2.
LAVORO
Quando sarete grandi, potreste non avere un lavoro
Non abbiamo alcuna idea di quale sarà l’assetto del mercato del lavoro nel 2050. In generale c’è un diffuso consenso sul fatto che l’apprendimento automatico e la robotica cambieranno quasi ogni ambito professionale – dalla produzione di yogurt all’insegnamento dello yoga. Esistono tuttavia opinioni discordi sulla natura di tali cambiamenti e sulla loro imminenza. Alcuni ritengono che entro dieci o venti anni al massimo miliardi di individui saranno funzionalmente superflui. Altri pensano che l’automazione continuerà ancora per molto tempo a generare nuovi posti di lavoro e una maggiore prosperità per tutti.
Dobbiamo pensare che queste siano le avvisaglie di un terribile sconvolgimento, oppure tali previsioni sono un altro esempio di un’infondata isteria luddista? È difficile da stabilire. I timori secondo cui l’automazione causerà una disoccupazione di massa ci portano indietro nel tempo, al XIX secolo, e a scenari che non si sono mai concretizzati. Dall’inizio della Rivoluzione industriale, per ogni posto di lavoro perso come conseguenza dell’entrata in funzione di una macchina è stato creato almeno un nuovo lavoro, e la qualità media della vita è aumentata in modo esponenziale.1 D’altra parte esistono buone ragioni per ritenere che oggi la situazione sia diversa, e che l’apprendimento automatico sarà un fattore in grado di cambiare davvero le regole del gioco.
Gli esseri umani hanno due tipi di abilità: fisiche e cognitive. In passato le macchine erano in competizione con gli uomini soprattutto nelle abilità puramente fisiche, mentre gli uomini mantenevano un immenso vantaggio sulle macchine nelle facoltà cognitive. Pertanto, quando i lavori manuali nel settore agricolo e in quello industriale sono stati automatizzati, nel settore dei servizi sono emersi nuovi lavori che richiedevano quel tipo di abilità cognitive che soltanto gli uomini possedevano: apprendimento, analisi, comunicazione e soprattutto comprensione delle dinamiche emotive umane. L’intelligenza artificiale (d’ora in avanti IA) oggi comincia a superare le prestazioni degli uomini in un numero crescente di competenze e mansioni, inclusa la comprensione delle dinamiche emotive umane.2 Non siamo a conoscenza di un terzo campo di attività – oltre quelle fisiche e cognitive – dove gli esseri umani potranno conservare per sempre un vantaggio sicuro.
È dunque cruciale capire che la rivoluzione dell’IA non si limita al fatto che i computer diventano più rapidi e più intelligenti. La sua spinta propulsiva è sostenuta anche dalle scoperte nelle scienze biologiche e sociali. Tanto meglio riusciremo a penetrare i meccanismi biochimici che controllano le dinamiche emotive umane, i desideri e le scelte, tanto più i computer potranno diventare abili nell’analizzare il comportamento umano, prevedere le decisioni umane, e prendere il posto di autisti, impiegati di banca e avvocati.
Nel corso degli ultimi decenni la ricerca in aree come le neuroscienze e l’economia comportamentale ha permesso agli scienziati di hackerare gli esseri umani, e in particolare di comprendere in modo molto più preciso le modalità dei processi decisionali degli individui. Si è scoperto che ogni nostra scelta, da quello che mangiamo ai compagni che amiamo, non dipende da un misterioso libero arbitrio bensì da miliardi di neuroni che calcolano probabilità in una frazione di secondo. La tanto decantata “intuizione umana” consiste in realtà nel “riconoscimento di modelli”.3 Autisti, impiegati di banca e avvocati capaci e competenti non si avvalgono di intuizioni magiche a proposito del traffico, degli investimenti o della negoziazione – piuttosto, grazie al riconoscimento di modelli ricorrenti, essi individuano e cercano di evitare pedoni disattenti, debitori inaffidabili e disonesti truffatori. Si è anche scoperto che gli algoritmi biochimici del cervello umano sono molto lontani dall’essere perfetti. Essi si affidano all’euristica, a scorciatoie e circuiti obsoleti, frutto dell’adattamento alle esigenze della savana africana invece che a quelle della giungla urbana. Non c’è da stupirsi se perfino autisti, impiegati di banca e avvocati capaci e competenti talvolta commettono errori stupidi.
Questo significa che l’IA può superare le prestazioni degli esseri umani addirittura in quei compiti che prevedono l’uso dell’“intuizione”. Se pensate che l’IA debba competere con l’anima degli uomini in termini di sensazioni mistiche, la cosa sembra impossibile. Ma se l’IA può competere con le reti neurali nel calcolo delle probabilità e nel riconoscimento di modelli, l’ipotesi è molto meno improbabile.
In particolare l’IA può svolgere meglio quelle mansioni che richiedono l’intuizione di cosa passa nella testa degli altri. Molti ambiti professionali – come guidare un veicolo in una strada affollata di pedoni, prestare denaro a sconosciuti e negoziare un contratto d’affari – richiedono l’abilità di valutare correttamente le dinamiche emotive e i desideri degli altri. Quel bambino sta per saltare in mezzo alla strada? Quell’uomo in giacca e cravatta intende prendere i miei soldi e scomparire? Quell’avvocato darà seguito alle sue minacce o sta solo bluffando? Finché si è pensato che queste dinamiche e questi desideri fossero generati da uno spirito immateriale, sembrava ovvio ritenere che i computer non avrebbero mai potuto sostituire autisti, impiegati di banca e avvocati umani. Come può una macchina comprendere lo spirito umano creato da Dio? Tuttavia, se queste emozioni e questi desideri non sono in effetti nient’altro che il risultato di algoritmi biochimici, non c’è ragione per cui i computer non possano decifrarli – e farlo in modo assai più efficiente di qualsiasi Homo sapiens.
Un autista che prevede le intenzioni di un pedone, un banchiere che giudica la solvibilità di un potenziale debitore e un avvocato che valuta il clima di un tavolo negoziale non si affidano a qualche soluzione ricavata da un libro di stregoneria. Anzi, anche se non lo sanno, i loro cervelli riconoscono modelli biochimici analizzando le espressioni del viso, i toni della voce, i movimenti delle mani e perfino gli odori corporei. Un’intelligenza artificiale dotata dei giusti sensori potrebbe elaborare questi processi critici in modo di gran lunga più accurato e affidabile di un essere umano.
Quindi la minaccia di perdita di posti di lavoro non proviene semplicemente dall’ascesa delle tecnologie informatiche. È il risultato dell’azione combinata delle tecnologie informatiche con quelle biologiche. La strada dallo scanner a risonanza magnetica al mercato del lavoro è lunga e tortuosa, ma è una distanza che può essere percorsa in pochi decenni. Ciò che i neuroscienziati stanno imparando oggi sull’amigdala e sul cervelletto potrebbe mettere i computer nelle condizioni di svolgere in modo più efficace le prestazioni di psichiatri e di guardie del corpo nel 2050.
L’IA non è solo in grado di emulare e sovvertire le dinamiche critiche del nostro cervello addirittura migliorandone le prestazioni in quei campi in cui finora le competenze umane erano l’unica opzione. L’IA possiede anche capacità affatto diverse da quelle umane, che connotano in modo qualitativo e non solo quantitativo la differenza tra un’IA e un operatore umano. Due capacità dell’IA particolarmente importanti e qualitativamente diverse da quelle del nostro cervello sono la connettività e la possibilità di aggiornamento.
Poiché gli esseri umani sono individui, è difficile connetterli l’uno all’altro e assicurarsi che siano tutti aggiornati. Le macchine invece non sono individui ed è facile integrarle in una singola rete flessibile. Pertanto non si tratta della sostituzione di milioni di lavoratori individuali con milioni di individui robot e computer. È più verosimile che gli individui umani siano rimpiazzati da una rete integrata. Quando consideriamo l’automazione è inoltre errato comparare le abilità di un singolo autista umano con quelle di una singola automobile a guida automatica, o di un singolo dottore umano con quelle di un singolo dottore dell’IA. Dovremmo invece comparare le abilità di un insieme di individui umani alle abilità di una rete integrata.
Per esempio molti autisti non conoscono tutte le norme del codice stradale in continuo aggiornamento, e spesso le trasgrediscono. Oltre a ciò, poiché ogni veicolo è un’entità autonoma, quando due veicoli si avvicinano allo stesso punto di passaggio, gli autisti potrebbero fraintendere le reciproche intenzioni ed entrare in collisione. Le automobili a guida automatica, al contrario, possono essere tutte connesse le une alle altre. Quando due veicoli del genere si avvicinano allo stesso punto di passaggio, essi non sono due entità realmente separate – sono parte di un singolo algoritmo. Le possibilità di fraintendersi e scontrarsi sono di gran lunga minori. E se il ministro dei trasporti decide di cambiare alcune norme del codice stradale, tutti i veicoli a guida autonoma possono essere facilmente aggiornati esattamente nello stesso momento e, salvo bug nel programma, rispetteranno tutti i nuovi regolamenti alla lettera.4
In maniera analoga, se l’Organizzazione mondiale della sanità identifica una nuova malattia, o se un laboratorio produce un nuovo farmaco, è quasi impossibile aggiornare in modo simultaneo tutti i dottori umani al mondo su questi sviluppi. Al contrario, anche se ci fossero dieci miliardi di dottori dell’IA sparsi per il mondo – ognuno dei quali controlla la salute di un singolo essere umano – sarebbe comunque possibile aggiornarli tutti insieme in una frazione di secondo, dopodiché potrebbero comunicarsi i loro rapporti sulla nuova malattia o medicina. I vantaggi potenziali della connettività e della capacità di aggiornamento sono così enormi che almeno in alcuni ambiti professionali potrebbe aver senso sostituire tutti gli esseri umani con i computer, anche se a livello individuale alcuni uomini potrebbero ancora svolgere un lavoro di qualità migliore rispetto a quello delle macchine.
Potreste obiettare che nel passaggio da individui umani a una rete di computer connessi tra loro perderemo i vantaggi dell’individualità. Per esempio, se un dottore umano emette un giudizio sbagliato, non uccide tutti i pazienti, né blocca lo sviluppo di tutti i nuovi medicinali. Al contrario, se tutti i dottori costituiscono realmente un unico sistema, e quel sistema commette un errore, i risultati potrebbero essere catastrofici. È anche vero comunque che un sistema di computer integrati può massimizzare i vantaggi della connettività senza perdere i benefici dell’individualità. Potete disporre di molti algoritmi alternativi sulla stessa rete, cosicché una paziente che si trova in un remoto villaggio nella giungla può accedere grazie al suo smartphone non soltanto a un singolo medico autorevole, ma in effetti a centinaia di differenti medici dell’IA, le cui prestazioni sono oggetto di costante verifica comparativa. Non vi soddisfa ciò che il dottore dell’IBM vi ha detto? Non c’è problema. Anche se siete inchiodati da qualche parte su una parete del Kilimangiaro, potete facilmente contattare il dottore di Baidu per un secondo parere.
È probabile che un simile passaggio porterà benefici immensi alla società umana. I dottori dell’IA potrebbero fornire assistenza sanitaria a costi di gran lunga inferiori e di qualità molto superiore a miliardi di individui, in modo particolare a coloro che oggi non ricevono alcuna forma di assistenza sanitaria. Grazie agli algoritmi ad apprendimento automatico e ai sensori biometrici, una povera abitante di un villaggio in un paese sottosviluppato potrebbe beneficiare, tramite il suo smartphone, di un’assistenza sanitaria molto più completa ed efficace di quella che la persona più ricca del pianeta può ricevere oggi dal più avanzato ospedale metropolitano.5
In maniera analoga le auto a guida autonoma potrebbero fornire alle persone servizi di trasporto di gran lunga più efficienti, e in particolare potrebbero ridurre il tasso di mortalità da incidenti automobilistici. Oggi quasi 1,25 milioni di individui all’anno sono vittime di incidenti automobilistici (due volte il numero di quelle morte in guerra, a causa di un crimine o di un’azione terroristica messe insieme).6 Oltre il 90% di questi incidenti sono addebitabili a errori umani: uno guida in stato di ebbrezza, un altro scrive un SMS mentre è al volante, qualcuno si addormenta per la stanchezza, e c’è chi ha la testa altrove invece di fare attenzione alla strada. La National Highway Traffic Safety Administration statunitense ha stimato nel 2012 che il 31% degli incidenti mortali negli Stati Uniti era dovuto all’abuso di alcool, il 30% a un eccesso di velocità e il 21% a guidatori distratti.7 I veicoli a guida autonoma non faranno mai questo genere di errori. Sebbene anch’essi possano avere qualche limite o riscontrare un problema specifico, e benché alcuni incidenti siano inevitabili, ci si attende che la sostituzione di tutti i guidatori con i computer riduca i morti e i feriti sulle strade di circa il 90%.8 In altre parole, con la conversione ai veicoli a guida autonoma è probabile che si possano salvare un milione di vite umane ogni anno.
Quindi sarebbe una follia impedire l’avvento dell’automazione in settori come i trasporti o l’assistenza sanitaria solo per proteggere i posti di lavoro umani. Dopo tutto, ciò che dovrebbe davvero essere protetto sono gli esseri umani, non i posti di lavoro. Autisti e medici superflui dovranno soltanto trovare qualcos’altro da fare.
Mozart nella macchina
Almeno nel breve periodo, è improbabile che l’IA e la robotica eliminino completamente interi settori industriali. Quei mestieri che richiedono personale specializzato addetto a un ristretto numero di attività ripetitive saranno automatizzati. Ma sarà molto più complesso rimpiazzare gli esseri umani con le macchine in quei lavori che comportano l’uso simultaneo di un ampio spettro di capacità, e che necessitano della gestione competente di scenari non previsti. Prendiamo ad esempio l’assistenza sanitaria. Molti medici si concentrano in modo quasi esclusivo sull’attività di elaborare informazioni: acquisiscono dati medici, li analizzano e forniscono una diagnosi. Al contrario, gli infermieri devono possedere anche una certa forza fisica e intuizione psicologica per eseguire un’iniezione dolorosa, sostituire una medicazione o contenere un paziente violento. Pertanto, con ogni probabilità, avremo un dottore dell’IA sul nostro smartphone decenni prima di avere un robot infermiere affidabile.9 È plausibile che l’industria della cura alla persona – che si occupa dei malati, sia giovani sia anziani – rimanga un bastione umano per lungo tempo. Per questo, con l’allungamento dell’aspettativa di vita e con il controllo delle nascite, la cura degli anziani sarà con ogni probabilità uno dei settori a più alto tasso di crescita nel mercato del lavoro umano.
Insieme al settore dell’assistenza, anche l’ambito della creatività pone ostacoli particolarmente impegnativi all’automazione. Non abbiamo più bisogno di impiegati umani che ci vendano la musica – possiamo scaricarla direttamente dall’iTunes store – ma i compositori, i musicisti, i cantanti e i DJ sono ancora in carne e ossa. Facciamo affidamento sulla loro creatività non solo per produrre musica mai udita prima, ma anche per poter scegliere da uno sbalorditivo campionario di opzioni.
D’altra parte nel lungo periodo nessun lavoro rimarrà del tutto esente dall’automazione. Persino gli artisti dovrebbero stare attenti. Nel mondo moderno l’arte di solito è associata alle emozioni umane. Siamo portati a pensare che gli artisti siano in grado di incanalare certe tensioni psicologiche, e che lo scopo generale dell’arte sia connetterci con le nostre emozioni o ispirarci nuove sensazioni. Di conseguenza, quando valutiamo l’arte, la giudichiamo in base all’impatto emotivo che ha prodotto nel pubblico. Tuttavia, se l’arte è definita dalle emozioni umane, che cosa potrebbe accadere una volta che algoritmi esterni a noi siano capaci di comprendere e stimolare le nostre emozioni umane meglio di Shakespeare, Frida Kahlo o Beyoncé?
Dopo tutto le emozioni non sono un fenomeno mistico: esse sono il risultato di un processo biochimico. Pertanto, in un futuro non troppo lontano, un algoritmo ad apprendimento automatico potrebbe analizzare i dati biometrici che fluiscono da sensori collocati sulla superficie e all’interno del vostro corpo, determinare il tipo di personalità e i mutamenti d’umore e calcolare l’impatto emotivo che una specifica canzone – persino una particolare combinazione armonica musicale – può avere su di voi.10
Di tutte le forme artistiche, la musica è verosimilmente la più idonea all’analisi dei Big Data, perché sia le informazioni in entrata sia quelle in uscita possono essere espresse in precisi termini matematici. Le informazioni in entrata sono modelli matematici di onde sonore e quelle in uscita sono configurazioni elettrochimiche di tempeste neurali. Entro qualche decennio, un algoritmo capace di gestire milioni e milioni di esperienze musicali potrebbe imparare a predire come da determinate informazioni in entrata derivino determinate informazioni in uscita.11
Supponete di aver avuto un aspro litigio con il vostro ragazzo. L’algoritmo che gestisce il vostro impianto audio comprenderà immediatamente il vostro tumulto emotivo interiore e, basandosi su ciò che sa della vostra personalità e della psicologia umana in generale, riprodurrà canzoni selezionate accuratamente per entrare in risonanza con la vostra tristezza e riecheggiare la vostra angoscia. Queste determinate canzoni potrebbero non funzionare bene con altri soggetti, ma sono perfette per la vostra personalità. Dopo avervi aiutato a esplorare la profondità della vostra tristezza, l’algoritmo riprodurrà la sola canzone al mondo capace di risollevarvi il morale – forse perché il vostro subconscio la ricollega a una memoria infantile felice di cui non siete consapevoli. Nessun DJ umano potrebbe sperare di competere con le capacità di un’IA del genere.
Potreste obiettare che l’IA in tal modo ucciderebbe la serendipità e che ci avvolgeremmo in un soffocante bozzolo musicale, intessuto con la trama dei nostri precedenti gradimenti e idiosincrasie. Che cosa ne sarebbe della ricerca di nuovi gusti e stili musicali? Non c’è problema, potreste facilmente correggere l’algoritmo impostando di fargli fare il 5% delle sue scelte del tutto a caso, proponendovi in modo inaspettato la registrazione di un’orchestra gamelan indonesiana, un’opera di Rossini o l’ultimo successo pop coreano. Col tempo, monitorando le vostre reazioni, l’IA potrebbe determinare il livello ideale di casualità che da un lato ottimizzerà i risultati dell’esplorazione e dall’altro eviterà il fastidio che ogni ricerca comporta, forse diminuendo il suo livello di serendipità al 3% o aumentandolo all’8%.
Un’altra possibile obiezione è che non è chiaro come l’algoritmo possa stabilire la sua finalità emotiva. Se avete appena litigato con il vostro ragazzo, l’algoritmo dovrebbe puntare a intristirvi o a rallegrarvi? Seguirebbe ciecamente una rigida scala di “buone emozioni” e “cattive emozioni”? Forse ci sono occasioni nella vita in cui essere tristi aiuta? La stessa domanda potrebbe essere posta ai musicisti e ai DJ umani. Tuttavia, con un algoritmo, esistono parecchie soluzioni interessanti per questo puzzle.
Un’opzione è permettere all’utente di scegliere. Potete valutare le vostre emozioni come preferite e l’algoritmo seguirà le vostre indicazioni. Che vogliate lasciarvi affondare nell’autocommiserazione o saltare di gioia, l’algoritmo seguirà pedissequamente i vostri ordini. In effetti, l’algoritmo potrebbe imparare a riconoscere i vostri desideri addirittura senza che abbiate bisogno di esserne consapevoli.
In alternativa, se non vi fidate di voi stessi, potete programmare l’algoritmo affinché segua le raccomandazioni di un qualche eminente psicologo che gode della vostra fiducia. Se il vostro ragazzo alla fine vi lascia, l’algoritmo può percorrere le cinque fasi ufficiali del dolore: dapprima vi aiuterà a negare ciò che è successo riproducendo Don’t Worry, Be Happy di Bobby McFerrin, poi accenderà la vostra rabbia con You Oughta Know di Alanis Morissette, dunque vi incoraggerà a contrattare con Ne me quitte pas di Jacques Brel e Come Back and Stay di Paul Young, in seguito vi lascerà sprofondare nell’abisso della depressione con Someone Like You e Hello di Adele, e infine vi sosterrà nel prendere atto della situazione con I Will Survive di Gloria Gaynor.
Per l’algoritmo il passo successivo è iniziare ad armeggiare con le stesse canzoni e melodie, facendo piccole e continue variazioni per adattarle alle tue idiosincrasie. Forse non ti piace un particolare passaggio in una canzone altrimenti eccellente. L’algoritmo lo sa perché il tuo cuore salta un battito e i tuoi livelli di ossitocina subiscono una lieve diminuzione ogni volta che ascolti quel passaggio che ti infastidisce. L’algoritmo potrebbe riscrivere o modificare le note sgradite.
Sul lungo periodo gli algoritmi possono imparare a comporre motivi, facendo vibrare le corde delle emozioni umane come un pianista fa vibrare quelle di un pianoforte premendone i tasti. Con l’utilizzo dei vostri dati biometrici gli algoritmi potrebbero addirittura produrre melodie personalizzate, che solo voi nell’intero universo potreste apprezzare.
Capita spesso di sentir dire che le persone capiscono le opere d’arte perché vi ritrovano se stesse. Questo meccanismo identificativo potrebbe condurre a sorprendenti e anche sinistri risultati se e quando, diciamo, Facebook cominciasse a creare arte personalizzata basata su tutto quello che sa di voi. Se il vostro ragazzo vi lascia, Facebook vi offrirà una canzone composta su misura per voi a proposito di quel particolare bastardo piuttosto che su una persona sconosciuta che ha spezzato il cuore di Adele o di Alanis Morissette. La canzone potrà perfino ricordarvi episodi reali della vostra relazione, che nessun altro al mondo conosce.
Di certo l’arte personalizzata potrebbe non affermarsi mai, perché la gente continuerà a preferire le comuni hit che piacciono a tutti. Come si può ballare o cantare insieme sulle note di un motivo che nessuno conosce oltre a te? Ma gli algoritmi potrebbero dimostrare di essere persino più idonei nel lanciare hit globali che nel comporre rarità personalizzate. Ricorrendo agli enormi database biometrici raccolti da milioni di individui, l’algoritmo potrebbe sapere quali tasti biochimici premere al fine di produrre una hit globale capace di indurre tutti quanti a danzare freneticamente sulle piste da ballo. Se l’arte concerne davvero l’ispirazione (o la manipolazione) delle emozioni umane, pochi musicisti, per non dire nessuno, saranno in grado di competere con un algoritmo del genere, poiché essi non possono gareggiare nella comprensione dello strumento principale che stanno suonando: il sistema biochimico.
Tutto ciò si risolverà nella produzione di arte di alto livello? Dipende dalla definizione di arte. Se è bello ciò che in effetti risulta tale alle orecchie dell’ascoltatore, e se il cliente ha sempre ragione, allora gli algoritmi biometrici hanno tutte le chance di realizzare la migliore arte di sempre. Se l’arte concerne qualcosa di più profondo delle nostre emozioni e deve tendere a esprimere una verità che va al di là delle nostre vibrazioni biochimiche, gli algoritmi biometrici potrebbero non diventare buoni artisti. Ma neppure la maggior parte degli umani. Per fare il loro ingresso nel mercato dell’arte e prendere il posto di molti compositori e interpreti umani, gli algoritmi non dovranno porsi l’obiettivo di superare Čajkovskij. Sarebbe sufficiente superare le prestazioni di Britney Spears.
Nuovi lavori?
La scomparsa di molti lavori tradizionali in ogni ambito, dall’arte all’assistenza sanitaria, sarà probabilmente compensata dalla creazione di nuovi lavori. Medici di base che si occupano quasi sempre della diagnosi di malattie note e della gestione dei trattamenti per le famiglie saranno rimpiazzati da dottori dell’IA. Ma proprio per questo motivo, ci saranno molte più risorse economiche per pagare medici umani e assistenti di laboratorio per condurre ricerche innovative e sviluppare nuove medicine o procedure chirurgiche.12
L’IA potrebbe aiutare a creare nuovi posti di lavoro anche in un altro modo. Invece di competere con l’IA, gli umani potrebbero concentrarsi nel mettersi al servizio dell’IA, sfruttandone le potenzialità. Per esempio, la sostituzione dei piloti umani con i droni ha eliminato alcuni posti di lavoro ma ha creato parecchie nuove opportunità nella manutenzione, nel controllo a distanza, nell’analisi dei dati e della sicurezza informatica. L’esercito americano impiega trenta unità per rendere operativo un drone Predator o Reaper nei cieli della Siria, mentre l’analisi della risultante messe di informazioni occupa almeno otto unità. Nel 2015 l’aeronautica statunitense non aveva abbastanza personale in grado di occupare tutte queste posizioni, e quindi si trovò ad affrontare un’ironica crisi occupazionale determinata dai suoi droni radiocontrollati.13
Se le cose stanno così, il mercato del lavoro del 2050 potrebbe ben essere caratterizzato da una cooperazione umani-IA anziché da una situazione competitiva. Nei settori che vanno dalla sicurezza all’attività bancaria, squadre di umani-più-IA potrebbero superare le prestazioni sia degli umani sia dei computer. Dopo che il programma di scacchi Deep Blue della IBM ha sconfitto Garry Kasparov nel 1996, la gente non ha smesso di giocare a scacchi. Piuttosto, grazie all’allenamento con l’IA i campioni di scacchi sono migliorati come non mai, e almeno per un po’ le squadre composte da umani e IA note come “centauri” hanno avuto prestazioni migliori sia degli umani sia dei programmi scacchistici. In maniera analoga, l’IA potrebbe contribuire a creare i migliori investigatori, impiegati bancari e soldati della storia.14
Il problema con tutte queste nuove professioni, comunque, è che esse richiederanno, con ogni probabilità, competenze di livello elevato, e di conseguenza non risolveranno i problemi dei lavoratori disoccupati poco specializzati. Creare nuovi posti di lavoro potrebbe rivelarsi più semplice che formare il personale per occupare quelle posizioni. Nelle precedenti ondate di automazione, gli individui potevano passare facilmente dalla routine di un lavoro a bassa specializzazione a un’altra. Nel 1920 un lavoratore di una fattoria licenziato a causa della meccanizzazione dell’agricoltura poteva trovare un nuovo lavoro in una fabbrica che produceva trattori. Nel 1980 l’operaio disoccupato poteva cominciare a lavorare come cassiere in un supermercato. Tali cambiamenti occupazionali erano praticabili, perché lo spostamento dalla fattoria alla fabbrica e dalla fabbrica al supermercato richiedeva solo una riqualificazione limitata.
Ma nel 2050 un cassiere o un operaio tessile che perdono il loro posto di lavoro perché sostituiti da un robot difficilmente saranno in grado di trovare un’occupazione nella ricerca sul cancro, come operatori di droni o nel team di una banca composta da persone e IA. Non saranno in possesso delle necessarie competenze. Nella prima guerra mondiale aveva un senso inviare al fronte milioni di semplici coscritti a imbracciare fucili e a morire in gran numero. Le loro competenze individuali contavano poco. Oggi, malgrado la scarsità di operatori di droni e analisti di dati, l’aeronautica statunitense non ha alcuna intenzione di colmare le sue posizioni professionali vacanti con gli esuberi dei supermercati Walmart. Sarebbe sgradevole che una recluta inesperta scambiasse i festeggiamenti per un matrimonio afghano con una riunione ad alto livello di comandanti talebani.
Da ciò consegue che, nonostante l’emergere di molte nuove professioni, potremmo essere testimoni della nascita di una nuova classe di individui “inutili”. Potrebbe in effetti esserci riservato l’aspetto peggiore di entrambi i mondi, soffrendo sia per gli elevati livelli di disoccupazione sia per la mancanza di lavoratori qualificati. Molti potrebbero non condividere il destino dei conducenti di carrozze del XIX secolo – che passarono a guidare i taxi – ma bensì quello dei cavalli del XIX secolo, che furono gradualmente espulsi dal mercato del lavoro.15
Inoltre nessuna professione residua sarà mai al riparo dalla minaccia della futura automazione, poiché l’apprendimento automatico e la robotica continueranno a migliorare. Un ex cassiere di Walmart, quarantenne, disoccupato, che con sforzi sovrumani riuscisse a reinventarsi come pilota di droni potrebbe doversi di nuovo reinventare dopo una decina d’anni, perché a quel punto anche il pilotaggio dei droni sarà automatizzato. Questa aleatorietà renderà anche più complesso organizzare i sindacati e garantire i diritti dei lavoratori. Già oggi, nelle economie avanzate parecchi nuovi posti di lavoro afferiscono a occupazioni temporanee poco tutelate, attività freelance e lavoretti a chiamata (nello stile della gig economy).16 Come si fa a organizzare sindacalmente una professione che spunta dal nulla e scompare di nuovo nel nulla nel giro di una decina d’anni?
In maniera analoga è probabile che le squadre centaure uomo-computer siano caratterizzate da un costante confronto fra gli umani e i computer, invece che da una solida e duratura collaborazione. Le squadre composte solo da persone – come Sherlock Holmes e il dottor Watson – di solito sviluppano gerarchie permanenti e routine che durano decenni. Ma un investigatore che si unisca al sistema di IA Watson della IBM (che divenne famoso per aver vinto il programma a quiz statunitense Jeopardy! nel 2011) scoprirà che ogni routine è un invito alla discontinuità e ogni gerarchia è un invito alla rivoluzione. L’aiutante di ieri potrebbe assumere le sembianze del capo di domani e tutti i protocolli e i manuali ogni anno dovranno essere riscritti.17
Uno sguardo più ravvicinato al mondo degli scacchi potrebbe indicarci la direzione verso cui stiamo andando nel lungo periodo. È vero che, per parecchi anni dopo la sconfitta inflitta da Deep Blue a Kasparov, la cooperazione umani-computer nel mondo degli scacchi ha prosperato. Negli ultimi tempi però i computer sono diventati così bravi nel gioco degli scacchi che i loro partner umani hanno perso valore e potrebbero presto diventare del tutto irrilevanti.
Il 7 dicembre 2017 è stata raggiunta una pietra miliare decisiva, non perché un computer ha sconfitto un umano a scacchi – notizia vecchia – ma perché il programma AlphaZero di Google ha sconfitto Stockfish 8, il programma di scacchi campione del mondo nel 2016. Quest’ultimo aveva accesso a secoli di esperienza umana accumulata negli scacchi, così come a decenni di esperienza nel campo dei computer. Era capace di calcolare 70 miliardi di posizioni al secondo. Al contrario, AlphaZero riusciva a calcolare solo 80 mila posizioni al secondo, e i suoi creatori umani non gli avevano mai insegnato alcuna strategia scacchistica, neppure le aperture da manuale. Ma AlphaZero usava i principi dell’apprendimento automatico per imparare da solo il gioco degli scacchi, giocando contro se stesso. Nondimeno, su cento partite giocate contro Stockfish, il novizio AlphaZero ha totalizzato ventotto vittorie e settantadue pareggi. Non ha perso neppure una volta. Poiché AlphaZero non ha imparato alcunché da nessun essere umano, molte delle sue mosse e strategie vincenti apparivano non convenzionali agli occhi umani e potevano essere considerate creative, se non addirittura geniali.
Riuscite a indovinare quanto tempo è occorso ad AlphaZero per imparare a giocare a scacchi partendo da zero, prepararsi per l’incontro con Stockfish, e sviluppare il suo istinto geniale? Quattro ore. E non si tratta di un refuso. Per secoli, gli scacchi sono stati considerati uno dei gioielli della corona dell’intelligenza umana. AlphaZero è passato dalla più totale ignoranza a una padronanza creativa in quattro ore, senza l’aiuto di alcuna guida umana.18
AlphaZero non è l’unico software dotato di capacità immaginative in campo. Molti programmi adesso superano in modo sistematico le prestazioni dei giocatori umani di scacchi non solo nelle mere capacità di calcolo, ma persino nella “creatività”. Nei tornei di scacchi riservati agli umani, i giudici sono sempre a caccia di giocatori che cercano di barare, aiutandosi di nascosto con qualche software. Uno dei modi per individuare chi sta tentando di fare il furbo è controllare il livello di originalità delle mosse. Se i giocatori fanno una mossa eccezionalmente creativa, i giudici spesso sospettano che non possa essere una mossa umana – deve essere la mossa di un computer. Almeno negli scacchi, la creatività è già ora il segno distintivo del modo di operare dei computer piuttosto che di quello degli umani! Pertanto, se gli scacchi sono il nostro canarino nella miniera di carbone, dobbiamo avere l’onestà intellettuale di ammettere che il canarino sta morendo. Quello che sta accadendo oggi alle squadre scacchistiche composte da umani e IA potrebbe accadere domani anche alle squadre umani-IA addette alla sicurezza, alla cura delle malattie e ai servizi bancari.19
Di conseguenza, creare nuovi posti di lavoro e riqualificare le persone affinché li possano occupare non sarà uno sforzo una tantum. La rivoluzione dell’IA non sarà un singolo evento spartiacque a seguito del quale il mercato del lavoro si assesterà su un nuovo equilibrio. Sarà invece una cascata di cambiamenti sempre più traumatici. Già oggi pochi dipendenti si aspettano di fare lo stesso lavoro per tutta la vita.20 Entro il 2050, non soltanto l’idea di “un posto di lavoro per la vita”, ma addirittura l’idea di “una professione per la vita” potrebbe apparire antidiluviana.
Anche se potessimo continuare a inventare nuovi posti di lavoro e riqualificare la forza lavoro, dovremmo chiederci se l’umano medio riuscirà ad avere la resistenza emotiva necessaria per una vita costellata da questi sconquassi senza fine. Il cambiamento è sempre fonte di stress, e il mondo frenetico degli inizi del XXI secolo ha causato un’epidemia globale di stress.21 Quando la volatilità del mercato del lavoro e delle carriere individuali aumenterà, ci si chiede se saremo in grado di gestirla. Con ogni probabilità avremo bisogno di tecniche più efficaci per ridurre gli effetti dello stress – dai medicinali classici, passando per le terapie basate sul neuro-feedback, fino alla meditazione – per evitare che la mente dei Sapiens vada in cortocircuito. Entro il 2050 potrebbe emergere una classe “inutile” dovuta non solo a un’assoluta mancanza di lavoro o a un’istruzione inadeguata, ma anche a un’insufficiente resistenza mentale al cambiamento.
Ovviamente la maggior parte di tutto ciò è pura speculazione. Nel momento in cui scrivo queste righe – all’inizio del 2018 – l’automazione ha modificato in modo radicale le attività di numerose industrie ma non ha prodotto una disoccupazione di massa. Di fatto, in molti paesi, come negli Stati Uniti, la disoccupazione è ai minimi storici. Nessuno può sapere con certezza quale tipo di impatto avranno l’apprendimento automatico e l’automazione sulle professioni del futuro, ed è estremamente difficile pronosticare il calendario degli sviluppi significativi, in particolare quando dipendono sia dalle decisioni politiche e dalle tradizioni culturali sia dalle scoperte puramente tecnologiche. Così, anche dopo che i veicoli a guida autonoma avranno dimostrato di essere più sicuri ed economici degli autisti, i politici e i consumatori potrebbero resistere al cambiamento per anni, forse decenni.
Comunque non possiamo permetterci il lusso dell’autocompiacimento. È già pericolosa la sola presunzione che nuovi posti di lavoro emergeranno in numero sufficiente per compensare i posti persi. Il fatto che questo sia accaduto durante le precedenti ondate di automazione non garantisce in alcun modo che si verificherà di nuovo nelle condizioni radicalmente diverse del XXI secolo. I potenziali sconvolgimenti politici e sociali sono così allarmanti che dovremmo prendere in seria considerazione il rischio di una disoccupazione sistemica di massa, anche se le probabilità che si verifichi un evento del genere sono scarse.
Nel XIX secolo la Rivoluzione industriale creò nuove condizioni e problemi che nessuno dei modelli sociali, economici e politici esistenti poteva risolvere. Il feudalesimo, la monarchia e le religioni tradizionali non erano in grado di gestire le metropoli industriali, con milioni di lavoratori sradicati, o il carattere prettamente dinamico dell’economia moderna. Di conseguenza fu necessario elaborare modelli del tutto inediti – democrazie liberali, dittature comuniste e regimi fascisti – e c’è voluto oltre un secolo di terribili guerre e rivoluzioni per sperimentare questi modelli, separare il grano dal loglio e adottare le soluzioni migliori. Il lavoro infantile nelle miniere dickensiane, la prima guerra mondiale e la grande carestia ucraina del 1932-1933 costituirono solo una piccola parte del prezzo che si è pagato per l’apprendimento.
La sfida posta all’umanità nel XXI secolo dalle tecnologie informatiche e biologiche è forse molto più seria di quella che nell’era precedente imposero i motori a vapore, le strade ferrate e l’elettricità. E oggi, conoscendo l’immenso potere di distruzione della nostra civiltà, non possiamo proprio permetterci altri modelli fallimentari, guerre mondiali e sanguinose rivoluzioni. Questa volta i modelli fallimentari potrebbero risolversi in guerre nucleari, mostruosità geneticamente ingegnerizzate e il collasso della biosfera. Ne consegue che dobbiamo gestire la situazione presente meglio di quanto abbiamo fatto con la Rivoluzione industriale.
Dallo sfruttamento all’irrilevanza
Le soluzioni possibili ricadono in tre categorie principali: impedire che si perdano posti di lavoro; creare sufficienti nuovi posti di lavoro; progettare cosa fare se, a dispetto di tutti i nostri migliori sforzi, la perdita di posti di lavoro eccede in modo significativo la creazione di nuovi posti.
Impedire la perdita di posti di lavoro è una strategia poco convincente e, al tempo stesso, insostenibile, poiché comporta la rinuncia all’immenso potenziale positivo dell’IA e della robotica. Tuttavia i governi potrebbero decidere di rallentare in maniera deliberata l’emergenza dell’automazione, per moderare gli sconvolgimenti conseguenti e concedere più tempo per l’adattamento dei sistemi. La tecnologia non è mai deterministica e che qualcosa si possa fare non significa che debba essere fatto. I provvedimenti del governo possono bloccare le nuove tecnologie anche se possono essere commercializzate ed economicamente remunerative. Per esempio, per molti decenni abbiamo avuto a disposizione la tecnologia per creare un mercato di organi umani, comprensivo di “fattorie di corpi” umani nei paesi sottosviluppati e una domanda quasi insaziabile di ricchi acquirenti disperati. Queste fattorie di corpi potrebbero valere centinaia di miliardi di dollari. Eppure i provvedimenti governativi hanno impedito il libero commercio di parti del corpo umano e, benché esista un mercato nero degli organi, esso è di gran lunga più piccolo e più circoscritto di quello che ci si aspetterebbe.22
Rallentare il passo del cambiamento potrebbe concederci il tempo per creare un numero sufficiente di posti di lavoro in modo da rimpiazzare la maggior parte di quelli persi. Tuttavia, come già si è notato, l’iniziativa di impresa sarà accompagnata da una rivoluzione nei campi dell’istruzione e della psicologia. Considerato che i nuovi posti di lavoro non saranno solo responsabilità dei governi, essi richiederanno alti livelli di competenza e, man mano che l’IA continuerà a migliorare, i lavoratori umani dovranno continuare a sviluppare nuove competenze e a cambiare la loro professione. I governi dovranno intervenire, sia promuovendo un settore dedicato alla formazione permanente, sia organizzando una rete di sicurezza per gli inevitabili periodi di transizione. Se un pilota di droni quarantenne ha bisogno di tre anni per reinventarsi come progettista di mondi virtuali, avrà anche bisogno di un sostanzioso aiuto governativo per mantenere sé e la sua famiglia durante quel periodo di tempo. (Uno schema del genere è attualmente in corso di sperimentazione in Scandinavia, dove i governi seguono il principio di “proteggere i lavoratori e non i posti di lavoro”.)
Tuttavia, anche se fossero disponibili sufficienti aiuti governativi, resta il problema di miliardi di individui che dovranno continuare a reinventare se stessi senza perdere il loro equilibrio mentale. Pertanto, se nonostante tutti i nostri sforzi una percentuale significativa della popolazione attiva sarà espulsa dal mercato del lavoro, dovremo esplorare nuovi modelli per le società post-lavoro, per le economie post-lavoro e per le politiche post-lavoro. Il primo passo è ammettere con onestà che i modelli sociali, economici e politici che abbiamo ereditato dal passato sono inadeguati ad affrontare questa sfida.
Prendete, per esempio, il comunismo. Poiché l’automazione minaccia di scuotere la base del capitalismo, si potrebbe supporre che possa tornare il comunismo. Ma il comunismo non era stato inventato per sfruttare questo tipo di crisi. Il comunismo del XX secolo asseriva che la classe operaia era vitale per l’economia e i pensatori comunisti cercarono di insegnare alla classe operaia come tradurre il suo immenso potere economico in potere politico rivoluzionario. Il progetto politico comunista auspicava una rivoluzione della classe operaia. Quanto saranno utili questi insegnamenti se le masse perdono il loro valore economico e si dovrà lottare contro l’irrilevanza piuttosto che contro lo sfruttamento? Come si organizza una rivoluzione della classe operaia senza la classe operaia?
Si potrebbe sostenere che i lavoratori non diventeranno mai economicamente irrilevanti perché, anche se non saranno in grado di competere con l’IA per i posti di lavoro, saranno sempre necessari come consumatori. A ogni modo, non è per nulla chiaro se l’economia del futuro avrà bisogno di noi persino come consumatori. Le macchine e i computer potrebbero svolgere pure quel ruolo. In teoria, si può avere un’economia in cui un’azienda mineraria produce e vende ferro a un’azienda che produce robot, l’azienda robotica produce e vende robot all’azienda mineraria, che estrae ancora più ferro, che è utilizzato per produrre ancora più robot, e così via. Queste aziende possono crescere ed espandersi fino ai più remoti anfratti della galassia, e tutto quello di cui hanno bisogno sono robot e computer – addirittura non necessitano degli umani neppure per comprare i loro prodotti.
In effetti, già oggi i computer e gli algoritmi cominciano a funzionare come clienti oltre che come produttori. In borsa, per esempio, gli algoritmi stanno diventando gli acquirenti più importanti di obbligazioni, azioni e merci. Nel settore pubblicitario, il cliente più importante di tutti è un algoritmo: l’algoritmo di ricerca di Google. Quando i designer progettano le pagine web, spesso le elaborano secondo il gusto dell’algoritmo di ricerca di Google invece che secondo il gusto soggettivo dell’individuo loro cliente.
Ovviamente gli algoritmi non hanno coscienza cosicché, a differenza dei consumatori in carne e ossa, non possono godere degli acquisti che fanno e le loro decisioni non sono conseguenza di sensazioni o di emozioni. L’algoritmo di ricerca di Google non è in grado di gustare un gelato. Perciò gli algoritmi selezionano cose sulla base di loro calcoli interni e preferenze programmate, preferenze che stanno diventando sempre più rilevanti nella configurazione del nostro mondo. L’algoritmo di ricerca di Google ha un gusto davvero sofisticato quando si tratta di classificare le pagine web dei venditori di gelato, e i venditori di gelato di maggior successo al mondo sono quelli che l’algoritmo di Google pone al primo posto della classifica – non quelli che producono il gelato più gustoso.
Lo so per esperienza personale. Quando pubblico un libro, gli editori mi chiedono di scrivere una breve sinossi che sarà utilizzata per la pubblicità online e si avvalgono di un esperto che compone ciò che io scrivo secondo il gusto dell’algoritmo di Google. L’esperto esamina il mio testo e dice: “Non usare questa parola, usa invece quest’altra. Così otterremo più attenzione dall’algoritmo di Google.” Sappiamo che, se riusciamo a catturare l’occhio dell’algoritmo, possiamo dare per acquisiti anche gli occhi dei potenziali lettori.
Dunque se gli individui non sono necessari né come produttori né come consumatori, che cosa salvaguarderà la loro sopravvivenza fisica e il loro benessere psicologico? Non possiamo attendere che la crisi esploda con tutta la sua forza prima di cominciare a cercare qualche risposta. Perché potrebbe essere troppo tardi. Per fare i conti con le rivoluzioni tecnologiche ed economiche senza precedenti del XXI secolo, abbiamo bisogno di sviluppare nuovi modelli sociali ed economici il prima possibile. Questi modelli dovrebbero essere guidati dal principio di protezione delle persone piuttosto che dei posti di lavoro. Molti lavori sono occupazioni banali, noiose, non occorre dirlo. Fare il cassiere non è il sogno della vita di nessuno. Ciò su cui dovremmo concentrarci è fornire alle persone i beni e i servizi di base e proteggere il loro status sociale e la loro autostima.
Un nuovo modello, che sta guadagnando una crescente attenzione, è il reddito minimo universale. Secondo quest’idea i governi dovrebbero tassare i miliardari e le aziende che controllano gli algoritmi e i robot, e usare il denaro per fornire a tutti un generoso stipendio sufficiente per vivere. Questa misura risolverà la situazione dei poveri conseguente alla scomparsa dei posti di lavoro e alla delocalizzazione delle attività produttive e proteggerà i ricchi dalle rivendicazioni populiste.23
Un’idea analoga è quella di ampliare lo spettro delle attività umane da considerarsi “lavori”. Oggi miliardi di genitori si prendono cura dei bambini, vicini di casa si aiutano a vicenda e cittadini organizzano gruppi di vario tipo, senza che nessuna di queste lodevoli attività sia riconosciuta come lavoro. Forse abbiamo bisogno di aggiornare i nostri valori e di comprendere che la cura dei bambini è il lavoro più importante e impegnativo che ci sia al mondo. In questo caso, non ci sarebbe penuria di lavoro anche se i computer e i robot sostituissero tutti gli autisti, gli impiegati di banca e gli avvocati. L’ovvio problema da risolvere è: chi stabilirà e pagherà queste attività riconosciute come nuovi lavori? Posto che i bimbetti di sei mesi non pagheranno uno stipendio alle loro mamme, è probabile che debba essere il governo a farsi carico di questa spesa. E siccome sarebbe opportuno che questi stipendi fossero in grado di coprire tutte le necessità essenziali di una famiglia, l’esito di questa idea non sarà qualcosa di molto diverso da un reddito di cittadinanza.
In alternativa i governi potrebbero provvedere a garantire servizi universali di base anziché a distribuire redditi. Invece di elargire denaro alle persone, che poi lo spenderebbero per comprare ciò che vogliono, il governo potrebbe fornire gratuitamente istruzione, servizi sanitari, trasporti e così via. Questa è di fatto la visione utopica del comunismo. Dal momento che il progetto comunista di una rivoluzione della classe operaia è ormai obsoleto, dovremmo chiederci se non sia arrivato il momento di realizzare in un altro modo l’obiettivo comunista.
È oggetto di dibattito se sia meglio fornire un reddito minimo universale (il paradiso capitalista) o servizi minimi universali (il paradiso comunista). Le due opzioni hanno vantaggi e svantaggi. Ma non importa quale paradiso si scelga, il vero problema è la definizione di ciò che effettivamente si intende con “universale” e “minimo”.
Che cos’è universale?
Quando si parla di un salario minimo universale – sia come reddito sia come fornitura di servizi – di solito si intende un reddito minimo nazionale. Finora, tutte le iniziative di reddito minimo universale sono state su scala strettamente nazionale o municipale. Nel gennaio 2017, la Finlandia ha avviato una sperimentazione biennale in base alla quale paga un assegno di 560 euro al mese a duemila disoccupati finlandesi, assegno non vincolato dal fatto che cerchino lavoro oppure no. Esperimenti analoghi sono in corso nella provincia canadese dell’Ontario, nella città italiana di Livorno e in numerose città olandesi.24 (Nel 2016 in Svizzera si è tenuto un referendum sull’istituzione di una forma di reddito minimo nazionale, ma gli elettori hanno respinto la proposta.)25
Il problema di queste soluzioni nazionali e municipali consiste nel fatto che non è necessariamente vero che le principali vittime dell’automazione vivano in Finlandia, nell’Ontario, a Livorno o ad Amsterdam. La globalizzazione ha reso gli abitanti di un paese specifico profondamente dipendenti da mercati in altri paesi, ma l’automazione potrebbe smantellare ampie parti di questa rete globale con conseguenze disastrose per i settori più deboli. Nel XX secolo, i paesi in via di sviluppo privi di risorse naturali hanno fatto progressi economici vendendo il lavoro a basso costo dei loro lavoratori poco qualificati. Oggi milioni di abitanti del Bangladesh si guadagnano da vivere producendo camicie per clienti negli Stati Uniti, mentre gli abitanti di Bangalore sopravvivono lavorando nei call center che gestiscono i reclami dei clienti americani.26
D’altra parte con l’emergenza dell’IA, dei robot e delle stampanti 3D, il lavoro a basso costo e poco qualificato diventerà sempre meno rilevante. Invece di produrre una camicia a Dacca e spedirla fino negli Stati Uniti, potreste comprare il codice della camicia online da Amazon e stamparla a New York. I negozi di Zara e Prada sulla Fifth Avenue potrebbero essere rimpiazzati da centri per la stampa 3D a Brooklyn, e qualcuno potrebbe persino avere una stampante in casa. Oppure invece di chiamare il call center a Bangalore per lamentare qualche problema della vostra stampante, potreste parlare con un rappresentante IA nel cloud di Google (il cui accento e tono di voce sarebbero selezionati sulla base delle vostre preferenze). I lavoratori rimasti disoccupati e gli operatori dei call center a Dacca e Bangalore non hanno le competenze necessarie per diventare stilisti di camicie alla moda o per elaborare i codici informatici – e allora come faranno a sopravvivere?
Se l’IA e le stampanti 3D rimpiazzano gli abitanti del Bangladesh e quelli di Bangalore, il flusso di denaro che in precedenza arrivava nell’Asia meridionale riempirà le casse di un ristretto gruppo di mostri tecnologici in California. Invece di promuovere la crescita economica nel mondo, si avrebbe un cumulo di immense nuove ricchezze in luoghi ad alta tecnologia come la Silicon Valley, mentre numerosi paesi in via di sviluppo sarebbero al collasso.
Di certo alcune economie emergenti – tra cui l’India e il Bangladesh – potrebbero progredire abbastanza velocemente e riuscire ad agganciare il gruppo di testa. Nell’arco di una o due generazioni, i figli o i nipoti degli operai tessili e degli operatori dei call center di oggi potrebbero diventare gli ingegneri e gli imprenditori che costruiscono e possiedono i computer e le stampanti 3D. D’altro canto il tempo disponibile per la transizione sta per scadere. In passato, il lavoro a basso costo e poco qualificato è servito da comodo ponte per attraversare il fiume del divario economico globale, e anche se un paese avanzava lentamente, alla fine era sicuro di raggiungere condizioni di stabilità economica. Era preferibile la correttezza del progresso alla sua velocità. Ma adesso il ponte è minacciato da violente scosse, e presto potrebbe crollare. Quelli che lo hanno già attraversato – passando dal lavoro a basso costo alle industrie che richiedono elevate competenze – saranno al sicuro. Mentre quelli che sono rimasti indietro potrebbero trovarsi bloccati dalla parte sbagliata del fiume, senza alcun mezzo per attraversarlo. Che cosa farete quando nessuno avrà più bisogno dei vostri lavoratori a basso costo e poco qualificati, e non avrete le risorse per finanziare un adeguato sistema educativo e insegnare loro nuove competenze?27
Quale sarà il destino di chi è rimasto indietro? Gli elettori americani forse potrebbero essere d’accordo sul fatto che le tasse pagate da Amazon e Google per i loro affari in America vengano usate per dare stipendi o servizi gratuiti ai minatori disoccupati in Pennsylvania e ai tassisti di New York rimasti senza lavoro. Ma non credo che approverebbero di pagare con queste tasse i disoccupati nei luoghi definiti dal presidente Trump “paesi di merda”.28 Se ci credete, allora potreste anche credere che il problema sarà risolto da Babbo Natale e dalla Befana.
Che cosa significa “minimo”?
“Sostegno universale minimo” significa prendersi cura delle necessità essenziali di una famiglia, ma per queste non esiste una definizione generalmente condivisa. Sul piano puramente biologico, un Sapiens necessita soltanto tra le 1500 e le 2500 calorie al giorno per sopravvivere. Ogni caloria in aggiunta è un lusso. Oltre a questa soglia di povertà biologica, ogni cultura nel corso della storia ha definito ulteriori necessità come “essenziali”. Nell’Europa medievale l’accesso alle funzioni religiose era ritenuto perfino più indispensabile del cibo, perché prendersi cura della propria anima eterna aveva maggiore importanza di prendersi cura del proprio corpo mortale. Nell’Europa odierna un’adeguata istruzione e l’assistenza sanitaria sono considerate necessità umane essenziali, e alcuni sostengono che oggi anche l’accesso a Internet sia essenziale per ogni uomo, donna e bambino. Se nel 2050 il Governo Unito del Mondo decidesse di tassare Google, Amazon, Baidu e Tencent per fornire un supporto indispensabile a ciascun abitante della Terra – tanto a Dacca quanto a Detroit – come definiremmo ciò che è “essenziale”?
Per esempio, in cosa consiste un’istruzione essenziale: solo saper leggere e scrivere o anche elaborare codici informatici e suonare il violino? Solo sei anni di scuola primaria o un percorso educativo fino al dottorato di ricerca? E che cosa include il servizio sanitario? Se entro il 2050 i progressi medici renderanno possibile rallentare il processo di invecchiamento e aumentare in modo consistente l’aspettativa di vita, questi trattamenti saranno disponibili a tutti i dieci miliardi di abitanti del pianeta o saranno riservati soltanto a pochi miliardari? Se la biotecnologia permetterà ai genitori di migliorare i loro figli, sarà considerata un diritto inalienabile oppure assisteremo alla suddivisione del genere umano in differenti caste biologiche, con ricchi superuomini che godono di abilità di gran lunga superiori a quelle concesse ai poveri Homo sapiens?
Quale che sia la definizione scelta di “necessità umane essenziali”, una volta che siano fornite a ciascuno in modo gratuito, esse saranno date per scontate, e allora feroci competizioni sociali e lotte politiche si concentreranno su lussi non essenziali – come favolose auto a guida autonoma, l’accesso a parchi di realtà virtuale o supercorpi bioingegnerizzati. D’altra parte se le masse disoccupate non controllano alcun patrimonio economico, è difficile capire come potrebbero mai sperare di ottenere questi lussuosi privilegi. Ne consegue che la distanza tra i ricchi (manager di Tencent e azionisti di Google) e i poveri (quelli che godono solo del reddito di cittadinanza) potrebbe diventare non solo più lunga, ma in realtà incolmabile.
Dunque anche se alcune soluzioni di sostegno universale forniranno ai poveri nel 2050 un’assistenza sanitaria e un’istruzione migliore di quelle attuali, essi potrebbero ancora essere molto arrabbiati per la disuguaglianza globale e la mancanza di mobilità sociale. La gente capirà che il sistema è truccato, che il governo privilegia i super-ricchi e che il futuro sarà ancora peggiore per loro e per i loro figli.29
Homo sapiens non è motivato solo dalla soddisfazione. La felicità dipende meno da condizioni oggettive e più da aspettative personali. Le aspettative tendono ad adattarsi alle condizioni, compresa la condizione degli altri. Quando le cose migliorano, aumentano anche le nostre aspettative, e di conseguenza persino miglioramenti notevoli delle nostre condizioni potrebbero lasciarci insoddisfatti. Se l’introduzione di un sostegno economico minimo universale mira al miglioramento delle condizioni oggettive dell’individuo medio nel 2050, questa misura ha buone possibilità di successo. Ma se ambisce a rendere le persone soggettivamente più soddisfatte della loro sorte e a prevenire lo scontento sociale, è probabile che fallisca.
Per raggiungere davvero questi obiettivi, il sostegno minimo universale dovrà essere integrato da qualche significativo complemento, che può andare dallo sport alla religione. Forse l’esperimento di maggior successo di come si può vivere una vita appagante in un mondo post-lavoro è stato condotto in Israele. Qui circa il 50% degli uomini ebrei ultraortodossi non lavora mai: dedica la vita a studiare le Sacre Scritture e a praticare rituali religiosi. Essi e le loro famiglie non muoiono di fame in parte perché le mogli spesso lavorano, e in parte perché il governo li assiste con generosi sussidi e servizi gratuiti, in modo che non manchino loro i beni essenziali. In pratica un supporto minimo universale ante litteram.30
Benché siano poveri e disoccupati, da numerose ricerche emerge che questi uomini ebrei ultraortodossi godono dei livelli più elevati di soddisfazione esistenziale rispetto a ogni altro gruppo sociale israeliano. Ciò è dovuto alla forza dei loro legami comunitari e alla profonda gratificazione che trovano nello studio delle Sacre Scritture e nella pratica dei rituali. Una piccola stanza affollata di ebrei ortodossi che discutono il Talmud potrebbe generare più gioia, coinvolgimento e conoscenza di un’enorme fabbrica tessile colma di lavoratori sfruttati. Nelle indagini globali sulla soddisfazione esistenziale Israele di solito compare in vetta alla classifica, anche grazie al contributo di queste persone povere e prive di un lavoro.31
Gli israeliani laici spesso si lamentano molto del fatto che gli ultraortodossi non contribuiscano abbastanza alla società e vivano sulle spalle degli altri. Gli israeliani laici sottolineano anche che lo stile di vita degli ultraortodossi è insostenibile, specialmente perché le famiglie ultraortodosse hanno in media sette bambini.32 Prima o poi, lo stato non sarà in grado di mantenere tutti questi disoccupati e gli ultraortodossi dovranno andare a lavorare. Potrebbe però essere anche vero il contrario. Quando i robot e l’IA escluderanno i lavoratori dal mercato del lavoro, gli ebrei ultraortodossi potrebbero essere visti come il modello del futuro anziché un fossile del passato. Questo non vuol dire che tutti diventeranno ebrei ultraortodossi e frequenteranno i centri di studi ebraici per conoscere il Talmud. Ma nelle vite di tutti la ricerca di un senso e di una comunità potrebbe diventare più importante della ricerca di un lavoro.
Se riusciamo a combinare una rete di sicurezza economica universale insieme a comunità forti e intense aspirazioni semantiche, la perdita dei nostri lavori a favore degli algoritmi potrebbe in effetti rivelarsi una benedizione. Perdere il controllo sulle nostre vite, comunque, è uno scenario che incute terrore. Malgrado il rischio di una disoccupazione di massa, ciò di cui dovremmo preoccuparci ancora di più è il trasferimento di autorità dagli individui agli algoritmi, che potrebbe distruggere ogni residuale fede nella narrazione liberale e aprire la strada al potere delle dittature digitali.