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“Tu stai solo passando accanto alla vita”

 Appartamento a Parigi G. Musso

 

 

L’indomani mattina ero già sotto la doccia quando lui si svegliò e mi raggiunse. Dovevo attuare il mio piano, ma non prima di essermi occupata del mio ragazzo. Lui veniva sempre al primo posto.

Facemmo l'amore ovunque: dentro la doccia, contro la porta, sullo scrittoio, sul letto, sul davanzale della finestra davanti al mare.

Spazzolai la colazione che ci avevano portato in camera, ero digiuna dal pranzo del giorno prima e il mio stomaco sembrava una voragine.

Mi ero appena infilata un pantalone nero e una maglia dello stesso colore con una scintillante corona e la scritta luccicante: I am a princess.

Imparavo in fretta dai miei errori. Il più grande era stato nascondere chi ero. Ok la mia famiglia era borghese, ok ero una ragazza di buone maniere e anche carina, un buon partito insomma, ma dimenticai che anche lui lo era e forse più di me.

Quando Christopher mi vide vestita sorrise. «Mia sorella non ha capito in che guai si sta cacciando.» Mi abbracciò stringendomi a lui.

«Attacco a sorpresa, è la migliore tattica.»

«Vicky, i miei ti porgono le loro scuse, sono mortificati e vorrebbero che oggi tornassimo a pranzo da loro.»

«E secondo te perché ho indossato questa maglia?»

Le sue labbra indugiavano sul collo. «Non oserà più aprire bocca dopo ieri sera.»

Potevo solo immaginare cosa fosse successo dopo che ero andata via. Conoscevo Chris e il suo modo di affrontare di petto le cose. Nel frattempo mi godevo le sue mani roventi ovunque su di me.

Speravo che la piccola serpe dicesse qualcosa per riprendermi la rivincita, ma avevo l'impressione che la guerra la stessi già vincendo io.

«Chris, io... Mi dispiace se ho fatto o detto qualcosa che non dovevo.» Abbassai lo sguardo sulle mani.

Julia Roberts fatti da parte, il prossimo Oscar è mio!

Sapevo che non avevo bisogno di rimarcare la parte della povera vittima, ma in amore e in guerra tutto è permesso.

«Vicky, tu non hai fatto niente di sbagliato, è Sam che è impazzita.»

Mi sollevò il mento e fissò lo sguardo sul mio. Il suo bacio fu tenero, gli diedi un piccolo morso, lui gemette, le sue labbra si fecero più audaci, le sue mani si insinuarono sotto i vestiti.

Avrei dovuto chiedere al nostro reparto progettazione di inventare una App che attraverso un rilevatore di feromoni, facesse spegnere in automatico il telefono quando nell'aria si spargevano gli ormoni del sesso. O, al contrario, mandasse un segnale d'allarme quando l'ormone va in letargo.

Risparmierebbe un bel po’ di due di picche una App così…

Stavamo iniziando a spogliarci quando squillò il suo; fece una smorfia e lo prese, vidi lo stupore dipingersi in volto.

«Arriviamo subito.»

«Che succede?»

«Meglio che non te lo dico, lo vedrai di persona.»

Durante il tragitto tormentai Christopher per sapere cosa stesse succedendo. Mi disse solo di stare tranquilla e non agitarmi.

La mia espressione stupita, in quel momento, non era nulla in confronto a quella che apparve sul viso quando entrai nel salotto di casa dei nonni e vidi seduta mia madre e mia sorella, davanti una tazza di tè fumante e dei pasticcini di una famosa pasticceria di Milano. Mia madre non si sarebbe mai presentata a mani vuote, anche se era lì per belligerare.

Christopher mormorò tenendomi ancora per mano. «Respira e non svenire.»

«Mamma! Janet! Cosa ci fate qui?»

Il mio sguardo di fuoco era rivolto a mia sorella, era già la seconda volta che andava a spifferare tutto a nostra madre. Tuttavia, nel momento stesso in cui le vidi, mi sentii più serena.

«Ciao briciola, siamo venute a conoscere la famiglia di Christopher e per mettere in chiaro un paio di cosucce.»

Conoscevo bene mia madre, al contrario delle persone presenti, sapevo che l'espressione serafica sul volto era una trappola. Lei aveva il panzer parcheggiato in giardino e lo avrebbe usato senza mezzi termini. “ Only the brave ” era il suo motto.

Christopher gli porse la mano. «Salve Ingrid.»

Mia madre lo tirò a sé baciandogli le guance. «È sempre un piacere vederti, Chris.» La sua espressione non nascose l'affetto che provava per lui.

Mamma si girò verso di me sussurrando. «Ottima scelta la maglia.»

Per una volta un suo regalo si era rivelato azzeccato.

Helen prese la parola. «Victoria, tua madre ci stava raccontando del tuo nome.»

Non mi sorpresi per niente. Mi sedetti accanto a mia sorella.

In tutto questo mancavano all'appello il nonno, Jeremy e il pezzo forte: la vipera.

La conversazione tra donne era piacevole, parlavano del loro argomento preferito: i figli.

Chris era seduto sul bracciolo accanto a me tenendomi stretta la mano, la sua era sudata. Lo vedevo agitarsi, non aveva torto, più ci riflettevo e più venivo assalita dal panico. Le nostre famiglie insieme: Scozia-Italia contro Inghilterra. Dio salvi la Regina!

Helen e mia madre tenevano banco. «Christopher ieri sera ci ha raccontato di come Victoria si è presa cura di Paco e soprattutto di quello che ha fatto per quel povero cucciolo. Era il cane di mio figlio da nove anni, gli eravamo tutti affezionati.»

«Mia figlia ha sempre avuto un gran cuore, non avrebbe mai abbandonato Chris in un momento simile.»

Le allusioni sottili di mia madre non potevano mancare. Con la scusa di una forte nausea accompagnai Janet in bagno.

Chiusi la porta a chiave mentre lei faceva pipì. «Che diavolo ci fate qui?»

«Briciola, non ti arrabbiare, ma ieri sera quando mi ha chiamata, la mamma ha capito subito che qualcosa non andava, mi ha messa alle strette e alla fine ho dovuto confessare.»

«Palle! Ti conosco troppo bene da sapere che riesci a fronteggiare la mamma egregiamente. Tu lo hai fatto apposta.»

«Ok, ok, ma non credevo che ci avrebbe trascinati qui. Era fuori di sé. Diceva che nessuno poteva trattare la sua bambina come un'opportunista.» L'espressione adirata di mia sorella mi riempì il cuore di orgoglio. «Voleva vedere in faccia quella vipera per metterla al posto suo e, se devo dirla tutta, anche io non vedo l'ora di vedere quella stronzetta.»

Amavo la mia famiglia, tutti noi ci amavamo e sapevo che loro lo stavano facendo solo per me.

Janet aprì la porta bel bagno e affacciò la testa.

«Che fai?»

«Zitta! Vieni a sentire.»

Mi tirò verso di lei. Infilai la testa nello spiraglio sotto quella di mia sorella e rimasi in attesa. Dall'altra parte della casa arrivavano le voci di Chris e di mia madre.

«Ingrid, io sono mortificato, se avessi immaginato una cosa del genere non avrei mai portato qui Victoria.»

«Ti dico la verità, a me non interessa di tua sorella, a me importa solo di mia figlia e sentirla piangere a due settimane dal suo trasferimento a casa tua, mi ha dato da pensare. Capisci il mio punto di vista: lei sarà in una città nuova, con un uomo che ama molto e spero che la ami allo stesso modo, ma queste premesse non sono le migliori. Tu conosci Victoria e sai benissimo che appena rimarremo sole mi farà una sfuriata per essermi intromessa nella sua vita. Nessuno pretende che i tuoi familiari amino mia figlia, ma che almeno l'accolgano a braccia aperte come abbiamo fatto noi con te.» Ecco la stangata di mia madre.

«Amo molto Victoria, non permetterò che qualcosa si metta tra noi, tengo troppo a lei per vedere sfumare tutto per colpa di mia sorella. Te lo prometto, lei non sarà più un problema.»

S'intromise Helen. «Ingrid, ti assicuro che tutti noi vogliamo già un gran bene a Victoria. Ci piace il fatto che voi siate una famiglia unita, al giorno d'oggi è difficile trovare ancora coppie che si amano dopo tanti anni di matrimonio. Si vede che Victoria ha dei sani valori, lei è una ragazza molto dolce ed è perfetta per mio figlio.»

«Lo spero Helen, lo spero.»

Avevo sentito abbastanza. Tirai Janet per un braccio e la trascinai sul divano. Christopher prese la mia mano e la strinse tra le sue.

La nonna ci offrì un'altra tazza di tè, la proposta fu accolta da tutti con entusiasmo. I discorsi si spostarono su mia sorella e la gravidanza.

Sentimmo aprire la porta, mi girai di scatto e vidi entrare mio padre e Gianni seguiti dal nonno e da Jeremy che ridevano allegramente. Cercai di sprofondare sempre più dentro il divano.

Almeno loro si stavano divertendo.

Papà mi sorrise salutandomi agitando la mano, ricambiai sempre più basita. Mi girai verso mia madre stringendo gli occhi in due fessure infuocate. Mamma ci poteva scommettere che appena saremmo rimaste sole avrei fatto il diavolo a quattro.

«Tuo fratello si scusa, ma lui e Lavinia non sono riusciti a venire.»

E per fortuna!

Ci mancavano solo i nonni e poi eravamo al completo. Un brivido attraversò la schiena.

Mamma lesse i miei pensieri. «Neanche i nonni potranno raggiungerci.»

Mio padre si portò avanti pensando alla pancia. «Che ne dite se andiamo tutti a pranzo. Venendo qui abbiamo visto un bel ristorante sul lungomare.» Da qualcuno dovevo aver preso.

Mia madre non dimenticava il motivo della loro visita. «Tommaso, stiamo aspettando la sorella di Christopher.»

Sul viso di papà spuntò un'espressione delusa.

Rispose Helen inquieta. «Lei arriva subito.»

E aveva ragione ad essere inquieta, mia madre avrebbe fatto a polpette la figlia.

La porta dell'ingresso si aprì facendo entrare una folata di vento gelido, ma mai quanto quella che l'attendeva in casa. La vipera si trovò davanti un plotone d'esecuzione. Janet mi diede una gomitata. «Guarda la borsa e le scarpe», sussurrò appena.

La signorina sputa sentenze aveva ai piedi un paio di stivali Manolo Blahnik e dal braccio penzolava una borsa Gucci. Ci alzammo tutti in piedi. Helen la raggiunse facendo le presentazioni. La vipera fece una smorfia guardandoci dalla testa ai piedi. Mia sorella ci aveva visto giusto: quella era una piccola serpe che non voleva perdere il suo pollo.

La sua giovane età non le aveva ancora insegnato che, nella vita, ci sono momenti in cui è meglio stare zitta. «Sei corsa a chiedere aiuto?»

Silenzio. Ci guardammo tutti in faccia in attesa di qualcosa.

Christopher alzò gli occhi al cielo esasperato digrignando tra i denti. «Giuro che la uccido.»

Helen afferrò per il braccio la figlia e la stava per trascinare in cucina quando mia madre la bloccò.

«Mia figlia è troppo buona per dirti in faccia quello che meriti e non sarò di certo io a dirti come comportarti, non è per questo che noi siamo qui, ma in veste di avvocati, per tutelare gli interessi della nostra assistita.»

Che cosa?

Mia madre stava sciorinando uno dei suoi lunghi discorsi, amava scandire le parole per enfatizzarne il significato, sembrava di essere in un'aula di tribunale. La cosa che mi preoccupava di più, era che non avevo idea di dove volesse andare a parare. «Dato che la signorina si è detta preoccupata per la situazione economica del fratello, siamo venuti a mettere le cose in chiaro per il futuro, così da fugare ogni dubbio.» Mamma fece una pausa e guardò i presenti negli occhi. Mi vennero i brividi.

«Abbiamo cresciuto i nostri figli inculcandogli il valore del duro lavoro e dell'indipendenza. Ognuno di loro gestisce la propria vita e i propri averi in totale autonomia e con l'assenza di ingerenze da parte nostra. Dato che i ragazzi hanno manifestato la volontà di voler convivere, credo che sia il momento di mettere tutti a conoscenza di alcuni fatti. Tommaso, ti spiace?»

Papà si schiarì la voce. «Victoria possiede diversi immobili e fondi, al di fuori delle proprietà mie e di mia moglie, di cui riceverà la terza parte, e di quelle dei miei genitori, già destinate ai nipoti.

Ascoltavo a bocca aperta.

Mia madre riprese la parola. «Il nostro studio può occuparsi di formalizzare gli accordi relativi al patrimonio, sia in presenza che in assenza di figli.»

La totale mancanza di reazioni da parte mia, mi fece capire che dovevo essere morta. Il mio fantasma aleggiava nella stanza e quello seduto, immobile, era solo il mio corpo impagliato. Non era possibile che stessero facendo una cosa del genere.

Guardai Christopher sgomenta. Lui mi sfiorò la mano rivolgendomi un piccolo sorriso. Sembrava tranquillo, io ero furiosa.

Mio padre sferrò il colpo finale. «Il valore attuale del patrimonio di cui Victoria entrerà in possesso sfiora i trenta milioni di euro, esclusi i beni d'arte e la villa del seicento del nonno.»

Jeremy emise un fischio, la bocca della vipera era spalancata come quella di tutti i presenti.

Mia madre riprese la parola. «Quindi ragazzina, senza togliere nulla a tuo fratello, dovremmo essere noi quelli preoccupati per la sorte di nostra figlia.»

La nausea aveva preso il sopravvento sul corpo, quella mercificazione di me mi disgustò. Dov'era l'amore? Dov'erano i sentimenti, il rispetto e la fiducia nell'altro?

Mi alzai di scatto mentre loro continuavano a blaterare. Per loro quello che c'era tra noi non era una relazione d'amore, ma solo d'affari.

Urlai zittendo tutti. «Basta! Basta! Basta!» Battei il pugno sul tavolino «Siete tutti pazzi! Completamente pazzi. Invece di essere felici per noi che ci siamo trovati e innamorati facendo un passo importante nella nostra vita, voi ve ne state lì, a sindacare, mercificare i nostri sentimenti e a umiliarci. Sì proprio così, umiliarci. Mi date la nausea con le vostre chiacchiere su immobili e conti correnti. Io non sono un oggetto da comprare, sono una persona e voi state calpestando i miei sentimenti.» Tirai fuori la mia ira. Credo di non essermi mai arrabbiata tanto nella mia vita come quella volta. Avevano oltrepassato il limite della decenza. «Adesso sarai soddisfatta piccola strega.» Le sputai addosso tutta la mia rabbia. Mi girai e allontanai dirigendomi verso l'ingresso prima di aprire la porta gettai lo sguardo verso Chris..

Gli smeraldi di Christopher si posarono su di me, intuendo i miei pensieri mi venne dietro.

Aprii la porta di casa e mi ritrovai per strada. Come un sacco vuoto mi afflosciai sui gradini antistanti il portico. Christopher si sedette accanto a me cingendomi le spalle. Appoggiai la testa su di lui e inspirai rumorosamente.

«Come abbiamo potuto permettergli di farci questo?»

Mi guardò alzando le spalle.

«Dov'è la felicità per due persone che si amano e hanno deciso di vivere insieme?»

«Vicky devi comprendere la loro posizione, sono solo preoccupati.»

«Ma di che? Siamo due persone adulte, sappiamo cosa è meglio per noi. Io non voglio vivere così.» Nell'istante in cui lo pronunciai compresi che tutto quello che volevo era solo lui. «Andiamo via, adesso, andiamo in un'isola io e te. Vendiamo tutto, apriamo una piccola attività e viviamo di quello.»

«E le nostre responsabilità? Non possiamo fuggire da tutto e tutti.»

Gli presi il viso tra le mani. «Chris, ma quali responsabilità? Si sentiranno sempre in diritto di dire la loro, intrappolandoci nella loro vita fatta di patrimoni, immobili e altre cavolate. Tu hai idea di come mi sia sentita umiliata davanti a tutti? Mercificata come se fossi un oggetto qualunque. Nessuno che abbia detto Victoria è una ragazza che sa il fatto suo, una degna di fiducia, che ama Christopher e lo rispetterà per sempre e anche lui. Sarà sempre così. È sempre stato così.» Mi alzai porgendogli una mano. «Vieni via con me.»

Mi guardava come se fossi una stupida o meglio una matta. «Non posso rinunciare a quello che ho costruito in anni di duro lavoro davanti alla nostra prima difficoltà, io ho degli obblighi davanti alla mia famiglia e alla Bantor. Mi piace il mio lavoro, e non intendo abbandonare tutto...»

Tutto per te.

Finii la frase nella testa.

«Chris...»

Lui scosse il capo. Il principe non avrebbe mai rinunciato al suo regno, ma alla principessa sì. In quella storia non c'erano né principi e né principesse, né fiabe e fate, ma solo la cruda realtà con le sue porte sbattute in faccia: Maledetta Cenerentola e tutte le fiabe di bambina!

Inspirai, quelle parole mi costarono fatica. «Credo che vogliamo due cose diverse.»

Capì le mie intenzioni. «Victoria no! Non lo accetto.»

«Chris, io voglio qualcosa per cui tu non sei pronto. Io sono disposta a rinunciare a tutto per noi, ma non posso farlo da sola. Siamo sinceri, abbiamo obiettivi diversi nella vita.»

Misi una decina di centimetri tra noi, lui mi tratteneva per una mano riflettendo sulle mie parole.

«Ti amo Christopher, più di quanto potessi immaginare di amare qualcuno, ma non basta, io voglio il lieto fine, non un compromesso.»

Il suo viso era contratto in una smorfia di dolore, mi strinse a sé facendomi sentire il suo calore e amore. «Vicky torniamo a Londra. Chiudiamoci in casa, facciamo l'amore, parliamo, litighiamo se è il caso, ma non mi lasciare. Saremo solo io e te, gli altri saranno lontani. Dobbiamo essere noi a non permettergli di interferire nelle nostre vite.»

«Non è così che funziona, e tu lo sai.»

I suoi occhioni verdi erano velati di sofferenza. Nulla in confronto a quel buco che sentivo dentro il petto.

Mi sciolsi dal suo abbraccio. Non ero mai stata così risoluta nella mia vita come in quel momento.