20
“L’essenziale è invisibile agli occhi”
Il Piccolo Principe A. de Saint-Exupéry
Sabato pomeriggio di sano e appagante shopping da sola. Niente di meglio per rifocillare lo spirito.
Entravo e uscivo dai negozi del centro, perdendo tutto il tempo che volevo tra una gonna e un reggiseno. Quello era il bello di non avere zavorre alle caviglie. Parliamoci chiaro, avere un uomo accanto mentre si fa shopping è peggio delle sette piaghe d'Egitto. Una punizione divina per noi donne e per gli uomini.
Li vedevo intorno a me, mano nella mano con le mogli o le compagne mentre venivano trascinati da un negozio all'altro. Nei loro occhi c'era solo noia e disperazione. I più si stravaccavano nelle panchine con il telefono in mano e il musone stampato in viso. Avevo il sospetto che le boutique pagassero profumatamente il Comune per la manutenzione di quegli oggetti utili al sostenimento delle ciapett maschili. Io, invece, svolazzavo leggera senza nessuno che mi frantumasse le sinapsi con continue lamentele.
Per la sera ero riuscita a evitare un'uscita a quattro con Vivi, il suo nuovo ragazzo e un fantomatico amico carino e single. M'inventai un improrogabile impegno di famiglia. Non avevo voglia di conoscere nessuno a un mese dalla mia partenza.
Dovevo togliermi il brutto vizio di rispondere al telefono senza guardare chi chiamasse. La sua voce risuonò dall'altra parte del cellulare.
«Mi sto annoiando da morire, dove sei?»
Per un attimo ebbi la tentazione di chiudergli il telefono in faccia fingendo l'assenza di segnale ma, conoscendolo, avrebbe controllato i tabulati e la presenza di celle nella zona.
«Chris, che piacere sentirti.» Come un mal di stomaco in piena notte. «Mi spiace ma sono fuori e qui la linea non prende bene.»
«Lo so che sei fuori, sono passato da casa tua e non c'eri.»
Che cosa?
«Ma che ci fai a Milano? Non dovevi partire ieri per Londra?»
«Per uno sciopero hanno annullato il volo e riprogrammato per stasera, ma ho rinunciato e adesso mi sto annoiando. Dimmi dove sei, ti raggiungo.»
No, assolutamente no!
Quello era il mio pomeriggio di relax e solitudine e tale doveva rimanere.
«Mi spiace sto facendo shopping.» Un qualsiasi uomo normale, a quella parola, avrebbe avuto uno shock anafilattico seguito da un arresto cardiaco.
«Fantastico! Anche io ho bisogno di alcune cose. Dove ti raggiungo?»
Ok, dovevo essere più diretta. «Scusa Chris, forse non hai capito, sto facendo shopping. Sai? Entrare e uscire dai negozi, guardare milioni di scarpe, borse e vestiti che proverò e magari nemmeno comprerò?»
L'acidità della risposta mi lasciò perplessa. «Guarda che ho capito, non sono mica scemo. Fai la brava, dimmi dove sei...»
Tentennai ancora per qualche secondo, già mi vedevo come quelle donne con i loro musoni accanto.
«A una sola condizione.» Alla fine ero una buona di cuore.
«Tutto quello che vuoi.»
«Non dovrai mai e dico mai, lamentarti per quanto tempo perdo dentro un negozio, dare giudizi non richiesti e useremo anche la tua carta di credito.» L'ultima affermazione era il mio salvagente nella speranza che si ravvedesse.
«Ok.»
«Ma hai capito bene? La tua carta di credito», ripetei per farlo rinsavire.
«Ti comprerò tutto quello che vuoi.»
Era impazzito! Nessun uomo sano di cervello direbbe a una donna ti comprerò tutto quello che vuoi, soprattutto senza sapere in quale via di Milano fossi. E, io, ero nel quadrilatero della moda, per l'esattezza in via Della Spiga.
«Ci vediamo da Tiffany, e non usare la scusa di aver perso il portafogli.»
Lo sentii ridere mentre mettevo giù.
Stavo perdendo la vista in mezzo al luccichio di diamanti di vari colori. Quello era il regno di ogni donna.
Avvertii il suo profumo prima di riuscire a vederlo. Mi abbracciò da dietro schioccandomi un rumoroso bacio sulla guancia. Sobbalzai per la sorpresa, sotto lo sguardo della commessa che sorrideva alla vista di un'imminente vendita. Con una mano aprì il suo giubbotto in pelle. Con i jeans chiari e gli anfibi ai piedi era sexy da morire.
La sua faccia era allegra. «Ciao mia salvatrice.»
«Conserva quest'euforia per quando dovrai esibire la carta di credito.» Lo minacciai.
Lui mi sorrise. Con un inchino e il gesto di una mano indicò le vetrine davanti a me.
La commessa arrivò come un falco su di noi. «Cercate qualcosa in particolare?»
Zittii Christopher stringendogli la mano e mi rivolsi alla donna. «Stiamo solo dando un'occhiata.»
Con la mano libera Chris mi accarezzò una guancia. «Su tesoro, dì alla signora cosa ti piace.» Un sorriso beffardo gli si stampò sul volto.
«Attento! Potrei puntare su qualcosa con molti carati e il massimo della limpidezza.» Sorrisi affabile alla commessa, la ringraziai e prendendo sotto braccio il mio accompagnatore ci avviammo fuori dal negozio.
«Non avevi detto che dovevi fare shopping?»
«Sarebbe troppo facile, per te, che tutto si riduca a un ninnolino. Devo rinnovare il guardaroba in vista del nuovo lavoro.» Quello era il momento in cui doveva darsela a gambe levate. «In effetti ho bisogno di due braccia forti.» Neanche il mio sorrisetto luciferino gli tolse l'espressione serafica dal viso.
Entrammo in vari negozi dove provai e riprovai scarpe, stivali e qualsiasi indumento si potesse indossare.
La sua calma cominciava a darmi sui nervi, come i consigli sempre molto azzeccati. Sembrava conoscere i miei gusti e quello che mi stava bene addosso. Scoprii un lato che non conoscevo di lui, in effetti non lo conoscevo in nessun uomo.
Anche lui non era immune al fascino dello shopping, la metà delle decine di buste che avevamo in mano erano sue.
Tre negozi di scarpe e cinque di abbigliamento dopo, lui aveva ancora un'espressione tranquilla in volto, io ero già stanca, ma mai avrei dato segni di cedimento. Stavo guardando dei maglioni in cachemire, lui ne aveva presi un paio per sé insieme a delle camicie e un piumino. Era più pericoloso di una donna.
La sua voce mi ridestò dalle elucubrazioni mentali, in mano aveva una stampella.
«Questo secondo me ti starebbe bene.» Guardai con aria schifata il vestito grigio perla in maglia di lana a collo alto, troppo aderente per i miei gusti.
«Mi farebbe il culo come una mongolfiera», dissi sollevando una mano per bloccarlo.
«Non è vero, provalo!» Continuava a sbattermelo in faccia e io a respingerlo.
Come una faina la commessa si avvicinò a noi. «Il suo fidanzato ha ragione, le starebbe bene.» Le schioccai un'occhiata fulminandola. «Non è il mio fidanzato!»
Per grazia del cielo!
La ragazza era imbarazzata. «Scusi, suo marito.»
Lui se la rideva sotto i baffi. Alzai gli occhi al cielo lasciando perdere.
Si era avvicinato a me passandomi un braccio attorno alla vita parlando con voce suadente. «Tesoro provalo.» Si stava divertendo a fare la parte del maritino.
«Non mi piace nemmeno questo color noia, mi farebbe sembrare un fantasma.»
«Forse hai ragione, hai la pelle troppo chiara.» Si rivolse alla ragazza. «Non c'è un altro colore?» Cos'era? Un personal shopper?
La commessa scattò come un fulmine tornando con il vestito color prugna. Di bene in meglio, ero pronta per una bevanda lassativa.
«Questo le starebbe meglio.» Quei due continuavano a disquisire sul vestito, mi stavano portando all'esasperazione. M'infilai dentro il camerino per non sentirli più blaterare.
La sua voce tuonò oltre la tenda. «È da tre ore che sei lì dentro; che stai facendo?»
«Io non esco con questo coso, mi si vede perfino la cellulite!»
Con uno scatto fulmineo aprì la tenda. Mi afferrò la mano e mi tirò fuori da quel cubicolo. Il suo sguardo accarezzava la mia figura risalendo più volte.
«Sei molto sexy.»
«Sono grassa, non sexy.» Continuavo a guardare il mio sedere che sembrava un sormontè farcito per il pranzo di Natale.
«In effetti ha le forme abbondanti. Ci vuole qualcosa che le nasconda.» La ragazza voleva morire. Ero una quarantaquattro mica una cinquantasei. Non feci in tempo a dire niente che Chris mi precedette.
«Scusa?» Guardò la ragazza ghiacciandola. «Vorresti dire che mia moglie è grassa?»
La commessa arrossì di colpo. «No, lungi da me, ma forse le starebbe meglio un altro genere di vestito.»
«Infatti», concordai con la ragazza.
«Mia moglie è perfetta, sei tu a essere magra come una mantide religiosa.»
La ragazza perse colore.
«Non farci caso, ha le sue cose.» Strizzai l'occhio alla commessa e lei sorrise.
«Quella specie di bastone di scopa non ne capisce niente», continuava a inveirle contro. Mi sentii lusingata, ma stava esagerando con la parte del maritino premuroso.
Sussurrai al suo orecchio. «Chris smettila! La stai mortificando.» Con i miei vestiti addosso lo afferrai per un polso e lo trascinai alla cassa.
«Dov'è il vestito?» chiese guardando la montagna di cose che stava pagando.
«Zitto e paga!»
La cassiera si bloccò dal battere lo scontrino. «Avete dimenticato qualcosa?»
Parlammo all'unisono. «Sì!» rispose lui. «No!» dissi io.
«Il vestito lo prendiamo», affermò.
«Assolutamente no! Non lo metterei mai e per quello che costa è uno spreco.»
«Pago io e tu lo prendi.»
Era diventata una questione di principio tra lui, me e la ragazza. Uomini! Ecco perché non bisogna mai portarseli dietro.
Alla fine uscimmo con il conteso vestito dentro una delle tante buste. Per me lo poteva indossare lui.
* * *
Eravamo seduti in bar di via Manzoni con una cioccolata calda davanti a noi.
«Dove vuoi che ti porti a cena?» disse all'improvviso.
«Non sei ancora stanco della mia compagnia?» Piegai la testa di lato e lo fissai.
«No, mi piace passare il tempo con te.»
«Tu sei strano», dissi con convinzione.
Fece spallucce e leccò il cucchiaino. «Dovrai sopportarmi anche domani, non intendo rimanere solo senza niente da fare.»
«Potresti farmi le pulizie in casa, vetri, pavimenti, ordinare...»
Mi guardò sbigottito. «Dici sul serio?»
«Sto scherzando!»
Scoppiammo a ridere. «Per un attimo ho creduto che dicessi sul serio.»
In effetti avrei potuto approfittare della sua prestanza fisica. Poteva sbattere i tappeti e pulire sopra gli armadi. Peccato per lui che avevo il mio impegno mensile con Lavinia.
«Domani ho un impegno.»
Il suo viso avvampò di colpo. «Scusami, ho dato per scontato che...»
«Dato che sono zitella non avessi una vita fuori dal lavoro», conclusi per lui.
«Non intendevo questo.» Abbassò lo sguardo. Richiamai la sua attenzione sventolando una mano davanti a lui.
«Ma potresti venire anche tu.» Anzi, uno come lui era proprio quello che ci voleva. «Devo solo andare in un posto all'aria aperta con alcuni amici.» Ci saremmo proprio divertiti.
«Mi scambieranno di nuovo per tuo marito?» disse.
«A loro non importa.»
* * *
Erano anni che non andavo a Bergamo Alta. Christopher non c’era mai stato. Parcheggiammo in centro e lo guidai sotto le Mura.
Non avevo fatto i conti con la confusione del sabato: la fila per prendere la funicolare era un lungo serpente, per fortuna il tempo con lui scorreva veloce. Entrati dentro l'abitacolo si appoggiò contro il finestrino, gli altri passeggeri fecero il resto schiacciandomi contro di lui. Passò un braccio attorno alla mia vita per non farmi sobbalzare da una parte all'altra. In silenzio ci godemmo il panorama delle luci di Città Bassa divenire più piccole e l'orizzonte allargarsi sempre di più. Stretti tra noi, i respiri vicini, il suo profumo fin dentro le ossa, il suo sguardo nel mio.
Dei ragazzi dietro di noi scherzavano tra loro. Uno diede una spinta all'altro che finì contro di me, spingendomi tra le braccia di Chris e la faccia affondata nel suo petto.
È risaputo che i cambiamenti sono un periodo in cui si ha più bisogno di coccole e, forse, era quello il motivo per cui le mie braccia si aggrapparono ai suoi fianchi e la faccia rimase sul suo petto a sentire il battito del cuore. Bum bum, bum bum, bum bum, com'era accelerato! Ma mai quanto il mio che stava esplodendo. Sentii le sue labbra calde posarsi sulla fronte. Alzai gli occhi e le vidi a qualche centimetro da me. Provai l'impulso irrefrenabile di avvicinarmi e farle mie. Nella testa ronzavano le parole di una vecchia canzone di Mina. “Mi sei scoppiato dentro al cuore all'improvviso, non so perché, all'improvviso.”
La cabina si fermò, le porte si aprirono. Le persone all'interno iniziarono a defluire. Mi staccai da lui di colpo, come se mi fossi scottata.
In un attimo ci trovammo in piazza Mercato delle Scarpe. Un fiume di persone saliva e scendeva ordinatamente da via Gombito. Ci facemmo guidare dal flusso. La sua mano cercò la mia stringendola forte.
Lui si guardava intorno incantato dall'atmosfera medievale, i balconi traboccanti di fiori e le luci giallognole che illuminavano i nostri passi.
La sua espressione era entusiasta. «È bello qui.»
«Sapevo che ti sarebbe piaciuto.»
Ci fermammo in piazza Vecchia, invasa da turisti e persone che facevano foto o parlavano tra loro. Prese il cellulare e scattò alcune foto intorno. Si avvicinò a me passandomi un braccio attorno alle spalle.
«Qui ci vuole un selfie.»
Sorrisi all'obiettivo guardando nel display dove i nostri volti erano vicini. Si staccò da me, armeggiò con il telefono e mi mostrò il risultato.
«Che te ne pare? Siamo venuti bene.»
Provai una strana morsa allo stomaco, io e lui a un palmo di naso, sorridenti, con lo sfondo della fontana Contarini, i suoi occhi come smeraldi vicini ai miei azzurri. Prato contro cielo. Sentii milioni di animali danzarmi nella pancia, forse era la fame.
«Niente male.» Strizzai l'occhio ridandogli il telefono.
«Ho fame, andiamo in quel ristorante laggiù?»
Senza volerlo aveva indicato il mio ristorante preferito, all'angolo con la piazza e via Gombito.
Annuii e ci dirigemmo da quella parte. All'interno Christopher ammirava le foto di Bergamo antica appese al muro, commentandole. Ridevo alle sue battute guardando distrattamente la gente attorno. Una coppia veniva incontro a noi. C'era qualcosa di familiare nel modo in cui l'uomo brizzolato teneva stretta a sé la bionda dal fisico longilineo, un fugace bacio sulle labbra come due ragazzini, ridacchiarono tra loro. Sorrisi a quel tenero gesto, misi a fuoco meglio. Panico! I miei genitori insieme ad alcuni amici. Afferrai per un polso Christopher, riluttante e inconsapevole del pericolo, mi tirava dalla parte opposta.
Troppo tardi. La voce stridula di mia madre si era elevata nella stanza. «Ragazzi! Che piacere vedervi insieme.» Mi girai verso di loro con un finto sorriso.
Minacciai Christopher a denti stretti. «Tu non aprire bocca, le tue parole hanno lo stesso effetto dell'apocalisse su di me.» I boia erano davanti a noi con dei sorrisi smaglianti sul volto e gli occhi luccicanti.
«Mamma, papà, cosa ci fate qui?»
Sottotitolo: con tanti posti proprio a Bergamo dovevate venire?
«Siamo stati a una mostra davvero interessante. Voi invece?» Il tono malizioso di mia madre era rivolto a Chris. La mia pressione era alle stelle.
«Siamo appena arrivati, non sono mai stato a Bergamo e Victoria è stata così gentile da accompagnarmi.»
Tirai un sospiro di sollievo, per fortuna niente di compromettente. Il cameriere si avvicinò a noi per accompagnarci al tavolo. Tirai Christopher, ma mia madre fu più veloce ad agguantarlo.
«Domani vieni a pranzo da noi, ci farebbe piacere.» Gli occhi luciferini di mia madre erano fissi su di me.
Le parole gli uscirono timide sotto la mia stretta al braccio tipo laccio emostatico. «In verità, Ingrid, domani avrei già un impegno...»
«Domani è domenica, non ci sono impegni tranne quelli in famiglia, come Victoria sa benissimo. Anche lei non mancherebbe per nessun motivo al mondo alle lasagne di Marisa.»
Altro che velata minaccia o toni intimidatori. Quello era un ordine a mano armata.
Era rassegnato. «Vedrò cosa posso fare.» Lo tirai verso la sala borbottando contro di lui.
«Ti avevo pregato di stare zitto.»
«È stata lei, io non ho quasi fiatato, mica potevo ignorarla.»
«Forse avresti dovuto.»
Sorrise. «Tranquilla, è solo un pranzo.» Mi strizzò l'occhio. Mi sarei vendicata l'indomani mattina.
Avevo quasi spazzolato il piatto di brasato con polenta taragna. Ero ancora arrabbiata per come mia madre ci aveva incastrati.
«Fammi un sorriso, non rovinare la nostra serata.» Prese la mia mano, mi sciolsi come neve al sole. «Ecco, così va meglio.» Sorrise stringendo di più le dita tra le sue. «Una volta una persona mi disse che la vita è un soffio e lei voleva essere quel vento per decidere da che parte andare.» Si ricordava le mie parole...
«Infatti, non mi piace essere manipolata.»
«Non devi arrabbiarti altrimenti ti farai trascinare. Trova il lato positivo.» Inclinò la testa per guardarmi meglio.
Avrei passato del tempo con lui. Era quello il lato positivo.
«La vita è piena di momenti magici, il più delle volte non ci facciamo nemmeno caso, scorrono davanti ai nostri occhi resi ciechi dagli impegni e dalla quotidianità. Incontriamo persone che possono cambiare la nostra vita, ma non diamo più ascolto al cuore indurito dalle delusioni, solo alla testa.» Chiuse la mia mano tra le sue, accarezzando con i pollici il dorso. «Dovremmo fermarci un attimo, guardare intorno e farci avvolgere da ciò che abbiamo. Magari quello a cui aneliamo è proprio a un passo da noi, dobbiamo solo allungare la mano e afferrarlo.» Staccò una mano e con la punta dell'indice mi sfiorò il naso. «Io in questo periodo sono così, fermo, a godermi quello che ho intorno e ne sono incantato. So che devo anche afferrare ciò che voglio e non solo ammirare.»
I suoi smeraldi brillavano di una luce splendente, mi guardava con quegli occhi ammaliatori. Non avevo idea di cosa gli passasse per la mente. Momenti magici. Anche noi avevamo vissuto un momento magico dentro la funicolare. Il calore del suo corpo, il battito cardiaco...
«Perché non lo fai?»
Mi sorrise con un'espressione da Gioconda. «Ci sto lavorando da qualche mese e se riuscirò, sarà la mia più grande vittoria.»
All'improvviso tutto mi fu chiaro. Parlai sottovoce. «Hai avuto un'offerta da qualche nostra concorrente?»
Sgranò gli occhi e mi guardò a bocca spalancata. «Scusami, forse non ne vuoi parlare.»
«Non è questo... è che... lasciamo perdere.» Agitò la mano davanti a me volgendo lo sguardo da un'altra parte.
«Chris, se vuoi io sono qui, lo sai, non dirò niente ad anima viva.» Poggiai una mano sulla sua, lui la incastrò tra le sue rivolgendomi uno sguardo intenso.
«Lo so che mi posso fidare di te, ma aspetterò che arrivi a Londra, poi ne riparleremo. Devo solo capire alcune cose.»
* * *
Alle sette e mezzo del mattino ero già sotto il portone di casa sua. Per strada ci fermammo a fare colazione. Avevamo bisogno di calorie per affrontare la giornata.
Mentre mi infilavo nella stradina fuori città, lui mi guardava sospettoso. «Dove mi stai portando?»
«Un posto che ti piacerà.»
«Sicura che non me la farai pagare per ieri?» Mi scrutava cercando di capire ogni singolo movimento.
«Io? Non ne sarei mai capace.» Un sorriso sghembo mi affiorò in viso.
«Tu mi condurresti al patibolo rifilandomelo per Disneyland.»
Scoppiai a ridere. Come diavolo faceva a conoscermi così a fondo?
Mi parcheggiai poco distante dall'ingresso. Lui mi guardava sbigottito. «Vengo una volta al mese come volontaria, do una mano ai ragazzi e a mia cognata.»
Aprii il cofano della macchina di mio fratello pieno di vecchie coperte e sacchi di crocchette. Lui mi aiutò a scaricare l'auto prendendo i pacchi più pesanti e lasciando a me quelli più leggeri.
Mentre ci avvicinavamo sentivo i cani guaire. Mi avevano fiutata.
«Perché non me lo hai mai detto prima, sarei venuto altre volte.» Rimase un attimo a fissarmi riflettendo. «Ecco perché Paco ti adorava.» Alzai le spalle.
Lavinia ci venne incontro insieme a Generale, un vecchio meticcio oramai mezzo cieco ma dal fiuto infallibile. Mi abbassai e lo chiamai, lui mi venne incontro scodinzolando.
La faccia sorpresa di Lavinia era rivolta nella mia direzione. «Non ci credo! Christopher, cos'hai fatto per meritare il castigo di Victoria?»
«Ciao Lavinia, è un piacere potervi aiutare.» Sorrise sincero.
«Non dirlo troppo presto, qui c'è da lavorare parecchio.»
Alla fine non fu una vera e propria punizione. Christopher adorava gli animali e i cani sembravano ricambiare il suo affetto.
Mi aiutò a dare da mangiare, a pulire le cucce e a portare a passeggio i cani. Io avevo al guinzaglio Generale e Fiocco, lui altri due più giovani appena arrivati. Camminavamo per i campi vicino al canile parlando tra noi.
«Da quanto tempo lo fai?» chiese.
«Più o meno otto anni, da quando Lavinia e James stanno insieme. Ho iniziato per caso, lei mi disse che avevano bisogno di una mano ed eccomi qui.»
I suoi cani lo tiravano, ma lui li dominava senza fatica. «Com'è che non te ne sei portata uno a casa?»
«Mi piacerebbe, ma sono tutto il giorno fuori, sarebbe una crudeltà per lui.»
Annuì. «Ti capisco, negli ultimi due anni Paco è stato sbattuto da una parte all'altra e ho dovuto trovare persone che potessero tenerlo quando non c'ero, ma lui c'era già e non potevo darlo via.»
«Paco era molto dolce, mi ero affezionata a lui.»
Sospirammo insieme pensando al cane. Il suo telefonò suonò imperioso facendoci trasalire. Rispose. Lo sentii annuire e dire al suo interlocutore che sarebbe arrivato in serata. Chiuse la telefonata, mi guardò con i suoi smeraldi tristi.
«Era Killian, domani mattina ho una riunione alle otto. Mi spiace non posso venire a pranzo dai tuoi.»
Invece di sentirmi sollevata alla notizia, provai una stretta allo stomaco, gli rivolsi un sorriso amaro. Lo accompagnai a casa per farsi una doccia e cambiarsi.
Accostai al marciapiede.
«Ti passo a prendere tra un ora?» Speravo con tutta me stessa che mi dicesse di sì, non volevo lasciarlo, almeno non in quel modo così brusco e non in quel momento.
Mi accarezzo uno zigomo. «Prenderò un taxi, farai tardi e poi chi la sente tua madre.» Ci sorridemmo, lo sguardo cadde sulla sua mano ferma sopra la coscia, la presi tra le mie e strinsi forte. Con la mano libera, lui mi alzò il mento costringendomi a guardarlo negli occhi. I suoi splendidi smeraldi, limpidi e luminosi.
«Baciami Victoria, baciami perché è quello che vuoi, dimmi che quello che leggo nei tuoi occhi è voglia di me, dimmi che non è un'illusione.»
Non era la sua immaginazione, non avevo mai desiderato qualcuno come lui. Mi avvicinai solo di qualche centimetro, lui fece il resto. Si aggrappò alla mia nuca con entrambe le mani, le sue labbra erano sulle mie, la lingua si fece strada nella mia bocca pronta ad accoglierlo. Lo stomaco si agitava come se una tribù keniota vi ballasse all'interno. Era l'inizio e la fine di tutto. Chiusi gli occhi. La testa vorticava frenetica, sentivo i suoi gemiti, le sue mani scivolare verso le spalle, tirarmi sempre più vicina al suo corpo. Avvolsi le mani al suo collo, la pelle era una calda seta. Un bacio lungo, profondo, travolgente, indimenticabile.
Prima di staccarsi mi diede un piccolo morso sul labbro.
Aprii gli occhi e lui mi guardava sospirando. Vi lessi puro desiderio e qualcos'altro a cui non riuscivo a credere, non volevo illudermi.
«Grazie per questi giorni insieme, sono stati i migliori da tempi immemorabili.»
Se non avessi saputo che lo avrei rivisto a Londra, avrei pensato a un addio. Nella testa vorticava solo una domanda: e adesso? Come avremmo affrontato il dopo?
«Anche per me.» Mi morsi le labbra per sentire ancora il suo dolce sapore.
«Vengo appena posso. Ti chiamo stasera.» Nel suo viso c'era un'espressione triste. I segnali erano concordi in tutto, ma avevo paura a dire quella parola. Ci abbracciammo stretti, lui si sciolse da me e uscì dalla macchina lasciando dietro di sé il sole in primavera e il mare in tempesta che si agitavano dentro il cuore.
Prima di chiudere lo sportello mi guardò. «Non c'era nessuno sciopero, ieri mattina sono tornato a Milano. Volevo stare con te.»
Lo vidi allontanarsi in fretta sotto il mio sguardo stupito e il cuore ai limiti della fibrillazione.
Era tornato per me.
* * *
Per tutto il giorno la testa rimase tra le nuvole, anche mia madre non mi diede il tormento vedendo il mio stato.
Mi buttai sul divano del loro salotto a fissare la televisione spenta; dentro la testa mille pensieri si spintonavano tra loro. Lo stomaco era così chiuso, che riuscii solo a sbocconcellare la mia porzione di lasagne, sospirando.
Mio padre dovette ripetermi la domanda prima che potessi rispondere. «Briciola stai bene?» In faccia aveva un'espressione incredula, Janet, mia madre e Lavinia, invece, si rivolsero uno sguardo complice.
Riuniti in salotto loro chiacchieravano della settimana appena passata, io li ascoltavo senza nessuna attenzione.
«Quindi Christopher è dovuto andare a Londra.»
Parlai tutto d'un fiato. «Sì mamma, era mortificato, ma doveva prepararsi per una riunione.»
«E già ti manca così tanto...» Annuii senza volerlo, mia madre era raggiante.
Con la scusa di prendere alcune cose nella sua vecchia camera, Janet mi trascinò di sopra.
«Raccontami tutto!» Non riusciva a stare ferma di quanto era emozionata. «Avete fatto sesso?»
«Non c'è molto da raccontare e no, non abbiamo fatto sesso», sospirai.
«Diamine! Ma qualcosa deve essere successo, guarda in che stato sei.» Mi indicava con la mano percorrendo il mio corpo per intero.
«Un bacio, ci siamo dati solo un bacio.» Sospirai chiudendo gli occhi al pensiero.
«Deve essere un mago per ridurti così, sembri sotto l'influsso di un incantesimo.»
In quel momento non c'erano parole più azzeccate, mi sentivo sotto l'effetto di una magia, la più potente, la più vecchia del mondo, capace di muovere intere montagne.
«Perché non prendi un volo e vai da lui?»
La guardai sbigottita. «Deve lavorare, non avrebbe molto tempo da dedicarmi, magari sto solo travisando.»
«Se non parli con lui non potrai mai saperlo.»
Non avrei mai potuto saperlo, ma non sarei riuscita a farlo, non volevo illudermi. Avrei atteso un suo passo.