori d’ingresso e settori d’uscita non È diretta bensì mediata, e fa impiego di una complessa architettura di raggruppamenti di neuroni intercon-nessi. Al livello della corteccia cerebrale, questi raggruppamenti sono regioni corticali poste entro varie cortecce di associazione. Ma si ha comunicazione mediata anche attraverso grandi nuclei subcorticali, come quelli del talamo e dei gangli basali, o piccoli nuclei, come quelli del midollo allungato.]
In breve, assai grande È il numero di strutture cerebrali che si trovano tra i settori di ingresso e di uscita, e immensa la complessità dei loro schemi di connessione. E’ naturale chiedersi che cosa accada in tutte queste strutture “interposte”, e a che cosa ci serva tanta complessità. La risposta È che quell’attività, insieme con l’attività delle aree di ingresso e di uscita, costruisce di momento in momento ed elabora furtivamente le nostre immagini mentali. Sulla base di queste (ma ne dirò di più nelle pagine che seguono) ci È possibile interpretare i segnali portati alle cortecce sensitive di ordine inferiore in modo che noi possiamo organizzarli in concetti e categorizzarli. Possiamo così acquisire strategie per il ragionamento e per la decisione; possiamo, inoltre, selezionare una risposta motoria dal menù disponibile nel cervello, oppure formulare una risposta motoria nuova, una deliberata, volontaria composizione di atti: picchiare sul tavolo, tenere in braccio un bambino, suonare un pezzo di Mozart al piano.
Tra i cinque principali settori d’ingresso sensoriale e i tre principali settori d’uscita del cervello si trovano le cortecce di associazione, i gangli basali, il talamo, le cortecce del sistema limbico e i nuclei del limbo, il midollo allungato e il cervelletto. Nell’insieme, questo “organo” di informazione e di governo, questa ampia collezione di sistemi, detiene sia la conoscenza innata sia quella acquisita riguardo al corpo, al mondo esterno, e allo stesso cervello nella sua interazione con il corpo e con il mondo esterno. Tale conoscenza viene impiegata per dispiegare e manipolare uscite motorie e uscite mentali, le immagini che costituiscono i nostri pensieri. Io ritengo che questo repertorio di fatti e di strategie per manipolarli sia immagazzinato - in sospeso e a riposo - sotto forma di “rappresentazioni disposizionali” (o “disposizioni”, in breve) nei settori cerebrali interposti. La regolazione biologica, il ricordo degli stati precedenti e la pianificazione degli atti futuri sono il risultato di un’attività cooperativa non solo nelle cortecce di ordine inferiore, sensitive e motorie, ma anche nei settori cerebrali interposti.
Dall’attività ripartita a una mente integrata.
E’ opinione diffusa, tra quanti amano pensare a come lavora il cervello, che le molte fila dell’elaborazione delle sensazioni di cui la mente fa esperienza (suoni e visioni, sapore e aroma, forma e aspetto superficiale) rientrino tutte in un’unica struttura cerebrale: sarebbe un po’ come ritenere che ciò che sta assieme nella mente stia assieme, in un unico luogo, anche nel cervello, e che lì si fondano i differenti aspetti sensoriali. Questa metafora, piuttosto comune, richiama l’idea di un grande schermo per cinemascope, attrezzato per una rutilante proiezione in technicolor con sonoro in stereofonia, e magari anche una pista per gli odori e i profumi. Daniel Dennett, che se ne È occupato ampiamente, ha chiamato questa concezione “teatro cartesiano” e ha mostrato in modo convincente, sulla base di considerazioni cognitive, che tale teatro non può esistere (2). Anch’io per parte mia, basandomi su considerazioni di neuroscienze, sostengo che si tratta di un’intuizione falsa.
Riassumo qui le mie ragioni, che ho discusso e trattato più ampiamente in altra sede (3). L’argomentazione principale contro l’idea di un sito di integrazione nel cervello È questa: non esiste, nel cervello umano, un’unica regione attrezzata per elaborare simultaneamente le rappresentazioni provenienti da tutte le modalità sensoriali che sono attive quando noi, per esempio, facciamo esperienza simultanea di suono, movimento, forma e colore, in perfetta coincidenza temporale e spaziale.
E’ appena agli inizi la raccolta di dati e informazioni su dove È probabile che avvenga la costruzione di immagini relative a ogni singola modalità sensoriale separata, ma non vi È luogo nel quale sia possibile trovare un’area unica in cui siano proiettati in coincidenza precisa tutti quei prodotti distinti.
Esistono, È vero, alcune regioni del cervello nelle quali possono convergere i segnali provenienti da molte differenti aree sensitive di ordine inferiore: alcune di queste regioni di convergenza in effetti ricevono un’ampia varietà di segnali polimodali - ad esempio le cortecce entorinali e peririnali. Ma il tipo di integrazione che esse possono produrre usando questi segnali non sembra essere quello che forma la base della mente integrata. Basti dire che una lesione a queste regioni di convergenza di ordine superiore, anche quando si verifichi in entrambi gli emisferi, non preclude affatto l’integrazione della “mente”, anche se provoca altre conseguenze neuropsicologiche rilevabili, quali ad esempio menomazioni dell’apprendimento. Forse È più fruttuoso pensare che il nostro forte senso di integrazione della mente sia creato dall’azione concertata di sistemi a larga scala mediante la sincronizzazione di insiemi di attività neurali in regioni cerebrali separate - È una questione di tempismo. Se l’attività avviene in regioni cerebrali anatomicamente separate, ma appros-simativamente entro la medesima finestra temporale, È ancora possibile collegare le parti che stanno dietro la scena, per così dire, e creare l’impressione che tutto accada nello stesso luogo. Si noti che ciò non spiega in alcun modo come il tempo operi il collegamento, ma piuttosto suggerisce che la temporizzazione È una parte importante del meccanismo. L’idea di una integrazione tramite il tempo È emersa nel decennio scorso e oggi appare con molto rilievo nei lavori di un certo numero di scienziati teorici (4).
Se davvero il cervello per mezzo del tempo integra processi separati in combinazioni dotate di significato, si ha una soluzione sensata e semplice, ma non esente da rischi e difficoltà. Il rischio principale È quello di un errore di temporizzazione. Qualsiasi difetto nel funzionamento del meccanismo di temporizzazione creerebbe, probabilmente, un’integrazione impropria, o addirittura disintegrazione. Forse È quello che accade negli stati di confusione causati da lesioni alla testa, o in alcuni sintomi di schizofrenia e di altre malattie. Il problema fondamentale creato dal collegamento temporale riguarda l’esigenza di mantenere a fuoco l’attività di siti diversi per tutto il tempo che occorre affinch, si formino combinazioni dotate di significato e affinch, ragionamento e decisione abbiano luogo. Il collegamento temporale richiede meccanismi efficaci e potenti di attenzione e di memoria operativa; sembra che la natura abbia acconsentito a fornirli.
Ogni sistema sensoriale sembra equipaggiato in modo da offrire i propri dispositivi locali di attenzione e di memoria operativa. Ma quando si passa ai corrispondenti processi globali, gli studi su esseri umani e gli esperimenti su animali suggeriscono che sono essenziali le cortecce prefrontali e alcune strutture del sistema limbico (il cingolato anteriore) (5). Adesso possono essere più chiare le misteriose connessioni tra i processi e i sistemi cerebrali di cui si È detto all’inizio di questo capitolo.
Immagini di adesso, immagini del passato e immagini del futuro.
La conoscenza fattuale che si richiede per ragionare e per decidere viene alla mente sotto forma di immagini. Diamo uno sguardo, pur se rapido, al possibile substrato neurale di queste.
Se osservate, fuori della finestra, il paesaggio autunnale, o ascoltate una musica che fa da sottofondo, o fate scorrere i polpastrelli su una superficie metallica liscia, o leggete queste parole riga per riga fino al fondo della pagina, voi state percependo, e quindi formando immagini di svariate modalità sensoriali: si chiamano "immagini percettive".
Ma può darsi che voi vi interrompiate, mentre seguite quel paesaggio, quella musica, quella superficie, quel testo; può darsi che vi distraiate per rivolgere il pensiero altrove. Forse adesso pensate alla zia Margherita, o alla torre Eiffel, o alla voce di Placido Domingo, o a quello che ho appena detto riguardo alle immagini. Ognuno dei vostri nuovi pensieri È ancora costituito da immagini, a prescindere dalla circostanza che siano fatte per lo più di forme, di colori, di movimenti, di suoni, di parole dette o non dette. Tali immagini, che si presentano quando voi rievocate il ricordo di cose passate, vanno sotto il nome di "immagini richiamate", per distinguerle da quelle percettive.
Impiegando le immagini richiamate È possibile fare ritornare un tipo particolare di immagine del passato, che si È formata quando avete pianificato qualcosa che non È ancora accaduto ma che volete che accada: per esempio, rimettere a posto la biblioteca, il prossimo fine settimana. Via via che il processo di pianificazione si dispiegava, voi andavate formando immagini di oggetti e movimenti, e consolidando nella mente un ricordo di quella finzione. Le immagini di qualcosa che non È ancora accaduto - e in effetti potrebbe non accadere mai - non hanno natura differente da quelle di qualcosa che già È avvenuto. Esse costituiscono il ricordo di un futuro possibile anzich, di un passato che fu.
Tutte queste varie immagini - percettive, richiamate da un reale passato, richiamate da programmi per il futuro - sono costruzioni del cervello. E di questo si può esser certi: che esse sono reali per il vostro sè, e che gli altri esseri formano immagini confrontabili. Ognuno di noi condivide il proprio concetto del mondo, basato su immagini, con gli altri esseri umani e anche con alcuni animali: vi È una notevole coerenza nelle costruzioni che individui diversi elaborano degli aspetti essenziali dell’ambiente (strutture, suoni, forme, colori, spazio). Se i nostri organismi fossero disegnati in modi differenti, altrettanto differenti sarebbero le costruzioni che elaboriamo del mondo circostante. Non sappiamo, ed È improbabile che un giorno riusciremo a sapere, quale sia la realtà “assoluta”.
Com’È che arriviamo a creare queste mirabili costruzioni? A quanto sembra, esse sono architettate da un complesso macchinario neurale di percezione, memoria e ragionamento. A volte il ritmo della costruzione È regolato dal mondo esterno al cervello, cioÈ dal mondo interno al corpo o attorno al corpo, con un piccolo aiuto da parte della memoria del passato: È quello che avviene quando generiamo immagini percettive. A volte la costruzione È diretta completamente dall’interno del cervello, mediante i dolci e silenziosi processi del pensiero, procedendo - per dir così - dall’alto verso il basso: È quello che avviene, ad esempio, quando richiamiamo una melodia che ci È cara, o quando rievochiamo a occhi chiusi certe scene visive (che siano la ripetizione di un evento reale o soltanto immaginato).
Ma l’attività neurale più strettamente correlata con le immagini di cui facciamo esperienza si svolge nelle cortecce sensitive di ordine inferiore e non nelle altre regioni. L’attività di tali cortecce - innescata da percezioni o dalla rievocazione di ricordi - È per così dire il risultato di elaborazioni complesse che si svolgono dietro la scena, in numerose regioni della corteccia cerebrale e dei nuclei di neuroni al di sotto della corteccia, nei gangli basali, nel midollo allungato e altrove. In breve: "le immagini sono basate direttamente su quelle - e solo su quelle - rappresentazioni neurali che sono organizzate topograficamente e che avvengono nelle cortecce sensitive di ordine inferiore". Ma esse vengono formate o sotto il controllo di recettori sensoriali orientati verso l’esterno del cervello (ad esempio la rÈtina), o sotto il controllo di rappresentazioni disposizionali (disposizioni) contenute entro il cervello, nelle regioni corticali e nei nuclei subcorticali.
La formazione delle immagini percettive.
Come si formano le immagini, quando si percepisce qualcosa del mondo (ad esempio un paesaggio) o del corpo (ad esempio un dolore al gomito destro)? Nell’uno e nell’altro caso, vi È un primo passo necessario ma non sufficiente: segnali provenienti dall’opportuno settore del corpo (l’occhio e la rÈtina, nel primo caso; i terminali nervosi dell’articolazione del gomito, nel secondo caso) vengono convogliati da neuroni, lungo i loro assoni e attraverso varie sinapsi elettrochimiche, fin dentro il cervello. I segnali vengono trasmessi alle cortecce sensitive di ordine inferiore*. Per i segnali provenienti dalla rÈtina, questo avverrà nelle cortecce di ordine inferiore visive, che si trovano nella zona posteriore del cervello, nel lobo occipitale. Per i segnali provenienti dall’articolazione del gomito, toccherà alle cortecce somatosensitive delle regioni parietale e insulare, parte del settore cerebrale leso nell’anosognosia. Si osservi ancora che si tratta non di un centro quanto di una "collezione" di aree; le singole aree che ne fanno parte sono già di per sè complesse; ancora di più lo È la maglia di interconnessioni che esse formano. Le rappresentazioni topograficamente organizzate sono il risultato dell’interazione concertata di queste aree, e non di una sola di esse. Non vi È alcunch, di frenologico, in questa idea.
Quando È distrutto l’insieme o la grande maggioranza delle cortecce sensitive di ordine inferiore relative a una data modalità, svanisce la capacità di formare immagini in tale modalità: i pazienti privati delle cortecce visive di ordine inferiore non sono in grado di vedere granch,. (Un residuo di capacità sensoriale rimane, probabilmente Perchè sono intatte le strutture corticali e subcorticali connesse. Anche dopo una estesa distruzione delle cortecce visive di ordine inferiore, alcuni pazienti riescono a puntare lo sguardo verso bersagli luminosi che dichiarano di non vedere: posseggono quella che È nota come "vista cieca". Le cortecce parietali, i collicoli superiori e il talamo sono alcune delle strutture presumibilmente implicate in questi processi).
Il deficit percettivo può essere decisamente specifico: ad esempio, dopo una lesione a uno dei sottosistemi contenuti entro le cortecce visive di ordine inferiore, può manifestarsi perdita della capacità di percepire i colori, e tale perdita può essere totale oppure soltanto una attenuazione, tale che i pazienti vedono i colori come dilavati: vedono la forma, il movimento, la profondità, ma non il colore, e in tale condizione (che si definisce acromatopsia) si costruiscono un universo in grigio - nelle varie tonalità e sfumature di grigio.
Perchè le immagini si manifestino nella coscienza, sono necessarie le cortecce sensitive di ordine inferiore e le rappresentazioni topograficamente organizzate che tali cortecce formano; ma non sembra che esse siano sufficienti. In altre parole, se il nostro cervello si limitasse a generare buone rappresentazioni topograficamente organizzate, senza farsene altro, dubito che ne avremmo coscienza come immagini. E infatti, in qual modo sapremmo che sono nostre immagini? Da tale disegno mancherebbe la soggettività, che È una caratteristica chiave della coscienza. Altre condizioni devono essere soddisfatte, quindi.
Quelle rappresentazioni neurali devono essere correlate con le altre che, momento per momento, costituiscono la base neurale del sè. E’ un tema che si ripresenterà nei capitoli 7 e 10: qui voglio osservare che il sè non È il famigerato omuncolo, l’esserino racchiuso entro il nostro cervello che percepisce ed elabora pensieri sulle immagini formate dal cervello; È, piuttosto, uno stato neurobiologico continuamente ricreato. Anni di giustificati attacchi alla teoria dell’omuncolo hanno reso molti teorici altrettanto timorosi verso il concetto di sè; ma non vi È alcun bisogno che il sè neurale sia omunco-lare. Quel che dovrebbe turbare, in realtà, È l’idea di una cognizione priva del sè.
* Si comincia ora a comprendere come opera il meccanismo della percezione entro tali cortecce di ordine inferiore. All’avanguardia sono gli studi del sistema visivo, per il quale È stata raccolta una larga messe di dati di tipo neuroanatomico, neurofisiologico e psicofisico; ma anche per il sistema uditivo e per quello somatosen-sitivo si ha ormai una certa abbondanza di scoperte nuove. Queste cortecce formano una coalizione dinamica, e le rappresentazioni topograficamente organizzate che esse generano cambiano a seconda del tipo e dell’entità del segnale entrante (come È stato dimostrato dal lavoro di molti ricercatori) (6).]
Immagazzinamento di immagini e formazione di immagini per richiamo.
Le immagini non sono immagazzinate come copie in facsimile di oggetti, o eventi, o parole, o frasi; il cervello non incasella foto polaroid di persone, cose, paesaggi; non archivia nastri registrati di musiche e discorsi, Né filmati di episodi della nostra vita; non serba al proprio interno fogli promemoria e lucidi come quelli che son soliti usare i politici. In breve, sembra proprio che non vi siano immagini depositate in permanenza di alcunch,, neppure miniaturizzate: Né microfiche Né microfilm Né copie stampate. Nel corso della propria esistenza, ciascuno di noi acquisisce una marea di conoscenze, cosicch, qualsiasi tipo di archiviazione porrebbe insormontabili problemi di capacità: se il cervello fosse assimilabile a una biblioteca, come una biblioteca presto verrebbe a trovarsi in difetto di scaffali. Inoltre, l’archiviazione di copie presenta di solito non facili problemi di efficienza dell’accesso, quando occorre ritrovarle. Per esperienza diretta tutti sappiamo che quando vogliamo richiamare un dato oggetto, o volto, o scena, non otteniamo la riproduzione identica, ma piuttosto un’interpretazione, una versione ricostruita di fresco dell’originale. Inoltre, le versioni del medesimo originale si modificano con il passare degli anni e il mutare dell’esperienza, e nessuna È compatibile con una rigida rappresentazione in copia: È un’osservazione che lo psicologo inglese Frederic Bartlett fece già qualche decennio addietro, quando fu il primo a sostenere che la memoria È essenzialmente ricostruttiva (7).
E però negare che nel cervello possano esistere figure permanenti di alcunch, contrasta con la sensazione, comune a tutti, che in effetti noi possiamo evocare, nell’occhio - o nell’orecchio - della mente, approssimazioni di immagini delle quali abbiamo fatto esperienza. NÉ ciò È contraddetto dalla circostanza che tali approssimazioni non sono precise, o sono meno vivide delle immagini che intendono riprodurre.
Si può pensare di dare risposta a questo problema osservando che le immagini mentali sono costruzioni momentanee, "tentativi di riprodurre" configurazioni di cui si È fatta esperienza, tali che la probabilità di una riproduzione precisa È bassa, ma quella di una riproduzione sostanziale può essere più o meno alta, a seconda delle circostanze in cui esse furono apprese e vengono richiamate. La permanenza di queste immagini evocate nella coscienza È in genere transitoria; spesso, poi, sono imprecise o incomplete, anche se possono sembrare buone copie. Io credo che le immagini evocate esplicite scaturiscano dalla attivazione sincrona, passeggera, di schemi di eccitazione neurale per lo più nelle medesime cortecce sensitive di ordine inferiore nelle quali si sono manifestati in precedenza gli schemi di eccitazione neurale corrispondenti a rappresentazioni percettive. L’attivazione dà come risultato una rappresentazione topograficamente organizzata.
A favore di questa ipotesi depongono svariate considerazioni, e qualche prova. Nella condizione (già vista) nota come acromatopsia, un danno localizzato nelle cortecce visive di ordine inferiore provoca la perdita non solo della percezione, ma anche della raffigurazione mentale del colore: chi ne È colpito non È più in grado di "immaginarsi" il colore nella mente, e se gli si chiede di pensare a una banana, tale paziente sarà bensì in grado di raffigurarne la forma, ma non il colore, e la vedrà in varie sfumature di grigio. Se la “conoscenza del colore” fosse depositata in un sistema diverso e separato da quello su cui poggia la “percezione del colore”, i pazienti affetti da acromatopsia potrebbero immaginare il colore anche se non possono percepirlo in un oggetto esterno; ma non È così.
I pazienti colpiti da estese lesioni alle cortecce visive di ordine inferiore perdono la capacità di generare raffigurazioni visive; tuttavia essi sono ancora capaci di richiamare conoscenze riguardanti le proprietà spaziali e tattili degli oggetti, e anche di evocare immagini sonore.
Quest’idea È confortata da alcuni studi preliminari sull’evocazione visiva condotti facendo impiego della topografia a emissione di positroni (P.E.T.) e della risonanza magnetica funzionale (R.M.F.). Steven Kosslyn e il suo gruppo, e così Hanna Damasio e Thomas Grabowski con il loro, hanno trovato che l’evocare immagini visive attiva le cortecce visive di ordine inferiore, insieme ad altre aree (8).
In qual modo si formano le rappresentazioni topograficamente organizzate necessarie per fare esperienza di immagini evocate? Io credo che esse vengano costruite sul momento, per impulso di schemi neurali "disposizionali" acquisiti che si trovano in altri punti del cervello. Uso il termine “disposizionali” Poiché ciò che essi fanno, alla lettera, È ordinare altri schemi neurali intorno, suscitare attività neurale altrove, in circuiti che fanno parte dello stesso sistema e con i quali vi È una forte interconnessione neuronica. Le rappresentazioni disposizionali esistono come schemi potenziali di attività neu-ronica in piccoli insiemi di neuroni che io chiamo “zone di convergenza”; consistono, cioÈ, di un insieme di disposizioni che eccitano neuroni entro l’insieme. Le disposizioni correlate con le immagini evocabili sono state acquisite attraverso l’apprendimento, e perciò si può dire che esse costituiscono una memoria. Le zone di convergenza le cui rappresentazioni disposizionali possono produrre immagini quando eccitano le cortecce sensitive di ordine inferiore sono poste lungo le cortecce di associazione di ordine superiore (nelle regioni occipitali, temporali, parietali e frontali), nonch, nei gangli basali e nelle strutture limbiche.
Quel che le rappresentazioni disposizionali tengono immagazzinato nella loro minuscola comune di sinapsi non È “una figura”, di per sè, ma un mezzo per ricostituire una figura. Il fatto di avere una rappresentazione disposizionale del volto di zia Margherita non significa che la rappresentazione contenga quel volto, ma piuttosto gli schemi di scarica che innescano la ricostruzione istantanea di una rappresentazione approssimativa proprio del volto di zia Margherita nelle cortecce visive di ordine inferiore.
Le svariate rappresentazioni disposizionali che dovrebbero, più o meno in sincronia, mettersi in eccitazione Perchè il volto di zia Margherita compaia negli spazi della mente sono localizzate in diverse cortecce di associazione visive e di ordine superiore (per lo più, ritengo, nelle regioni temporale e occipitale) (9). Lo stesso dovrebbe valere per il dominio uditivo. Vi sono rappresentazioni disposizionali per la voce di zia Margherita, nelle cortecce di associazione uditive, che possono scaricare all’indietro verso le cortecce uditive di ordine inferiore e generare sul momento la rappresentazione approssimativa di quella voce.
Non vi È un’unica formula nascosta, per questa ricostruzione: zia Margherita come persona completa non esiste in un unico, singolo sito cerebrale, ma È distribuita in tutto il cervello, sotto forma di numerose rappresentazioni disposizionali, per questo o quell’aspetto. E quando voi evocate ricordi di cose relative a zia Margherita, e lei affiora in varie cortecce di ordine inferiore (visive, uditive, eccetera), in rappresentazione topografica, ancora È presente solo in vedute separate durante la finestra temporale nella quale ricostruite "qualche" significato della persona di lei.
Supponiamo che tra cinquant’anni un esperimento immaginario vi consentisse di piombare dentro le rappresentazioni "disposizionali visive" che qualcuno ha di zia Margherita; sono convinto che non vedreste alcunch, che somigliasse al volto di zia Margherita, Perchè le rappresentazioni disposizionali non sono topograficamente organizzate. Ma se provaste a ispezionare gli schemi di attività presenti nelle cortecce visive di ordine inferiore di quel qualcuno entro un decimo di secondo dall’istante in cui le zone di convergenza per il volto di zia Margherita hanno scaricato all’indietro, allora sì, probabilmente, riuscireste a vedere schemi di attività che hanno qualche relazione con la geografia di quel volto. Vi sarebbe coerenza tra ciò che voi sapete del suo volto e lo schema di attività che trovereste nei circuiti delle cortecce visive di ordine inferiore di qualcuno che pure la conosceva e che stava pensando a lei.
Già qualche risultato sperimentale suggerisce che le cose stiano così. Facendo impiego di un metodo di visualizzazione neuroanatomica, R.B.H. Tootell ha mostrato che quando una scimmia vede determinate forme (una croce, un quadrato) l’attività dei neuroni delle cortecce visive di ordine inferiore È topograficamente organizzata secondo uno schema che corrisponde alle forme che la scimmia sta vedendo (10). In altre parole, un osservatore indipendente che guardasse allo stimolo esterno e allo schema dell’attività cerebrale riconoscerebbe una somiglianza strutturale (fig. 5.2). Analoghe considerazioni si possono fare per le scoperte di Michael Merzenich riguardo agli schemi dinamici di rappresentazione del corpo nelle cortecce somatosensitive (11). Si osservi, tuttavia, che l’avere una tale rappresentazione nella corteccia cerebrale "non" equivale a esserne consci (come ho già detto in precedenza): ne È condizione necessaria, ma non sufficiente.
Fig. 5.2.
Un osservatore che considerasse lo stimolo presentato a un animale, durante un esperimento, e quindi l'attivazione provocata da tale stimolo nella corteccia visiva dell'animale, riscontrerebbe una notevole coerenza tra la forma dello stimolo e la forma dello schema di attività neurale in uno degli strati della corteccia visiva primaria (strato 4C). Stimolo e immagine cerebrale provengono dalla ricerca di Roger Tootell, che ha compiuto questo esperimento.
Quella che io chiamo rappresentazione disposizionale È una potenzialità latente di eccitazione che viene destata quando i neuroni scaricano secondo un particolare andamento, a certi ritmi, per un certo arco di tempo e su un particolare bersaglio - che si dà il caso sia un altro insieme di neuroni. Nessuno sa a che cosa potrebbero somigliare i “codici” contenuti in tale insieme; non sono valse a chiarirlo le numerose scoperte che si sono ormai accumulate nello studio delle modificazioni sinaptiche. Sembra, però, che si possa dire questo: gli schemi di scarica sono prodotti dal rafforzamento o dall’indebolimento delle sinapsi, che a loro volta sono il risultato di cambiamenti funzionali che avvengono a livello microscopico entro le ramificazioni dei neuroni (assoni e dendriti) (12).
Come la città di Brigadoon, le rappresentazioni disposizionali esistono allo stato potenziale, soggette all’attivazione.
La conoscenza è incorporata nelle rappresentazioni disposizionali.
Le rappresentazioni disposizionali costituiscono l’intero nostro deposito di conoscenza, sia innata sia acquisita tramite l’esperienza. La prima si basa su rappresentazioni disposizionali localizzate nell’ipo-talamo, nel midollo allungato e nel sistema limbico; la si può concepire come l’insieme di comandi per la regolazione biologica che sono necessari alla sopravvivenza (ad esempio il controllo del metabolismo, le pulsioni, gli istinti). Essi controllano numerosi processi, ma per larga parte non divengono immagini mentali. (Di questo si parlerà nel capitolo seguente).
La conoscenza acquisita si basa su rappresentazioni disposizionali presenti nelle cortecce di ordine superiore o sparse in molti nuclei di sostanza grigia sotto il livello della corteccia. Alcune contengono registrazioni di quella conoscenza traducibile in immagini che possiamo richiamare e che viene impiegata per il movimento, il ragionamento, la pianificazione, le attività creative; altre contengono registrazioni di regole e strategie mediante le quali operiamo su quelle immagini. Si acquisisce nuova conoscenza attraverso la continua modificazione di tali rappresentazioni disposizionali.
L’attivazione delle rappresentazioni disposizionali può dare svariati risultati. Esse possono attivarne altre con le quali le mette in relazione la configurazione circuitale: ad esempio, quelle della corteccia temporale potrebbero attivare le rappresentazioni della corteccia occipitale che sono parte dei medesimi sistemi "rinforzati". Oppure esse possono generare una rappresentazione topograficamente organizzata scaricando direttamente all’indietro sulle cortecce sensitive di ordine inferiore, o attivando altre rappresentazioni disposizionali nello stesso sistema "rinforzato". Oppure ancora, possono generare un movimento attivando una corteccia motoria o un nucleo - ad esempio i gangli basali.
La comparsa di un’immagine per richiamo È il risultato della ricostruzione di uno schema transitorio (metaforicamente, una mappa) nelle cortecce sensitive di ordine inferiore; ciò che innesca la ricostruzione È l’attivazione delle rappresentazioni disposizionali in altri punti del cervello, ad esempio nella corteccia di associazione. Lo stesso tipo di attivazione su mappe avviene nelle cortecce motorie, ed È la base del movimento. Le rappresentazioni disposizionali sulla base delle quali avviene il movimento sono localizzate nelle cortecce premotorie, nei gangli basali e nelle cortecce limbiche. Vi sono elementi che indicano come esse attivino sia i movimenti sia le immagini interne di movimenti del corpo; queste ultime, per la natura veloce dei movimenti, sono spesso mascherate, nella coscienza, dalla nostra consapevolezza del movimento stesso.
Il pensiero è fatto in larga misura di immagini.
Si afferma sovente che il pensiero È fatto di immagini e di molto altro, che È fatto anche di parole e di simboli astratti non figurativi. Certo, nessuno può negare che il pensiero comprenda anche parole e simboli arbitrari; ma a quella affermazione sfugge che sia parole sia simboli arbitrari sono basati su rappresentazioni topograficamente organizzate e possono diventare immagini. In massima parte le parole che usiamo nel nostro discorso interno prima di pronunciare o di scrivere una frase, esistono nella nostra coscienza come immagini visive o uditive; se non divenissero (per quanto fugacemente) immagini, non sarebbero alcunch, di conoscibile (13). Questo È vero anche per quelle rappresentazioni topograficamente organizzate che non vengono seguite alla chiara luce della coscienza, ma che sono attivate in modo celato. Dagli esperimenti di "priming" si sa che, anche se queste rappresentazioni sono elaborate nascostamente, esse possono influenzare il corso dei processi di pensiero e perfino affacciarsi alla coscienza, un po’ più tardi. (Il "priming" consiste nell’at-tivare una rappresentazione in modo incompleto, oppure nell’atti-varla senza poi seguirla).
Dopo una conversazione animata cui hanno partecipato più persone, capita che una parola o una frase che non avevamo sentito ci affiori d’improvviso nella mente; sorpresi per non averla colta (come È potuto accadere?) arriviamo perfino a voler fare un controllo: “Davvero lei ha detto così-e-così?”. Risulta che la persona X davvero ha detto così-e-così, ma noi eravamo concentrati sulla persona Y, e così le rappresentazioni su mappa formate con riferimento a quel che X diceva non sono state seguite, e di esse si È prodotto solo un ricordo disposizionale. Ma se la parola o la frase sfuggiteci per noi erano importanti, non appena la concentrazione su Y si allenta la rappresentazione disposizionale ha prodotto di nuovo una rappresentazione topograficamente organizzata in una corteccia sensitiva di ordine inferiore e, dal momento che ne eravamo consapevoli, essa È divenuta un’immagine. Si osservi, a proposito, che non avremmo mai formato una rappresentazione disposizionale senza prima formare una rappresentazione percettiva topograficamente proiettata: sembra che non vi sia possibilità anatomica di avere informazioni sensoriali complesse nella corteccia di associazione che fa da base alle rappresentazioni disposizionali senza che prima si formino nelle cortecce sensitive di ordine inferiore. (Questo può non essere vero per l’informazione sensoriale non complessa).
I commenti appena fatti si applicano altrettanto bene ai simboli che si usano nella soluzione mentale di un problema matematico (anche se, forse, non a tutte le forme di pensiero matematico). Se quei simboli non fossero esprimibili in immagini, noi non li conosceremmo, e non saremmo capaci di manipolarli in modo cosciente. E’ interessante osservare che alcuni matematici e fisici particolarmente dotati di intuito dichiarano come il loro pensiero sia dominato dalle immagini, che spesso sono visive, ma possono anche essere somatosen-soriali. Non fa sorpresa che Benoit Mandelbrot, che ha legato il proprio nome alla geometria frattale, dichiari che egli pensa sempre per immagini (14). Egli riferisce che il fisico Richard Feynman non amava esaminare un’equazione senza poter guardare l’illustrazione che l’accompagnava (e si noti che, in effetti, sia l’equazione sia l’illustrazione erano immagini). Quanto a Einstein, egli non aveva alcun dubbio:
“Sembra che le parole o il linguaggio, così come sono scritti o detti, non abbiano alcun ruolo nei miei meccanismi di pensiero. Le entità psichiche che sembrano fungere da elementi, nel pensiero, sono certi segni e certe immagini - più o meno chiare - che possono essere volontariamente’ riprodotti e combinati. Naturalmente c’È un legame tra quegli elementi e i concetti logici pertinenti. E’ chiaro anche che il desiderio di arrivare a concetti logicamente connessi È la base emotiva di questo gioco un po’ vago con gli elementi prima citati”.
Poco più avanti egli si esprime con ancor maggiore chiarezza:
“Gli elementi prima invocati sono, nel mio caso, di tipo visivo e ... muscolare. La laboriosa ricerca di parole convenzionali o di altri segni deve avvenire solo in uno stadio successivo, quando il gioco di associazione cui facevo accenno È sufficientemente stabilito e può essere riprodotto a volontà” (15).
Quindi il punto È che le immagini sono, probabilmente, il contenuto principale dei nostri pensieri, a prescindere dalla modalità sensoriale nella quale esse sono generate e dal fatto che riguardino una cosa o un processo implicante cose, o che riguardino parole o altri simboli - di un dato linguaggio - che corrispondono a una cosa o ad un processo. Celati dietro quelle immagini, mai o molto di rado conoscibili da parte nostra, vi sono svariati processi che guidano la produzione e il dispiegamento delle immagini nello spazio e nel tempo; essi utilizzano regole e strategie incorporate nelle rappresentazioni disposizionali. Sono "essenziali" per il nostro pensare, ma non sono un "contenuto" dei nostri pensieri.
Le immagini che ricostituiamo nell’evocazione si presentano affiancate alle immagini formate a seguito di stimolazione dall’esterno. Quelle ricostruite a partire dall’interno del cervello sono meno vivide di quelle sollecitate dall’esterno: per dirla con David Hume, sono “fievoli”, al confronto con le “vivide” immagini generate da stimoli provenienti dall’esterno del cervello. E tuttavia sono immagini.
Alcuni accenni allo sviluppo neurale.
Si è già visto come circuiti e sistemi cerebrali, e anche le attività che essi compiono, dipendano dallo schema delle connessioni tra i neuroni e dalla forza delle sinapsi che costituiscono tali connessioni. Ma in qual modo, e quando, vengono stabiliti nel cervello gli schemi di connessione e la forza delle sinapsi? E una volta stabiliti, lo sono per sempre? Queste domande non hanno ancora una risposta definitiva. Tuttavia, anche se quel che si sa al riguardo È in continua evoluzio-ne e quel che si può ritenere acquisito È poco, le cose dovrebbero andare più o meno così:
1) Il genoma umano (cioè il complesso dei geni dei nostri cromosomi) non specifica tutta quanta la struttura del cervello. Non vi sono geni a sufficienza per determinare la struttura e la posizione esatte di ogni elemento del nostro organismo, men che meno del cervello, dove miliardi di neuroni formano i contatti sinaptici. La sproporzione non È piccola: noi abbiamo probabilmente 10 alla quinta potenza (cioÈ 100000) geni, ma più di 10 alla quindicesima (un milione di miliardi) sinapsi nel cervello. Inoltre, la formazione di tessuti, indotta per via genetica, È assistita dalle interazioni tra cellule, in cui hanno una funzione importante le molecole di adesione tra cellule e le molecole di adesione al substrato. Quello che accade tra le cellule durante lo sviluppo controlla in parte, in effetti, l’espressione dei geni che regolano soprattutto lo sviluppo. Per quel che si può dire, allora, molte specifiche strutturali sono determinate da geni, ma non poche altre possono essere determinate solo dall’attività dell’organismo vivente stesso, mentre si va sviluppando e cambia di continuo, nel corso della propria esistenza (16).
2) Il genoma contribuisce a stabilire la struttura esatta (o quasi esatta) di un certo numero di circuiti e sistemi importanti nei settori evolutivamente più antichi del cervello umano. Anche se si avverte la mancanza di studi moderni su questi temi, e anche se studi e ricerche potrebbero modificarne il quadro, pure l’affermazione fatta sembra ragionevolmente sicura per il midollo allungato, l’ipotalamo e il prosencefalo basale, e del tutto verosimile per l’amigdala e la regione del cingolato. (Su queste strutture e funzioni saranno dati maggiori particolari nei prossimi capitoli). L’essenziale di questi settori cerebrali È comune agli umani e a molte altre specie. Le strutture di tali settori hanno il compito principale di regolare i processi vitali di base senza ricorso alla mente o alla ragione. Gli schemi innati*) di attività dei neuroni di questi circuiti non generano immagini (anche se gli effetti della loro attività possono essere espressi in immagini): essi regolano i meccanismi omeostatici senza i quali non vi È sopravvivenza. Senza i circuiti (fissati in modo innato) di questi settori cerebrali non saremmo capaci di respirare, di regolare il battito cardiaco, di equilibrare il metabolismo, di cercare cibo e riparo, di evitare i predatori, di riprodurci. Senza questa concreta regolazione biologica, la sopravvivenza individuale e quella evolutiva si arresterebbero. Ma questi circuiti innati hanno anche un’altra funzione, che voglio qui mettere in rilievo Perchè di solito viene ignorata, quando si rappresentano le strutture neurali su cui si basano mente e comportamento: "i circuiti innati intervengono non solo nella regolazione corporea, ma anche nello sviluppo e nell’attività adulta delle strutture cerebrali evolutivamente moderne".
* Si osservi che quando uso la parola “innato” (letteralmente presente alla nascita) non escludo che ambiente e apprendimento abbiano un ruolo nel determinare una struttura o uno schema di attività - Né escludo la possibilità di correzioni operate dall’esperienza. Dico “innato” nel senso in cui William James diceva “predisposto”, per riferirsi a strutture o schemi che sono in larga misura (ma non esclusivamente) determinati dal genoma, e che sono disponibili al neonato per la regolazione omeostatica.
3) L’equivalente delle specifiche che i geni contribuiscono a fissare nei circuiti del midollo allungato o dell’ipotalamo arriva al resto del cervello molto dopo la nascita, via via che l’individuo si sviluppa attraverso infanzia, fanciullezza e adolescenza, o via via che interagisce con l’ambiente fisico e con gli altri individui. Con tutta probabilità, per quanto riguarda i settori cerebrali evolutivamente più moderni, il genoma contribuisce a fissare un quadro generale di sistemi e circuiti, piuttosto che uno dettagliato. Ma quest’ultimo, allora, come si forma? La risposta È: "sotto l’influenza di circostanze ambientali, integrate e vincolate dall’influenza dei circuiti innati, allestiti in modo preciso, che riguardano la regolazione biologica".
In breve, l’attività dei circuiti dei settori cerebrali più giovani e orientati dall’esperienza (la neocorteccia, ad esempio) È indispensabile per produrre una particolare classe di rappresentazioni neurali su cui si basano la mente (immagini) e le azioni consce. Ma la neocorteccia non può produrre immagini, se non sono integre e cooperanti le parti più antiche, sotterranee, del nostro cervello (ipotalamo, midollo allungato).
Questa disposizione può essere motivo di incertezza. Abbiamo qui vari circuiti innati che hanno la funzione di regolare le funzioni corporee e di assicurare la sopravvivenza dell’organismo, attraverso il controllo dei processi biochimici interni del sistema endocrino, di quello immunitario, dei visceri, nonch, il controllo di pulsioni e istinti. Perchè tali circuiti dovrebbero interferire con la formazione di quelli più moderni e plastici, riguardanti la rappresentazione delle esperienze acquisite? Alla domanda - tutt’altro che irrilevante - si risponde osservando che, per essere adattative, sia le registrazioni delle esperienze sia le relative risposte devono essere valutate e foggiate da un insieme fondamentale di preferenze dell’organismo per cui la sopravvivenza È essenziale. E siccome tale valutazione e conformazione sono vitali Perchè l’organismo continui a esistere, i geni specificano anche che i circuiti innati devono esercitare un’influenza assai forte su pressoché tutto l’insieme dei circuiti che possono essere modificati dall’esperienza. In buona misura, tale influenza È opera dei neuroni “modulatori” che agiscono sul resto dei circuiti; essi sono ubicati nel midollo allungato e nel prosencefalo basale, e sono influenzati in ogni momento dalle interazioni dell’organismo. I neuroni modulatori distribuiscono i neurotrasmettitori (dopamina, norepinefrina, serotonina, acetilcolina) in regioni diffuse della corteccia cerebrale e dei nuclei subcorticali. Si può descrivere questo ingegnoso assetto nel modo seguente: 1) i circuiti regolatori innati sono coinvolti nel promuovere la sopravvivenza dell’organismo, e per questo motivo “sono al corrente” di quanto accade nei settori cerebrali più moderni; 2) a questi circuiti viene segnalato con regolarità se le cose vanno bene o male; 3) la loro reazione intrinseca consiste nell’influenzare il modo in cui il resto del cervello viene foggiato, in modo che esso possa contribuire alla sopravvivenza nel modo più efficace.
Così, via via che ci sviluppiamo, dall’infanzia all’età adulta, il disegno dei circuiti cerebrali che rappresentano il nostro corpo in evoluzione e le sue interazioni con il mondo sembra dipendere dalle attività nelle quali l’organismo È impegnato e dall’azione di circuiti innati di bioregolazione, "in quanto questi ultimi reagiscono a quelle attività". Si vede quindi come sia inadeguato concepire cervello, mente e comportamento in termini di contrapposizione fra natura e cultura, fra geni ed esperienza. Alla nascita il nostro cervello non È tabula rasa, Né lo È la mente. E nemmeno, però, essi sono completamente determinati per via genetica: la genetica proietta un’ombra grande ma non totale. I geni provvedono a componenti cerebrali con struttura "definita" e ad altri la cui struttura esatta "deve essere determinata". Ma a quest’ultima si può pervenire solo sotto l’influenza di tre elementi: 1) la struttura esatta; 2) circostanze e attività individuali (e qui l’ultima parola viene sia dall’ambiente umano e fisico, sia dal caso); 3) spinte di auto-organizzazione che scaturiscono dalla complessità stessa del sistema. L’imprevedibile tracciato delle esperienze del singolo individuo si fa sentire, direttamente e indirettamente, nel disegno del circuito, attraverso la reazione che esso induce nei circuiti innati e attraverso le conseguenze che tali reazioni provocano nel processo complessivo di formazione dei circuiti (17). Nel capitolo 2 ho affermato che il funzionamento dei circuiti di neuroni dipende dagli schemi delle connessioni tra i neuroni stessi e dalla forza delle sinapsi che stabiliscono tali connessioni. Ad esempio, in un neurone eccitatorio, sinapsi forti facilitano la scarica e sinapsi deboli hanno l’effetto opposto. Adesso posso sostenere che, siccome esperienze diverse fanno variare la forza delle sinapsi dentro e attraverso molti sistemi neurali, l’esperienza foggia il disegno dei circuiti. Inoltre - in alcuni sistemi più che in altri - la forza delle sinapsi può variare lungo tutto il corso dell’esistenza, come riflesso di differenti esperienze dell’organismo; ne risulta che il disegno dei circuiti cerebrali continua a cambiare. I circuiti non sono soltanto ricettivi rispetto ai risultati della prima esperienza, ma anche più volte adattabili e modificabili da esperienze continuate (18).
Vi sono circuiti che vengono rimodellati più e più volte nel corso dell’esistenza, secondo i cambiamenti che l’organismo subisce. Altri, invece, rimangono in massima parte stabili, e formano la spina dorsale del complesso di nozioni che ci siamo costruite sul mondo interno e su quello esterno. L’idea che tutti i circuiti siano labili non regge: una modificabilità totale avrebbe creato individui incapaci di riconoscersi l’un l’altro, privi del senso di una propria biografia; ciò non sarebbe adattativo, e manifestamente non accade. La condizio-ne nota come arto fantasma ci fornisce una prova semplice ma chiara del fatto che certe rappresentazioni acquisite sono relativamente stabili. Alcuni soggetti che hanno subito l’amputazione di un arto (per esempio di una mano e di un avambraccio) riferiscono al medico che sentono ancora l’arto mancante al suo posto, che possono sentirne i movimenti immaginari, che possono avvertire dolore, o freddo, o caldo, “nell’“arto mancante. E’ evidente che questi pazienti hanno un ricordo di quell’arto, altrimenti non potrebbero formarsene un’immagine nella propria mente; tuttavia con il tempo alcuni possono avvertire una riduzione dell’arto fantasma, il che sembrerebbe indicare che il ricordo - o la sua riproduzione nella coscienza - sta subendo una revisione.
Il cervello ha bisogno di un equilibrio tra circuiti la cui propensione alla scarica È mobile e mutevole come l’argento vivo e circuiti che sono restii - anche se non refrattari - al cambiamento. I circuiti che oggi ci aiutano a riconoscere senza sorpresa il nostro volto riflesso nello specchio sono stati modificati, a poco a poco, per adeguarsi alle modificazioni strutturali che il tempo ora trascorso ha apportato su quel volto.