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GIUSTIZIA
Il nostro senso di giustizia potrebbe essere datato
Come tutti gli altri nostri sensi, anche il senso di giustizia ha antiche radici nella vicenda evolutiva. La moralità umana si è formata nel corso di milioni di anni di evoluzione, adattandosi ad affrontare i dilemmi sociali ed etici che potevano verificarsi nelle vite di piccoli gruppi di cacciatori-raccoglitori. Se io andassi a caccia con voi e uccidessi un cervo mentre voi non prendeste niente, dovrei condividere il mio bottino con voi? Se voi andaste in cerca di funghi e tornaste con un cesto pieno, per il fatto che sono più forte di voi mi sarebbe consentito di impossessarmi di tutti quei funghi? E se io sapessi che complottate per uccidermi, sarebbe corretto agire in modo preventivo e sgozzarvi nel cuore della notte?1
Apparentemente non è cambiato granché da quando abbiamo lasciato la savana africana per la giungla urbana. Si potrebbe pensare che i problemi che affrontiamo oggi – la guerra civile in Siria, la disuguaglianza sociale nel mondo, il riscaldamento del pianeta – sono semplicemente gli stessi vecchi problemi in versione extralarge. Ma si tratta di un’illusione. Le dimensioni contano, e dal punto di vista della giustizia, come da molti altri punti di vista, non possiamo dire di essere proprio adatti al mondo in cui viviamo.
Non si tratta di un problema di valori. Siano laici o religiosi, i cittadini del XXI secolo possiedono valori in abbondanza. Il problema risiede nell’implementazione di questi valori in un mondo globale complesso. È tutta colpa dei numeri. Il senso di giustizia dei nostri lontani antenati era strutturato per gestire dilemmi relativi alle vite di poche dozzine di individui in un’area di poche decine di chilometri quadrati. Quando cerchiamo di capire le relazioni tra milioni di persone attraverso interi continenti, il nostro senso morale è sopraffatto.
La giustizia richiede non soltanto un insieme di valori astratti, ma anche la comprensione di concrete relazioni di causa-effetto. Se avete raccolto funghi per dare da mangiare ai vostri figli e io ora prendo il cesto dei funghi con la forza, significa che tutto il vostro lavoro è stato inutile e i vostri figli andranno a letto affamati, il che è spiacevole. È facile afferrare questa situazione, poiché le relazioni di causa-effetto sono lampanti. Purtroppo una caratteristica del nostro moderno mondo globale è che le sue relazioni causali sono quanto mai ramificate e intricate. Io posso vivere in pace a casa mia, senza mai alzare un dito con l’intenzione di danneggiare chicchessia, ma secondo gli attivisti di sinistra sono a tutti gli effetti corresponsabile dell’intera sofferenza inflitta dai soldati e dai coloni israeliani in Cisgiordania. Secondo i socialisti la mia confortevole vita è basata sul lavoro infantile praticato in vergognosi laboratori del Terzo mondo. I difensori dei diritti degli animali mi ricordano che la mia vita è intrecciata con uno dei più terrificanti crimini della storia – la soggiogazione di miliardi di animali da fattoria in un brutale regime di sfruttamento.
Sono davvero colpevole di tutto questo? Non è facile da stabilire. Poiché per la mia esistenza dipendo da una rete di legami economici e politici da capogiro, e poiché le connessioni globali causali sono così ingarbugliate, trovo difficile rispondere anche alle domande più semplici, come da dove proviene il mio pranzo, chi ha prodotto le scarpe che ho ai piedi, e che cosa sta facendo il mio fondo pensione con il mio denaro.2
Rubare fiumi
Un’antica cacciatrice-raccoglitrice sapeva molto bene da dove veniva il suo pranzo (se l’era procurato da sola), chi aveva prodotto i suoi mocassini (lui dormiva a venti metri di distanza da lei), e che cosa stava facendo il suo fondo pensione (stava giocando nel fango: a quei tempi, la gente aveva soltanto un fondo pensione, chiamato “bambini”). Io sono di gran lunga più ignorante di quella cacciatrice-raccoglitrice. Anni di ricerche potrebbero portarmi a scoprire che il governo per il quale ho votato sta vendendo in segreto armi a mezzo mondo tramite un losco dittatore. Ma mentre faccio questa scoperta, potrei essermi perso scoperte di gran lunga più importanti, come il destino dei polli le cui uova ho mangiato per cena.
Il sistema è strutturato in modo tale che coloro che non si danno da fare per sapere possono rimanere nella più beata ignoranza, e coloro che fanno uno sforzo si renderanno conto che è molto difficile scoprire la verità. Com’è possibile non rubare quando il sistema economico globale ruba di continuo per mio conto e senza che io lo sappia? Non importa che giudichiate le azioni dalle loro conseguenze (è sbagliato rubare poiché danneggia le vittime) o che crediate negli imperativi categorici che dovrebbero essere seguiti a prescindere dalle conseguenze (è sbagliato rubare perché Dio ha stabilito così). Il problema è che è diventato estremamente difficile comprendere quanto sta effettivamente accadendo.
Il comandamento “non rubare” era stato formulato ai tempi in cui rubare significava prendere fisicamente con la tua mano qualcosa che non ti appartiene. Oggi, la discussione sul furto riguarda scenari completamente diversi. Supponete che io investa diecimila dollari in azioni di una grossa azienda petrolchimica, che mi garantisce un utile del 5% all’anno sul capitale investito. L’azienda è molto redditizia perché non paga per gli effetti collaterali della sua attività. Disperde rifiuti tossici nel fiume che scorre vicino ai suoi impianti senza preoccuparsi delle conseguenze negative per l’approvvigionamento idrico della regione, per la salute pubblica, o per la fauna locale. Utilizza le sue ricchezze per assoldare una legione di avvocati che la proteggano contro ogni richiesta di compensazione. Finanzia anche lobbisti impegnati nel bloccare ogni tentativo di stabilire norme ambientali più severe.
Possiamo accusare l’azienda in questione di “rubare un fiume”? E che cosa c’entro io? Io non ho mai svaligiato la casa di nessuno o sfilato banconote dal portafogli di qualcuno. Non ho la minima idea di come questa particolare azienda stia generando i suoi profitti. Non ricordo nemmeno con precisione quale quota del mio portafoglio titoli sia investita nelle sue azioni. Dunque sono responsabile del furto? Come possiamo comportarci in modo moralmente corretto se non siamo in grado di conoscere tutti i fatti rilevanti?
Si può cercare di eludere il problema adottando una “moralità delle intenzioni”. Quello che conta sono le mie intenzioni, non ciò che faccio effettivamente o il risultato delle mie azioni. In un mondo in cui ogni cosa è interconnessa, l’imperativo morale supremo diventa conoscere. I peggiori crimini nella storia moderna sono derivati non solo dall’avversione e dall’odio, ma forse anche in misura maggiore dall’ignoranza e dall’indifferenza. Raffinate dame inglesi finanziavano il commercio atlantico degli schiavi comprando azioni e obbligazioni alla Borsa di Londra, senza aver mai messo piede né in Africa né ai Caraibi. Poi addolcivano il loro tè delle cinque con cubetti, bianchi come la neve, di zucchero prodotto in piantagioni infernali – delle quali ignoravano tutto.
Nella Germania della fine degli anni trenta, il responsabile di un ufficio postale locale poteva essere un cittadino onesto che si preoccupava del benessere dei suoi impiegati, e che dava una mano nel ritrovamento dei pacchi perduti. Era sempre il primo ad arrivare al lavoro e l’ultimo ad andare via, e perfino durante le bufere di neve si assicurava che la posta arrivasse in tempo. Ahimè, il suo ufficio postale efficiente e ospitale costituiva una cellula di vitale importanza nel sistema nervoso dello stato nazista. Favoriva il rapido diffondersi della propaganda razzista, degli ordini di reclutamento per la Wehrmacht, dei severi ordini alla sezione locale delle SS. C’è qualcosa di sbagliato anche nelle intenzioni di coloro che non fanno un sincero sforzo conoscitivo.
Ma che cosa si intende con “un sincero sforzo conoscitivo”? I direttori degli uffici postali di ogni paese dovrebbero aprire le lettere che stanno consegnando, e dimettersi o ribellarsi se scoprono elementi di propaganda del governo? È facile volgere lo sguardo con assoluta certezza morale alla Germania nazista degli anni trenta – perché sappiamo dove la catena delle cause e degli effetti ha condotto. Ma senza il beneficio del senno di poi, la certezza morale potrebbe non essere altrettanto a portata di mano. L’amara verità è che il mondo è semplicemente diventato troppo complicato per i cervelli dei cacciatori-raccoglitori.
La maggior parte delle ingiustizie contemporanee deriva da pregiudizi strutturali su larga scala piuttosto che da pregiudizi individuali, e i nostri cervelli da cacciatori-raccoglitori non si sono evoluti per rilevare i pregiudizi strutturali. Siamo tutti complici in almeno alcuni di questi pregiudizi, e semplicemente non abbiamo né il tempo né l’energia per scoprirli tutti. Scrivere questo libro mi ha consentito di imparare la lezione a livello personale. Quando discutiamo di questioni globali, corro sempre il pericolo di privilegiare il punto di vista dell’élite globale rispetto ai vari gruppi subalterni. L’élite globale domina l’opinione pubblica, ed è impossibile ignorare la sua visione delle cose. I gruppi subalterni, al contrario, di solito sono ridotti al silenzio, così è facile dimenticarsi di loro – non per malizia deliberata, ma per pura ignoranza.
Per esempio, non so assolutamente nulla dei problemi e della cultura degli aborigeni della Tasmania. Infatti, ne so talmente poco che in un libro precedente ho dato per certo che gli aborigeni tasmani non esistessero più, poiché erano stati tutti eliminati dai coloni europei. Tuttavia esistono alcune migliaia di persone che oggi rivendicano la loro discendenza dalla popolazione aborigena della Tasmania, e lottano contro molti problemi – uno dei quali è che la loro esistenza è di frequente negata, non da ultimo da studiosi esperti.
Se vi è toccato in sorte di appartenere a un gruppo subalterno, e avete una conoscenza approfondita e di prima mano del suo punto di vista, questo non significa che sarete in grado di comprendere il punto di vista di tutti gli altri gruppi subalterni. Infatti ogni gruppo e sottogruppo affronta una diversa configurazione di problemi e difficoltà, doppi standard, insulti codificati e discriminazione istituzionale. Un uomo afroamericano di trent’anni ha trent’anni di esperienza di che cosa significa essere un uomo afroamericano. D’altra parte non ha alcuna esperienza di che cosa significa essere una donna afroamericana, un sinti bulgaro, un cieco russo o una lesbica cinese.
Crescendo, quest’uomo afroamericano è stato più e più volte fermato e perquisito dalla polizia senza alcun apparente motivo – qualcosa che la lesbica cinese non ha mai dovuto sopportare. Ma essere nato in una famiglia americana in un quartiere residenziale popolato da afroamericani significa essere stato circondato da persone come lui che gli hanno insegnato ciò che occorre sapere per sopravvivere e avere successo come uomo afroamericano. La lesbica cinese non è nata in una famiglia lesbica in un sobborgo lesbico, e forse non ha nessuno al mondo che possa insegnarle quello che deve sapere per la sua specifica condizione. Pertanto un’infanzia e un’adolescenza da nero a Baltimora non rendono affatto semplice mettersi nei panni di chi si sforza di crescere da lesbica a Hangzhou.
Nelle epoche precedenti questo importava poco, poiché non eravamo responsabili delle difficoltà altrui nel mondo. Era sufficiente l’impegno per simpatizzare con i vicini meno fortunati. Ma oggi i dibattiti strategici a livello globale vertono su questioni come il cambiamento climatico e l’intelligenza artificiale, che hanno un impatto su ciascuno di noi – in Tasmania, a Hangzhou o a Baltimora – perciò dobbiamo essere informati su tutto. Ma chi può riuscirci? Come possiamo cogliere la rete di relazioni tra migliaia di gruppi che si influenzano a vicenda attraverso tutto il mondo?3
Sminuire o negare?
Anche se siamo mossi dalle migliori intenzioni, la maggior parte di noi non è più capace di comprendere i principali problemi etici del mondo. La gente può capire le relazioni tra due cacciatori dell’Età della pietra, tra venti cacciatori, o tra due tribù confinanti. Tuttavia non ha gli strumenti conoscitivi per capire le relazioni tra milioni di siriani, tra cinquecento milioni di europei, o tra tutti i gruppi e sottogruppi che interagiscono sul nostro pianeta.
Nel tentativo di concepire e giudicare i dilemmi morali su questa scala, la gente spesso ricorre a uno dei seguenti quattro metodi. Il primo è sminuire l’importanza della questione: comprendere la guerra civile in Siria figurandosela come lo scontro tra due cacciatori dell’Età della pietra; immaginare il regime di Assad come se fosse un individuo e i ribelli come se fossero un altro individuo, uno cattivo e l’altro buono. La complessità storica del conflitto è rimpiazzata da una trama semplice e chiara.4
Il secondo metodo è concentrare l’attenzione su un commovente caso umano, emblematico dell’intero conflitto. Se cercate di spiegare alla gente la realtà sfaccettata della guerra ricorrendo a statistiche e dati precisi, la gente non vi seguirà; ma una storia personale sul destino di un bambino la commuoverà fino alle lacrime, le farà ribollire il sangue, e genererà una falsa certezza morale.5 Questo l’hanno capito da tempo molte organizzazioni di beneficenza. In un esperimento di particolare interesse fu chiesto ad alcuni soggetti di fare una donazione per aiutare una bambina di sette anni proveniente dal Mali, di nome Rokia. Molti si commossero per questa storia, e aprirono i loro cuori e portafogli. Quando i ricercatori presentarono, oltre alla storia personale di Rokia, anche una serie di statistiche sul più ampio problema della povertà in Africa, i soggetti improvvisamente divennero meno disponibili a dare un aiuto. In un’altra ricerca, gli studiosi stimolarono i donatori a scegliere tra aiutare un singolo bambino malato oppure otto bambini malati. Gli intervistati preferirono dare più denaro al singolo bambino che al gruppo di otto.6
Il terzo metodo consiste nel trattare i dilemmi morali su larga scala come manovre di un complotto globale. Come funziona l’economia del pianeta, bene o male? È troppo complicato da afferrare. È più facile immaginare che venti multimiliardari stiano cospirando per arricchirsi, controllando i media e provocando guerre. Questa è quasi sempre una fantasia infondata. Il mondo contemporaneo è troppo intricato, non solo per il nostro senso di giustizia ma anche per le nostre abilità manageriali. Nessuno – compreso i multimiliardari, la CIA, i massoni e gli Anziani di Sion – comprende davvero che cosa sta accadendo nel mondo. Pertanto nessuno è in grado di ordire complotti.7
Questi tre metodi cercano di negare la natura multiforme del mondo. Il quarto metodo, il più importante, è creare un dogma, riporre la nostra fiducia in qualche teoria, istituzione o capo che si presume onnisciente, e obbedire ciecamente. I dogmi religiosi e ideologici hanno ancora un fascino notevole nella nostra epoca scientifica proprio perché ci offrono un porto sicuro al riparo dalla frustrante complessità del reale. Come si è notato in precedenza, i movimenti laici non sono stati esenti da questo rischio. Anche se come premessa rifiutano tutti i dogmi religiosi e professano una solida fiducia nella verità scientifica, prima o poi la complessità del reale diventa così improba che si è spinti a elaborare una dottrina che non dovrebbe essere messa in discussione. Queste dottrine possono dare conforto intellettuale e certezza morale, ma è discutibile che siano giuste.
Che cosa dovremmo fare allora? Dovremmo adottare il dogma liberale e credere alla combinazione di elettori e di singoli clienti? O forse dovremmo rifiutare l’atteggiamento individualista, e come molte altre precedenti culture della storia rinsaldare le comunità perché insieme diano un senso al mondo, in tutte le sue sfaccettature? Tale soluzione, a ogni modo, ci sposta dalla padella dell’ignoranza individuale alla brace del pregiudizio di gruppo. I gruppi di cacciatori-raccoglitori, le comunità dei villaggi e persino i sobborghi delle città potevano gestire i problemi che si trovavano ad affrontare. Ma oggi abbiamo davanti problemi globali senza avere una comunità globale. Né Facebook, né il nazionalismo, né la religione sono in grado di creare questa comunità. Tutte le tribù del pianeta sono oggi interamente impegnate nel portare avanti i loro particolari interessi e non si occupano affatto della ricerca della verità globale. Né gli americani, né i cinesi, né i musulmani o gli indù costituiscono “la comunità globale” – perciò la loro interpretazione della realtà non è credibile.
Dovremmo allora darci per vinti e dichiarare che la nostra ricerca per comprendere la verità e trovare la giustizia ha fallito? Siamo entrati ufficialmente nell’era della post-verità?