1. SCIAGURA NEL VERMONT

 

 

 

 

 

Phineas P. Gage.

Siamo nel New England, alla fine dell’estate del 1848. Phineas P. Gage, venticinquenne caposquadra di un’impresa di costruzioni, sta per precipitare dalle stelle alle stalle. Un secolo e mezzo dopo, la sua caduta sarà ancora significativa.

Gage lavora per la Rutland & Burlington Railroad: a lui È affidata una squadra numerosa di operai (una "gang", in gergo), con il compito di gettare i binari per una nuova linea ferroviaria che attraverserà il Vermont. Nelle due settimane precedenti, sono avanzati un po’ a rilento, in direzione della cittadina di Cavendish; adesso sono impegnati su una sponda del Black River. Il loro lavoro È tutt’altro che agevole, per i numerosi affioramenti di roccia dura. Invece di aggirare ogni scarpata, si È deciso di far saltare la roccia, dove necessario, per aprire la via a un tracciato più diritto e piano. Gage sovrintende a tutti questi lavori, ed È magnificamente all’altezza; atletico e ben proporzionato nel suo metro e settanta di statura, si muove con rapidità e precisione. Somiglia a un giovane James Ca-gney, a un elegante Yankee Doodle che balli il tip tap su rotaie e traversine, vigoroso e aggraziato al tempo stesso.

Agli occhi dei suoi capi, poi, Gage È ben più che un dipendente in gamba come ce ne sono tanti: lo definiscono l’uomo “più efficiente e capace” tra quanti hanno assunto (1). E questo È un bene, Perchè il lavoro richiede tanto maestria fisica quanto sottile concentrazione, soprattutto quando bisogna preparare le detonazioni. Qui occorre procedere in modo ordinato, passo dopo passo. Dapprima, va scavato un foro nella roccia; poi il foro va riempito per metà con esplosivo in polvere, si deve inserire la miccia e la polvere deve essere coperta con sabbia. Questa deve essere “pressata”, cioÈ compattata con una accurata sequenza di colpi inferti con una barra di ferro. Infine, bisogna accendere la miccia. Se tutto va bene, la polvere esploderà dentro la roccia; la sabbia È essenziale, Poiché senza la sua copertura protettiva l’esplosione si sfogherebbe fuori della roccia. Anche la forma della barra e il modo in cui viene usata sono molto importanti: Gage se ne È fatta fare una apposta, dando indicazioni precise, ed È un virtuoso della pressatura.

Alle quattro e mezzo di questo caldissimo pomeriggio, Gage ha appena finito di introdurre la polvere esplosiva nel foro, e ha detto all’uomo che È con lui di coprirla con la sabbia, fino al riempimento. Qualcuno da dietro lo chiama e Gage si volta per un istante a guardare sopra la propria spalla destra. Si distrae e prima che l’operaio abbia versato la sabbia comincia a pestare con la barra di ferro, direttamente sulla polvere. Subito fa sprizzare scintille dalla roccia, e la carica gli esplode sul viso (2).

L’esplosione È così violenta che la squadra si blocca, raggelata: ma in pochi secondi È chiaro quel che È successo. L’esplosione È stata diversa dal solito, e la roccia È rimasta intatta; diverso dal solito anche il rumore che l’ha accompagnata, un sibilo come di razzo scagliato nel cielo. Ma non sono fuochi d’artificio: È un assalto, una scarica. La barra metallica penetra nella guancia sinistra di Gage, fora la base della scatola cranica, attraversa la parte frontale del cervel-lo ed esce, velocissima, dalla sommità della testa, per andare a cadere, impiastricciata di sangue e di tessuto cerebrale, a una trentina di metri di distanza. Phineas Gage È stato scagliato a terra e giace stordito, nel chiarore del pomeriggio; muto, ma sveglio. E così sono tutti gli impotenti spettatori.

"Orribile incidente" intitolano - prevedibilmente - la notizia il “Daily Courier” e il “Daily Journal” del 20 settembre, una settimana più tardi. Il 22 settembre, il “Vermont Mercury” curiosamente intitola "Mirabile incidente"; il “Boston Medical and Surgical Journal” con più precisione sceglie il titolo "Passaggio di una barra di ferro attraverso la testa". A giudicare dalla concretezza con la quale raccontano la vicenda, si direbbe che i giornalisti conoscessero bene i racconti straordinari e i racconti dell’orrore di Edgar Allan Poe. Forse È così, anche se non sembra verosimile: i racconti gotici di Poe non sono ancora popolari, e lo stesso Poe morirà un anno dopo, sconosciuto e squattrinato. O forse È solo che l’orribile È nell’aria.

Tutti si sorpresero che Gage non fosse rimasto ucciso all’istante; l’articolo medico della rivista di Boston riporta che “subito dopo l’esplosione il paziente fu rivoltato sulla schiena”; che poco dopo egli mostrò “alcuni movimenti convulsi delle estremità” e “nel giro di pochi minuti parlò”; che “i suoi uomini (dei quali egli era un beniamino) lo sollevarono e a braccia lo trasportarono fino alla strada, che distava solo poche pertiche (una pertica essendo pari a circa 5 metri) e lo posero a sedere su un carro trainato da buoi, sul quale egli - seduto con la schiena eretta - percorse più di un chilometro, fino all’albergo di Joseph Adams”; e che Gage “scese dai carro da solo, con un piccolo aiuto da parte dei suoi operai”.

Vediamo un po’ meglio la figura di Adams. Egli È il giudice di pace di Cavendish; inoltre possiede l’unico albergo e l’unico spaccio di alcolici del paese. Io lo vedo più alto di Gage, largo quasi il doppio, apprensivo come la sua stazza da Falstaff lascia immaginare. Dopo essersi avvicinato a Gage, manda subito a chiamare il dottor John Harlow, uno dei medici di Cavendish. Nell’attesa, mi sembra quasi di sentirlo esclamare: “E allora, signor Gage, che cosa abbiamo?” e anche, Perchè no: “OhimÈ, che disgrazia ci tocca vedere!”. Agita le mani, quasi ad allontanare ciò che È successo, e conduce Gage verso la zona ombreggiata del portico dell’albergo. Le descrizioni lo indicano come una "piazza", che suona grande e spazioso e aperto; forse È grande e spazioso, ma non aperto: È giusto un porticato. Adams ora forse fa bere a Phineas Gage una limonata, o magari un bicchiere di sidro ben fresco.

Dall’esplosione È passata un’ora; il sole si sta abbassando e il caldo È più sopportabile. E’ in arrivo un altro medico, il dottor Edward Williams, un collega - più giovane - del dottor Harlow, il quale in seguito descriverà la scena con queste parole: “Quando lo vidi era seduto su una sedia nella piazza dell’albergo di Adams, a Cavendish. Appena mi avvicinai, mi disse: ’Dottore, qui c’È lavoro per voi’. Prima ancora di scendere dalla carrozza, avevo notato la ferita sulla sua testa: si potevano vedere chiaramente le pulsazioni del cervello. Notai anche qualcosa che non riuscii a spiegarmi, prima di esaminare la testa: la sommità di questa si presentava come un imbuto rovesciato. In seguito avrei scoperto che ciò era dovuto al fatto che l’osso attorno all’apertura era fratturato per una lunghezza di quasi 5 centimetri in tutte le direzioni. Ho dimenticato di precisare che l’apertura attraverso il cranio e i tegumenti aveva un diametro di quasi 4 centimetri: i bordi di questa apertura erano rovesciati, e nel complesso la ferita dava l’impressione che un oggetto sagomato a cuneo avesse attraversato la testa muovendo dal basso verso l’alto. Mentre io   gli esaminavo la ferita, Gage raccontava ai presenti in che modo era stato colpito: parlava con tale lucidità ed era talmente desideroso di rispondere che io rivolsi le mie domande a lui piuttosto che agli uomini che erano presenti al momento dell’incidente e che ora ci attorniavano. Poi Gage mi riferì alcune delle circostanze, come ha poi fatto più volte, e io posso affermare con sicurezza che Né allora Né in una qualsiasi occasione successiva - salvo una - io lo considerai men che perfettamente razionale. L’unica volta in cui ne dubitai fu una quindicina di giorni dopo l’incidente, allorch, insistette a chiamarmi John Kirwin - e però a tutte le mie domande rispose in modo corretto” (3).

Il    fatto che Gage fosse sopravvissuto risulta tanto più sorprendente quando si considerino la forma e il peso della barra di ferro. Henry Bigelow, professore di chirurgia alla Harvard, la descrive con queste parole: “Il ferro che attraversò il cranio pesa 6 chilogrammi; È lungo 110 centimetri e ha un diametro di poco più di 3 centimetri. L’estremità che penetrò per prima È rastremata, per una lunghezza di 18 centimetri, e termina con una punta del diametro di circa 6 millimetri. A queste circostanze, forse, il soggetto deve la propria salvezza. Il ferro non somiglia ad alcun altro strumento, ed È stato fatto da un fabbro della zona seguendo le indicazioni del cliente (4). Gage È piuttosto rigoroso per tutto quanto riguarda il suo lavoro e i ferri del mestiere.

Sopravvivere all’esplosione con una ferita al capo così ampia e profonda, essere capace di parlare e camminare e di mantenersi coerente subito dopo l’incidente: tutto ciò È ben sorprendente. Ma sarà altrettanto sorprendente che Gage superi il sopravvenire dell’inevitabile infezione. Il dottor Harlow conosce bene l’importanza della disinfezione. Non ha gli antibiotici, ma ricorrendo alle sostanze chimiche all’epoca disponibili egli pulisce la ferita energicamente e con metodo preciso; inoltre dispone il paziente in posizione semisdraiata, in modo da facilitare il drenaggio. In Gage si produrranno forti febbri e almeno un ascesso, sul quale il bisturi di Harlow interverrà prontamente. Alla fine, la giovane età e la robusta costituzione di Gage avranno la meglio, con l’assistenza dell’intervento divino, come dirà Harlow: “Io l’ho medicato, Dio l’ha guarito”.

Phineas Gage sarà dichiarato guarito nel giro di meno di due mesi. Tuttavia quest’esito stupefacente impallidisce al confronto con la straordinaria svolta che la sua personalità sta per subire. Il suo carattere, i suoi gusti, i suoi sogni, le sue aspirazioni: tutti cambieranno. Il corpo di Gage può essere ben vivo e vegeto, ma c’È un nuovo spirito che lo anima.

 

 

Gage non era più lui.

Quello che accadde esattamente possiamo arrivare a conoscerlo, oggi, a partire dal resoconto che il dottor Harlow stese vent’anni dopo l’incidente (5). E’ uno scritto degno di fede, che offre dovizia di fatti e un minimo di interpretazione; convincente dal punto di vista sia umano sia neurologico, ci permette di ricostruire non solo la figura di Gage, ma anche quella del suo dottore. John Harlow era stato un insegnante di scuola, prima di entrare al Jefferson Medical College di Philadelphia; quando prese in cura Gage aveva cominciato da pochi anni a esercitare come medico. Il caso di Gage divenne l’interesse dominante di tutta la sua vita, e sospetto che abbia fatto desiderare a Harlow di essere uno studioso - il che forse non era nei suoi programmi quando cominciò la pratica medica nel Vermont. Il successo riportato nel curare Gage e i resoconti preparati per i suoi colleghi di Boston furono i momenti di gloria della sua carriera, e dovette turbarlo la nube che incombeva sulla terapia di Gage.

Nel suo racconto, Harlow descrive come Gage riacquistò le forze e come si ristabilì pienamente, dal punto di vista fisico: poteva toccare, udire, vedere, e non subì paralisi agli arti o alla lingua. Aveva perduto la vista dall’occhio sinistro, ma con il destro ci vedeva perfettamente. Camminava con passo fermo, usava le mani con destrezza e non mostrava impaccio nella parola o nel linguaggio. E tuttavia, come riferisce Harlow, “l’equilibrio, per così dire, tra la sua facoltà intellettiva e le sue disposizioni animali” era stato distrutto. Questi cambiamenti divennero manifesti non appena fu superata la fase acuta della lesione cerebrale. Ora egli era “bizzarro, insolente, capace a volte delle più grossolane imprecazioni, da cui in precedenza era stato del tutto alieno; poco riguardoso nei confronti dei compagni; insofferente di vincoli o consigli che contrastassero i suoi desideri; a volte tenacemente ostinato, e però capriccioso e oscillante; sempre pronto a elaborare molti programmi di attività future che abbandonava non appena li aveva delineati ... Un bambino, nelle sue manifestazioni e capacità intellettuali, ma con le passioni animali di un adulto robusto”. Il linguaggio È talmente osceno e degradato che alle donne si consiglia di non rimanere a lungo in sua presenza, o la loro sensibilità ne sarà turbata. NÉ gli ammonimenti più vigorosi dello stesso Harlow riescono a riportare il nostro sopravvissuto a un comportamento corretto.

Questi nuovi aspetti della personalità di Gage erano in acuto contrasto con le “abitudini moderate” e con la “grande forza di carattere” che gli erano state proprie, come si sapeva, prima dell’incidente.

Gage aveva avuto “una mente assai equilibrata, e quanti lo conoscevano guardavano a lui come a un uomo abile e avveduto nei suoi affari, molto energico e tenace nel perseguire tutti i programmi d’azione che si fosse prefissi”. Non c’È dubbio che egli avesse successo nell’àmbito del suo lavoro e dei suoi tempi. Di fronte a un cambiamento così radicale, amici e conoscenti quasi non lo riconoscevano, e osservavano tristemente che “Gage non era più lui”. Quando si ripresentò, i suoi datori di lavoro non lo riassunsero, Poiché “secondo il loro giudizio la sua mente adesso era cambiata in modo così marcato che non potevano ridargli il posto che aveva prima”. Il problema non stava in un difetto di abilità o di capacità fisica; il problema era il suo nuovo carattere.

La vicenda continua a seguire il proprio corso. Non più in grado di fare il caposquadra, Gage trovò lavoro in vari allevamenti di cavalli; ma si arguisce che in genere lo lasciava presto, per un suo capriccio, oppure ne veniva allontanato per indisciplina. Harlow osserva che egli era molto bravo a “trovare sempre qualcosa che non gli andasse bene”. Cominciò allora la sua carriera come attrazione da circo. Gage venne presentato nel Barnum’s Museum di New York, in vanagloriosa esibizione delle proprie ferite e della barra di ferro. (Questa non lo abbandonava mai, dichiara Harlow, il quale fa notare il forte attaccamento di Gage a oggetti e animali. Era un comportamento nuovo e in qualche modo fuori dell’ordinario, che si potrebbe chiamare “comportamento del collezionista”, e che io ho osservato in vari pazienti colpiti da lesioni come quella di Gage e anche in individui autistici).

Allora, e assai più di oggi, il circo traeva profitto dalla crudeltà della natura. La varietà endocrina comprendeva i nani, la donna più grassa del mondo, l’uomo più alto, quello con la mandibola più svilup-pata; la varietà neurologica comprendeva i giovani con “pelle da elefante”, cioÈ colpiti da neurofibromatosi - e ora Gage. Possiamo immaginarcelo, in tale pittoresca brigata, dedito a barattare la propria disgrazia con denaro.

Quattro anni dopo l’incidente, un altro "coup de th,/tre": Gage parte per l’America del Sud. Qui lavora forse in allevamenti di cavalli e talvolta come conduttore di diligenze a Santiago e a Valparaiso. Non si sa molto altro sulla sua vita da espatriato, se non che nel 1859 la sua salute andava peggiorando.

Nel 1860, Gage ritornò negli Stati Uniti per andare a vivere con la madre e la sorella, che nel frattempo si erano trasferite a San Francisco. Lavorò dapprima in una fattoria di Santa Clara, ma non vi rimase a lungo. Anzi, continuò a muoversi, trovando lavori occasionali come manovale nella zona. Risulta chiaro che non era una persona indipendente, e che non era capace di assicurarsi quel tipo di occupazione regolare e sufficientemente retribuita che aveva avuto una volta. La fine della caduta si approssimava.

La San Francisco del 1860 me la immagino come un luogo brulicante di traffici, frequentata da audaci imprenditori, in un fiorire di attività agricole, minerarie, armatoriali. Qui possiamo trovare la madre e la sorella di Gage, quest’ultima sposata con un agiato mercante della città (tal D. D. Shattuck, Esquire); a questo ambiente il Phineas Gage di una volta sarebbe potuto appartenere. Ma non È qui che lo troveremmo, se potessimo viaggiare all’indietro nel tempo. Lo troveremmo, invece, probabilmente, intento a bere, tra una rissa e l’altra, in un quartiere malfamato; e quando la faglia si muo-verà, i minacciosi sussulti della terra non lo coglieranno, attonito come tutti, nel bel mezzo di una conversazione con i signori del commercio. Egli si era unito alla compagnia di quegli sconfitti i quali “erano venuti in California per morire”, per dirla con le parole che avrebbe usato Nathanael West, alcuni decenni più tardi e qualche centinaio di chilometri più a sud (6).

Gli scarsi documenti disponibili suggeriscono che in Gage si manifestassero attacchi di epilessia. La fine giunse il 21 maggio 1861, dopo un malessere che durò poco più di una giornata. Gage ebbe una violenta convulsione che gli provocò perdita di coscienza, e poi una serie di convulsioni meno gravi; morì senza avere riacquistato conoscenza. Io penso che egli fu vittima di uno stato di male epilettico - condizione nella quale le crisi convulsive si fanno pressoché continue e portano alla morte. Aveva allora trentotto anni. Nessun necrologio comparve sui giornali di San Francisco.

 

 

Perchè Phineas Gage?

Qual'è  il possibile significato di una vicenda così strana? La risposta È semplice: mentre altri casi di danno neurologico, avvenuti più o meno nella stessa epoca, rivelavano che il cervello era la base del linguaggio, della percezione e della funzione motoria, fornendo anche in generale elementi più perentori, la storia di Gage additava un fatto sbalorditivo: vi erano nel cervello umano - anche se non si sapeva precisarne il come - sistemi deputati al ragionamento più che a qualsiasi altra funzione, e in particolare alle dimensioni personali e sociali del ragionamento. Un danno cerebrale poteva comportare la fine dell’osservanza di regole etiche e convenzioni sociali acquisite in precedenza, anche quando Né il linguaggio Né l’intelletto sembravano compromessi. Senza volerlo, l’esempio di Gage indicava che qualcosa nel cervello aveva a che fare specificamente con proprietà peculiarmente umane, tra cui la capacità di anticipare il futuro e di pianificare in accordo con tale anticipazione, all’interno di un ambiente sociale complesso; il senso di responsabilità verso sè stessi e verso gli altri; la capacità di predisporre la propria sopravvivenza in modo deliberato, in ottemperanza al proprio libero volere.

L’aspetto che più colpisce, in questa triste vicenda, È il contrasto tra la struttura normale della personalità quale era prima dell’incidente e i nefandi caratteri che emersero dopo, e che sembra si siano mantenuti per il resto della vita di Gage. Egli aveva saputo, una volta, tutto ciò che gli occorreva sapere sulle scelte da compiere per migliorarsi; aveva il senso di una responsabilità personale e sociale (che si rifletteva nei progressi della sua carriera), si curava della qualità del proprio lavoro, richiamava l’ammirazione di datori di lavoro e colleghi. Era ben adattato, in termini di convenzioni sociali, e la sua condotta appare marcata da un’etica. Dopo l’incidente, in lui non vi È più alcun rispetto per le convenzioni sociali; l’etica - nel senso più ampio del termine - veniva violata, le decisioni da lui prese non tenevano in conto il suo più vero interesse, ed egli si dava a inventare storie “che non avevano alcun fondamento se non nella sua fantasia”, secondo le parole di Harlow. Non si vede alcun indizio di preoccupazione per il proprio futuro, Né alcun segno di preveggenza.

Le alterazioni della personalità di Gage non erano modeste. Egli non poteva compiere buone scelte, e le scelte che faceva non erano neutre; non erano le timide, riservate decisioni di qualcuno la cui mente È stata menomata ed È timoroso di agire, ma erano decisamente svantaggiose. Si potrebbe provare a supporre che il suo sistema di valori ora fosse differente, oppure che, se era rimasto lo stesso, in nessun modo i valori di prima potessero influenzare le sue decisioni. Non vi È alcun elemento che possa dirci se È vera l’una o l’altra ipotesi, ma esaminando vari pazienti colpiti al cervello in modo simile a Phineas Gage mi sono convinto che nessuna delle due spiegazioni coglie ciò che davvero accade in tali circostanze. Parte del sistema di valori rimane, e può essere utilizzata, in termini astratti: ma È priva di legami con le circostanze della vita reale. Quando i Phineas Gage di questo mondo devono operare nella realtà, le conoscenze che avevano acquisite prima dell’incidente influenzano solo in minima misura il processo di decisione.

Un altro aspetto importante è la discrepanza tra il carattere degenerato e l’apparente integrità di svariati strumenti della mente: l’attenzione, la percezione, la memoria, il linguaggio, l’intelligenza. In neuropsicologia si parla in tali casi di "dissociazione": una o più prestazioni, all’interno di un profilo generale di attività, sono in contrasto con le altre. Nel caso di Gage, il carattere, alterato, era dissociato da comportamento e cognizione, ben preservati. In altri pazienti, colpiti da lesioni in altri punti del cervello, l’aspetto alterato può essere il linguaggio, mentre rimangono integri il carattere e tutti gli altri aspetti cognitivi: la capacità “dissociata” È, quindi, il linguaggio. Altri studi su pazienti simili a Gage hanno in seguito confermato che tale dissociazione si presenta in misura consistente.

Non dev’essere stato facile credere che il cambiamento del carattere non si sarebbe risolto da sè. Sulle prime, anche il dottor Harlow fu riluttante ad ammettere che fosse permanente; e lo si comprende bene, Perchè nella storia di Gage l’elemento più impressionante era la sua sopravvivenza, quindi la sopravvivenza senza un difetto manifesto, come una paralisi, ad esempio, o un’alterazione del linguaggio, o una perdita di memoria. Puntare l’attenzione sulle deficienze sociali di Gage - di recente comparsa - appariva in qualche modo segno di ingratitudine nei confronti sia della provvidenza sia della medicina. Comunque, nel 1868 Harlow era pronto a riconoscere tutta la portata del cambiamento di personalità del suo paziente.

La sopravvivenza di Gage fu doverosamente notata, ma con le cautele che si riservano ai fenomeni bizzarri. Il significato delle modificazioni del suo comportamento andò in larga parte perduto, e per buone ragioni. Anche nel ristretto dominio delle neuroscienze dell’epoca, cominciavano a formarsi due fazioni. La prima sosteneva che non fosse possibile riportare a una particolare regione del cervello funzioni psicologiche quali il linguaggio o la memoria. Se si era costretti ad accettare, con riluttanza, che era il cervello a produrre la mente, lo si faceva considerandolo nel suo insieme, non come una collezione di parti dotate di funzioni particolari. L’altro schieramento riteneva, al contrario, che il cervello avesse parti specializzate e che queste generassero funzioni mentali separate. La divisione non È indicativa del fatto che la ricerca sul cervello muoveva allora i primi passi; infatti si È mantenuta per più di un secolo, e in una certa misura sussiste anche adesso.

Comunque, tutti i dibattiti scientifici suscitati dal caso di Gage si concentrarono sulla questione di localizzare il linguaggio e il movimento nel cervello, senza mai volgersi a considerare la relazione tra condotta sociale alterata e danni ai lobi frontali. Mi vien fatto qui di ricordare quello che diceva Warren McCulloch: “Quando indico, guardate dove sto indicando, non il mio dito”. (McCulloch, figura leggendaria della neurofisiologia e pioniere di quel campo di studi che poi sarebbe stato definito neuroscienze computazionali, fu anche poeta e profeta: la frase riportata compariva in una profezia). Pochi guardavano nella direzione che Gage stava inconsapevolmente indicando. D’altra parte, È difficile immaginare che qualcuno, ai tempi di Gage, disponesse delle conoscenze "e" dell’audacia necessarie per guardare nella direzione giusta. Era accettabile che non fossero stati toccati dall’asta di ferro i settori del cervello che, se offesi, avrebbero provocato un arresto dell’attività del cuore e dei polmoni; era anche accettabile che si fossero trovati lontani dalla traiettoria della barra, e quindi fossero stati risparmiati, i settori del cervello che controllano lo stato di veglia; era accettabile, infine, che la lesione non avesse tolto coscienza a Gage per un lungo periodo. (L’evento anticipò quella che oggi È conoscenza comune, desunta dallo studio delle ferite alla testa. Qui la variabile critica È la modalità della ferita. Un colpo assai forte può provocare una grande alterazione dello stato di veglia per un periodo prolungato, anche se non viene fratturato alcun osso e nessuna arma penetra nell’encefalo: le forze liberate dal colpo alterano profondamente l’organizzazione cerebrale. Al contrario, un colpo penetrante, nel quale le forze sono concentrate su un cammino stretto e lineare, invece di spandere e accelerare l’encefalo contro la scatola cranica, può causare alterazione delle funzioni solo là dove il tessuto cerebrale È effettivamente distrutto, e così risparmiare le funzioni cerebrali in altri punti). Ma comprendere le trasformazioni del comportamento di Gage voleva dire credere che una condotta sociale normale richieda una particolare regione del cervello che le corrisponde, e questo concetto era assai più impensabile di quelli equivalenti riferiti al movimento, ai sensi o anche al linguaggio.

Il caso di Gage venne impiegato, in effetti, da coloro i quali non credevano che le funzioni mentali potessero essere legate a specifiche aree cerebrali. Dopo una rapida occhiata alle prove mediche, costoro affermarono che se una lesione come quella di Gage poteva non provocare paralisi o menomazioni della parola, allora era evidente che Né il controllo motorio Né il linguaggio potevano essere ricondotti alle regioni cerebrali - relativamente piccole - nelle quali i neurologi avevano identificato il centro motorio e quello del linguaggio. Essi sostenevano - del tutto erroneamente, come vedremo - che la lesione di Gage avrebbe direttamente offeso quei centri.

Uno dei pochi che si preoccuparono di analizzare con competenza e discernimento i risultati fu il fisiologo inglese David Ferrier (8). La sua conoscenza di altri casi di lesioni cerebrali con modificazioni del comportamento e gli esperimenti pionieristici che egli stesso aveva condotto su animali, mediante stimolazione elettrica e ablazione della corteccia cerebrale, lo ponevano in una posizione unica per poter apprezzare quanto Harlow aveva trovato. Ferrier arrivò a concludere che la ferita aveva risparmiato i “centri” motorio e del linguaggio, che aveva danneggiato quella parte che egli stesso aveva chiamato corteccia prefrontale, e che tale danno poteva essere messo in relazione con il particolare cambiamento della personalità di Gage - con espressione pittoresca, Ferrier lo definiva “degradazione mentale”. Le sole voci a sostegno di Harlow e Ferrier, che essi, nei loro mondi affatto separati, possono avere udito, vennero dai seguaci della frenologia.

 

 

Digressione sulla frenologia.

La disciplina che in seguito sarebbe divenuta nota come “frenologia” mosse i primi passi come “organologia”; fu fondata da Franz Joseph Gall verso la fine del Settecento. Dapprima in Europa, dove incontrò un "succÈs de scandale" nei circoli intellettuali di Vienna, Weimar, Parigi, e poi in America, dove fu introdotta da Johann Caspar Spurzheim, discepolo e agli inizi amico di Gall, la frenologia prese l’avvio come una singolare mescolanza tra la prima psicologia, i primi abbozzi di neuroscienze e una forma di filosofia pratica. Lungo quasi tutto il diciannovesimo secolo essa influenzò molto la scienza e anche il campo umanistico - sebbene tale influenza non fosse largamente riconosciuta e quanti la subivano badassero bene a prenderne le distanze.

In effetti, alcune delle idee di Gall dovevano essere stupefacenti, per quei tempi: egli infatti dichiarò, in termini decisi, che il cervello era un aggregato di molti organi, ciascuno dei quali dotato di una specifica facoltà psicologica. Gall non solo si staccò dal dualismo allora in voga, che separava la biologia dalla mente nel suo insieme, ma intuì, correttamente, che in ciò che si chiamava cervello vi erano molte parti, e che vi era una specializzazione, con riferimento alle funzioni proprie di tali parti (9). Intuizione straordinaria, quest’ultima, dato che la specializzazione del cervello È ora un fatto confermato. Tuttavia egli non si rese conto - ma ciò non deve sorprenderci - che le parti separate del cervello non funzionano indipendentemente l’una dalle altre; esse contribuiscono, invece, al funzionamento di più ampi sistemi composti da quelle parti separate. Ma non si può biasimare Gall per questo: ci sono voluti ben due secoli di studi Perchè una concezione “moderna” potesse acquistare consistenza. Oggi si può affermare con fiducia che non vi È alcun singolo “centro” per la visione o per il linguaggio, e nemmeno per la ragione, o per il comportamento sociale; vi sono “sistemi” formati da diverse unità cerebrali interconnesse; in termini anatomici, ma non funzionali, tali unità non sono altro che i vecchi “centri” della teoria di stampo frenologico, e questi sistemi sono in effetti devoluti ad attività relativamente separabili che costituiscono la base delle funzioni mentali. E’ vero anche che le unità cerebrali distinte, in virtù della posizione che occupano in un sistema, apportano componenti diversi al funzionamento del sistema, e perciò non sono interscambiabili. Si noti: quel che determina il contributo di una data unità cerebrale al funzionamento del sistema a cui essa appartiene non È solo la sua struttura, ma anche la sua "localizzazione" nel sistema.

Il sito di un’unità ha un enorme interesse. Questa È la ragione per cui, lungo tutto il libro, tratterò ampiamente di neuroanatomia (cioÈ di anatomia del cervello), identificherò le diverse regioni cerebrali e farò appello alla pazienza del lettore Perchè tolleri la ripetizione dei loro nomi, nonch, dei nomi di altre regioni con cui esse sono interconnesse. In diverse occasioni farò riferimento alla funzione presunta di determinate regioni cerebrali, ma il riferimento va inquadrato nel contesto dei sistemi a cui quelle regioni appartengono: non cado nella trappola frenologica! In termini più semplici: la mente È il risultato dell’attività di ciascuno dei componenti separati, e dell’attività concertata dei sistemi multipli costituiti da quei componenti separati.

Ma se a Gall va riconosciuto il merito di avere introdotto il concetto di specializzazione del cervello (idea straordinaria, alla luce delle scarse conoscenze del tempo), egli va biasimato per avere ispirato la nozione di “centri” del cervello. Nel lavoro dei neurologi e dei fisiologi del secolo scorso, questi centri risultarono inscindibilmente associati alle “funzioni mentali”. Meritano di essere criticate anche molte insensate asserzioni della frenologia: per esempio, l’idea che ogni “organo” distinto del cervello generasse facoltà mentali proporzionali alle dimensioni dell’organo, o l’idea che tutti gli organi e le facoltà fossero innati. Concepire la dimensione come un indice della “potenza” o dell’“energia” di una data facoltà mentale È un errore che fa sorridere; e tuttavia alcuni neuroscienziati contemporanei non sono rifuggiti dal farne uso, nel loro lavoro. Ne derivò per e-stensione la credenza (quella che soprattutto ha screditato la frenologia, e alla quale i più pensano quando sentono questa parola) che gli organi potessero essere identificati dall’esterno grazie a protuberanze rivelatrici nel cranio. Si può riconoscerne l’influenza lungo tutto il corso del secolo diciannovesimo, nella letteratura e anche in altri àmbiti, così come è stato per l’idea che organi e facoltà siano innati. Nel capitolo 5 si discuterà l’ampiezza di tale errore.

La connessione tra la frenologia e la storia di Phineas Gage merita una menzione speciale. Mentre cercava di documentarsi su Gage, lo psicologo M. B. MacMillan (10) scoprì una traccia riguardante un certo Nelson Sizer; questi appartenne ai circoli frenologici dell’Ottocento, tenne diverse conferenze nel New England, visitò il Vermont agli inizi degli anni Quaranta del secolo scorso, prima dell’incidente di Gage, e nel 1842 incontrò John Harlow. Nel suo libro (11) (per il resto piuttosto noioso) Sizer scrive: “Il dottor Harlow era allora un giovane medico e, in qualità di membro della commissione, presenziò alle nostre conferenze sulla frenologia, nel 1842”. Vi erano allora, nelle scuole di medicina della fascia orientale degli Stati Uniti, diversi seguaci della frenologia, e Harlow conosceva bene le loro idee. Egli avrebbe potuto sentirle esporre a Philadelphia (autentico rifugio della frenologia), oppure a New Haven, o a Boston, dove Spurzheim era arrivato nel 1832, poco dopo la morte di Gall, per esservi acclamato come guida scientifica e personaggio di richiamo. Il New England pot, celebrare e ospitare lo sfortunato Spurzheim solo per poche settimane, ma alla sua morte prematura seguì una non piccola attestazione di gratitudine: la notte stessa dei suoi funerali veniva fondata la Boston Phrenological Society.

Abbia o no Harlow mai avuto occasione di ascoltare Spurzheim, dà da pensare l’apprendere che egli ricevette almeno una lezione di frenologia direttamente da Nelson Sizer mentre questi si trovava a Cavendish (qui era alloggiato - e dove, se no? - all’albergo di Adams). L’influenza di Sizer spiegherebbe bene la ferma conclusione di Harlow, secondo cui il comportamento di Gage era cambiato a seguito di una specifica lesione cerebrale e non per una generica reazione all’incidente. Harlow però non si affida alla frenologia per una conferma.

Sizer tornò a Cavendish (e di nuovo alloggiò presso l’albergo di Adams - nella stessa stanza dove era stato ricoverato Gage, naturalmente) ed era perfettamente a conoscenza della vicenda di Gage, che menzionò nel suo libro sulla frenologia, scritto nel 1882: “Noi abbiamo studiato il resoconto [fatto da Harlow] del caso del 1848 con interesse vivo e appassionato, Né dimentichiamo che l’infelice paziente era ospitato nel medesimo albergo e nella medesima stanza”. Sizer arrivava a concludere che l’asta di ferro era passata “nelle vicinanze della Benevolenza e nella parte frontale della Venerazione”. Benevolenza, Venerazione? Non erano, queste, sorelle in qualche convento di carmelitane; erano invece “centri” frenologici, “organi” del cervello. Benevolenza e Venerazione davano all’individuo proprietà di comportamento, gentilezza, rispetto per gli altri. Sulla base di tale conoscenza si può comprendere l’opinione finale di Sizer: “Sembrava che fosse stato colpito il suo organo della Venerazione, con il probabile risultato della irriverenza”. Quanto era vero!]

 

 

Una pietra miliare - col senno di poi.

Non vi è dubbio che fu una lesione cerebrale circoscritta in un sito specifico a provocare il cambiamento di personalità di Gage; ma questa spiegazione sarebbe apparsa chiara solo due decenni dopo l’incidente, e solo in questo secolo sarebbe divenuta vagamente accettabile. Per molto tempo quasi tutti - compreso John Harlow -credettero che “la parte di cervello attraversata era, per svariate ragioni, la più adatta di tutte le parti della sostanza cerebrale a reggere il colpo” (12); in altre parole, una parte del cervello che non faceva molto e che quindi poteva essere sacrificata. Ma nulla poteva essere più lontano dal vero, come lo stesso Harlow scoprì. Nel 1868 egli scriveva che il recupero mentale di Gage “era soltanto parziale, dal momento che le sue facoltà intellettive erano decisamente menomate, seppure non perdute del tutto; nulla di simile alla demenza, ma un indebolimento delle manifestazioni: le sue attività mentali erano perfette come tipo, ma non come grado o quantità”. Il messaggio involontario della vicenda di Gage era che osservare le convenzioni sociali, comportarsi secondo etica e prendere decisioni vantaggiose per la propria sopravvivenza e per progredire richiedono la conoscenza di regole e strategie e l’integrità di specifici sistemi cerebrali. Ma questo messaggio difettava dell’evidenza necessaria per renderlo comprensibile e definitivo; esso divenne, invece, un mistero, trasmesso fino a noi come l’“enigma” della funzione dei lobi frontali. Ne scaturivano più numerose le domande che le risposte.

Per cominciare, tutto ciò che sapevamo sulla lesione cerebrale di Gage era che si trovava, probabilmente, nel lobo frontale - che È un po’ come dire che Chicago si trova probabilmente negli Stati Uniti: corretto, ma non molto preciso, Né di molto aiuto. Accettato che il danno toccasse i lobi frontali, in quale punto esatto di tale regione andava localizzato? Nel lobo sinistro? In quello destro? In entrambi? E anche in qualche altro punto? Come si vedrà nel capitolo seguente, le nuove tecniche di visualizzazione ci hanno aiutato a trovare la risposta.

Veniva poi la natura dell’alterazione del carattere di Gage. Come si sviluppò la sua anormalità? Certo, la causa prima fu un foro nella testa, ma questo ci spiega il Perchè, non il come. Un foro in qualsiasi punto del lobo frontale provocherebbe lo stesso risultato? Quale che sia la risposta, con quali mezzi plausibili la distruzione di una regione del cervello potrebbe modificare la personalità? Se nel lobo frontale si trovano regioni specifiche, di che cosa sono fatte, e come operano in un cervello integro? Sono “centri” preposti al comportamento sociale? Oppure sono moduli selezionati nel corso dell’evoluzione, stipati di algoritmi per la soluzione di problemi, pronti a dirci come ragionare e prendere decisioni? In tal caso, come fanno a interagire con l’ambiente, durante lo sviluppo, per consentire il ragionamento e la decisione normali? O tali moduli non esistono?

E attraverso quali meccanismi il processo decisionale di Gage cadde in difetto? Può darsi che le conoscenze necessarie per condurre un ragionamento seguendo un problema fossero state distrutte o rese inaccessibili, cosicch, egli non era più in grado di decidere in modo appropriato. E’ anche possibile che le conoscenze richieste fossero rimaste intatte e accessibili, ma che fossero state compromesse le strategie del ragionamento. In questo caso, quali erano i passi mancanti - o, meglio, quali passi si erano sostituiti a quelli che si ritengono normali? Supposto, poi, di essere tanto fortunati da ricostruire la natura di tali passi, quali ne sono le basi neurali?

Tutte domande che sollecitano la curiosità e l’interesse, ma forse non sono così importanti come quelle che si addensano attorno allo status di Gage come essere umano. Si può riconoscere a Gage libero arbitrio? Aveva il senso di ciò che È giusto o sbagliato, o era vittima della sua nuova configurazione cerebrale, cosicch, le sue decisioni gli erano imposte, in modo inevitabile? Era responsabile delle sue azio-ni? Se si stabilisce che non lo era, possiamo desumere qualcosa riguardo alla responsabilità, in termini più generali? Siamo circondati da molti Gage, e colpisce che tutti siano precipitati da una condizione di grazia sociale, con modalità simili. Alcuni sono affetti da menomazioni al cervello in conseguenza di tumori, altri a causa di ferite alla testa, altri ancora per disturbi neurologici. Ma poi vi sono quelli che non hanno subìto alcun disturbo neurologico manifesto, e tuttavia si comportano come Gage, per ragioni che hanno a che fare con il loro cervello, o con la società nella quale sono nati. E’ necessario comprendere la natura di queste persone le cui azioni possono essere distruttive per loro stesse e per gli altri, se si vuole dare una soluzione umana ai problemi che esse pongono. NÉ la carcerazione Né la pena di morte (che sono alcune delle risposte oggi offerte loro dalla società) contribuiscono a farci capire, o risolvere, il problema. In effetti, dovremmo spingerci oltre e interrogarci sulla nostra responsabilità quando noi, individui “normali”, scivoliamo nella irrazionalità che segnò la rovinosa caduta di Phineas Gage. Gage perdette qualcosa di peculiarmente umano: la capacità di pianificare il proprio futuro come essere sociale. Quanto era consapevole di tale perdita? Si può dire che fosse autocosciente nello stesso senso in cui lo siamo noi? E’ corretto dire che il suo spirito subì una diminuzione, o che egli l’aveva perduto? E in tal caso, che cosa ne avrebbe pensato Cartesio, se avesse saputo di Gage e avesse potuto conoscere la neurobiologia come oggi noi la conosciamo? Si sarebbe messo a indagare sulla ghiandola pineale di Gage?