16
“Perché la vita è fatta di nodi...
E tutti a cercare di disfarli
questi nodi che la vita ti riserva.
E invece no... bisogna imparare
a conviverci coi nodi.
E a maneggiarli con destrezza.”
La morale del centrino Alberto Milazzo
Come da copione, alle dieci del mattino, mamma si presentò alla mia porta con papà. In mano avevano la colazione: per due.
«Sei sola?» Il loro sorriso malizioso mi diede il voltastomaco.
«È solo un amico!» affermai smorzando il loro entusiasmo.
«A me non è sembrato, vero caro?»
Mio padre annuì. Figurati se andava contro la moglie.
Mi venne un dubbio. «E se non fossi stata sola?»
«Sicuro non avresti aperto la porta.»
Che bastardi! Erano venuti a controllare.
«Siete venuti per darmi il tormento?»
«No tesoro, sono venuta a scusarmi di essere stata dura con te.»
Forse stavo ancora dormendo e stavo sognando. Che cavolo era successo? Che fosse ancora ubriaca? «Mamma stai bene?»
Mia madre sorrise prendendo la mia mano tra le sue. «Vicky, lui mi piace e non perché è un buon partito, ma per come ti guarda e per quello che dice di te.»
Rimasi a bocca aperta. Mio padre annuiva. Cosa? Annuiva? Lui che fin da piccola mi aveva mostrato la via maestra della castità? Non che negli anni avessi preso in considerazione l'idea, ma il fatto che approvasse un uomo per stare accanto a me, era destabilizzante. Doveva veramente essere successo qualcosa d'incredibile quella sera. A lui di solito non piacevano mai i miei ragazzi. Tremai al pensiero.
* * *
Ero ancora seduta sul divano, loro erano andati via da un pezzo. Nella testa si affollavano milioni di pensieri.
Cosa vedevano tutti che io non riuscivo ad afferrare?
Christopher era un uomo bellissimo come pochi, ma proprio come pochi, aveva quel fascino che poteva portare una donna alla follia, io non mi sentivo pronta a un passo del genere. Non ne avrei avuto le forze, non sapevo nemmeno da dove cominciare. E poi... era veramente interessato a me?
Il bacio e le sue parole avrebbero dovuto suggerirmi tante di quelle cose da rimanere tramortita, per qualche motivo a me sconosciuto, cercavo di ricacciare i pensieri da dove erano venuti.
Per tutta la settimana successiva lui stette alla sede di Londra, il suo tempo da noi stava per scadere. Anche il mio era quasi agli sgoccioli. Il giorno prima era stata ufficializzata la notizia della mia promozione tra l'incredulità dei colleghi.
Viviana mi aveva comunicato che entro due mesi mi sarei trasferita. Il tempo di trovare un sostituto.
Credevo che i colleghi avrebbero fatto allusioni sulla promozione, invece, per una volta, erano stati sinceri nel congratularsi.
In ascensore riflettevo sugli ultimi mesi. Mi sentivo come se avessi vissuto più intensamente da quando lui era comparso nella mia vita. Era difficile ammetterlo, ma mi mancava.
Mi ero prefissata che una volta arrivata a Londra, non avrei più dovuto lasciarmi andare come avevo fatto la sera della cena. Dovevo controllare i miei istinti, mi giocavo la carriera, colpa anche di una clausola nel contratto di lavoro che vietava i rapporti tra colleghi, pena il trasferimento ad altra sede.
Le porte si aprirono e mi avviai verso la scrivania. Incrociai alcuni colleghi che mi rivolsero dei sorrisi smaglianti. Io non ero dell'umore giusto quella mattina.
Alla mia postazione trovai Silvia con le mani infilate in un enorme mazzo di tulipani colorati. Lanciai la borsa sulla scrivania e salutai.
Silvia sussultò e si girò nella mia direzione. Il suo sguardo imbarazzato la diceva lunga sulle sue intenzioni. «Ciao Victoria, scusami pensavo fossero per me, ma non c‘è il mittente.»
Alzai un sopracciglio dubbiosa. Attaccato alla carta trasparente c'era solo un biglietto con il mio nome. Nient'altro. Cercai meglio.
«Non c'è», confermò Silvia, «chi te li manda?»
«Non ne ho idea.»
«Wow! Un ammiratore segreto.» La sua falsa euforia era evidente.
Nella testa cercavo di capire chi potesse averli mandati, in quel periodo non frequentavo nessuno e non era certo un gesto dei miei familiari, loro li avrebbero mandati a casa. Il cuore sussultò. Non poteva che essere stato lui. L'arrivo di un messaggio fugò ogni dubbio.
“ Un arcobaleno fiorito per te. Complimenti nuova Manager. Ti aspetto. Chris”
Un sorriso a trentadue denti mi spuntò sul viso. Risposi ringraziandolo.
Silvia cercava di sbirciare, strinsi il telefono in petto.
«Allora chi te li manda?»
«Mio padre.» Il tono poco convinto non gliela diede a bere, un mazzo del genere non era regalo da padre, ma si girò e mi lasciò in pace.
La giornata trascorse come sempre sommersa dai colleghi che mi appiopparono le loro incombenze e scadenze, con la mancanza di Winny avevo più tempo libero e, tutto quel lavoro mi aiutò a non pensare. All'uscita Viviana mi attendeva per un aperitivo.
«Di’ la verità, i fiori erano suoi?» La mia amica, come sempre, la sapeva lunga.
«Sì», risposi senza giri di parole. Nel suo sguardo non c’era sorpresa. «Devo dirti una cosa, altrimenti impazzisco», continuai.
Le raccontai del nostro bacio alla cena e di quello che aveva detto ai miei genitori, di quello che avevo provato e di quanto mi era mancato in quei giorni, lei mi ascoltava senza interrompermi, annuendo leggermente. Quando finii aprì bocca.
«È la prima volta che ti vedo così coinvolta, cosa ti fa essere titubante, a parte il fatto che lui sia Winny ?»
«Vivi, non sarebbe semplice, come potremmo lavorare insieme?»
«A Londra non sareste sempre a stretto contatto, solo qualche riunione durante la settimana. È qui che è stato tutto così amplificato. Vicky sono anni che sogni un uomo come lui, per una volta lasciati andare.»
«E se non dovesse funzionare?» Ecco che le mie paranoie venivano fuori.
«E se invece funzionasse?»
Feci una risatina isterica. «Siamo realiste.»
«Cosa avresti da perdere?»
«Il mio lavoro.»
«Con le tue capacità ne troveresti un altro in breve tempo.»
Ci guardammo sorseggiando il nostro spritz. Vivi mi afferrò la mano e aprì bocca.
«Non crearti aspettative, vivi ogni giorno con leggerezza, vivi la tua vita, ma non rimanere cristallizzata in questo limbo. Corri dei rischi. La nostra intera esistenza è un rischio, tu devi buttarti di testa. Apri gli occhi e goditi quello che c'è intorno a te. Non vivere sempre nell'approvazione degli altri. Vivi per te stessa.»
Non mi aveva mai parlato con quel tono così schietto, aveva ragione. Dovevo rischiare e seguire la mia vita.
«Grazie.» L'abbracciai stretta.
«E di che?»
«Per il sostegno.»
Non ero refrattaria alle storie d'amore, nessuno lo è, anche quelle che dicono di non sognare il principe azzurro, in realtà, lo sognano più delle altre che lo ammettono. Forse ero più spaventata da quello che non conoscevo.
Nel corso dei miei trent'anni avevo avuto solo storie di poco conto, non era facile trovare il vero amore in una città come Milano, in cui molti pensavano solo all'apparire e a scegliere il partito migliore. Avevo avuto delle grandi infatuazioni, la maggior parte delle quali erano solo da parte mia. Dopo qualche mese la passione scemava e tutto ritornava più a un livello di amicizia. A volte tra le lacrime, a volte con la promessa di rimanere amici: grande cavolata. È difficile continuare ad avere un rapporto con una persona di cui conosci ogni centimetro del corpo.
Avevo solo deciso di attendere il momento in cui il mio lui si sarebbe presentato alla mia porta e lì avrei capito che era il vero amore. Purtroppo non avevo fatto bene i miei conti. Come avrei potuto riconoscerlo? Nella mia mente malata credevo che sarebbe arrivato a cavallo di un bianco destriero, con un enorme mazzo di fiori in mano e, buttandosi in ginocchio, avrebbe dichiarato il suo amore infinito per me. Forse avrei dovuto cambiare tattica. I principi non esistevano più e nessuno si sarebbe buttato ai miei piedi, inoltre, di cavalli in giro per Milano non se ne vedevano se non quelli della polizia.
* * *
Odiavo gli stagisti, e di più odiavo quando me ne affibbiavano qualcuno; erano come zecche che volevano succhiare tutto il tuo sapere per poi farti le scarpe alla prima occasione. Il tipo che mi avevano affiancato, non era da meno. Per i pochi giorni che Winny era stato a Londra, lo avevo avuto incollato al collo come Dracula. Silvia ci godeva a vedermi sempre più ingolfata di lavoro.
Per fortuna era arrivato il venerdì sera ed ero immersa nella tranquillità del divano di casa mia, guardando “Propaganda”, il mio programma preferito del weekend, quando il telefono mi ridestò. Sorrisi guardando il display.
«Salve capo, hai chiamato per dirmi che mi concederai un aumento e un mese di ferie?»
«Passi per l'aumento, ma le ferie te le puoi scordare.»
«Schiavista!» Lo sentii ridere in sottofondo.
Il suo tono si fece di colpo serio. «Victoria è il momento di ricambiare il favore.»
Cielo! Una goccia di sudore imperlò il viso.
«Ho quasi paura a chiederti cosa hai in mente.»
Lo sentii sbuffare. «Sono nei casini, la dog sitter di Paco domani ha un impegno e non può tenerlo, io arrivo domenica sera e non ho nessun altro a cui possa affidarlo e di cui mi fidi. Mi prostro ai tuoi piedi chiedendoti se te ne puoi occupare solo per due giorni.»
Sentivo il suo fiato sospeso in attesa di una risposta.
Quello sì che era un favore bello grosso (sessanta chili) e per di più di sabato e domenica, significava che avrei dovuto rinunciare ai miei impegni. Potevo sempre invitare i miei amici a casa o portarmi dietro Paco, sicuramente mi avrebbe fatto da guardia del corpo. D'altronde chi ero io per negarglielo? Anche lui ne aveva fatto uno a me e di dimensioni astronomiche.
Acconsentii senza troppe storie, lui mi propose di andare a dormire a casa sua per non riempire la mia di peli. Ma dico siamo matti? Io in casa sua senza di lui? Il resto della telefonata fu un dettato di abitudini del cane, orari di pappa, numeri di telefono e chi più ne ha più ne metta. Se mi avesse affidato il figlio, credo che me lo avrebbe consegnato senza tutte quelle raccomandazioni.
* * *
Quando Paco mi vide da lontano, si fiondò di corsa su di me, gli andai incontro a braccia aperte, lui mi salì sulle spalle e con la sua grossa lingua mi donò uno dei baci più appassionati che avevo ricevuto negli ultimi tempi da un essere vivente, a parte quello del suo padrone.
Il nostro incontro sembrava la scena di un film d'amore. Lo caricai sul SUV di James e iniziarono le nostre trentasei ore di convivenza.
La telefonata di Winny arrivò più puntuale di un treno svizzero.
«Allora, come vanno le cose con Paco?»
«Oddio Paco!» Sorridevo sotto i baffi. «Scusa! Me ne sono dimenticata.»
«So da fonti certe che è con te.»
Paco confermò la sua presenza con un grosso woof.
«Uomo di poca fede, non ti fidi di me?»
«Se non mi fidassi il mio Paco non starebbe con te.»
Risposta spiazzante. Non avrei potuto controbattere acida.
«Grazie Victoria, non so cosa avrei fatto senza di te.»
«Ci sarebbe sempre quella storia del mese di ferie... pronto?»
Mi aveva riattaccato il telefono in faccia.
Scoppiai a ridere. «Paco, hai proprio un bel padrone.»
* * *
Avevo deciso di portare Paco a fare un giro per il parco Montanelli. Passeggiavamo per i viali verdeggianti, erano secoli che non entravo in quel posto. Era pieno di bambini e altri cani.
Tra tutte le raccomandazioni che mi aveva fatto Winny mancava l'avvertimento che, sì Paco era un cane vecchietto, ma non aveva perso per niente il suo smalto e l'istinto di maschio maiale.
Mi tirava da una parte all'altra non appena sentiva odore di femmina cercando di montare ogni tipo di quadrupede, cavalli compresi. Stavo diventando lo zimbello del parco.
Cercavo di staccare Paco dalla zampa del cavallo che lo guardava schifato. Io ero bordeaux. Il poliziotto smontò da cavallo e mi aiutò nell'impresa.
«Credo che il suo cane sia un po' represso.» Il sorriso che scambiò con il collega la diceva lunga su chi era la destinataria della battuta. Sorrisi e incassai, Winny me l'avrebbe pagata cara.
«Non so che gli prende, sembra sotto Viagra.» Mi venne il dubbio che la sua dog sitter glielo avesse somministrato.
«È l'avvicinarsi della primavera, molti cani sono in calore in questo periodo e lui ne risentirà.»
Guardai il poliziotto che mi sorrideva malizioso, non era niente male con quegli occhioni come la notte.
Paco si era calmato stendendosi sull'erba, accarezzavo il cavallo dal manto lucente mentre parlavo con il poliziotto di cani e animali in genere.
«È bello il tuo cane.»
«Grazie, ma non è mio.»
«È del tuo ragazzo?» Lo sguardo ammiccante mi fece capire le sue intenzioni.
«Di un amico.»
«Sarà un amico speciale per prenderti cura del suo cane, io non lo darei a chiunque.»
«Un po'», ammisi anche a me stessa.
Il tipo era parecchio curioso, cercava di capire se nella mia vita ci fosse un compagno porgendomi domande allusive, fin quando, stanco di girarci intorno, chiese: «Sei fidanzata?»
Mi trattenni dal battermi la mano in fronte. La mia testa si mosse in automatico da destra a sinistra. «Non c'è nessuna metà della mela in questo momento», risposi.
Vidi un bagliore illuminare i suoi occhi. «Bene, cioè per me voglio dire, magari possiamo vederci stasera per andare a bere una cosa insieme.»
«Mi spiace, ma stasera sono già in compagnia», ammiccai in direzione di Paco che mi guardò sollevando un orecchio.
«Puoi portare anche lui. Conosco un posto che ha un angolo ristoro anche per gli amici a quattro zampe, vedrai che si divertirà.»
Non avrei mai pensato che grazie a Paco avrei conosciuto qualcuno in un modo così bizzarro. Il mio telefono squillò, era Winny , voleva essere sicuro che fossimo ancora vivi.
«Dove siete?» Il tono preoccupato mi fece sorridere.
«Ho portato Paco a fare la toeletta, dovresti vederlo come è carino con il taglio da barboncino.»
La sua voce arrivò in un urlo disperato. «Victoria!»
Scoppiai a ridere.
«Giuro che se lo hai fatto ti taglio la tua chioma color miele.»
«Tranquillo, siamo al parco, adesso devo lasciarti, sono davanti a un poliziotto. Ci sentiamo più tardi.»
«Non farti arrestare, io non vengo a pagarti la cauzione.»
«C’è sempre il pagamento in natura.» Chiusi la comunicazione senza dargli il tempo di ribattere.
Luca, questo era il nome del poliziotto, mi guardò incuriosito.
«Il proprietario di Paco.»
«Allora per stasera?»
Ci rimuginai qualche secondo. «Dove andiamo?»
Ci scambiammo i numeri e lui rimontò a cavallo.
Io e Paco rientrammo in casa distrutti dopo una mattinata passata fuori. Lui si stravaccò sul divano fregandosene delle mie rimostranze.
Ero stesa con il cane di fianco a vedere un film, accarezzavo il pelo mentre lui russava beato. Il telefono squillò all'improvviso facendomi trasalire.
«Com'è andata la vostra giornata?»
«Il tuo cane è un pervertito, ha cercato di montare qualsiasi cosa si muovesse: cani, cavalli e tutto ciò che avesse quattro gambe, tavoli e sedie compresi.»
Lui rideva come un matto. «Mi spiace Victoria non si è mai comportato così, sarà la tua presenza.»
«Vedi che fortuna! Peccato che non sia un uomo, altrimenti avrei potuto passare una giornata di fuoco. Comunque grazie a lui oggi ho cuccato alla grande, la mia rubrica si è rimpolpata.»
Dall'altra parte c'era solo silenzio. «Ehi? Ci sei?»
Per il cielo grigio della Scozia! Che voce dura!. «Sì... ci sono.»
«Chris, devo andare a farmi una doccia, Paco mi ha fatto sudare sette camicie, ci sentiamo più tardi.»
Mi spogliai e m'infilai sotto la doccia per preparami per l'appuntamento. L'acqua scorreva sul corpo insieme alla schiuma che, dolcemente, cadeva dai capelli. Sentii le zampe di Paco grattare la porta.
«Buono Paco! Arrivo subito.»
Figurati se quel colosso mi stava ad ascoltare. In un attimo aprì la porta e me lo ritrovai seduto sul tappeto davanti alla doccia che mi fissava con la lingua penzoloni.
«Sei proprio un maiale, mi chiedo se hai preso dal tuo padrone.»
Abbaiò in risposta alla mia domanda.
«Immaginavo.»
Uscii dalla doccia e Paco era sparito. Meglio, almeno mi sarei asciugata senza spettatori. Raccolsi gli indumenti dal pavimento e li ficcai dentro il cesto dei panni sporchi.
In casa c'era uno strano silenzio, era da troppo tempo che non sentivo Paco. Lo cercai in giro, lo trovai al centro del letto intento a mordicchiare qualcosa. Mi fiondai su di lui.
«Che stai facendo?»
Tra le sue zampe c'era il perizoma che mi ero tolta o almeno, quello che rimaneva.
«Paco!»
Mi guardò con occhi innocenti. Io fui assalita dal panico.
Afferrai il telefono e chiamai mia cognata.
«Aiuto Lavinia!» La mia voce preoccupata doveva averla messa in agitazione.
«Oddio Victoria, che succede?»
Le raccontai di come avevo trovato Paco, lei mi consigliò di portarlo in studio per fargli un'ecografia. Lo sapevo che quel favore mi sarebbe costato parecchio. In salute sicuramente. Nella mia testa si accavallavano i peggiori scenari: pancia tagliata per estrarre le mutande o peggio, clisteri per eliminare tutti i pezzi.
«Sei un cane cattivo!» Gli puntavo il dito contro per enfatizzare le parole, ma a lui non importava, mi guardava placido leccandosi i baffi.
Lavinia rideva mentre gli faceva l'ecografia.
«Sei un maniaco, ma la colpa è del tuo padrone che non fa niente per fare sfogare la tua mascolinità.»
Gli occhi di Lavinia erano incollati al monitor, ma la sua attenzione era rivolta a me. «Quindi questo è il cane di Christopher...»
«Gli sto facendo un favore.»
La sua faccia la diceva lunga su quello che pensava. «Certamente... un favore...»
La guardai spalancando la bocca. «Che vuoi dire?»
«Non c'entra il fatto che vi guardate in un certo modo.»
«Lavinia, stai prendendo un abbaglio.»
«Sarà, ma come mai ha lasciato il cane a te e non a qualcun altro?»
Mi tappai le orecchie e mi misi a cantare. Lei scoppiò a ridere.
Arrivati a casa chiamai Winny , con il tono di voce più mortificato gli raccontai l'accaduto.
«Lavinia mi ha detto che il suo stomaco è libero, ha eliminato con le feci tutti i pezzi delle mutande. Mi dispiace, ma non credevo che fosse un ladro d'intimo.»
Lui adesso rideva, ma all'iniziò mi aveva tempestato di domande sugli esami che gli aveva fatto mia cognata.
«A volte lo fa anche con i miei calzini», mi rassicurò. «Dimmi quanto ti devo per gli esami.»
«Tu non mi devi niente, al massimo un paio di mutande.»
«Ok, allora dimmi come erano, perizoma o slip, pizzo o cotone?»
«Stai scherzando? Non ti dirò mai cosa indossavo.»
Lui sghignazzava divertito. «Devi pur lasciare sognare un uomo.»
Rimasi sbigottita «Sei ubriaco?»
«Credo che tu sia una tipa da perizoma o almeno così mi è sembrato.» Che voleva dire così gli era sembrato? Da quando guardava il mio sedere? Era impazzito e il suo cane doveva avere ereditato la follia da lui.
Il mio tono divenne serio. «Tu hai fumato!»
Lui scoppiò a ridere.
«Per la cronaca, il perizoma sta meglio a chi ha un sedere molto più piccolo del mio.»
«Tu presumi troppe cose, questo lo dovresti fare giudicare a noi uomini.»
Stavamo proprio parlando del mio sedere. Dovevo essere più pazza di lui per affrontare simili argomenti. Il gene della follia si era impossessato anche di me. Vade retro!
«Non vorrei interrompere il tuo discorso dall'alto contenuto culturale, ma preferirei parlare di qualcos'altro che del mio sedere.»
«È una parte del corpo come un'altra.»
«Ok, allora parliamo... che ne so... del mio fegato.»
Lo sentivo sghignazzare in sottofondo. «Potremmo farlo, ma non credo sia così interessante.»
Ero imbarazzatissima. «Allora parliamo del tuo di sedere!»
«Io non ho problemi, sei tu quella che si fa mille paranoie. Credo che tu abbia un piccolo problema di autostima.»
Scoppiai a ridere nervosa. «Ciao Chris.» E misi fine a quell'imbarazzante telefonata.
* * *
Arrivai al mio appuntamento con una decina di minuti di ritardo.
Luca mi attendeva davanti al locale sui Navigli. Appena entrati mi accorsi che aveva ragione, era un posto “ pet friendly ” dove anche altri cani erano seduti su comodi tappetini con accanto una ciotola d'acqua fresca e un piatto con dei succulenti bocconi di carne.
Paco era seduto al mio fianco con il muso poggiato sulla gamba, aveva già spazzolato la sua bistecca e con occhi da cane randagio guardava il mio piatto mendicando un pezzo di pizza con bufala e prosciutto crudo. Come resistere?
Luca era un ragazzo interessante, aveva molte passioni tra cui la lettura e la scrittura. Il suo sogno era diventare autore di libri gialli. Lo ascoltavo affascinata mentre mi raccontava del romanzo che aveva scritto, delle ricerche che aveva fatto e dei suoi studi di psicologia. Rimasi impressionata dalla moltitudine di attività che svolgeva. Era troppo perfetto per essere vero. Sapevo che sotto doveva esserci un trucco.
Allungò una mano posandola sopra la mia. Paco si alzò sulle zampe e sollevò un sopracciglio nella mia direzione.
«Cosa c'è piccolo?»
Mi guardava negli occhi senza battere le ciglia, vedendo la mia completa incapacità a capirlo, afferrò con la bocca la mia mano e con un piccolo slancio la poggiò sulla sua testa.
«Ti senti messo da parte? Vuoi le coccole?»
Gli grattai la testa e accarezzai il collo, lui si tranquillizzò e si sedette nuovamente vicino a me.
Luca chiedeva del mio lavoro con aria interessata, ero stupita. Di solito gli uomini non amano sentire blaterare noi donne, dopo qualche secondo si distraggono e rispondono solo annuendo, lui, invece, faceva dei piccoli discorsi pertinenti, ponendo delle domande a tema.
Quando gli dissi che presto mi sarei trasferita a Londra s'incupì.
«Per una volta che avevo conosciuto una ragazza interessante, tra poco andrà lontano.»
Non avevo riflettuto su quel particolare, era impossibile intrattenere un rapporto a distanza.
Stavolta fui io a prendere la sua mano.
«Credo che a volte bisogna godersi gli attimi che ci vengono offerti, senza rimuginare troppo.»
Lui intrecciò le dita alle mie, i nostri sguardi s'incrociarono. Anche Paco si accorse di quello che stava succedendo. Il suo woof ci distolse dai nostri sguardi. Diede un colpo di zampa alle nostre mani intrecciate.
«Credo che Paco non voglia che ti tocchi.»
«È solo annoiato.»
«Scommetti?» Lo guardai annuendo.
Avvicinò una mano al mio volto, non fece in tempo ad accarezzarmi che il cane mi saltò addosso mettendosi tra noi.
«Che ti avevo detto?» Ammiccò in direzione del cane.
«È asociale come il suo padrone.» Quei due erano simili in tutto e per tutto.
«Io credo che sia geloso. Magari sta difendendo il suo territorio.»
«Eh?»
«Gli animali hanno una sensibilità particolare verso i sentimenti, forse tu piaci al suo padrone.»
Scoppiai a ridere. «Ti assicuro che non è così.»
Lo era o non lo era?
* * *
Paco dormiva su una coperta che avevo steso nell'ingresso. Io e Luca eravamo seduti sul divano di casa mia con le labbra attaccate a quelle dell’altro. Rispetto ai baci di Chris, quelli di Luca erano solo desiderio sessuale: niente farfalle, tamburi o tuoni nello stomaco e nemmeno strani brividi.
La sua mano risalì dalle mie gambe verso il centro del corpo. Sentivo il suo desiderio crescere sempre più, come il mio. Ci stendemmo sul divano, lui era sopra di me. La sua camicia volò sul pavimento. La mia gonna ormai aveva più le sembianze di un pezzo di stoffa arrotolato. Sentii qualcosa di viscido sulla gamba nuda, una volta, due, tre. Sussultai e mi girai per controllare. Paco era a un palmo di naso e scodinzolava. Cercai di cacciarlo, ma lui era lì, immobile che ci fissava. Vedendo che nessuno dei due gli dava la giusta importanza, iniziò ad abbaiare e più cercavo di zittirlo e più lui abbaiava forte. Luca lo trascinò in bagno e lo chiuse dentro, ma dopo qualche minuto sentimmo Paco che grattava la porta ululando. Cercammo di ignorarlo. La voglia di stare insieme sovrastava il resto. Santo cielo! Quel colosso stava demolendo tutto. Rassegnati ci rivestimmo. L'attimo era passato, come la mia serata con Luca.
* * *
La migliore compagnia in una domenica sera d’inverno, oltre mia sorella e Viviana, era un bel plaid morbido e caldo come quello a cui ero avvinghiata, mentre noi tre ci vedevamo un film o, almeno, lui scorreva imperterrito, noi parlavamo del mio appuntamento della sera prima, quando Christopher bussò per riprendersi Paco.
Aprii la porta nel massimo del mio splendore, tuta larga e calzettoni antiscivolo ai piedi.
«Vedo che i nuovi numeri di telefono hanno dato buoni frutti.»
«Se fossi stato uno dei miei nuovi contatti, non mi sarei presentata così, ma con te posso fare un'eccezione.»
Entrò e si tolse il giubbotto sventolando una mano sul viso, si guardò intorno e si trovò davanti altre due donne nelle mie stesse condizioni.
«Scusate non volevo disturbare la vostra serata di follie.»
La battuta gli costò il lancio di un cuscino da parte di mia sorella.
Chris mi guardò. «Toglimi una curiosità, com'è che loro sono a maniche corte e tu sembra che stia per intraprendere una spedizione al polo?»
Janet rispose per me. «Mia sorella ha problemi di termoregolazione, ma quando avrà un uomo che le scalderà il letto nel modo giusto, stai sicuro che non avrà più freddo.»
Lui rise, io mi lanciai su mia sorella per ucciderla, ma la feci solo ridere per il solletico, trovò comunque la forza di continuare a parlare. «Sono sicura che a Chris non spiacerebbe immolarsi per la tua causa.»
Il mio volto s'infiammò all'istante. Con la coda dell'occhio guardai Christopher che sorrideva divertito.
«Janet, lo sai che prima o poi rimarremo da sole.» La mia minaccia la fece ridere di più.
«Unisciti a noi!» gli propose Janet invitandolo a sedersi sul divano.
«Meglio di no, ci tengo alla mia pellaccia.»
Gli rivolgemmo un'occhiataccia eloquente.
«È meglio che vada, dov'è Paco?»
Sentendosi chiamato in causa, il cane si svegliò e fece spuntare il suo tartufo da sotto il plaid e soprattutto da dietro a mia sorella. «Che ci fai sul divano? Scendi subito!»
Il cane obbedì mettendosi accanto a lui strofinandosi per avere le coccole. «Chissà quanti brutti vizi ti ha fatto prendere Victoria in questi giorni.»
Mi abbassai e abbracciai Paco. «Diglielo cucciolo che siamo stati bene io e te, abbiamo dormito insieme e ci siamo coccolati tanto.»
Christopher portò le mani sui fianchi. «Ergo, lo hai viziato.»
Aprii la bocca per ribattere, ma la richiusi. Sì, lo avevo viziato, come fa una zia con il nipotino. Cercai solidarietà nelle due vipere sedute sul mio divano, ma si limitavano a guardare me e Christopher senza fiatare.
Dalla sua ventiquattrore prese una scatola regalo anonima. «Questo è per te, per ringraziarti della tua disponibilità, aprilo quando vado via.»
Il mio stupore non eguagliava il suo tono imbarazzato. Presi il pacco e lo girai tra le mani.
Io, Vivi e mia sorella stavamo fissando il contenuto della scatola assorte nel più completo mutismo. Ogni volta che una di loro cercava di aprire bocca le zittivo con un gesto nervoso della mano. Guardavo a bocca aperta il reggiseno La Perla in pizzo color nudo e nero con il perizoma da censura coordinato.
La mia amica mi guardava maliziosa e, non sapendo stare zitta, aprì quel forno che aveva al posto della bocca. «Un uomo che regala dell'intimo simile credo che voglia vederlo indossato.»
«Zitta Vivi! Nessuna dica una parola.» Ero nel pallone. Il suo regalo mi aveva destabilizzata.
Mia sorella prese la parola. «Vicky smettila! Affronta la realtà, ti ha regalato un completo da centinaia di euro non solo per ripagarti di quello che ti ha mangiato il suo cane, ma come deve dirtelo?»
Ero esasperata. «Cosa deve dirmi? Che mi vuole scopare?»
«Sorellina, uno che vuole solo scopare non ti fa un regalo del genere.»
«Secondo me state caricando di aspettative il suo gesto, magari davvero voleva ricambiare la mia cortesia per avergli tenuto il cane.»
Le due serpi scoppiarono a ridere. Sentii la rabbia montarmi dentro.
«Magari è come dici tu, ma se fossi in te, domani, lo indosserei con sopra solo un cappottino, vedrai che effetto appena ti mostrerai a lui.»
Tirai un cuscino in direzione di mia sorella.