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“Nella vita esistono tanti lieto fine.

Devi solo sapere dove cercarli”

Dal film È arrivato il broncio

 

 

Mancavano solo un paio di giorni al mio trentaduesimo compleanno e meno di quattro settimane al mio trasferimento.

I miei amici volevano organizzarmi una festa, io non amavo festeggiare i compleanni. Di solito mi piaceva passarlo in viaggio. Avevo deciso di andare a Tokyo da sola, ma per i nuovi impegni di lavoro era impossibile. La settimana successiva sarei andata a Londra per vedere alcuni appartamenti in affitto.

La sera prima mi ero sentita con Christopher, lui mi stava aiutando nel trasloco e a organizzare gli appuntamenti con l'agente immobiliare in modo che tutto fosse perfetto per il mio arrivo. In verità ci sentivamo parecchie volte anche in ufficio, con la scusa di qualche pratica lui chiamava spesso. Mi mancava, gli mancavo.

Non credevo che l'essere tiranneggiata da lui avrebbe portato a quei frutti.

Ormai lui era rientrato a Londra e nella nostra sede di Milano tutto era tornato alla normalità, se così si poteva definire.

Ero assorta nel computer quando sentii soffiare all'orecchio. «Battiamo la fiacca?»

Mi voltai e lui era dietro di me, avvolto in un completo blu sartoriale e gli occhi sorridenti. Mi trattenni dal saltargli al collo.

«Cielo quanto mi sei mancato!» Le parole sfuggirono al mio controllo, un lampo di sorpresa accese i suoi occhi.

«Seguimi nel mio ufficio.»

In verità quello non era più il suo ufficio ma, appena entrammo, Silvia scattò in piedi lasciandogli la poltrona.

«Silvia, sono qui di passaggio per comunicarti che domani Victoria deve partire insieme a me per una settimana. Ho bisogno di una traduttrice e lei è l'unica affidabile.» Spalancai la bocca a quella notizia. Una settimana con lui.

«Certo Christopher.» L'espressione di Silvia era tutt'altro che felice.

«Se non ti spiace le devo spiegare il suo compito.»

Senza troppi convenevoli la buttò fuori.

Ero incredula. «Non potevi telefonare?»

«Non volevo perdermi la tua espressione nel dirti dove andremo.» Lo guardai cercando di capire.

Mi stavo agitando. «Perché dove andiamo?»

«Premetto che i primi due giorni dovremo lavorare, ma per i successivi cinque giorni faremo i turisti.»

La curiosità mi stava logorando. «Chris dove mi porti?»

«Tokyo!»

Dalla mia bocca si levò un urlo assordante seguito da vari saltelli e battiti di mano. In uno slancio di insana euforia mi buttai al collo di Winny riempiendolo di baci sulle guance.

«Victoria ci guardano tutti!»

Mi scostai brusca con il viso infuocato.

«È il mio regalo di compleanno.»

La mia bocca si spalancò. Se ne era ricordato.

«Chris, è fantastico! Grazie grazie!»

Uscii dal suo ufficio ancora radiosa. Davanti a me c'era una platea sbigottita e curiosa.

«Vado a Tokyo!» urlai a tutti.

Essere una che non aveva mai nascosto la propria passione per il Giappone, frantumando la pazienza dei colleghi anno dopo anno, non era stata una cattiva idea. La sorpresa per avere abbracciato Winny svanì di colpo alla mia rivelazione.

Quel giorno chiamai tutti i contatti del telefono per condividere la mia euforia, beh proprio tutti tutti no, ma quasi.

Stavo uscendo dall'archivio quando me lo ritrovai davanti all'improvviso.

«Chris, mi hai spaventata.» Lui mi spinse all'interno e chiuse la porta alle nostre spalle. Si avventò sulle mie labbra come se stesse soffocando e fosse alla ricerca d'aria. Ci abbracciammo, mi aggrappai a lui per non cadere.

La sua bocca era contro la mia. «Mi sei mancata da impazzire.»

Mi spinse contro lo scaffale, mi scostai per paura che ci cadesse addosso.

«Chris, non è un posto sicuro.»

«È tutto ancorato alle pareti. Dovrà crollare il palazzo prima che ci cada qualcosa addosso.» Il suo sorriso malizioso mi fece venire un brivido, mi abbandonai ai suoi baci e alle sue labbra. Mi alzò di peso, avvinghiai le gambe attorno alla sua vita. Avrei fatto l'amore con lui seduta stante, in quel luogo pieno di polvere e insetti di ogni tipo. Insinuai le mie mani sotto la sua camicia, il calore penetrò nella pelle. Un gemito di piacere uscì dalla bocca, lui fece altrettanto. Sentii le sue dita scorrere lungo la schiena. Brividi, brividi ovunque e fuoco, fuoco che incendiava il corpo.

«Ti voglio.» In risposta affondai le unghie sul suo sedere avvicinandolo di più a me.

Dei rumori in corridoio ci bloccarono. Ci sciogliemmo senza smettere di guardarci. Il desiderio ancora vivo. Con le dita pulii le sue labbra dal rossetto. Afferrò la mano e mi diede un morso sul pollice.

«Vai a preparare le valigie. Avremo tempo nei prossimi giorni.»

Non mi scapperai! Di sicuro!

Si prospettava un viaggio unico.

 

* * *

 

Alle sei e un minuto, ancora frastornata, ero già fuori dall'ufficio per andare a preparare i bagagli. Cielo! Cosa avrei dovuto portare? Era l'inizio della primavera anche lì, solo che il clima era più pungente rispetto a Milano. Cosa fare? Preparare una valigia il cui peso battesse il Guinness dei primati o limitarsi all'essenziale?

Optai per una via di mezzo.

Per tutta la notte non riuscii a dormire, ero troppo eccitata. Chiamai persino mia madre nella vana speranza che litigare con lei mi mettesse di cattivo umore e riuscissi nell'impresa di addormentarmi: niente. Chiamai Christopher immerso nei suoi sogni.

«Victoria dormi!» Fu l'unica cosa che mi disse.

Alle quattro la sveglia suonò inesorabile, avevo dormito sì e no un paio d'ore, ma mi alzai scattante come un grillo. Dopo una doccia veloce, preparai le ultime cose e alle cinque in punto Chris citofonò.

Mi fiondai in strada alla velocità della luce trascinando il mio pesante trolley, Ettore mi raggiunse e mi aiutò con la valigia. Dentro l'auto lui indossava un jeans e una felpa grigia.

Il mio stomaco sussultò.

Dopo lo scalo a Londra eravamo a bordo del Boeing che ci avrebbe portato alla destinazione finale. Nessuno dei due accennò al nostro incontro nell'archivio. Forse eravamo troppo sconvolti dalla levataccia, avevamo sette giorni davanti a noi.

«Come mai non hai un jet privato?» chiesi.

«È solo uno spreco di soldi. Non ti piace la business class?»

«Stai scherzando? L'adoro! Io viaggio solo in economy.»

Mi stravaccai nella poltrona accanto a lui che si trasformava in comodo letto.

«Una ragazza che proviene dall'alta società come te, si mescola con la plebe?» La sua provocazione mi suscitò un'ondata di fastidio. Tutto sembrava ritornato a mesi prima.

«Mettiamo le cose in chiaro, io non appartengo a un bel niente se non a me stessa, e poi non posso permettermelo.»

Mi guardò dubbioso. «Abbi pazienza, ma mi risulta difficile crederti.»

«Come mi ha sempre precisato mia madre fin da piccola, i miei sono ricchi, io non ho niente, tranne il mio piccolo appartamento per cui dovrò pagare il mutuo per altri dieci anni e la mia scatoletta di tonno che chiamo auto. Viaggiare in economy è una necessità.»

«Quindi papà non ti dà la paghetta?» Mi stava prendendo in giro.

«Mio padre non potrebbe anche se volesse. Mia madre controlla minuziosamente tutte le uscite di casa e, se anche un solo centesimo non rientrasse nelle sue previsioni, succederebbe il finimondo.»

«Cos'è? Un'agente della MI5?»

«No, scozzese!»

Ridemmo insieme. I suoi occhi brillavano, mi vedevo riflessa all'interno, il sorriso radioso, la felicità in viso, il cuore colmo d'amore.

«Ti sembrerà strano, ma adesso sono molto grata a mia madre per come ci ha cresciuto. Ci ha insegnato il valore di lavorare duro per ottenere dei risultati. Ma soprattutto il valore dell'indipendenza. Tutto quello che sono lo devo a me stessa e a lei.»

«È molto bello quello che dici di tua madre, un'altra al tuo posto l'avrebbe giudicata in modo diverso.» Mi guardava come se stesse rivalutando le informazioni che aveva su di me.

«Non dirlo a mia madre, negherei fino alla morte.»

Curvò le labbra verso gli occhi in un sorriso sincero.

«Grazie dal profondo del cuore, mai nessuno aveva fatto una cosa del genere per me. Come potrò mai sdebitarmi?»

«Volevo che il tuo desiderio si avverasse e vedere il tuo sorriso è il regalo più grande che potessi farmi.»

Cosa avrei dovuto fare? Saltargli addosso e baciarlo? Fare finta di niente? Gli sorrisi e feci la scema. «Credevo che mi avresti chiesto qualcos'altro in cambio, ma se ti basta un sorriso, meglio.»

Mi guardò malizioso e si avvicinò al mio orecchio.

«E chi ti dice che non ti chiederò altro?» La sensualità con cui sussurrò quelle parole mi fece rabbrividire dalla testa ai piedi.

Lo guardai a bocca aperta.

Lui rise. «Dovresti vedere la tua faccia in questo momento, sembra che ti si sia fermato il respiro.»

E sì che si era fermato, ma non per quello che pensava lui, ma per quello che pensai io, su di lui, su di me, su di noi.

«Haha divertente. Continua a prendermi in giro, ti ripagherò con la stessa moneta.»

Una hostess, che sembrava una modella scandinava, si avvicinò a noi per offrirci da bere. Ammirai le gambe chilometriche, la pelle come una pesca, le labbra sensuali. Ci lasciò per andare a prendere i nostri cappuccini.

«Cavolo che bambola!» commentai.

Lui alzò un sopracciglio distogliendo lo sguardo dalla rivista che aveva in mano, la guardò per un attimo e si girò verso di me. «Bella, ma priva di contenuto.»

«Contenuto? Ma che diavolo stai dicendo?»

«Quello che ho appena detto, con una così ti puoi divertire per un paio d'ore e forse nemmeno, mancherebbe quell'alchimia, quella complicità nello scoprire passioni in comune, cose di cui parlare, l'intensità degli sguardi incatenati. Tutto si ridurrebbe solo a un atto meccanico. Il sesso è complicità, è ridere insieme, è scoprirsi insieme.»

Se stava facendo di tutto per corteggiarmi, ci stava riuscendo. Chi avrebbe resistito dopo delle argomentazioni del genere?

Mi giravo e rigiravo nella grande poltrona cercando una posizione per dormire, spostando il cuscino da sotto la testa a sotto la guancia. Appoggiata all'oblò avevo troppo freddo, ma non volevo nemmeno avvicinarmi troppo a lui per non disturbarlo. Aprì i suoi smeraldi e mi fissò.

«Vieni qua.» Sollevò il bracciolo in mezzo a noi e allargò le braccia. Tentennai. «Dobbiamo dormire, ci attende una giornata intera piena di appuntamenti e se continui a rigirarti come un verme non farai dormire neanche me.»

Mi accucciai sul suo petto caldo. Mi circondò con le braccia chiudendole strette attorno alle mie spalle. Mi ritrovai bambina, quando mio padre mi abbracciava durante i temporali notturni e mi rassicurava sussurrandomi all'orecchio che presto sarebbe passato. Il profumo di primavera e mare in tempesta penetrò nelle narici. Rassicurata e protetta mi addormentai.

Un vuoto d'aria mi fece svegliare. Ero ancora avvinghiata a lui, aprii un occhio, il suo viso era appoggiato alla mia testa. Sentivo il suo respiro profondo e costante. Richiusi gli occhi e mi riaddormentai.

La voce della hostess mi svegliò. «Tutto bene signore?» Rimasi ancora con gli occhi chiusi a godermi il nostro abbraccio.

La voce di Chris rimbombava nella cassa toracica. «Posso chiederle di prendermi quel libro poggiato sul tavolino?»

«Certo. Viaggio di nozze?»

Che viaggio di nozze bella!

«Piacere.»

«La sua fidanzata era parecchio su di giri.»

Ebbi l'impressione che l'insistenza della ragazza non fosse del tutto disinteressata.

Bionda dei miei stivali perché non vai da un'altra parte ad abbordare?

«Parecchio. È il mio regalo di compleanno, solo per renderla felice.»

Rendermi felice... nessun uomo mi aveva mai reso felice, nessuno tranne lui. E non era solo per il viaggio, ma era la sua sola presenza a cambiare il mio umore.

«Che cosa romantica!»

Provai la voglia inarrestabile di guardarlo negli occhi. La sua mano mi scostò una ciocca di capelli dal viso sfiorandomi lo zigomo, il suo calore mi provocò un brivido.

Aprii gli occhi nello stesso momento in cui la bionda strinse la spalla di Christopher. Il mio sguardo truce la incenerì all'istante.

La bionda si rivolse a me. «Signora desidera qualcosa?»

«Del bromuro, magari?»

La tipa arrossì alla mia battuta. Chris se la rideva mentre la hostess si allontanava alla velocità della luce.

«Che stronza! Ci ha provato con te mentre dormivo.»

«Sei gelosa?» Che sguardo sornione.

«Non sono gelosa, è una questione di rispetto. Ha invaso il mio territorio.»

«Ma io non sono un tuo territorio...» La sua espressione doveva fermarmi dal dire altro.

«Ma lei questo non lo sa.»

«E tu?» Com'era insistente!

Ero ai limiti dell'esasperazione. «Io cosa?»

«Qual è il tuo territorio?» A che gioco stava giocando?

In tutto questo ero ancora stretta tra le sue braccia. Mi sciolsi e lo guardai negli occhi.

«Chris smettila! Mi sto arrabbiando.» E adesso cosa ci trovava di così divertente da ridere tanto?

Lo guardavo negli occhi luminosi, spostando lo sguardo verso le labbra, d'istinto morsi le mie, lui si bloccò, prese una mano e intrecciammo le dita.

«Sei la donna più incredibile che abbia conosciuto.»

Gli sorrisi. Le nostre mani sembravano fondersi. Ebbi la certezza che dopo quel viaggio nulla sarebbe stato come prima. Mi avvicinai a lui per baciarlo, lui s'impossesso delle mie labbra, stavo schiudendo la bocca quando si staccò veloce.

«Non qui, non così, non ora.»

Mi strinsi al suo petto, il suo organo pulsante stava scoppiando come il mio.

Dopo dodici ore di volo atterrammo a Tokyo alle sette del mattino. L'aeroporto era immenso e caotico. Lungo il tragitto in taxi io ero appiccicata al finestrino guardando fuori con la bocca spalancata.

L'hotel era un altissimo e moderno grattacielo. Arrivati alla reception un riverente ragazzo si prodigò in nostro aiuto. Con mia sorpresa scoprii che Christopher, al momento della prenotazione, aveva preteso due camere comunicanti.

Lo guardai basita pensando alla gioia di mia sorella nel sentire la notizia.

La camera era più grande di quanto mi aspettassi. Addossato alla parete c'era un enorme letto rivestito di un bianco quasi accecante, di fronte a me una grande vetrata con vista mozzafiato sul monte Fuji con la punta innevata e la città ai piedi.

Risuonò la sua voce alle mie spalle. «Ti piace?»

La porta comunicante era aperta. Dovevo assicurarmi di chiuderla bene, altrimenti mi sarebbe piombato in camera in qualsiasi momento. Anche se l'idea non era male.

«È stupendo. Grazie di nuovo.»

«Di niente Vicky.»

Non mi chiamava spesso Vicky ed era un bene, perché lo pronunciava in quel modo così sexy che era impossibile resistergli. Allungò una mano verso il viso e mi sfiorò lo zigomo con il pollice.

Le parole mi uscirono dalla bocca senza riflettere. «Vuoi riscuotere la tua ricompensa?»

Fece una cosa che non mi sarei mai aspettata da lui: arrossì. E lo fece in un modo così violento che credevo di aver azzeccato i suoi pensieri. Mi diede un buffetto sulla guancia e uscì dalla stanza con in sottofondo la mia risata.

Abbandonai il trolley ai piedi del letto e corsi in bagno. Urlai verso la camera attigua alla mia.

«Chris non ci crederai, quando faccio pipì dal water esce la musica e la tavoletta è riscaldata!»

Mi raggiunse la sua voce. «Non hai ancora visto niente.»

Quello non era un bagno ma un agglomerato di tecnologia. Mi concentrai sulla doccia, anche quella non era una semplice doccia, ma un miscuglio di strani pulsanti, per non parlare di quelli accanto al lavandino. Purtroppo non avevo molto tempo per dedicarmi alla scoperta della tecnologia nascosta tra le pareti della stanza.

Avevamo indossato i nostri vestiti formali per recarci all'appuntamento con Yamamoto nel bar dell'albergo, mancava ancora mezz’ora. Decisi di fare un giro nel negozio vicino alla reception.

Una commessa con il viso da bambola di porcellana e i capelli lucidi neri, mi accolse con un inchino. Le sorrisi e ricambiai. Il negozio era pieno di abiti e accessori di famosi marchi di moda. Scorrevo le stampelle ammirando i vestiti appesi. Rimasi folgorata da un abito in stile giapponese dai motivi floreali delicati. La mano scorreva sulla morbida seta rossa intervallata da candidi fiori di ciliegio. Lo presi e lo accostai al corpo guardandomi allo specchio.

«Lo vuole provare?»

Il vestito era splendido, ma diedi un'occhiata al cartellino, novantacinquemila yen, quasi ottomilacinquecento euro. Sorrisi alla ragazza ridandole l'abito. Ne avrei comprato uno in qualche negozio più a buon mercato. Quella cifra era inavvicinabile per le mie finanze.

Chris arrivò alle mie spalle facendomi balzare il cuore in petto. «Victoria! Credevo ti fossi persa. Yamamoto ci sta aspettando.»

Salutai la commessa ricambiando i suoi numerosi inchini e mi avviai dietro Winny .

Takeshi Yamamoto era il classico uomo giapponese di mezza età con capelli striati d'argento e sorriso stampato sul volto. Ci venne incontro e chinò il capo, io e Chistopher lo imitammo mentre afferravamo i biglietti da visita che ci porgeva.

« Ohayoo gozaimasu Yamamoto san, Hajimenashite, watashi wa Victoria Morelli desu .» Lo salutai e mi presentai facendo l'ennesimo piegamento del capo mentre gli porgevo il mio biglietto da visita.

«Piacere Signorina Morelli, se per lei va bene gradirei parlare in inglese, così da rendere piacevole anche al signor Carter il nostro incontro.»

La mia presenza si stava rivelando del tutto inutile. I due si presentarono, e dopo vari convenevoli e inchini ci accomodammo in una sala riunioni messa a disposizione dall'albergo. Insieme al signor Yamamoto c'era un ragazzo di circa venticinque anni che ci presentò come suo figlio Satoshi.

Io e il figlio fummo relegati alla figura di assistenti, passando grafici e studi di settore ai due più illustri uomini davanti a noi.

Per un paio d'ore sentii discutere di percentuali di azioni e di poteri da concedere all'altro. La Bantor era interessata ad acquistare il pacchetto di maggioranza di una controllata del gruppo di Yamamoto. Nessuno dei due sembrava voler cedere sull'eventualità di dare all'altro il controllo totale della società.

Satoshi distolse l'attenzione dai due dopo pochi minuti, smanettando con il telefonino a non so quale diabolico gioco sotto lo sguardo contrariato del padre.

I suoi occhi a mandorla erano incollati allo schermo, ma le parole erano dirette a me. «Rilassati. È solo un incontro conoscitivo, non arriveranno a niente adesso, vogliono solo capire fin dove possono spingersi.»

Mi sentivo fuori luogo. «Ok.»

«Che ne dici se ci andiamo a prendere qualcosa da bere?»

Sobbalzai. Era vero che mi stavo annoiando a morte, ma mai avrei lasciato il mio posto per andare con lui. Al mio gentile rifiuto alzò gli occhi dal telefono e mi guardò per un istante.

«Sei masochista?»

«Non sono masochista, ma non mi va di essere pagata per andare in giro.»

«Fai come vuoi, tanto tra cinque minuti ci butteranno fuori di qui, volevo solo anticipare i tempi.»

Come la previsione di una Sibilla, dopo meno di quattro minuti Yamamoto ci chiese di uscire dalla stanza. Rivolsi lo sguardo a Christopher che annuì.

«Visto? Che ti avevo detto?»

«Scusami, ma non volevo dare l'impressione di una che si defila alla prima occasione.»

Satoshi alzò le spalle mentre mi faceva strada verso il bar. Ci sedemmo davanti un tavolino quadrato in legno naturale. Un cameriere, in perfetta livrea, si fermò a dieci centimetri dal tavolo e s'inchinò.

I modi di Satoshi erano piuttosto sgarbati e sbrigativi. «Cosa prendi?»

Rivolsi la mia richiesta direttamente all'uomo in piedi di fianco a noi. «Un tè sencha per favore.»

Dopo aver ordinato, i suoi occhi s'incollarono di nuovo al display del telefono.

Non sei molto contento che io sia qui , vero?

Il mio imbarazzo aveva come colonna sonora i suoni che uscivano dal suo aggeggio.

Sorseggiai il tè facendomi inebriare dal profumo che emanava attraverso il vapore.

Satoshi con uno scatto rapido, poggiò il telefono sul tavolo e mi sorrise.

«Allora da dove vieni?»

Sobbalzai. «Milano.»

«Strano, dal tuo accento non si direbbe, sembri inglese.»

«Mia madre è scozzese.»

«Capisco.» Guardò il Patek Philippe che aveva al polso. «Tra dieci minuti andiamo a pranzo, hai fame?»

In Italia dovevano essere le quattro del pomeriggio. Lo stomaco farfugliava da tempo. Mi sentivo come se fossi digiuna da giorni, con il fuso e le ore di volo non capivo più in che giorno eravamo.

Doveva partecipare spesso a quelle riunioni, esattamente dopo dieci minuti suo padre e Christopher entrarono nel locale. La bocca di Winny era curvata all'insù. I suoi occhi erano fissi sui miei.

Come mi aveva anticipato, tutto il giorno fu scaglionato da un appuntamento dietro l'altro. Incontrammo anche altri partner della nostra società e potenziali nuovi clienti. Christopher era un caterpillar, io lo seguivo come un cagnolino aiutandolo per quanto mi era possibile.

Arrivammo in camera alle sette di sera, ci cambiammo per raggiungere Yamamoto a cena. Il nostro ospite mi sembrava un tipo molto formale, optai per un abito blu evitando il nero come da usanza giapponese.

Anche Christopher si era cambiato indossando un completo grigio scuro. Era più bello del solito. Non lo avevo mai visto così sorridente, anche i muscoli apparivano rilassati e gli occhi luminosi. Cosa più sconvolgente: mi tenne la mano per tutto il tragitto in taxi.

Yamamoto ci accolse insieme al figlio nel ristorante di un famoso hotel di Tokyo. Avevo letto recensioni magnifiche su quel posto. Seduti al tavolo, attorniati da una incredibile vista dall'alto della città, consigliai Christopher sui piatti da scegliere.

Yamamoto era un perfetto padrone di casa, si rivolse a me per fare conversazione. «Ho notato che lei conosce bene la nostra cultura.»

«Adoro la vostra nazione e ho studiato per parecchi anni le usanze. Trovo le vostre tradizioni affascinanti.»

«È stata parecchie volte in Giappone?»

«Questa è la prima volta.»

«Davvero?» Annuii mentre portavo in bocca un pezzo di Nigiri con le bacchette: era sublime.

«Ha già idea di cosa vuole vedere nei suoi giorni di permanenza?»

«Sono anni che preparo un programma dettagliato della mia visita a Tokyo. Ho sempre desiderato venire in questo periodo per fare Hanami [4]

«Questo è il periodo più magico dell'anno, scoprirete che Tokyo può essere una città molto romantica.» La sua velata allusione mi fece arrossire. Era difficile non notare gli sguardi che ci lanciavamo io e Chris.

Il dopocena prevedeva una sortita al Karaoke con Satoshi e la fidanzata. Era ufficiale: per Yamamoto eravamo una coppia.

Il corridoio era una fila di porte speculari da dove uscivano musiche di tutti i tipi. Entrammo in una saletta dove a stento ci stavamo in quattro. Dopo che il padre ci aveva abbandonato, Satoshi si era trasformato: sorridente e incline alle battute. Quel cambiamento era agghiacciante.

La sua ragazza, Aiko, era la tipica giapponese sempre sorridente, piccola di statura e con dei capelli lucenti, quasi blu.

La coppia davanti a noi si esibì in una canzone in lingua autoctona dove, nel video, delle ragazze vestite da collegiali si cimentavano in un'assurda coreografia. Fin qui niente di strano, ma i due erano più stonati di una campana scheggiata. Io e Chris ridevamo sotto i baffi.

«Forza facciamo vedere a questi due sfigati come si canta.» Mi alzai in piedi.

L'espressione allarmata di Chris la diceva lunga sui suoi pensieri.

«Io sono qui solo in veste di accompagnatore.»

«Non vorrai lasciarmi sola. Tu muovi la bocca il resto lo faccio io.» Ammiccai e lo convinsi a prendere in mano il microfono.

La canzone era stato un tormentone di Taylor Swift: “ Shake it off ”. Christopher, dopo l'imbarazzo iniziale, riuscì a rompere il ghiaccio venendomi dietro con voce sempre più alta e sicura. Cantavamo shakerando i nostri fianchi a tempo di musica e saltellando al ritornello.

Finimmo la canzone in un tripudio di applausi da parte dei nostri due spettatori.

Quel rettangolo era troppo stretto per stare tutti in piedi, facemmo qualche rocambolesca acrobazia per darci il cambio e sederci sul divano. Io inciampai nel tavolino e caddi sulle gambe di Christopher.

«Scusami.» Stavo per rialzarmi quando mi cinse la vita e mi trattenne. Affondò il viso tra i miei capelli, sentivo il suo respiro caldo sulla nuca. Mi girai verso il suo viso. I suoi occhi erano incollati ai miei.

Le parole di Aiko furono come lo sparo alla partenza dei cento metri. «Potete baciarvi, noi non ci imbarazziamo.»

Le labbra di Chris furono sulle mie in un attimo. Avvinghiai le braccia al suo collo mentre le nostre lingue si accarezzavano tra loro.

Non c'era stato bisogno di parole, entrambi stavamo esplodendo. Volevamo l'altro come un bisogno primario. Il nostro bacio durò per tutto il tempo della canzone. Ci staccammo a fatica, guardandoci negli occhi colmi di desiderio.

La serata fu un susseguirsi di canzoni a cui non prestai la minima attenzione. Nella testa c'era solo lui e il bacio.

Fuori dal locale ci sorprese una pioggia scrosciante; facemmo pochi passi e ci ritrovammo per le strade affollate di Shibuya , gremita di cosplayer dai costumi bizzarri e ragazzi i cui capelli sfidavano la legge di gravità. Cercammo di ripararci a ridosso di qualche palazzo, ma con quella calca era impossibile. Al di là del famoso incrocio c'era un taxi fermo, scattò il semaforo, ci guardammo negli occhi, Chris mi strinse forte la mano; correndo e ridendo arrivammo dall'altra parte e, fradici, ci infilammo dentro l'auto.

Grondanti, ritirammo alla reception le tessere magnetiche e ci fiondammo in ascensore. Le sue labbra scorrevano sul collo facendomi gemere e rabbrividire. Le mani erano dentro la sua camicia per nutrirsi del calore della pelle. La cabina si fermò al piano, con i corpi attaccati all'altro raggiungemmo la mia camera. Sulla soglia successe qualcosa che non mi sarei mai aspettata.

Mi baciò in fronte.

«Buonanotte», disse scostandosi da me. Lo guardai confusa mordendomi il labbro inferiore.

«Domani Vicky, domani inizia il nostro viaggio.»

Appoggiò la tessera magnetica nel lettore e sparì dietro la porta, lasciandomi in preda ai miei bollori.

 

* * *

 

Mi svegliai dopo una notte tormentata dalla sua bocca e dalla sensazione della sua pelle sotto le mani. Bussai alla sua porta per andare a fare colazione. Mi accolse con un sorriso e gli auguri di buon compleanno.

Nella sala eravamo seduti di fronte all'altro parlando degli appuntamenti del giorno. Lui spalmava le fette di pane tostato con la marmellata e me le porgeva, io lo guardavo mangiare uova e bacon in preda alla nausea. La sua mano giaceva immobile a pochi centimetri dalla mia. Non riuscii a resistere, avevo bisogno di un contatto con lui, intrecciai le dita alle sue. La sua stretta mi diceva più di quanto la sua bocca pronunciasse. Il suo desiderio era palpabile come il mio.

«Non riuscirò a resisterti se continui a toccarmi.»

Gli sorrisi maliziosa. «Non voglio che tu lo faccia, non più.»

Il suo sorriso mi lasciò senza fiato. «Stasera piccola, aspetta stasera.»

 

* * *

 

L'incontro con Yamamoto si era concluso a pomeriggio inoltrato. Con l'assistenza di uno degli avvocati della Bantor, avevano firmato l'accordo preliminare di acquisizione della società. Dopo un brindisi con i giapponesi, rimanemmo da soli per prendere i documenti.

«Da adesso inizia la nostra vacanza. Sei pronta alle mie sorprese?»

Sgranai gli occhi. «Dobbiamo festeggiare il tuo compleanno come si deve, ho prenotato per cena in un posto che ti piacerà molto.»

«Chris, non dovevi.»

«Lo voglio più di quanto tu possa immaginare.»

Anche io volevo, ma lui, più di quanto potesse immaginare...

Appena entrai in camera per prepararmi per la cena, mi accorsi che sopra il letto c'era una scatola regalo rettangolare. Il colore rosso lucido attirò la mia attenzione. Sciolsi il grande fiocco bianco facendo scorrere il nastro, alzai il coperchio e rimasi senza fiato. Il vestito in seta rosso con i fiori di ciliegio bianchi era ripiegato all'interno.

Non c'era nessun biglietto, ma sapevo benissimo chi era il mittente. Feci scivolare la seta sulle mie forme. Chiusi i piccoli bottoni ai lati del collo. Mi guardai allo specchio ammirando la figura avvolta da quel meraviglioso abito.

Mi truccai esaltando gli occhi ed enfatizzando le labbra con un rossetto rosso, mentre lo stendevo pensavo a quanto fosse inutile. Non sarebbe durato molto. Non quella sera, non dopo quelle premesse, non dopo tutti i mesi che avevamo trascorso insieme a fingere di non provare quello che, oramai, era divampato in maniera inarrestabile.

Racchiusi i capelli in uno chignon e vi infilai due bacchette laccate di nero. Conclusi con scarpe nere con tacco alto.

Con un lieve tocco bussai alla porta, attesi il permesso di entrare e lo vidi davanti la finestra con il capo girato verso di me. La sua espressione sul volto era eloquente, la bocca spalancata toccava il pavimento.

«Cielo! Sei più bella di quanto potessi immaginare.»

Arrossii, ma gli andai incontro. Lui era immobile in attesa di una mia mossa. Poggiai entrambe le mani sul suo petto.

«Grazie, è stupendo.» Gli diedi un casto bacio.

«Usciamo subito di qui, altrimenti i miei programmi andranno in fumo.»

Mi prese per mano facendo strada fino all'ascensore. Non riuscii a nascondere un sorriso malizioso. In ascensore eravamo da soli. Lui si avvicinò spingendomi contro una delle pareti sussurrandomi all'orecchio.

La sua voce roca era troppo sexy per non farmi sussultare. «Sei bellissima. Lo sai che non riuscirò a resisterti...»

«Non farlo», risposi. Appoggiò la fronte alla mia, i nostri respiri si mescolavano, gli occhi erano fissi sugli altri. Gli presi le mani e le portai davanti a noi intrecciando le dita. Mi spinse di più contro la parete bloccandomi con le braccia. Mi annusava il collo come se stesse sniffando una droga. Gemevo al suo tocco. L'ascensore si fermò e noi ci staccammo.

Giurai a me stessa che se quella notte mi avesse lasciata di nuovo a bocca asciutta, mi sarei fiondata nel suo letto. La sua vicinanza stava diventando straziante per i miei poveri ormoni in subbuglio.

Il ristorante si trovava nelle vicinanze della Torre di Tokyo. Una costruzione bassa dai tetti spioventi immersa in un giardino verdeggiante ornato da alberi potati da Giotto in persona, vista la precisione delle forme geometriche. Un ruscello illuminato da piccole luci gialle attraversava il prato. Una volta all’interno credetti di essere catapultata in un’altra epoca. Ad accoglierci una donna dal viso solcato da alcune rughe, ci sorrise e si inchinò, con un movimento leggero si girò e ci fece strada con la sua andatura oscillante. A ogni piccolo passo, il suo kimono grigio frusciava. Entrammo in una saletta privata dove era già stato tutto predisposto per due persone.

Mi guardavo intorno credendo di vivere un sogno. L'artefice era l'uomo davanti a me.

La cena prevedeva nove portate, servite in un'esperienza di tre ore. Le più lunghe e infuocate della mia vita.

Mangiammo il migliore cibo della tradizione giapponese, seduti l'uno di fronte all'altra. Le nostre mani erano intrecciate, le dita fuse. I corpi ardevano di desiderio. Ci contenemmo solo perché la vecchia cameriera non sembrava il tipo di persona che avrebbe gradito le nostre effusioni; soprattutto eravamo consapevoli che una volta iniziato non saremmo riusciti a fermarci.

Camminammo abbracciati per i pochi passi che ci dividevano dall'imponente torre rossa, una copia perfetta della Tour Eiffel. In un attimo ci ritrovammo all'ultimo piano. Appoggiai una mano sul freddo vetro dell'osservatorio. Attorno a noi miliardi di luci scintillanti illuminavano a giorno il cielo. La vista si perdeva nella distesa di alti grattacieli. Lui era dietro di me, le sue braccia mi avvolgevano i fianchi, la guancia contro la mia. Sentivo i nostri respiri vicini mischiarsi tra loro.

Altro che principe azzurro che libera la principessa dalla torre, lui aveva fatto più di quanto un principe fa nelle favole. Lui era la fata madrina e il principe insieme, mago Merlino e maga Magò.

«Sarò un tradizionalista, ma io preferisco di gran lunga la vista del Trocadero e degli Champs Elysees.»

«Molto più romantico», risposi.

«Che ne pensi se andassimo tra un mese?»

«Che ne pensi se ora andiamo in albergo?» Le mie parole lo fecero ridere.

In ascensore non eravamo soli. I nostri sguardi non avevano bisogno di traduzioni, emanavano sesso allo stato puro. Estrasse la tessera magnetica, la porta si aprì. Un odore dolce invase le narici, mi ci volle un attimo per abituarmi alla luce soffusa. La stanza era un tripudio di candele, fiori di loto e ciliegio.

Mi guardai intorno a bocca spalancata. Gli occhi esterrefatti s'inchiodarono ai suoi, feci qualche passo dentro la stanza e un tornado si abbatté su di me. Mi inchiodò alla porta, le sue labbra roventi si avventarono sulle mie mentre le nostre mani esploravano parti dell'altro che non conoscevano. Con una mano sfilò le bacchette dai capelli facendole cadere sul pavimento. La giacca volò sulla moquette grigia. Mi sollevò e mi avvinghiai con le gambe alla sua vita mentre si dirigeva verso il letto.

Mi mise seduta sul bordo, senza smettere di fissarmi si tolse le scarpe e si inginocchiò tra le mie gambe.

Le sue labbra lasciavano scie di baci lungo il mio collo. Non riuscii a resistere e chiusi gli occhi, gemendo. Si fermò, sentii il suo sguardo su di me. Aprii gli occhi «C'è una cosa che devo dirti...»

«Dopo tesoro.» Ero in astinenza da troppo tempo per parlare, desideravo solo fondermi con il suo corpo. Lui mi mandava a fuoco come nessun altro.

«No, adesso.»

Gli sbottonai la camicia, gliela sfilai e la tirai dietro di lui. Mi fermai ad ammirare i pettorali, la sua bellezza mi mozzò il respiro. Allungai le mani e le poggiai sulla pelle liscia al centro del petto solcato da alcuni peli neri e setosi. Le dita scorrevano sulla sua pelle percorsa da brividi.

«Hai ancora voglia di parlare?» chiesi.

«No, ma voglio che tu lo sappia prima di fare l'amore.» Continuavo a toccarlo nella speranza di fargli cambiare idea. Lui si scostò di qualche centimetro per guardarmi in viso.

Per tutti ormoni guizzanti nelle mie ovaie!

Ma cosa ci poteva essere di così importante? Con riluttanza feci un piccolo cenno di assenso. Il suo sorriso malizioso non presagiva nulla di buono.

«Sono rimasto folgorato da te appena ti ho vista fuori dall'ascensore, il primo giorno che sono arrivato a Milano. Il tuo sorriso radioso, i capelli come il miele, i tuoi occhi limpidi.» Con il pollice mi accarezzo un sopracciglio. «Sapevo che stavo facendo una grossa cavolata quando imposi a Silvia di scambiare gli uffici, ma volevo averti davanti a me tutto il giorno per ammirarti; adoravo vederti ondeggiare. Quante volte ti sarai chiesta perché non usassi il telefono al posto di chiamarti a voce. Erano solo scuse per farti venire da me e poter fissare meravigliato la tua bellezza.» Si fermò un attimo e fece un respiro profondo. «Con il passare dei mesi ti ho conosciuta e ho visto il meraviglioso mondo che c'è dentro di te. Ho capito subito che eri pericolosa per la mia sanità mentale, ma invece di scappare, ho fatto di tutto per arrivare a questo. Ti amo Victoria, ti amo infinitamente.»

Era già da un pezzo che ci guardavamo negli occhi. Lui attendeva qualcosa da me, qualcosa che sapevo da tanto.

«Ti amo, Christopher, da troppo, troppo tempo.»

La foga con cui entrambi ci avventammo sull'altro fu una vera esplosione di emozioni.

Lo afferrai da dietro la nuca e mi stesi sul letto tirandolo a me. Strinsi le gambe attorno la sua vita, allungai le mani verso la sua cintura per sfilargli i pantaloni. Si staccò e con un sorriso malizioso alzò l'indice e lo mosse a destra e sinistra.

«Pazienza, signorina Morelli.»

Le sue dita si mossero agili e sbottonò il vestito che mi aveva regalato, lo sollevò di qualche centimetro e sulla pelle scoperta lasciò decine di baci leggeri. Sentivo il cuore pulsare sempre più e il sangue bollire nelle vene. Le sue labbra scesero più giù, verso il ginocchio e con la lingua ne disegnò il contorno sia davanti che dietro. Ebbi un fremito, una risata fuggì dalla bocca. Chi aveva idea che fosse una zona così eccitante? Le sue dita risalirono verso il vestito e scoprirono le gambe. Con le labbra continuava a darmi piccoli baci fino a salire verso il centro del corpo. Sentii il suo alito caldo sul monte di venere anche attraverso la seta del vestito. Le mani continuarono a salire, scoprire e baciare il mio corpo. Mi sfilò il vestito con lentezza, lasciando baci in ogni centimetro di pelle scoperta, fino a quando si bloccò e lo sentii trattenere il fiato. Stavolta fui io a sorridere maliziosa.

«Sorpresa.»

Avevo indossato il completo intimo che mi aveva regalato.

«Sei più bella di come ti avevo immaginata.»

Sorrisi. Lo tirai a me, lo strinsi tra le mie gambe con forza: non mi sarebbe più scappato.

Sentivo il suo corpo sempre più eccitato strofinarsi contro il mio. All'improvviso mi bloccai.

«Chris, non vorrei fermarti, ma hai dimenticato qualcosa nei pantaloni.»

Continuava a baciarmi il collo. «Di che parli piccola?»

«Di questa cosa che sento...» Lui si avvicinò di più sorridendo contro la mia bocca.

«Ma che hai in tasca?» Toccai i pantaloni «Per tutti i cardi di Scozia!»

«È solo un amico ansioso di conoscerti.»

Un sorriso lascivo apparì sul suo viso. Si staccò da me e si abbassò la cerniera dei pantaloni sfilandoseli insieme ai boxer.

Diamine! Da dove saltava fuori quella clava dell'era preistorica? E non stavo esagerando, se lo avesse visto Rocco Siffredi lo avrebbe scelto come controfigura per il suo prossimo film. Altro che spaghetti e rigatoni!

Di sicuro non lo avrei spifferato ai quattro venti, meglio non fare sapere certe virtù del proprio uomo.

«Vuoi rimanere a fissarlo oppure lo vuoi conoscere meglio?»

Chiusi la bocca spalancata. «Certo che voglio conoscerlo!»

Mi sfilai gli slip e il reggiseno alla velocità della luce, scoppiammo a ridere entrambi mentre lo tiravo verso di me, sentendo il peso del suo corpo sul mio. Le sue attenzioni e la dedizione che metteva nell'amarmi, erano incredibili.

E poi c'erano le nostre mani. Mani che s'intrecciavano come rami di un ciliegio, mani che scorrevano sul corpo dell'altro imprimendone nella memoria ogni piccola sensazione, mani che si sfamavano vibrando nel corpo dell'altro, mani che affondavano nei capelli e ne saggiavano la morbidezza, che li stringevano, mani che scivolavano sulla pelle facendoci rabbrividire, mani assetate di conoscere l'altro, mani che amavano, mani che adoravano.

Non credevo che si potesse fare l'amore in quel modo e ridere insieme, ma con lui tutto era divertente, tutto era magico e normale allo stesso tempo, con lui tutto era semplicemente... vita.

Lui era un arcobaleno dalle mille sfumature, io, un album spoglio da colorare, lui, con un suo semplice tocco arricchiva i miei fogli con colori sgargianti e incantevoli.

Un'esplosione improvvisa di tonalità cangianti nel cuore.