17
«Probabilmente, malgrado le apparenze…
tu
mi piaci. Da morire.»
dal film ll diario di
Bridget Jones
Lui arrivò in ufficio come un fulmine a ciel sereno. La mia giornata da grigia riprese a essere colorata. Non ci rivolgemmo la parola per tutto il giorno, ma il vederlo mi riempiva il cuore di gioia.
Tra una telefonata e l'altra alzava lo sguardo incrociando il mio. Non avevamo bisogno di parole, i nostri sorrisi ci bastavano.
Uscii un'ora prima per andare al novantesimo compleanno di mio nonno: mia madre aveva organizzato una mega festa. Al mio arrivo al ristorante, da sola, lessi la delusione negli occhi dei miei familiari. Feci finta di niente fiondandomi sul mio nonnino per fargli gli auguri.
Era l'una di notte quando il telefono squillò.
La mia voce da oltretomba avrebbe dissuaso qualsiasi scocciatore. «Pronto.»
«Paco respira a fatica, ti prego aiutami.»
Mi svegliai di colpo. In un attimo mi infilai una tuta e chiamai Lavinia strappandola alle braccia di Morfeo o di mio fratello, poco importava, pregandola di venire a controllare Paco.
Ci vedemmo sotto casa di Christopher. Quando entrammo nell'appartamento lo trovai steso sul tappeto del salotto accanto al cane. Il suo viso era immerso in un dolore profondo. Io e James restammo in disparte mentre Lavinia soccorreva il povero Paco.
Ebbi timore che stesse male per colpa mia e delle mie mutande, mi rinfrancai quando lo sentii riferire a Lavinia che, da un mesetto, Paco non era più attivo come un tempo.
La diagnosi di Lavinia non lasciò scampo. Paco era arrivato alla fine del suo percorso e, serenamente, si spense poco dopo tra le braccia di Christopher disperato.
Il cuore era ridotto a un granello di sabbia. Stetti seduta accanto a loro accarezzandoli dolcemente, continuando a piangere in silenzio.
Portai Chris in camera sua mentre James e Lavinia si occupavano delle spoglie di Paco.
Lo avvolgemmo nella sua coperta preferita e lo portammo in auto. Christopher rimase a casa in stato catatonico.
James chiuse il bagagliaio. «Vieni con noi?»
«Non posso lasciarlo solo.»
Mi sorrise baciandomi la fronte. «Va da lui, ha bisogno di te.»
«Grazie di tutto.»
«Sei la mia sorellina, farei di tutto per te.»
Lo trovai rannicchiato al centro del letto.
Mi guardò stupito. «Credevo fossi andata a casa.»
«Non potevo lasciarti così.»
Mi sfilai le scarpe e mi stesi accanto a lui. «Fammi un po' di posto, il mio culone non ci entra.»
Sorrise e si scansò. Sfilai il piumone da sotto il suo corpo e coprii entrambi. Eravamo stesi l'uno di fianco all'altra, istintivamente allargai le braccia e lui si poggiò sul petto. I polpastrelli scorrevano sul suo viso accarezzando le guance solcate da un leggero filo di barba. Intrecciai le dita ai suoi capelli come il velluto e lo strinsi a me.
«Grazie.»
Furono le uniche parole che pronunciò prima di crollare in un sonno profondo. Spensi la luce e chiusi gli occhi raggiungendolo nello stesso luogo.
* * *
«Oh Gesù d'amore acceso!»
Entrambi ci svegliammo saltando in aria.
La voce di una donna risuonò nella stanza. «Mi scusi signore, non pensavo che fosse ancora in casa e in compagnia.»
Con gli occhi ancora mezzi chiusi, vidi solo una figura che spariva fuori dalla camera e chiudeva la porta.
Con le palpitazioni a mille ci guardammo e scoppiammo a ridere.
«Siamo in terribile ritardo», esordì.
«Sono in terribile ritardo vorrai dire. Silvia stavolta mi ucciderà, dovevo aiutarla in una relazione.»
Ero carponi che cercavo le scarpe, ne trovai solo una dove credevo di averle lasciate la sera prima.
«Devono imparare a fare da soli, tra un po' non ci sarai più a fargli da balia.»
Il suo aspetto era riposato e anche l'espressione addolorata della sera prima sembrava sparita. Afferrai la scarpa che mi stava porgendo e la infilai al piede.
«La mia governante fa degli ottimi pancake, chiamerò io Silvia.»
«E cosa le dirai? Che abbiamo dormito insieme?»
Alzò gli occhi al cielo sbuffando. «Non ho bisogno di dare spiegazioni. Tu sei con me e basta.» Sorrisi. Mi ci volle poco per cambiare idea. «Ok vada per i pancake.» Come potevo perdermi quella prelibatezza a colazione?
La governante ci guardava sorridendo maliziosa, chissà che film si era fatta in testa. Come darle torto? Ci aveva trovati avvinghiati a letto insieme. Anche io avrei pensato a una notte di sesso bollente. Solo che di quello, tra noi, non c'era mai stato e mai ci sarebbe stato. Quella notte fu una conferma. Potevamo essere buoni amici e condividere anche lo stesso letto.
«Ho contattato un amico agente immobiliare per trovarti un appartamento vicino al mio.»
Rimasi con la forchetta a mezz'aria. «Che altro?»
«Solo questo. E avrai a disposizione il mio autista quando non ci sarò.»
«Frena un attimo, cosa intendi?»
«Dato che abiteremo vicini potremmo andare insieme a lavoro.»
«Che idea geniale! Arriverò a bordo di una Mercedes con Winny al mio fianco. Sai che pettegolezzi.»
«Ti fai troppi problemi.»
Lo fulminai con gli occhi. «Io ci dovrò vivere fianco a fianco con quella gente.»
Il suo tono si addolcì. «Ma noi siamo amici!»
«Questo lo sappiamo io e te, ma loro insinueranno sempre il dubbio e mi apostroferanno in mille modi.» Nella testa sapevo quale parola avrebbero usato.
Rieccolo autoritario. «Nessuno oserà dire niente su di te.» Il suo modo di fare era altalenante come quello di uno psicopatico.
«È questo che intendo, non puoi comportarti così.»
Sbuffò. «Ho capito, ti regalerò l'abbonamento alla metro.»
«Ecco, questa è una buona idea.»
L'espressione di Ettore nel vederci uscire insieme da casa sua, lui in perfetto vestito sartoriale, io con la tuta e l'aria di avere passato la notte a fare chissà che, la diceva lunga su quello che avevo detto a colazione a Chris. Per fortuna sapevo che Ettore non avrebbe mai detto ad anima viva di avermi vista, credo che avesse più paura della reazione di Winny che di perdere il posto. Li salutai e mi avviai verso la mia auto parcheggiata a qualche metro.
* * *
Quando arrivai alla Bantor lui era chiuso con Silvia nel suo ufficio. Lo vedevo che camminava da una parte all'altra della stanza agitando le mani, la bocca si apriva e chiudeva veloce. Silvia aveva le braccia conserte, gli occhi erano due piccole fessure che non si staccavano da Winny, la bocca sembrava una grossa linea ripiena di botulino, ogni tanto l'apriva per dire qualcosa, ma veniva interrotta da Christopher. Mi sedetti alla scrivania e accesi il computer sotto gli sguardi dei miei colleghi.
Laura si portò una mano davanti la bocca e sussurrò. «Dove sei stata?»
«In giro», risposi sperando che la sua curiosità si placasse.
« Winny ha detto a Silvia che stavi sbrigando delle commissioni per lui.»
Dissi le prime cose che mi passarono per la testa. «Lavanderia, posta, cose così.»
«Che infame! Questo è mobbing allo stato puro.» Alzai le spalle e mi immersi nel computer.
Dopo una decina di minuti, Silvia uscì dall'ufficio impettita.
Il tintinnio di un messaggio mi distolse dal monitor.
“ Pranziamo insieme? ”
Alzai gli occhi e lui mi guardava in attesa di una risposta. Annuii leggermente, il sorriso che nacque dalle sue labbra mi fece sciogliere come un gelato d'estate.
Mi sentivo confusa. Ripensavo alle parole di Vivi e di mia sorella, interrogandomi su cosa fosse tutta quell'agitazione nello stomaco. Per la prima volta nella vita non avevo fame. Forse avevo mangiato troppo a colazione o forse era solo un periodo di inappetenza o forse... mi stavo innamorando. Ricacciai immediatamente quell'idea dalla testa. Non potevo pensare davvero una cosa del genere. Dovevo estirparla, altrimenti me ne sarei convinta davvero.