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“L'amore non esiste
è un ingorgo della mente
di domande mal riposte
e risposte non convinte”
L'amore non esiste Fabi Gazzé Silvestri
Guardavo “ I ponti di Madison County ” distesa sul divano di casa con un fazzoletto stropicciato in mano, il telefonò squillò. Fissai sbalordita il nome sul display, mi schiarii la voce e risposi.
«Non posso credere che mi stia chiamando alle dieci di sera. Forza, cosa ho fatto questa volta?»
«Innanzitutto inizierei la conversazione con un buonasera Christopher.»
Erano passati tre mesi dalla sua comparsa in ufficio. Lavoravo come una matta, destreggiandomi tra i miei compiti e ad assisterlo nelle sue folli organizzazioni aziendali. Lui era un tipo instancabile, dotato di un grande talento che dimostrava nella gestione impeccabile della nostra società.
Era stato tutta la settimana nella sede centrale di Londra e in ufficio sembrava fosse scoppiato il carnevale di Rio. Mi spiaceva ammetterlo, ma preferivo quando c'era lui a tiranneggiarci.
«Hai ragione, un punto per te. Ciao Christopher, cosa ti porta a chiamarmi abbondantemente fuori dall'orario di lavoro?»
«Non ci crederai, ma in questi giorni mi sei mancata.»
Ormai avevo imparato a riconoscere il tono ironico nelle sue parole.
«Balle! Non ti credo.»
«Invece sono sincero.» Lo sembrava davvero.
«Bugiardo! Ti è solo mancato chi tiranneggiare.»
«Ti sbagli, qui c'è Jennifer che adora essere tediata, solo che lei subisce passivamente, non sa tenermi testa come fai tu.» Il suo tono diventò ironico.
«Io non ti tengo testa, ti sopporto, è molto diverso», dissi rassegnata.
«Lo fai e lo sai.»
Era vero. Gli tenevo testa e mi piaceva farlo. Mi piaceva controbattere alle sue battute acide e sentire cosa il suo organo pensante inventasse per farmi irritare sempre di più. Era un gioco di forza che nessuno dei due voleva perdere.
«Forse è solo apparenza...»
«Cosa vuol dire è solo apparenza?»
Potevo vederlo nella mia testa con l'espressione un po' corrucciata di quando cercava di capire qualcosa che gli sfuggiva. «Tutto nella vita è apparenza. Credi una cosa e poi si rivela tutt'altro.»
«Non ti seguo.»
«Uffa! A volte dimentico che sei un uomo e le tue sinapsi sono lente.»
«Forse se mi spiegassi meglio riuscirei a capirti, sono steso sul divano e sono tutt'orecchi.» Il suo tono era leggermente irritato, ma sempre con una nota di sarcasmo.
«Magari a volte le persone vogliono apparire diverse da come sono.»
Mugugnò qualcosa che non afferrai.
«Non prendermi in giro, hai capito cosa intendo.»
«Signorina Morelli, le giuro che non ho capito.»
Ebbi l'impressione che lo stava facendo apposta, solo per il gusto di farmi parlare.
«Ok ti faccio un esempio: hai presente quando entri in una pasticceria e vedi una bellissima torta? È grande, profumata, ricoperta da uno strato di soffice panna che senti già attaccarsi al palato. Il commesso dice che all'interno c'è un tripudio di cioccolata e già pregusti sulla lingua il contrasto dell'amaro e del dolce. La gratificazione delle papille e l'esplosione del sapore che arriva fino in gola. Una volta a casa apri la confezione e già noti che non è come ti era apparsa nella vetrina del negozio, ma sei speranzoso, prendi un coltello e ne tagli una grande fetta. L'odore che emana non è gradevole, anzi, lo hai riconosciuto, temi quello che pensi, ma gli dai ancora una possibilità. Avvicini il viso e inspiri, le tue narici vengono invase da quell'olezzo, capisci quanto tu sia stato ingannato. Quello non è cioccolato è solo merda. Puzzolente, fetida merda.»
Rise di gusto alle mie parole. Forse avevo utilizzato parole un po' forti, ma era quello che pensavo.
«Hai ragione, a volte le cose sono come dici tu, ma altre, l'apparenza può essere tradita positivamente.»
«Abbi pazienza, finora non mi è mai successo.»
«Un giorno succederà e sarà una bella sorpresa.»
«Stai cercando di dirmi qualcosa che non so?»
«Assolutamente no!» rispose troppo velocemente, ebbi il dubbio che stesse mentendo.
«Certo, potrei cambiare idea su di te, se la smettessi di tiranneggiarmi.»
«Non esiste, è troppo divertente vederti scattare come una molla nel mio ufficio e sentire le battute acide che riesce a formulare il tuo cervellino.» Era chiaramente divertito dalla nostra conversazione.
«Sai una cosa? Non sono mai stata tanto acida in vita mia. Tu riesci a tirare fuori il peggio di me», dissi sincera.
«Se questo è il tuo peggio, non voglio conoscere il meglio.»
Rimasi un attimo senza parole. Risi coinvolgendolo. Entrambi continuavamo a parlare, parlare, parlare. Mi raccontò della sua settimana a Londra, della pioggia che cadeva incessante e del film che aveva visto la sera prima. Il tutto contornato dalle nostre battute. Eravamo due sciocchi che ridevano come matti a mezzanotte passata. Erano già passate due ore e mezza dall'inizio della telefonata e non me ne ero nemmeno resa conto.
«È bello sentirti ridere», disse dall'altra parte. Mi bloccai.
«Chris, ti rendi conto che strano verso sta prendendo questa conversazione?»
«Non ci trovo niente di strano.» Il suo tono sicuro mi fece tentennare un attimo.
«Come no? Tu sei il mio capo e invece mi sembra di parlare con il mio migliore amico.»
«Sarebbe terribile se lo diventassi?»
Assolutamente no.
Pensai sorprendendo me stessa. «Certo, perché noi ci detestiamo!»
«Noi non ci detestiamo. Abbiamo solo un grande rispetto reciproco che sfocia nella nostra ironia.»
«Ok, essere dotato di profonda ironia, ti auguro una buona notte. Domani torna il grande capo dopo una settimana di pacchia. Devo essere in forma per subire i suoi continui attacchi.»
«Stai fuggendo signorina Morelli?» Il suo tono pungente mi diede ai nervi all'istante.
«La smetti di chiamarmi signorina? Ha un non so che di irritante come lo pronunci.»
«Perché come lo pronuncio?» Voleva provocarmi. Dovevo mettere la parola fine a quella conversazione, prima di dire altro più compromettente.
«Buonanotte, Chris.»
Chiusi la telefonata senza attendere la sua risposta. Nella mia mente potevo vedere il suo ghigno soddisfatto.
Prima di addormentarmi ripassai in testa la telefonata, una strana sensazione mi attorcigliò lo stomaco.
* * *
Ero al bar con Viviana e Alberto a prendere il secondo caffè della giornata.
Viviana ci rivolse la solita domanda del mattino. «Che avete fatto ieri sera?»
«Io sono uscito con una tipa che ho conosciuto la scorsa settimana.» Dalla sua espressione schifata capimmo che era meglio non chiedere altro.
Arrivò il turno di Vivi e, come sempre, non si tirò indietro dal raccontarci le rocambolesche avventure con la sua nuova conquista.
«Ieri sera sono uscita con un tipo nuovo, uno molto figo, ma scarso in contenuti. Fin qui niente di cui non mi aspettassi, per il tipo di rapporto che avevo in mente lui era perfetto. Andiamo a prenderci una cosa da bere, lui parla tutto il tempo del suo lavoro in banca, dei colleghi, come se me ne fregasse qualcosa, ma soprattutto di lui, di quanto è bravo, brillante e chi più ne ha più ne metta.»
«Cielo! Immagino il tipo tutto pieno di sé», commentai ironica.
«E non hai sentito il resto. Fuori dal locale ci baciamo e devo ammettere che non era male, Mi invita a casa sua, io mi ero preparata indossando la mia biancheria più sexy.»
«Vai ragazza!» La incitammo io e Alby.
«Saliamo in casa, appena chiude la porta ci baciamo spogliandoci, lui mi guida verso la camera da letto. Ci stendiamo e, non scherzo, tempo tre minuti aveva già finito. Alle undici ero già a casa in pigiama.»
Io e Alberto scoppiammo a ridere.
«Ha anche avuto il coraggio di chiedermi se mi fosse piaciuto!»
«La colpa è di voi donne. Cercate sempre lo scimmione di turno e non un uomo vero come me.»
Stavolta ci guardammo io e Viviana e scoppiammo a ridere.
«Ma li trovi tutti tu?» le chiesi.
«Ma che ne so, era anche ben dotato!»
«La solita storia... buona attrezzatura, ma poca propensione all'uso», commentai.
«Basta! Non voglio sentire altro. Voi donne siete perfide con la vostra solidarietà uterina», disse Alberto. Uomini! Loro potevano commentare le loro performance come se parlassero di una partita di calcio, noi, invece, saremmo dovute restare zitte. Secondo lui.
«E tu?» mi chiesero in coro.
«Sono stata a casa a vedere un film.»
«Ho provato a chiamarti, ma era sempre occupato», disse Vivi.
«Parlavo con Winny », mormorai appena.
Il loro coretto dell'Antoniano mi trapanò un timpano. «Con chi?»
«Mi ha chiamata perché gli mancavo.»
Errore... grande errore...
Alby si strozzò con un sorso di caffè e iniziò a tossire. I due si scambiarono un'occhiata complice che conoscevo bene.
Il mio tono allarmato si alzò di alcune ottave. «Non è come pensate!»
«Scusa e cosa dovremmo pensare?» chiesero increduli.
«Gli mancava tiranneggiare qualcuno, forse voleva appagare il suo ego smisurato o la mancanza dei suoi attributi, che ne so.»
«Ti ha urlato contro?» chiese Alby stringendo gli occhi.
«No, anzi, è stata una telefonata lunga e interessante.»
«Lunga quanto?» continuò Vivi.
«Un paio d'ore.»
Vivi strabuzzò gli occhi . «E che diavolo vi siete detti per un paio d'ore?»
Gli raccontai a grandi linee la telefonata pentendomene immediatamente, i sorrisi sui loro volti erano più che eloquenti.
«Vicky c'è un qualcosa di perverso in voi», disse la mia amica rivolgendomi degli strani sguardi.
Per fortuna Laura fece il suo ingresso interrompendo la conversazione, altrimenti, non so quei due cosa avrebbero tirato fuori dalle loro piccole menti malate.
* * *
Come da programma, Winny fece il suo ingresso a mezzogiorno in punto. Lo sguardo gelido ghiacciò tutti. Se ripensavo alla persona che rideva insieme a me la sera prima, non riuscivo a riconoscerlo. Ebbi l'impressione che lui, esternamente, fosse una schifosa torta di merda, ma quando l'assaggiavi si rivelava la più buona del mondo.
Lo salutammo tutti in coro mentre sfilava verso il suo ufficio, richiudendo la porta.
Cinque, quattro, tre, due, uno...
«Victoria!»
Come da copione la sua voce tuonò nell'ufficio.
Lo sguardo compassionevole dei miei colleghi si posò per un attimo su di me, sostituito a lampo dal sentimento di sollievo per non essere loro al centro delle sue attenzioni. Che vigliacchi!
«Buongiorno boss, tutto bene il volo?»
La mia voce risuonava allegra. Sapevo che questo lo irritava quando era di cattivo umore e, quella mattina, lo era particolarmente.
«Aspettavo un feedback da Silvia. Scopri perché diavolo non lo ha inviato.»
«Subito. C'è altro?»
«Portami un caffè decente, in aereo ho bevuto una brodaglia schifosa.»
«Di cattivo umore stamattina?»
Potevo risparmiarmi quella battuta sapendo che l'ovvietà della domanda lo avrebbe surriscaldato di più, ma era troppo divertente vedere le vene ai lati degli occhi colorare di rosso la sclera.
Uscii prima che potesse tirarmi addosso il fermacarte con cui mi stava minacciando.
Dopo un'ora mi chiamò al suo cospetto. Chiusi il telefono e alzai gli occhi al cielo. Quella giornata si preannunciava pesante.
«Prendimi qualcosa per il pranzo, sto morendo di fame e non ho tempo di andare da nessuna parte.»
«Hai preferenze?»
«No, ma scegli anche per te, ho un lavoro da farti fare.»
Tradotto in parole semplici: avrei lavorato fino a tardi.
Ormai conoscevo bene i suoi gusti. Andai nel ristorante di Tony e ordinai cous-cous con pollo e verdure per me e risotto ai frutti di mare per lui.
Ci sedemmo uno di fronte all'altro, la sua scrivania era invasa da fascicoli e documenti.
«Cosa cerchiamo?»
«Una spia.»
«Cosa?» La sorpresa si dipinse sul mio volto.
«Qualcuno sta passando informazioni alla concorrenza, da Londra sono sicuri che provenga da questa sede.»
«Adesso non spariamo a zero con i soliti pregiudizi sugli italiani», dissi piccata.
«È la stessa cosa che ho detto io, ma il consiglio vuole che vada a fondo.»
«Dove dobbiamo cercare?» chiesi curiosa.
«Qui ci sono i tabulati telefonici e le email che sono partite e arrivate nelle caselle di posta elettronica aziendale.» Dalla sua valigetta prese dei documenti e alcune chiavette usb.
«Cielo! E la privacy?»
«Victoria, ti ho chiesto di aiutarmi perché mi fido di te e so che non andrai a spifferare niente a nessuno.»
Erano migliaia di fogli e file, da soli non saremmo arrivati a niente. Mi venne un'idea.
«Abbiamo bisogno di aiuto.» Mi guardò come se fosse una cosa ovvia. «Ti fidi di me?»
Mi fissò per un lungo attimo e annuì. Uscii dal suo ufficio. Feci ritorno dopo qualche minuto in compagnia di Alberto e Viviana.
Una volta chiusi dentro, con i vetri oscurati, spiegammo loro il problema. Dopo lo stupore iniziale si misero al lavoro insieme a noi.
Alberto era un genio dei computer e Viviana conosceva tutti. Insieme avrebbero potuto darci l'aiuto che speravamo.
Stavo leggendo alcune email di uno degli impiegati del commerciale.
«Sapevate che Maurizio fa le corna alla moglie?» dissi con il mio cucchiaio ancora per aria.
«Lo sanno tutti, anche lei lo ha scoperto da poco», rispose Vivi.
«Ma dove vivi?» incalzò Alby.
«Chiusa dentro queste quattro mura...» Il mio tono ironico era rivolto verso Christopher.
«Il tuo cous cous sembra invitante.» Winny guardava il mio cibo speranzoso.
«È molto buono, vuoi provare?» Avvicinai il piatto verso di lui.
«Le mie posate sono infette.»
Sapeva che ero allergica ai molluschi, anche un minuscolo pezzo poteva essermi letale. Senza pensare riempii il mio cucchiaio di cous cous e glielo ficcai in bocca.
«Mhmm, ricordati di prenderlo anche a me la prossima volta.»
Si avvicinò per rubarmi il cucchiaio, io opponevo resistenza, mi afferrò il polso tirandomi verso di lui.
«Te lo do io, altrimenti lo finisci tutto!»
«Sei ingorda!» Continuavamo a lottare per il possesso del cucchiaio.
«Sono solo affamata.»
I miei amici si erano bloccati a bocca aperta a guardare il nostro piccolo spettacolo. Di solito non ero una che amava condividere il cibo e ben che meno le posate, loro lo sapevano bene.
«Che avete voi due?» Il mio tono minaccioso doveva averli intimoriti.
«Niente!» Si affrettarono a rispondere mentre si immergevano nei documenti.
Erano quasi le nove di sera quando Alberto gridò: «Eureka!»
Sul suo volto c'era un'espressione trionfale «È stato molto furbo, ma allo zio Alby nulla sfugge.»
Ci mostrò che la talpa era un tizio dell'ufficio di Francoforte venuto da noi per qualche settimana e, dalla nostra sede, aveva avuto i contatti con la concorrente.
Christopher si appoggiò alla spalliera della poltrona con le mani giunte in preghiera davanti la bocca.
«Bel lavoro ragazzi! Sono davvero impressionato. Per premiarvi vi porto a cena fuori.»
Vivi e Alberto si guardarono in faccia imbarazzati, indecisi se accettare.
«Forza! Non morde mica», aggiunsi.
Concordammo che avevamo bisogno di proteine a profusione.
Il ristorante argentino vicino ai Navigli, era il nostro preferito. Già potevamo pregustare il sapore di una succulenta costata di manzo o di un controfiletto contornato da patate al cartoccio con una montagna di formaggio filante; non era proprio il massimo per la linea, ma non riuscivo a resistere, come non riuscii a resistere dall'ordinare un tortino con cioccolata calda all'interno.
«Se continui a mangiare così, prenderai di nuovo i chili che hai perso in questo periodo.»
Mi voltai verso Christopher con gli occhi fuori dalle orbite.
«Che problemi hai contro le donne un po' in carne?»
Alberto mormorava piano in direzione di Christopher. «Amico, stai zitto! È un consiglio.»
«Io niente, anzi, le preferisco a un mucchio di ossa, ma siete voi che tendete a non accettarvi mai.»
«Va beh... sì, forse...» Il tono della mia voce si addolcì. «Tu come fai a sapere che sono dimagrita?» Qualcuno si era accorto dei miei sforzi.
«Sono dotato di un'ottima vista. Stai molto bene, si sono accentuate le fossette sul viso.»
I nostri occhi s'incrociarono e io arrossii, lui non era solito fare complimenti, mi girai in direzione di Viviana che spostava lo sguardo da me a Winny . Che diavolo aveva da fissarci in quel modo?
Christopher si alzò per andare in bagno e noi tre rimanemmo da soli.
Alberto mi aveva afferrato per un polso costringendomi a guardarlo. «Che diavolo succede tra voi?»
Mi liberai dalla sua presa in modo brusco. «Che vuoi dire?»
Vivi s'intromise tra noi. «Vicky, vi comportate come una coppietta, oggi lo hai imboccato e non lo hai ucciso per aver fatto una battuta sulla tua linea. Qualcosa mi puzza.»
«Voi siete paranoici!» mi difesi.
«Victoria, io non mi ero nemmeno accorto che avessi le fossette sulle guance, e ci conosciamo da quasi vent'anni», replicò Alberto.
«Si vede che pensi ad altro quando mi guardi.»
Alberto fece una smorfia di disappunto. «In ufficio non fanno che parlare di voi, dei vostri pranzi e delle vostre uscite di lavoro. Tutti abbiamo gli occhi e vediamo come vi guardate» , ribatté il mio amico.
«Siete tutti pazzi!»
«Vicky, lui non è male, è anche simpatico, ma è il nostro capo supremo, stai attenta a non rimanere scottata quando lui tornerà a Londra», disse Viviana.
Arrivò al tavolo e, come bambini beccati con il vaso di Nutella in mano, ci zittimmo di colpo.
«Ho interrotto qualcosa?»
«Niente d'importante», risposi decretando l'argomento definitivamente chiuso.