15
« Dimentica i romanzi d’amore, sono tutte balle!
Per favore, vieni di sopra da me,
e entra nel mio letto! »
Dal film Stregata dalla luna
Si respirava una strana aria quel lunedì mattina. Tutti mi guardavano in modo curioso. Vivi e Alberto mi raggiunsero e mi trascinarono in archivio.
Viviana mi sommerse di parole, riuscii ad afferrare solo una domanda. «Stamattina non si parla d'altro. Raccontaci tutto quello che è successo!»
Ebbi il sospetto che avessero messo delle microspie nella mia borsa, come era possibile che sapessero sempre tutto?
«Come lo sapete?»
Alberto prese la parola. «Vicky non fare l'ingenua, lo sai che qui anche i muri hanno occhi e orecchie.»
«Abbiamo solo visto un film a casa sua e poi siamo andati al lago con il cane. Niente di che.»
Alberto fece una smorfia. «Film? Cane? Ma di che diavolo stai parlando?»
Viviana lo zittì con un gesto della mano. «Noi vogliamo sapere di Arturo, stamattina mi è arrivata una e-mail dall'ufficio personale di Londra con il suo licenziamento immediato, firmato da Winny in persona, e il divieto assoluto di entrare negli edifici della Bantor.»
Alberto prese la parola agitato. «Io ho sentito Laura che parlava con Lippa che aveva parlato con una delle guardie che venerdì ha passato il limite.» Alla faccia della privacy! Christopher aveva fatto di tutto per non rendere pubblica la storia, figurati se le guardie stavano zitte!
Solo al ricordo sentii una morsa allo stomaco e le gambe cedermi. Mi appoggiai al mio amico con un groppo in gola. Dopo quello strano week-end avevo cercato di focalizzare i pensieri su Chris e Paco, ma dovevo fare i conti con la realtà.
«È stato terribile.»
Raccontai con dovizia di particolari la mia disavventura. I miei amici mi guardavano increduli.
«Se non fosse stato per Christopher, quel porco mi avrebbe fatto la festa.»
Viviana mi teneva strette le mani con aria sconvolta.
«Chi lo avrebbe mai detto che fosse depravato fino a questo punto, cioè sapevamo della sua mania di fare la mano morta e guardare le tette, chissà che gli è passato per la testa.»
«Ragazzi vi dico una cosa che deve rimanere tra noi,» annunciai solenne «Arturo mi ha detto una cosa che all'inizio non avevo capito, mi ripeteva che gli avevo rubato il posto. Quando ho chiesto spiegazioni a Christopher mi è venuto un colpo.»
Alberto mi incalzò. «Di che parli?»
«Ragazzi avete davanti a voi il nuovo Marketing Manager EMEA.»
«Che cosa?» Gli occhi strabuzzati del mio amico la dicevano lunga, mentre il viso di Viviana disse altro. Il loro coro mi assordò. «Complimenti ragazza!»
«Vivi, tu lo sapevi.»
«Sospettavo qualcosa da un paio di settimane, ma non ti ho detto nulla per non illuderti; finalmente, stamattina, dopo un'estenuante opera di stalking, il mio contatto a Londra ha confessato. Troppo tardi però.»
«Ma perché io? Non ho molta esperienza.»
«Ti sbagli, sono stati tutti concordi nel pensare a te, tu sei l'unica ad avere sempre dei feedback positivi, tutti sono entusiasti del tuo lavoro, è stata una scelta naturale.»
L'abbracciai stretta. Mi sarebbero mancati i miei amici.
La mente di Viviana lavorava alla velocità della luce. «Ho solo un dubbio. Di quale casa e film parlavi prima?» Vidi una lampadina accendersi nel suo cervello. «E con il cane di chi sei andata al lago? Ma soprattutto, con chi?»
Quella conversazione stava prendendo la piega di un interrogatorio, potevo vedere la lampada puntata direttamente nei miei occhi. La mia espressione smarrita aveva confermato i loro sospetti.
«Santo cielo!» Vivi si portò una mano alla bocca. «Christopher Carter!»
Sentendo il suo nome ebbi un sussulto.
«Ci sei andata a letto?» mi chiese l'altro con lo sguardo malizioso.
«Ma siete matti? Era solo preoccupato per quello che aveva fatto Arturo. Ho dormito nella camera degli ospiti. Da. Sola.»
«Sei stata a casa del grande capo?» Alberto era curioso.
Annuii.
«E noi che credevamo fossi a cena con Gianmaria testa di cazzo», concluse.
Dovevo iscrivermi a un corso per migliorare la memoria, come facevano i miei amici a sapere della cena? Di sicuro ero stata io a parlargliene.
Vivi mise le mani sui fianchi. «Ragazza, tu devi raccontarci parecchie cose.»
«Adesso non posso, ho una conference call con Winny .»
«Ci vediamo stasera da Gianni per una birra e non pensare di darci buca, altrimenti ti veniamo a prendere per i capelli.»
Rassegnata, tornai alla mia postazione.
* * *
Erano le dieci di sera di giovedì e stavo scorrendo, in preda al panico, la rubrica del telefono alla ricerca di qualcuno che potesse immolarsi per la mia causa. Avevo appena chiuso una telefonata con Alberto che mi aveva dato buca usando come scusa un improvviso impegno. Sapevo benissimo quale fosse: bionda, grosse tette e dall'apertura delle gambe facile.
Ero disperata. Stavolta i miei mi avrebbero uccisa.
Vidi il suo contatto, potevo provare a supplicarlo, magari era magnanimo e mi diceva di sì.
Rispose dopo due squilli.
«Victoria, a cosa devo l'onore?»
«Ho bisogno di te, sono nella cacca.»
Sentii ridere dall'altra parte. «Aspetta che mi metto comodo perché questa sarà davvero bella.»
Asciugai le mani sudate sulle cosce. «Chris non iniziare a infierire, ti prego...»
«Ok, i commenti li lascerò alla fine. Parla!»
Sussurrai al telefono con la speranza di non dovermi ripetere. «Ho bisogno di un grosso favore.»
«Questo lo avevo capito.»
«Non farmi perdere il filo, ho preparato un discorso per bene.»
Lo sentii ridacchiare, quella cosa mi sarebbe costata parecchio, me lo sentivo.
«Comincia con l’essere meno acida, altrimenti sono tentato di rifiutare in partenza.»
«Conoscendoti lo farai alla fine, solo per il gusto di vedermi strisciare ai tuoi piedi.» Lo stava facendo di nuovo. «Smettila di ridere! Mi deconcentri.»
«Ok, ok, sto zitto.»
«Domani sera c'è la cena annuale dell'associazione dei notai, di cui mio padre è presidente, ergo, noi figli siamo obbligati a partecipare. Di solito mi accompagna Alberto, ma mi ha appena dato buca e se mi presentassi da sola, è la volta buona che mia madre mi uccide. Ti prego... se mi dici no sarò costretta a chiederlo a Gianmaria testa di cazzo.»
Sentii sospirare. «Lo sai che per questa cosa ci sarà un prezzo da pagare e sarà molto alto.»
Chissà perché non ero sorpresa.
«Ti staccherò un assegno... please... » La mia voce sembrava una preghiera tibetana, ci mancava solo che pronunciassi un ohm !
«Lo faccio perché altrimenti rimarrei senza nessuno da tiranneggiare, e poi sono curioso di conoscere la tua famiglia.»
Cielo! Non avevo pensato a quello. Oramai era tardi per ripensarci. Pregai solo che tutto filasse liscio.
* * *
L'indomani in ufficio mi lasciò tranquilla. Passò la giornata immerso nelle conference call con le altre sedi, mi mandò un messaggio in cui mi avvisava che sarebbe passato da casa mia alle otto.
Alle cinque uscii di corsa dall'ufficio per fiondarmi dal parrucchiere e dall'estetista che mia madre aveva prenotato.
Ero in madornale ritardo quando entrai in casa. Indossai in fretta un abito lungo blu notte con scollo dritto appena sopra il seno. Ero consapevole che con le spalle scoperte e i capelli raccolti sarei morta di freddo. Preparai il cappotto sul divano e andai in cerca delle scarpe. Lui citofonò più puntuale del Big Ben.
«Puoi salire per favore? Quinto piano.» Lo sentii sbuffare.
«Questo non è un appuntamento.» Tecnicamente era vero, ma lui era pur sempre un uomo e io una dolce fanciulla in difficoltà. Oddio veramente né dolce e né in difficoltà, solo in forte ritardo.
Stretta dentro il mio vestito non riuscivo ad allacciare la fibbia di una delle mie scarpe strafighe con tacco dodici. Sentii bussare alla porta d'ingresso, aprii, pronunciai un veloce «Ciao.» E zoppicando mi fiondai sul divano per finire la mia impresa.
La sua voce si era ridotta a un filo sottile. «Ciao.»
Imprecai contro le scarpe. «Cinturino di merda infilati!»
La sua voce sembrava un cucchiaino di miele. «Ti posso aiutare?» Alzai gli occhi e lo guardai. Lo sguardo lo percorse come uno scanner dall'alto in basso e viceversa per parecchie volte. Spalancai la bocca.
Indossava uno smoking nero cucito addosso a lui che esaltava la figura elegante e il fisico perfetto. Il cappotto nero giaceva ripiegato sul braccio. Ci avrei scommesso il perizoma che anche quello gli cadeva a pennello. I capelli neri erano pettinati all'indietro e gli occhi brillavano di una luce che non gli avevo mai visto prima. La salivazione era aumentata notevolmente, deglutii e mi morsi il labbro inferiore quando gli occhi si posarono sulla sua bocca rosata.
Mi sentii avvampare come Giovanna D'Arco sul rogo.
Tenevo la scarpa dal cinturino che dondolava a destra e sinistra. Lui la prese e s'inginocchiò ai miei piedi sollevandomi il vestito fino alle ginocchia. Con la mano libera mi accarezzò la caviglia con le lunghe dita.
Stavo evaporando.
Come a una moderna Cenerentola, il principe infilò la scarpa e richiuse il cinturino in pochi secondi, troppo pochi.
«Ecco fatto!» Si scostò da me di qualche centimetro.
«Grazie» Lo guardai perdendomi nei suoi smeraldi.
Afferrai la sua mano ferma davanti a me e mi aiutò ad alzarmi. Lisciai il vestito, mi fissava con insistenza, bloccato.
Partii a raffica. «Lo sapevo che questo vestito era esagerato, ma mia madre ha detto che era perfetto e io mi sono lasciata convincere e poi tutto questo trucco non è da me.»
Ero troppo nervosa e questo non era un bene, sarei finita col dire qualcosa di imbarazzante. Lui mise l'indice sulla mia bocca e mi zittii. «Sei bellissima, sarà un onore starti accanto stasera.»
Il cuore si bloccò di colpo. «Anche per me sarà un onore.»
Mi avvolsi nel cappotto e sotto braccio ci avviammo in strada dove ci attendeva Ettore.
Appena entrati in auto Ettore dovette dire la sua: «È sicuro di aver recuperato la ragazza giusta?» Mi scoccò un occhiata dall'alto in basso. «Mi sembra più bella di quella che conosciamo.»
I due si burlavano di me, mi vendicai dando uno scappellotto in testa a Ettore.
Ettore ci lasciò davanti l'ingresso della villa del settecento, appena fuori Milano.
Con quel cavolo di vestito stretto non riuscivo a muovermi bene, ma il mio accompagnatore non mostrò nessun segno di impazienza.
Consegnati i nostri cappotti a un ragazzo che attendeva all'ingresso, ci avviammo verso la sala da dove veniva un brusio mescolato a una canzone di Frank Sinatra. Feci un respiro, mi appoggiai al braccio di Chris; entrammo. Tutti coloro che si trovavano intorno all’ingresso ammutolirono di colpo.
Con la mano arpionata a lui, lo tirai verso il tavolo dove spiccava la chioma bionda di mia madre.
«Devo confessarti una cosa.» Dalla sua voce appena percettibile trapelava un certo nervosismo.
Ero curiosa di sapere cosa aveva da rivelarmi. «Cosa?»
«Non sono mai stato a una cena così elegante.»
Lo guardai sbigottita, il signor amministratore delegato, il potente capo supremo non era mai stato a una noiosa cena con centinaia di persone tutte in tiro?
«Scusa, ma come hai fatto in questi anni?»
«Mi sono sempre defilato. Tu sei la prima che è riuscita a trascinarmi in questo marasma.»
Mia madre ci venne incontro insieme a mio padre. I loro sorrisi raggianti erano inquietanti.
«Benvenuti!»
Il loro saluto era rivolto a Christopher, lo guardavano come se fosse un'apparizione della Madonna.
Mio padre si era già parato davanti a Winny. «Non ci presenti?»
«Christopher, loro sono i miei genitori. Genitori, lui è Christopher.» Cercai di tagliare.
Mamma si fece largo e gli tese la mano. «Che sciocchina Victoria, io sono Ingrid e lui è mio marito Tommaso.»
Winny le fece il baciamano come da etichetta. Per essere uno che non aveva mai partecipato a quelle cene, sembrava saperne abbastanza.
Mia madre fece una sciocca risata: era in estasi. Come darle torto davanti a cotanta bellezza? I due uomini si strinsero la mano con vigore, mio padre sorrise compiaciuto, le mani morte non gli erano mai piaciute.
Dietro i miei genitori vidi spuntare James, Lavinia e Janet con Gianni.
Dopo le presentazioni, ci fecero strada fino al tavolo, io ero sempre attaccata al suo braccio e non lo avrei mollato per tutta la serata, sia per la paura di cadere dai tacchi alti e sia per l'invidia che stavo suscitando sulla popolazione femminile in età da marito presente.
Mia madre non aveva occhi che per lui. Continuava a fissarlo con insistenza.
Mio padre si stava lanciando in uno dei suoi argomenti preferiti. Mettermi al centro dell'attenzione. «Chistopher, mia figlia le ha raccontato del perché abbiamo scelto questo nome per lei?»
«Papà non credo che a Christopher interessi questa storia.» Obiettai solo per spirito di contraddizione, sapevo che nulla gli avrebbe tolto dalla testa di raccontarla.
Christopher rispose pacato. «Mi interessa, sembra una storia avvincente.»
Mio padre prese la parola. «Siamo stati indecisi per molto tempo sul nome da darle. Avevamo saputo che era una bambina fin da subito, ma fino al settimo mese di gravidanza non avevamo idea di come chiamarla. Un giorno ci venne un'illuminazione: Jodie, così i nostri figli avrebbero avuto la stessa iniziale.»
Mamma e papà si scambiarono uno sguardo complice. «Quella stessa notte Ingrid entrò in travaglio. Era troppo presto, mancava poco agli otto mesi. Dopo vari tentativi di fermare le contrazioni è nata lei. Un piccolo scricciolo di meno di due chili di peso: una briciola.»
Papà avvicinò il pollice e l'indice per enfatizzare le mie dimensioni di neonata. «La misero nell'incubatrice insieme ad altri bimbi. Vederla così minuscola era straziante per il cuore, soprattutto dopo i suoi fratelli che nacquero sfiorando i quattro chili.»
Papà si portò una mano al petto.
Altro che sceneggiate napoletane! Mario Merola fatti da parte!
«Ma quando aveva fame urlava da far tremare le pareti, sovrastando gli altri neonati. La sentivamo fin dal corridoio. Ingrid correva da lei, l'allattava con un biberon piccolissimo e lei aveva un'espressione beata. Rimase più di un mese in ospedale, combattendo per la sopravvivenza. Era così piccola e già la vita l'aveva messa davanti a mille difficoltà. Lì capimmo che non poteva chiamarsi in altro modo che Victoria.»
Christopher era affascinato dal racconto di mio padre, lo guardava con occhi scintillanti, ero circondata da psicopatici.
La mamma concluse il racconto. «Alla fine è stata lei a decidere il suo nome.»
«Voi credevate che non vi sentissi, invece la nascita prematura è stata la mia prima ribellione. Ma dico, Jodie! Non mi ci vedo proprio con un nome così... così... insignificante!»
Gli occhi di Christopher si incollarono ai miei, il suo sorriso era dolce, mi sfiorò la mano che tenevo poggiata sulle gambe e giocò con i miei polpastrelli.
Il suo tono di voce era un misto di sensualità e dolcezza. «Victoria è un nome perfetto per te.» Ragazzo vacci piano! Siamo sempre in presenza dei miei genitori.
Esaurito il loro argomento preferito, mia madre passò ad altro. «Christopher, ci racconti di lei, dal suo accento mi sembra originario delle mie parti. Sbaglio?» Era iniziato il terzo grado.
«No Ingrid, non sbaglia, sono inglese, Portishead per l'esattezza un paese vicino Bristol.»
«Meraviglioso! Siamo nati sotto la stessa bandiera.»
Guardai mia madre con occhi sgranati, lei era una fervente indipendentista della Scozia, sapevo cosa le aveva fatto cambiare rapidamente idea. Iniziai ad avere paura.
Janet, si stava riprendendo dalla presenza del mio accompagnatore, ritrovando la favella. «E diteci come vi siete conosciuti?»
«Lavoriamo insieme.» La sua affabilità e pazienza nel rispondere mi sconcertava.
La voce smielata di mia madre mi stava facendo alzare la glicemia. «Oh colleghi! Non è meraviglioso Tommaso?»
Lo subissarono di domande, per fortuna non compromettenti, come argomento principale il nostro lavoro, sui loro volti potevo leggere la felicità. Avevo creato dei mostri.
«Victoria è veramente brava, a Londra non vedono l'ora che arrivi.»
Diedi un calcio nello stinco a Christopher che sobbalzò, a tavola calò un silenzio agghiacciante.
«Di che stai parlando?» Mio padre dimenticò i formalismi e passò a dargli del tu.
«Della promo...» La mia gomitata sul fianco gli mozzò il respiro. Con nonchalance feci cadere la forchetta a terra.
«Chris, mi prenderesti la forchetta per favore?» Lui si abbassò e io lo seguii.
Sussurrai a denti stretti. «Che diavolo stai facendo? Mi vuoi mettere nei guai?»
«Potevi avvisarmi che i tuoi non lo sapevano.»
«E io che ne so che ti saresti messo a parlare delle mie cose.»
Il suo sguardo si era perso davanti a sé, un po' più in basso del mio viso.
Lo minacciai con la forchetta in mano. «Non guardarmi le tette!»
Arrossì. «Non posso fare altrimenti, me le stai buttando addosso, ricordati che sono sempre un uomo.»
E che uomo!
Non ebbi il tempo di controbattere che fummo interrotti. La voce di mio padre ci fece alzare di scatto. «Tutto ok lì sotto?»
«Eccola!» Mostrai trionfante la posata.
Papà non aveva dimenticato. «Quindi? Cos'è questa storia di Londra?»
Messa alle strette, raccontai della promozione. «Non vi ho detto niente perché ancora non è ufficiale.»
L'esplosione di gioia al nostro tavolo la ricorderò a vita. Non credevo di rendere tutti così felici, tutti tranne uno: mio padre. A lui sembrava che gli avessi dato la notizia della mia morte. Si alzò dal tavolo e mi venne incontro con le braccia aperte come uno zombie e mi abbracciò stretta a lui. «Briciola, sono felice per te, ma sapere che non ti potrò vedere tutte le volte che voglio è straziante.»
«Papà ci sono decine di voli che partono da Milano ogni giorno, puoi venire quando vuoi.» Sperai solo che non mi prendesse troppo in parola.
Da lontano vidi la chioma giallo pannocchia del pallone gonfiato avvicinarsi.
Sussurrai all'orecchio di Chris. «Gianmaria testa di cazzo a ore due.»
Lui annui, fingendo indifferenza fissò davanti a sé.
Gianmaria arrivò al nostro tavolo. «Buonasera carissimi.» Gonfiò le penne come un tacchino e aprì la coda. Sapevo che non avrebbe resistito molto prima di vedere cosa stesse succedendo. Il suo tono da snob era odioso come lui. «Che sorpresa Victoria, una new entry , di solito vieni sempre con Alberto.»
Mi stavo alzando per dirgliene quattro quando sentii la mano di Chris trattenermi per un braccio. Si presentò pacato. «Salve, Christopher Carter. Lei? Non mi sembra di aver udito il suo nome.»
Uno a zero palla al centro.
«Scusi la mancanza, Gianmaria De Martini, vecchio amico di famiglia e qualcosa in più per Victoria.»
Spalancai la bocca.
Christopher lo fissava con il suo sguardo gelido che conoscevo bene, il pallone gonfiato non riuscì a tenere il confronto e abbassò gli occhi.
«Adesso devo andare a salutare altre persone. Mi ha fatto piacere vederti Victoria, ti ho trovata veramente radiosa.»
Gettò il suo sguardo verso Christopher che aveva passato un braccio intorno alle mie spalle e rispose marcando le parole. «È molto felice insieme a me.»
Il cuore si bloccò di colpo, mio padre strabuzzò gli occhi, a mia madre spuntò un sorriso malizioso, nella sua testa stava già preparando l'elenco degli invitati per le nozze. Gianmaria si allontanò imbarazzato, noi eravamo ancora sbigottiti.
«Scusate ma non ho resistito, è davvero un gran pallone gonfiato.»
Scoppiammo tutti a ridere, non poteva che trovarmi concorde.
«Grazie.» Presi la sua mano e la strinsi, mi ritrassi subito quando vidi lo sguardo di mia madre su di noi.
«Figurati! Mi sono divertito parecchio.»
Il notaio Fumagalli si avvicinò con una boccia di vetro in mano. Divise tra noi dei fogliettini e delle matite. «Forza, fate la vostra scelta signori.» Mosse la sfera davanti mia sorella.
Lavinia mi guardò con occhi speranzosi. «Victoria, spero proprio che quest'anno tu scelga il mio biglietto.»
Janet ribatté fulminea. «No Vicky! Devi scegliere il mio, è già da qualche mese che penso a questa canzone.»
James cercò di mettere la pace tra le due. «Ragazze non litigate, avete solo una probabilità su trecentottantasette che Victoria prenda il vostro foglietto.»
La minaccia di Lavinia verso mio fratello fu più che velata. «Vorrai dire due probabilità, perché tu scriverai la mia stessa canzone.»
Christopher guardava incuriosito. «Che succede?» chiese.
Mio padre prese la parola tronfio, da bravo presidente dell'associazione gli piaceva espletare le sue funzioni.
«C'è una tradizione in questa serata, ognuno di noi scrive su un foglietto una canzone scelta dall'elenco selezionato per l'occasione e la mette dentro questa boccia, a fine cena, Victoria ne estrarrà uno e canterà la canzone.»
L'espressione di Christopher era sorpresa. «Tu canterai?»
«Mia figlia è bravissima a cantare.» Gongolava mio padre. «È un usignolo, sentirai che voce.»
«Non vedo l'ora.»
Christopher scrisse la sua preferenza gettando il biglietto nella boccia che gli porgeva Fumagalli. Il Notaio lo guardava incuriosito.
«Mi scusi, ma il suo viso mi sembra familiare... Ci sono! Lei è l'amministratore delegato della Bantor. Ci siamo incontrati qualche mese fa per la firma di alcuni contratti.»
«Sì, adesso ricordo.»
Per un attimo tutti si zittirono, non avevo pensato alle complicazioni di quell'affermazione, ma lo intuii nello sguardo che mi rivolse la mia famiglia. Lui incarnava tutto quello che i miei genitori sognavano per me: bello, ironico, di successo. In poche parole un buon partito. Una vampata di calore mi avvolse, avrei spiegato l'indomani a mia madre che eravamo solo amici.
Avevo appena finito di bere il vino bianco, nella speranza che mandasse giù il tonno scottato con panure di erbe aromatiche. Da quanto mi sentivo piena, pensai di aver ingoiato anche le pinne gialle. Per mia fortuna, il menù era eccellente e non lasciai nemmeno una briciola nei piatti. Nota dolente, il vestito che mi fasciava troppo.
«Sto scoppiando, domani dovrò stare a digiuno.» Mi toccai la pancia inspirando profondamente.
Mamma non poté stare zitta. «Se ti fossi limitata a sbocconcellare invece di strafogarti non avresti problemi di linea.»
Come sempre, non si tratteneva dal fare commenti acidi sulla mia linea. Le lanciai uno sguardo di puro odio.
Al solito fu Janet a prendere le mie difese. «Dai mamma, non tutti possiamo essere degli stecchini come te.»
Io mi limitai a non dire più niente.
Il cameriere si avvicinò con il dolce, che rifiutai. Mia madre non poté che dire la sua.
«Che c'è? Adesso ti sei offesa?»
«Ti sembrerà strano ma davvero mi sento piena, se mangio qualcos'altro, per colpa di questo vestito troppo stretto che tu mi hai fatto comprare, invece della pancia mi scoppieranno le tette!» Non riuscii a trattenermi.
Ecco arrivare il rimprovero di mia madre. «Victoria! Ma che modo di esprimerti sfoggi davanti al nostro ospite!» Il suo viso era di una tonalità scarlatta.
«Se ci tenevate tanto ad avere una figlia normale, anche voi dovevate comportarvi come genitori normali. E non preoccuparti per Christopher, lui mi conosce bene, mi vede mangiare ogni giorno, sa come parlo e mi ha anche vista appena sveglia, quindi siamo al completo.»
James si rivolse direttamente al mio accompagnatore. «E non sei scappato?» La battuta di mio fratello fece ridere tutti.
Christopher era serio. «Perché dovrei? Victoria mi piace così com'è, non cambierei nemmeno una virgola in lei.»
Arrossii violentemente, al nostro tavolo mia sorella e mia mamma si scambiarono uno sguardo complice, per non parlare di mio padre: era in estasi. Lui non era consapevole in che guai ci stava mettendo, quelle parole per i miei genitori equivalevano alla richiesta della mia mano. Dovevo portarlo via da lì prima che uno di noi due potesse aggiungere qualcosa di più compromettente. Mi alzai da tavola e lo tirai per un braccio.
«Fammi ballare.»
Lo trascinai al centro della pista facendomi largo tra altre coppie, lui mi guardava confuso. Avvolsi le braccia attorno al suo collo e lui mi cinse la vita con le sue.
I nostri visi quasi si sfioravano. «Ti rendi conto di quello che hai appena fatto?»
Mi guardò scuotendo la testa, parlavo agitandomi: mi sentivo isterica.
«Chris, hai fatto credere ai miei che stiamo insieme!»
«Io non ho mai detto una cosa del genere.»
«Così diretto no, ma è quello che hai fatto intendere.»
«E tu che gli hai detto che ti avevo vista appena sveglia? Neanche se fossimo stati a letto insieme! Alla fine ho solo detto quello che pensavo, non mi è piaciuto come ti ha trattata tua madre.» Scostò per un attimo gli occhi dai miei per gettare lo sguardo verso il tavolo dei miei familiari.
«Ormai ci ho fatto il callo.» In tanti anni mi ero abituata a essere la vittima delle battute di mia madre che mi voleva come una perfetta bambola di porcellana.
Il suo viso era corrucciato. «Beh... non dovresti.»
«Sei arrabbiato?»
«Non mi è piaciuto. Punto.»
Che diavolo stava succedendo?
Le sue parole mi stavano turbando, ripensai a quello che aveva detto prima. Victoria mi piace così com'è. Vacillai un attimo. Io gli piacevo... Da quando? Ero stordita, che fosse colpa del vino?
In quel momento mi resi conto di quanto eravamo vicini e di come i nostri corpi fossero perfettamente incastrati tra loro. La sua mano bollente era poggiata sotto le mie scapole. Un brivido mi attraversò il corpo, seguito dalla deflagrazione di qualcosa dentro lo stomaco. Dall'orchestra sentivo le note di Smile di Nat King Cole, lo guardai negli occhi e mi abbandonai al suo abbraccio appoggiandomi al suo petto. Chiusi gli occhi e sentii il battito del suo organo pulsante che martellava veloce. Premette la bocca sulla mia testa, il suo respiro caldo tra i capelli e un brivido mi attraversò la schiena.
Le sue parole arrivarono improvvise. «Il tuo profumo mi sta facendo impazzire.»
«Non ho messo profumo», risposi senza staccarmi dalle sue braccia.
«Allora cos'è la fragranza che mi sta facendo ammattire?» Avvicinò il naso al collo, il suo alito caldo sulla pelle mi fece rabbrividire dalla punta del piede fino ai capelli.
«Cielo! Sei tu che profumi così.»
«Chris sei ubriaco?» Avevamo bevuto parecchio vino.
«Di te, ho una voglia matta di baciarti da quando ti ho vista a casa tua.»
Per tutti i cardi scozzesi! Che diavolo ci avevano dato a cena? Afrodisiaci?
«Non credo sia una buona idea.»
«Il tuo corpo non la pensa così.»
Il mio corpo mi tradiva, rabbrividendo a ogni suo tocco. Le sue labbra scivolarono sul collo con una lentezza da fare impazzire ogni donna sana di mente: mi stavo sciogliendo. Ebbi la sensazione di essere osservata. Gettai uno sguardo davanti a me, la mia famiglia al completo ci fissava.
Anche lui se ne accorse e per tutta risposta, mi trascinò fuori in terrazza, tenendomi stretta per la mano. Lo seguii in un angolo riparato dalla siepe, si girò verso di me e con un sorriso malizioso si appoggio al muro della facciata e mi tirò verso di lui. Si avventò sulle labbra prima che potessi dire qualsiasi cosa. Un bacio passionale, travolgente. Le sue braccia mi cinsero stretta e io ero incapace di fare qualsiasi movimento. Le sue labbra erano puro fuoco e la sua lingua... Oh! La sua lingua... Per non parlare dei piccoli morsi che dava al mio labbro inferiore, delle sue mani che avvolgevano la mia vita e salivano verso la schiena, per poi riscendere e stringere appena sotto il seno. Una mano più audace salì verso il collo per poi ridiscendere verso il mio seno seguendo la pelle scoperta della scollatura del vestito. Il suo tocco era puro fuoco e lussuria. Sentivo le fiamme incendiarmi il corpo.
Victoria! Basta con questi pensieri impuri. Ritorna in te!
Mi schiaffeggiai in modo virtuale.
«Chris...» dissi contro le sue labbra «Chris...» Mollò un attimo la presa e mi divincolai.
Lo guardai negli occhi e vacillai, dovevo riprendere sicurezza. Mi schiarii la voce. «Non credo sia una buona idea, tu sei il mio capo.»
Il suo sguardo si fece serio.
«Pensa alle implicazioni.»
Mi guardava, riflettendo sulle mie parole.
«Lunedì saremo sempre io e te, in ufficio, in mezzo a tutti. È una cosa impossibile.»
«Tipo Romeo e Giulietta?» Venne più vicino avvolgendomi con le braccia. «Non mi ci vedo a bere del veleno.» Il tono ironico mi fece sorridere.
«Quindi a me toccherebbe pugnalarmi in petto? No grazie, io passo.»
Forse per lui ne valeva la pena...
Mi scossi da quel pensiero, ma che diavolo farneticavo?
Il freddo pungente mi fece rabbrividire. Si tolse la giacca appoggiandola alle mie spalle, il calore rimasto all'interno mi scaldò l'anima come il suo abbracciò che mi mandò in estasi. Dentro di me stavo combattendo una lotta sconosciuta. Desideravo i suoi baci, le sue carezze e non solo, ma avevo troppa paura di un dopo, come lo avrei guardato in ufficio? Cosa sarebbe successo? Troppi pensieri per quella notte, meglio bloccare tutto sul nascere.
Rimanemmo stretti tra noi, le sue labbra erano premute sulla mia tempia.
«Scusami, non so che mi ha preso, ma tu stasera sei incantevole e i tuoi occhi... oddio... sono più belli del cielo.»
Stava succedendo qualcosa di travolgente e bizzarro, non riuscivo a spiegarmi il suo comportamento, era così diverso dal solito, così premuroso e dolce. Se non l'avessi conosciuto, avrei osato dire... innamorato. Forse mi stavo facendo degli strani film, magari erano solo i suoi ormoni in astinenza.
«È meglio rientrare.» Gli restituii goffamente la giacca.
Mentre camminavamo la sua mano cercò la mia intrecciando le dita. La strinsi forte. Il contatto era magico.
Mio padre ci intercettò da lontano e ci bloccò. «Briciola, tocca a te.» I suoi occhi brillavano. Avevo dimenticato della tradizione di quella sera, Chris riusciva a svuotare la mia mente.
«Papà, non mi va.» Volevo solo fuggire lontano dalla tentazione che avevo di fianco a me.
«Ti prego principessa, fammi questo regalo. Canta per me. Poi potrete andarvene.» Mi guardò malizioso. Che idea si era fatto?
Mio padre continuava a guardarmi, non potevo deluderlo, lui adorava pavoneggiarsi davanti i suoi amici per le mie virtù canore. Anche il mio accompagnatore mi esortava con occhi speranzosi. La cantante del complesso musicale mi chiamò accanto a sé, mi staccai da loro e raggiunsi i musicisti in fondo al salone. La maggior parte delle persone si era accalcata davanti il piccolo palco, Christopher, seguito da mio padre, si intrufolò mettendosi in prima fila.
Il notaio Fumagalli si era materializzato accanto a me. «Siete pronti all'estrazione?»
Si levò un coro unanime di assenso. Mescolai i biglietti e ne afferrai uno, lo aprii, all'interno c'era scritto: “ one that you love ” una che ami. I miei occhi cercarono quelli di Christopher. Solo lui poteva aver scritto quel biglietto.
Lo mostrai a Fumagalli. Eravamo pur sempre a una cena di notai, tutto doveva svolgersi con regolarità. Lesse ad alta voce il biglietto. Alcuni, come sempre, mostrarono la loro delusione, altri, invece, mi suggerivano la canzone da cantare.
Presi il microfono per calmare la folla. «Mi spiace se alcuni di voi sono rimasti amareggiati dal risultato, ma come ogni anno, dobbiamo attenerci a quello che viene estratto. Vi prometto che la canzone che ho scelto non vi deluderà.»
Mi girai verso il gruppo musicale annunciando la mia scelta. Nel salone si diffusero le prime note della tastiera e del violino, la cassa della batteria cadenzava il ritmo, le spalle dei presenti iniziarono a muoversi all'unisono insieme a me. La canzone che avevo scelto non era tra le mie preferite, ma trovarmi di fronte a Christopher, bello come un adone, mi aveva fatto venire in mente Can't take my eyes off you .
Il gruppo, come da accordi, la stava eseguendo nella versione più famosa di Gloria Gaynor. In quel momento non potevano esserci parole più azzeccate di quelle. “Sei troppo bello per essere vero, non riesco a toglierti gli occhi di dosso, sei come il paradiso da toccare”.
Ed era così che mi ero sentita, un suo bacio mi aveva fatto toccare il paradiso. Una sensazione nuova, dirompente, pericolosa.
Gli invitati sembravano aver gradito la mia scelta, ballavano tutti con in volto dei sorrisi smaglianti, compresi i miei genitori e i miei fratelli. Mamma e papà parlavano tra loro, guardavano me e il mio accompagnatore ammiccando. Solo una persona era immobile con gli occhi fissi su di me.
Strinsi la mano sudata attorno al microfono.
Cantai con gli occhi incatenati ai suoi: non mi importava che gli altri notassero che lo fissavo, in quel momento esistevamo solo noi due.
Le ultime sillabe uscirono dalla mia bocca insieme alle ultime note, un applauso scrosciante si levò dalla folla, m'inchinai ringraziando, raggiunsi il mio accompagnatore e lo presi sotto braccio.
«Andiamo?» chiesi.
Lui era ancora attonito, si risvegliò come da un sogno a occhi aperti. Mi guardò estasiato senza riuscire a togliermi gli occhi di dosso.
«Sei stata... incantevole.»
In macchina c'era uno strano silenzio, più volte incrociai lo sguardo di Ettore che ci spiava dallo specchietto retrovisore. La mia mano era ancora dentro la sua e non aveva la minima intenzione di restituirmela.
Mi accompagnò davanti al portone di casa, attese che infilassi la chiave nella serratura ed entrassi. Lui era dietro di me.
I suoi occhi dicevano più di quanto la sua bocca avesse pronunciato fino a quel momento. La mia mano era sempre nella sua.
Canticchiò nel mio orecchio. « You're just to good be true, can't take my eyes off you, you'd be like heaven to touch ... »
Gli sorrisi mentre metteva qualche centimetro tra noi per guardarmi negli occhi.
«Posso accompagnarti fino a casa?» I suoi smeraldi speranzosi brillavano.
Nella mia mente immaginai una notte di fuoco e un risveglio imbarazzante.
«Non credo sia una buona idea, Ettore ti attende. Buonanotte.»
Il tono perentorio lo bloccò dal dire altro. Il sospiro profondo rivelò la sua delusione.
Mi baciò sulla guancia indugiando un attimo, nella mente tornò prepotente il ricordo delle sue labbra sulle mie e del suo bacio da infarto.
Si staccò e sparì dentro l'auto. Se fosse salito non avrei potuto resistergli di nuovo.