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TERRORISMO
Non abbiate paura
I terroristi sono molto abili nell’arte del controllo mentale. Uccidono un numero limitato di soggetti, ma riescono a terrorizzarne miliardi e a sconvolgere potenti strutture politiche come l’Unione Europea o gli Stati Uniti. Dopo l’11 settembre 2001, ogni anno i terroristi hanno ucciso circa cinquanta persone nell’Unione Europea, circa dieci negli Stati Uniti, circa sette in Cina, e poco sopra le 25.000 unità in tutto il mondo (la maggior parte delle quali in Iraq, Afghanistan, Pakistan, Nigeria e Siria).1 Mentre ogni anno gli incidenti automobilistici uccidono circa 80.000 europei, 40.000 americani, 270.000 cinesi e 1,25 milioni di individui nel complesso.2 Il diabete e la glicemia alta mietono fino a 3,5 milioni di vittime all’anno, mentre arrivano a circa 7 milioni i decessi imputabili all’inquinamento atmosferico.3 E allora perché abbiamo più paura del terrorismo che dello zucchero, e perché i governi perdono le elezioni a causa di sporadici attacchi di terroristi ma non a causa del cronico inquinamento dell’aria?
Come indica il significato letterale della parola, il terrorismo è una strategia militare che spera di sovvertire la situazione politica diffondendo paura invece che procurando danni materiali. Una strategia in genere adottata da fazioni molto deboli che non possono infliggere gravi danni materiali ai loro nemici. Ogni azione militare crea paura. Ma in una guerra convenzionale la paura è soltanto un sottoprodotto delle perdite materiali, e di solito è correlata alla forza che infligge le perdite. Nel terrorismo c’è quasi solo la paura, ed esiste una enorme sproporzione tra l’effettiva forza dei terroristi e la paura che riescono a suscitare.
Non è sempre facile cambiare un regime politico per mezzo della violenza. Nel corso della prima giornata della battaglia della Somme, il 1° luglio 1916, 19.000 soldati britannici rimasero uccisi e altri 40.000 feriti. Entro la fine della battaglia, terminata in novembre, i due eserciti avevano subito oltre un milione di vittime, tra cui 300.000 morti.4 Eppure questa spaventosa carneficina non ebbe serie conseguenze sull’equilibrio del potere politico in Europa. Ci vollero altri due anni e milioni di altri morti perché alla fine ci fossero conseguenze sugli assetti del potere in Europa.
Se paragonato all’offensiva della Somme, il terrorismo è un fenomeno irrilevante. Gli attacchi a Parigi del novembre 2015 hanno ucciso 130 persone, le bombe di Bruxelles del marzo 2016 ne hanno uccise 32, e le bombe alla Manchester Arena del maggio 2017 hanno fatto 22 vittime. Nel 2002, al culmine della campagna terroristica dei palestinesi contro Israele, quando ordigni letali venivano collocati sugli autobus e nei ristoranti con una frequenza quotidiana, il bilancio annuale raggiunse i 451 morti israeliani.5 Nello stesso anno 542 israeliani rimanevano uccisi a causa di incidenti automobilistici.6 Pochi attacchi terroristici, come l’esplosione del volo Pan Am 103 su Lockerbie nel 1988, uccidono centinaia di persone.7 L’attacco alle Torri Gemelle di New York dell’11 settembre ha stabilito un nuovo record, uccidendo quasi 3000 persone.8 Tuttavia persino questo risultato è surclassato dal numero di vittime di una guerra convenzionale. Se aggiungete tutti coloro che sono stati uccisi o rimasti feriti in Europa a causa di attacchi terroristici dal 1945 – comprese le vittime di gruppi nazionalisti, religiosi, di sinistra e di destra – il totale dei morti sarà ancora molto lontano da quello di una qualsiasi oscura battaglia della prima guerra mondiale, come la terza battaglia dell’Aisne (250.000 vittime) o la decima battaglia dell’Isonzo (225.000).9
Cosa possono sperare di ottenere i terroristi? Dopo un’azione terroristica, il nemico continua ad avere lo stesso numero di soldati, carri armati e navi di prima. La rete di comunicazioni, le strade e il sistema ferroviario del nemico sono intatti. Le sue fabbriche, i suoi porti, le sue basi aeree sono a malapena sfiorati. I terroristi comunque sperano che, anche se riescono solo a scalfire il potere materiale del nemico, la paura e la confusione lo spingano a usare in malo modo la sua forza e a reagire con eccessivo rigore. I terroristi contano sul fatto che il nemico, accecato dalla rabbia, usi il suo massiccio potere contro di loro, provocando una reazione militare e politica assai più violenta di quella che i terroristi stessi potessero mai scatenare. Durante la tempesta, possono accadere molte cose impreviste. Si commettono errori e atrocità, l’opinione pubblica è sconvolta, la gente cambia idea e l’equilibrio del potere salta.
I terroristi assomigliano a una mosca che cerca di distruggere un negozio di porcellane. La mosca è così debole che non può spostare neppure una singola tazza da tè. E allora come fa una mosca a distruggere un negozio di porcellane? Trova un toro, entra dentro il suo orecchio, e comincia a ronzare. Il toro perde il controllo per la paura e per la rabbia, e distrugge il negozio di porcellane. Questo è quello che è accaduto dopo l’11 settembre, quando i fondamentalisti islamici aizzarono il toro americano e riuscirono a fargli distruggere il negozio di porcellane mediorientale. Adesso nel caos si rafforzano. E non mancano tori irascibili nel mondo.
Ridistribuire le carte
Il terrorismo è comunque una strategia militare poco efficace, perché lascia tutte le decisioni importanti nelle mani del nemico. Le opzioni di cui il nemico si poteva avvalere prima di un attacco terroristico continuano a essere a sua disposizione anche dopo, e il nemico rimane libero di scegliere. In generale gli eserciti cercano di evitare a ogni costo una situazione del genere. Quando attaccano, non vogliono mettere in scena uno spettacolo spaventoso che faccia arrabbiare il nemico e ne provochi la reazione. Piuttosto, cercano di infliggere pesanti danni materiali riducendo la capacità di reagire della controparte. In particolare, tentano di eliminare le armi e gli strumenti più pericolosi.
Che è quello che fece il Giappone nel dicembre 1941 quando lanciò il suo attacco a sorpresa agli Stati Uniti e affondò la flotta americana del Pacifico che era ancorata a Pearl Harbor. Quest’azione non fu terrorismo. Si trattò di un atto di guerra. I giapponesi non potevano essere sicuri di come gli americani avrebbero reagito all’attacco, ma di una cosa erano certi: gli americani non sarebbero stati in grado di inviare una flotta alle Filippine o a Hong Kong nel 1942.
Spingere il nemico ad agire senza eliminare una qualsiasi delle sue armi o possibilità è un gesto disperato, a cui si fa ricorso soltanto quando non si hanno altre opzioni. È preferibile infliggere seri danni materiali, piuttosto che eseguire una mera azione terroristica. Sarebbe stata una vera follia per i giapponesi nel dicembre 1941 silurare una nave civile per provocare gli Stati Uniti, e lasciare intatta la flotta del Pacifico a Pearl Harbor.
Ma i terroristi non hanno molte scelte. Sono deboli e non possono intraprendere una guerra. Quindi optano per lo spettacolo teatrale che sperano riesca a provocare il nemico e a farlo reagire in modo esagerato. I terroristi mettono in scena uno spettacolo di terrificante violenza che cattura la nostra immaginazione. Uccidendo un piccolo gruppo di persone i terroristi inducono in milioni di uomini e di donne una paura feroce. Per calmare questa paura, i governi reagiscono contro lo scenario di terrore con una spettacolarizzazione della sicurezza, organizzando immani spiegamenti di forze: la persecuzione di intere popolazioni o l’invasione di paesi stranieri. Nella maggior parte dei casi la reazione eccessiva rappresenta per la nostra sicurezza un pericolo molto più serio del terrorismo stesso.
I terroristi non pensano come i generali dell’esercito, pensano come impresari teatrali. Il ricordo degli attacchi dell’11 settembre dimostra che il pubblico ha una memoria selettiva. Se chiedete alla gente che cosa è accaduto l’11 settembre, vi dirà che al-Qaida ha abbattuto le Torri Gemelle. Ma l’attacco non era limitato alle Torri, comprendeva anche altre due azioni, in particolare un riuscito attacco al Pentagono. Perché in pochi se ne ricordano?
Se l’operazione dell’11 settembre fosse stata una convenzionale campagna militare, l’attacco al Pentagono avrebbe dovuto attirare gran parte dell’attenzione. Infatti, in questo caso al-Qaida riuscì ad arrecare significativi danni al quartier generale del nemico, uccidendo e ferendo comandanti e analisti esperti. Perché la memoria collettiva dà molta più importanza alla distruzione di due edifici civili e all’uccisione di agenti di borsa, contabili e impiegati?
Questo accade perché il Pentagono è un edificio relativamente piatto e convenzionale, mentre le Torri del World Trade Center erano un altissimo totem fallico il cui collasso produsse un immenso effetto scenografico. Tutti coloro che hanno visto le immagini del loro crollo non potranno mai dimenticarle. Poiché intuitivamente comprendiamo che il terrorismo è una forma di spettacolo, lo giudichiamo sulla base del suo impatto emotivo piuttosto che sulla base della sua portata materiale.
Come i terroristi, coloro che combattono il terrorismo dovrebbero pensare più come produttori teatrali e meno come generali dell’esercito. In particolare, se vogliamo contrastare il terrorismo in modo efficace dobbiamo tenere ben presente che nulla di quello che i terroristi possono fare ci potrà sconfiggere. Soltanto noi possiamo sconfiggere noi stessi, se reagiamo in modo sproporzionato alle loro provocazioni.
I terroristi portano avanti una missione disperata: cambiare l’equilibrio del potere politico per mezzo della violenza ma senza un esercito. Per raggiungere il loro obiettivo, lanciano allo stato una sfida impossibile: dimostrare che non può proteggere in ogni luogo e in ogni momento tutti i suoi cittadini dalla violenza. I terroristi sperano che quando lo stato cercherà di essere all’altezza di questo mandato irrealizzabile, ridistribuirà le carte politiche, e regalerà loro un jolly imprevisto.
È vero che, quando lo stato accetta la sfida, di solito riesce ad annientare i terroristi. Centinaia di organizzazioni terroriste sono state debellate nel corso degli ultimi decenni da vari stati. Nel biennio 2002-2004 Israele ha dimostrato che perfino le più feroci campagne di terrore possono essere soppresse con la forza bruta.10 I terroristi sanno bene che le probabilità in un confronto del genere non sono a loro favore. Ma poiché sono deboli, e non dispongono di una opzione militare, non hanno nulla da perdere e hanno tutto da guadagnare. L’azzardo è giustificato dalle conseguenze dello sconvolgimento politico provocato dalle reazioni contro il terrorismo. Un terrorista è come un giocatore a cui è capitata una mano particolarmente sfortunata e cerca di convincere gli avversari a ridistribuire le carte. Non ha niente da perdere e può sempre vincere qualcosa.
Una piccola moneta in un grande vaso vuoto
Perché lo stato dovrebbe ridistribuire le carte? Dal momento che i danni materiali causati dal terrorismo sono trascurabili, lo stato potrebbe non fare nulla, o prendere forti ma discrete misure lontano dalle telecamere e dai microfoni. Spesso questa è proprio la strategia seguita dai governi. Ma talvolta questi perdono la pazienza e reagiscono in modo violento e pubblico, facendo il gioco dei terroristi. Perché gli stati sono tanto sensibili alle provocazioni dei terroristi?
Perché la legittimità dello stato moderno si basa sulla promessa di mantenere la sfera pubblica libera dalla violenza politica. Un regime può resistere a catastrofi terribili, e persino ignorarle, se la sua legittimità non si basa sulla loro prevenzione. Ma un regime può crollare a causa di un modesto problema, se questo è visto come una minaccia alla sua legittimità. Nel XIV secolo la peste nera uccise tra il 25% e il 50% della popolazione europea, ma nessun re perse il suo trono per questo motivo, e nessun re fece grossi sforzi per combattere la piaga. Nessuno a quel tempo pensava che la prevenzione delle epidemie rientrasse nei compiti di un re. Di contro i governanti che consentivano all’eresia religiosa di radicarsi nei loro domini rischiavano di perdere le loro corone, e persino la loro testa.
Oggi un governo può permettersi un atteggiamento meno drastico nei confronti della violenza domestica e sessuale rispetto a quello contro il terrorismo perché, nonostante l’impatto di movimenti come #MeToo, gli stupri non minano la sua legittimità. In Francia oltre 10.000 casi di stupro vengono denunciati ogni anno alle autorità, e probabilmente decine di migliaia non vengono segnalati.11 Stupratori e mariti violenti non sono percepiti come un rischio per lo stato francese, poiché storicamente lo stato non si è basato sulla promessa di eliminare la violenza sessuale. Invece i casi molto più rari di terrorismo sono concepiti come minacce letali per lo stato francese, proprio perché nel corso degli ultimi secoli i moderni stati occidentali hanno gradualmente stabilito la loro legittimità sull’esplicito impegno di non tollerare la violenza politica entro i loro confini.
Nel Medioevo la sfera pubblica era un luogo privilegiato di violenza politica. La capacità di usarla era la condizione d’ingresso in quell’ambito, chi non era in grado di organizzare ed esercitare violenza non aveva campo. Numerose famiglie nobili disponevano di loro corpi armati, come altrettante città, corporazioni, chiese e monasteri. Quando un abate moriva e nasceva una disputa sulla successione, le fazioni rivali – che comprendevano monaci, signori locali e vicini preoccupati – ricorrevano spesso alle loro guardie e a truppe mercenarie per risolvere la questione.
Non c’era spazio per il terrorismo in un mondo del genere. Chiunque non avesse la forza sufficiente per infliggere sostanziali danni materiali era irrilevante. Se nel 1150 un gruppetto di musulmani fanatici avesse ucciso una manciata di civili a Gerusalemme, chiedendo che i crociati lasciassero la Terra Santa, quest’azione avrebbe suscitato più risate che paura. Se aveste voluto essere presi sul serio, avreste dovuto procurarvi almeno il controllo di un castello fortificato o due. Il terrorismo non preoccupava i nostri antenati medievali poiché erano pressati da problemi molto più seri.
Durante l’era moderna gli stati centralizzati hanno gradualmente ridotto il livello di violenza politica all’interno dei loro territori, e negli ultimi decenni i paesi occidentali sono riusciti a sradicarla quasi del tutto. I cittadini della Francia, della Gran Bretagna o degli Stati Uniti possono lottare per il controllo di città, aziende, organizzazioni e persino per lo stesso governo, senza alcuna necessità di ricorrere alla forza armata. La gestione di trilioni di dollari, milioni di soldati e migliaia di navi, aeroplani e missili nucleari passa da un gruppo di politici a un altro senza che venga sparato un colpo. La gente si è rapidamente abituata a questo e lo considera un suo diritto naturale. Di conseguenza, anche rari atti di violenza politica che uccidono qualche dozzina di persone sono considerati una gravissima minaccia alla legittimità e addirittura alla sopravvivenza dello stato. Una piccola moneta che cade in un vaso vuoto produce un gran rumore.
Questo è ciò che rende il terrorismo uno spettacolo di enorme successo. Lo stato ha creato un grande spazio libero da violenza politica, che adesso funziona come una cassa armonica e amplifica l’impatto di qualsiasi attacco armato, per quanto modesto. Quanto più limitata è la violenza politica, tanto più rilevante è lo shock pubblico di fronte a un atto di terrore. L’uccisione di poche persone in Belgio è molto più sconvolgente del massacro di centinaia di individui in Nigeria o in Iraq. In modo paradossale, è proprio il successo degli stati moderni nel prevenire la violenza politica che li rende particolarmente vulnerabili al terrorismo.
Lo stato ha dichiarato in molte occasioni che non tollererà la violenza politica all’interno dei suoi confini. I cittadini, dal canto loro, si sono abituati all’assenza di violenza politica. E così il teatro del terrore genera paure viscerali, facendo credere alla gente che l’ordine sociale sia sul punto di collassare. Dopo secoli di lotte sanguinose durante i quali ci siamo tirati fuori dal buco nero della violenza, ci sembra che il buco nero sia sempre lì, ad attendere di nuovo, con pazienza, di inghiottirci. È sufficiente qualche crudele atrocità – e subito immaginiamo di esserci ricaduti.
Al fine di mitigare queste paure, lo stato è portato a rispondere al teatro del terrore con il suo teatro della sicurezza. La risposta più efficace al terrorismo potrebbe essere una competente attività di spionaggio e un’azione molto segreta e dura contro le reti finanziarie che lo alimentano. Ma questo non è qualcosa che i cittadini possono vedere in televisione. I cittadini hanno visto lo spettacolo raggelante delle Torri Gemelle che crollano. Lo stato si sente obbligato a mettere in scena un contro-dramma altrettanto spettacolare, con effetti ancora più speciali. Così, invece di agire nel silenzio e con efficienza, lo stato scatena una potente tempesta che non di rado realizza i sogni più sfrenati dei terroristi.
E dunque come si dovrebbe gestire il terrorismo? Uno sforzo incisivo contro di esso dovrebbe essere organizzato su tre fronti. In primo luogo, i governi dovrebbero concentrarsi su azioni segrete che minino le reti del terrore. In secondo luogo, i media dovrebbero mettere gli eventi in prospettiva ed evitare gli isterismi. Il teatro del terrore non può aver successo senza pubblicità. Purtroppo, i media producono fin troppa pubblicità gratuita, facendo da cassa di risonanza. Riferiscono in maniera ossessiva le notizie sugli attacchi del terrore e ingigantiscono il loro pericolo, per il semplice fatto che le notizie sul terrorismo fanno vendere ai giornali un maggior numero di copie rispetto alle notizie sul diabete o sull’inquinamento atmosferico.
Il terzo fattore è la nostra immaginazione. I terroristi catturano la nostra immaginazione e la usano contro di noi. Parossisticamente rivediamo continuamente la scena dell’attacco terroristico nella nostra mente – ricordando l’11 settembre o l’ultima esplosione suicida. I terroristi uccidono un centinaio di persone – e spingono cento milioni di individui a immaginare che ci sia un assassino in agguato dietro ogni albero. È compito di ogni cittadino liberare la sua immaginazione dai terroristi, e ricordare le reali dimensioni di questa intimidazione. Sono le nostre intime paure che suggeriscono ai media di ossessionarci sul terrorismo, e spingono il governo a reagire in maniera esagerata.
Il successo o il fallimento del terrorismo dipendono perciò da noi. Se lasciamo che la nostra immaginazione sia preda dei terroristi e che i nostri istinti più irriflessi prevalgano – il terrorismo avrà vinto. Se liberiamo la nostra immaginazione dai terroristi, e reagiamo in modo equilibrato e freddo – il terrorismo sarà sconfitto.
Il terrorismo diventa nucleare
La precedente analisi è corretta per il terrorismo che abbiamo conosciuto negli ultimi due secoli, e per come si manifesta attualmente nelle strade di New York, Londra, Parigi e Tel Aviv. Ma se i terroristi dovessero possedere armi di distruzione di massa, non solo la natura del terrorismo, ma anche quella dello stato e della politica globale dovrà subire cambiamenti radicali. Se minuscole organizzazioni che rappresentano un piccolo gruppo di fanatici possono distruggere città intere e uccidere milioni di persone, cesserà di esistere una sfera pubblica libera dalla violenza politica.
Mentre il terrorismo contemporaneo è per lo più teatro, le prossime versioni di terrorismo nucleare, cyberterrorismo o bioterrorismo potrebbero costituire una minaccia assai più grave, e potrebbero richiedere ai governi una reazione molto più drastica. Proprio per questo motivo, dovremmo stare molto attenti a differenziare questi ipotetici scenari futuri dagli attacchi terroristici di cui siamo stati testimoni finora. Il timore che i terroristi potrebbero un giorno mettere le mani su una bomba nucleare e distruggere New York o Londra non giustifica una reazione isterica nei confronti di un terrorista che uccide una dozzina di passanti con un fucile automatico o con un tir. I governi dovrebbero fare attenzione a non perseguire tutti i gruppi dissidenti solo per il fatto che un giorno potrebbero ottenere armi nucleari, o che potrebbero manipolare il software dei nostri veicoli a guida autonoma trasformandoli in una flotta di robot killer.
I governi devono controllare i gruppi radicali per evitare che entrino in possesso di armi di distruzione di massa, ma devono anche gestire la paura del terrorismo nucleare insieme ad altri scenari potenzialmente pericolosi. Negli ultimi due decenni gli Stati Uniti hanno sprecato trilioni di dollari e un considerevole capitale politico nella loro Guerra al Terrore. George W. Bush, Tony Blair, Barack Obama e le loro amministrazioni possono sostenere, con qualche giustificazione, che perseguitando i terroristi li hanno costretti a preoccuparsi maggiormente di sopravvivere anziché di procurarsi bombe nucleari. Non è escluso che con la loro azione abbiano salvato il mondo da un 11 settembre nucleare. Ma questa è un’affermazione puramente ipotetica – “se non avessimo lanciato la Guerra al Terrore, al-Qaida sarebbe entrata in possesso di armi nucleari” – ed è difficile stabilire se sia vera oppure no.
Comunque, una cosa è sicura: nel condurre la Guerra al Terrore gli americani e i loro alleati non solo hanno causato enorme distruzione nel mondo, ma hanno anche dovuto affrontare quello che gli economisti chiamano il dilemma delle priorità in termini di “costi-benefici”. Il denaro, il tempo e il capitale politico investiti nella lotta al terrorismo sono stati sottratti al controllo del riscaldamento globale, alla battaglia contro l’AIDS e alla povertà; all’azione per la pace e alla prosperità nell’Africa subsahariana; o alla creazione di legami più saldi con la Russia e la Cina. Se New York e Londra affonderanno sotto i flutti dell’oceano Atlantico, o se le tensioni con la Russia esploderanno in una guerra aperta, la gente potrà accusare Bush, Blair e Obama di avere impiegato i suoi sforzi e il suo denaro sul fronte sbagliato.
È difficile stabilire le priorità in anticipo, ed è fin troppo facile giudicarle con il senno di poi. Accusiamo i leader di non riuscire a prevenire le catastrofi che accadono, mentre ignoriamo beatamente i disastri che non si sono mai verificati. Ecco perché quando si riflette sull’amministrazione Clinton degli anni novanta le si rimprovera di avere sottovalutato la minaccia di al-Qaida. Ma negli anni novanta in pochi potevamo pensare che terroristi islamici avrebbero potuto innescare un conflitto globale facendo schiantare aerei di linea contro i grattacieli di New York. Invece, molti temevano che la Russia avrebbe potuto implodere e perdere il controllo non solo dei suoi territori, ma anche delle sue migliaia di testate nucleari e biologiche. Un’altra preoccupazione era che le sanguinose guerre nella ex Jugoslavia avrebbero potuto diffondersi nell’Europa orientale, provocando conflitti tra Ungheria e Romania, tra Bulgaria e Turchia, o tra Polonia e Ucraina.
Molti erano anche in apprensione per la riunificazione delle due Germanie. Dopo quarantacinque anni dalla caduta del Terzo Reich, era rimasta una viscerale paura della potenza tedesca. Senza la minaccia sovietica, la Germania poteva tornare a essere una superpotenza in grado di dominare il continente europeo! E cosa dire della Cina? Allarmata dal collasso del blocco sovietico, la Cina avrebbe potuto abbandonare le sue riforme, tornare alle rigorose politiche maoiste, e diventare una immane copia della Corea del Nord.
Oggi possiamo ironizzare su questi scenari di paura, perché sappiamo che non si sono verificati. La situazione in Russia si è stabilizzata, molti paesi dell’Europa orientale si sono integrati pacificamente nell’Unione Europea, la Germania riunificata è oggi apprezzata come il paese leader del mondo libero, e la Cina è diventata il motore economico di tutto il pianeta. Tutto questo è stato ottenuto, almeno in parte, grazie alle politiche positive degli Stati Uniti e dell’Unione Europea. C’è da chiedersi se sarebbe stato più saggio che Stati Uniti e Unione Europea negli anni novanta avessero focalizzato i loro sforzi sugli estremisti islamici piuttosto che sulla condizione dell’ex blocco sovietico o della Cina.
È evidente che non è possibile prepararsi per ogni plausibile eventualità. Per cui, mentre è sicuramente necessario impedire il terrorismo nucleare, questa non può essere la priorità del programma dell’umanità. E non dovremmo usare la minaccia teorica del terrorismo nucleare come giustificazione per reagire in modo sproporzionato al terrorismo comune. Sono problemi differenti che richiedono soluzioni differenti.
Se malgrado i nostri sforzi gruppi terroristici entreranno in possesso di armi di distruzione di massa, è difficile sapere come si svolgeranno le lotte politiche, ma queste ultime saranno comunque molto diverse dalle campagne terroristiche e antiterroristiche degli inizi del XXI secolo. Se nel 2050 il mondo sarà affollato di terroristi nucleari e di bioterroristi, le loro vittime guarderanno al mondo del 2018 con nostalgia venata di scetticismo: come potevano avere la percezione di un rischio così grave quelli che vivevano in un mondo sicuro?
La nostra attuale sensazione di pericolo non è solo alimentata dal terrorismo. Molti, sia esperti che gente comune, temono che la terza guerra mondiale sia alle porte, come se avessimo già visto questo film un secolo fa. Come nel 1914, nel 2018 tensioni crescenti fra le grandi potenze associate a insormontabili problemi globali sembrano trascinarci verso una guerra globale. Ci si chiede se quest’ansia trovi maggiore giustificazione della nostra esagerata paura del terrorismo.