XXIV - «LA RIVOLUZIONE È DISTRUZIONE»?
I
L’attacco del nazismo contro gli ebrei nei primi mesi del 1933 fu il primo passo del piano a lungo termine per escluderli dalla società tedesca. Nell’estate di quell’anno il processo era ormai in pieno svolgimento. Esso rappresentava il cuore della rivoluzione culturale di Hitler, la chiave di volta, secondo la visione nazista, della più ampia trasformazione culturale della Germania, che avrebbe epurato lo spirito tedesco da influenze «aliene» quali comunismo, marxismo, socialismo, liberalismo, pacifismo, conservatorismo, sperimentazione artistica, libertà sessuale e molte altre ancora. I nazisti, nonostante significative prove smentissero questa tesi, attribuivano tutte queste influenze all’influsso malefico degli ebrei: la loro esclusione dall’economia, dai mezzi di comunicazione, dalla pubblica amministrazione e dalle libere professioni era, di conseguenza, una componente fondamentale del processo di riscatto e di purificazione della razza tedesca, che ne sarebbe uscita pronta a vendicarsi di coloro che l’avevano umiliata nel 1918. Nell’estate del 1933, quando Hitler e Goebbels parlavano di «rivoluzione nazionalsocialista», era proprio a questo che facevano riferimento: a una rivoluzione culturale e spirituale in cui tutti gli aspetti «non tedeschi» erano stati eliminati senza pietà.
Eppure la straordinaria rapidità con cui tale trasformazione era stata attuata indicava allo stesso tempo l’esistenza di una salda continuità con il recente passato. Dopo tutto, fra il 30 gennaio e il 14 luglio 1933, i nazisti avevano convertito il cancellierato di Hitler, nato nell’ambito di un governo di coalizione dominato non dai nazisti ma dai conservatori, in uno Stato a partito unico in cui neanche i conservatori avevano più una rappresentanza autonoma. Avevano «coordinato» tutte le istituzioni sociali, con l’unica eccezione delle Chiese e dell’esercito, facendole confluire in un’enorme struttura sottoposta al loro controllo, benché non ancora del tutto perfezionata. Avevano eliminato tutte le forme di opposizione in vasti settori della cultura e delle arti, nelle università e nel sistema educativo, nonché in quasi ogni altro aspetto della società tedesca. Avevano avviato il processo per relegare gli ebrei ai margini, o costringerli a emigrare. Ora cominciavano a delineare il quadro giuridico e politico che avrebbe determinato il destino della Germania e del suo popolo, e non solo, negli anni successivi. Taluni avevano pensato che la coalizione salita al potere il 30 gennaio 1933 sarebbe crollata nel giro di qualche mese, come le altre che l’avevano preceduta; altri avevano guardato al nazismo come a un fenomeno passeggero che sarebbe presto scomparso dalla ribalta della storia mondiale assieme al sistema capitalista che l’aveva portato al potere. Si erano sbagliati tutti quanti: nell’estate del 1933 il Terzo Reich era ormai una realtà ed era chiaro che sarebbe durato. Cosa rese possibile questa rivoluzione? Perché i nazisti non incontrarono alcuna resistenza degna di questo nome nel loro cammino verso il potere?
L’avvento del Terzo Reich avvenne in due fasi principali. La prima si concluse con la nomina di Hitler a cancelliere del Reich il 30 gennaio 1933 e non fu una «conquista del potere». L’espressione non era utilizzata neppure dagli stessi nazisti per descrivere la nomina, in quanto evocava l’immagine di un putsch illegittimo. Durante questa fase il prudente termine in uso era ancora «assunzione di potere», mentre la coalizione era denominata «governo di rinnovamento nazionale», o più in generale governo di «sollevazione nazionale», a seconda che l’enfasi fosse posta sulla legittimità derivante dalla nomina dell’esecutivo da parte del presidente o su quella derivante dal presunto sostegno della nazione.1031
I nazisti erano consapevoli che la nomina di Hitler era l’inizio del processo di conquista del potere, non il punto di arrivo. Senza questo evento, tuttavia, e con la graduale ripresa dell’economia, il declino del Partito nazista sarebbe potuto continuare. Se fosse stato meno incapace come politico, Schleicher avrebbe potuto instaurare un regime semi-militare, governare sfruttando il potere del presidente di emanare decreti fino alla morte dello stesso Hindenburg, che era ormai prossimo ai novant’anni, e quindi assumere il potere con giusto diritto, introducendo eventualmente una revisione della Costituzione per riconoscere al Reichstag un ruolo sia pure parziale. Nella seconda metà del 1932 l’unica alternativa possibile a una dittatura nazista era un regime di tipo militare. Il percorso di allontanamento dalla democrazia parlamentare verso un ordinamento statale autoritario, senza una partecipazione piena e paritetica dei partiti o di un organo legislativo, era cominciato già con Brüning: il governo Papen aveva impresso una forte e deliberata accelerazione a questo processo e in seguito non ci fu più spazio per un’inversione di marcia. In Germania si era creato un vuoto di potere che il Reichstag e i partiti non erano in grado di riempire. Il potere politico era passato dagli organi costituzionali legittimi alla piazza da una parte e alla ristretta congrega di politici e generali che circondavano il presidente Hindenburg dall’altra: nell’ampia area mediana, di solito occupata dalla politica democratica, era rimasto il vuoto. Fu la cerchia del presidente a nominare Hitler, ma non avrebbero sentito l’esigenza di affidargli l’incarico se nelle strade non avessero dilagato violenze e disordini provocati dai nazisti e dai comunisti.1032
In una situazione di questo tipo solo la forza avrebbe potuto imporsi e solo due istituzioni ne avevano in misura sufficiente; solo due istituzioni potevano farvi ricorso senza innescare reazioni ancora più violente da parte della popolazione nel suo complesso: l’esercito e il movimento nazista. Con ogni probabilità, negli anni successivi al 1933 una dittatura militare avrebbe calpestato molte libertà civili, avviato il riarmo del paese, rinnegato il trattato di Versailles, annesso l’Austria e invaso la Polonia per riprendersi Danzica e il corridoio polacco che separava la Prussia orientale dal resto della Germania. Avrebbe anche potuto usare la recuperata potenza tedesca per compiere ulteriori atti di aggressione internazionale destinati a innescare una guerra contro la Gran Bretagna e la Francia, o contro l’Unione Sovietica, o su entrambi i fronti. È quasi certo che tale regime avrebbe imposto rigide misure antisemite.
Ma, a conti fatti, è improbabile che una dittatura militare in Germania avrebbe promosso un programma improntato al genocidio come quello che culminò nelle camere a gas di Auschwitz e Treblinka.1033
Come molti temevano, un putsch militare avrebbe potuto generare una violenta resistenza da parte sia dei nazisti sia dei comunisti e il ripristino dell’ordine avrebbe provocato un ingente spargimento di sangue, forse addirittura una guerra civile, temuta tanto dall’esercito quanto dai nazisti. Entrambi gli schieramenti sapevano che, se avessero tentato di prendere il potere da soli, le loro possibilità di successo erano quantomeno incerte. La logica della cooperazione era, di fatto, inevitabile: l’unico interrogativo era la forma che tale collaborazione avrebbe assunto. In tutti i paesi europei, le élite conservatrici, i vertici militari e i movimenti radicali, fascisti o populisti si trovavano ad affrontare lo stesso dilemma e le soluzioni furono molteplici. In alcuni casi prevalse la forza militare, come in Spagna, e in altri i movimenti fascisti, come in Italia. Fra gli anni ’20 e ’30, in molti paesi il regime democratico venne sostituito dalla dittatura e gli eventi del 1933 in Germania non sembrarono particolarmente insoliti alla luce di ciò che era già successo in paesi come Italia, Polonia, Lettonia, Estonia, Lituania, Ungheria, Romania, Bulgaria, Portogallo, Jugoslavia o ancora, seppure con modalità abbastanza diverse, in Unione Sovietica; la democrazia, inoltre, stava per essere abbattuta anche in Austria e in Spagna. In questi paesi, dopo la fine della Prima guerra mondiale, violenze, disordini e omicidi politici avevano caratterizzato vari periodi: in Austria, per esempio, gravi tumulti a Vienna erano sfociati nell’incendio del Palazzo di Giustizia nel 1927, in Jugoslavia le «squadre della morte» macedoni stavano provocando il caos nel mondo politico, in Polonia una vera e propria guerra contro l’Unione Sovietica ancora in fase di consolidamento aveva paralizzato il sistema politico e l’economia, spianando la strada alla dittatura militare del generale Pilsudski. Ovunque la destra autoritaria condivideva, se non tutte, la maggior parte delle convinzioni antisemite e delle teorie del complotto che permeavano il movimento nazista. In Ungheria, il governo dell’ammiraglio Miklós Horthy nutriva un’avversione per gli ebrei, alimentata dal ricordo del breve regime rivoluzionario guidato dal comunista ebreo Béla Kun nel 1919, solo di poco inferiore a quella dell’estrema destra tedesca; anche il regime militare polacco avrebbe imposto rigide restrizioni alla numerosa popolazione ebrea del paese negli anni ’30. Considerate nel contesto europeo dell’epoca, né le violenze politiche degli anni ’20 e dell’inizio del decennio successivo, né il crollo della democrazia parlamentare o la soppressione delle libertà civili sarebbero sembrati episodi insoliti a un osservatore spassionato. Né tutto ciò che seguì nella storia del Terzo Reich fu il risultato inevitabile della nomina di Hitler a cancelliere: la sorte e il caso avrebbero avuto un ruolo importante, come lo avevano avuto in precedenza.1034
Rimane comunque vero che gli eventi tedeschi del 30 gennaio 1933 ebbero conseguenze molto più gravi del crollo della democrazia negli altri paesi europei. Nonostante le misure di garanzia del trattato di Versailles, la Germania rimaneva il paese più potente, più avanzato e più popolato d’Europa. Sogni nazionalisti di acquisizioni e conquiste territoriali caratterizzavano anche altri regimi autoritari, come la Polonia e l’Ungheria ma, se si fossero realizzati, è probabile che avrebbero avuto ripercussioni solo a livello regionale. Tutto ciò che si verificava in Germania, invece, era spesso destinato ad avere effetti di portata molto più ampia rispetto a quanto succedeva in un paese piccolo come l’Austria o povero come la Polonia: date le dimensioni e la potenza del paese, l’importanza sarebbe stata di portata mondiale. Questo è il motivo per cui gli eventi dei primi sei mesi del 1933 sono così cruciali.
Come e perché si verificarono? In primo luogo, nessuno avrebbe pensato di insediare Hitler al cancellierato del Reich se non fosse stato il leader del più grande partito politico della Germania. Il Partito nazista, come si è visto, non conquistò mai la maggioranza assoluta in un’elezione libera: il 37,4 per cento fu il massimo che raggiunse, in occasione delle votazioni per il Reichstag del luglio 1932. Rimane comunque una percentuale molto elevata per un voto democratico, superiore a quanto molti governi eletti democraticamente in altri paesi abbiano mai ottenuto. Il successo nazista aveva le sue radici nell’incapacità del sistema politico tedesco di dare vita a un efficace partito conservatore su base nazionale, in grado di unire sia i cattolici sia i protestanti della destra; nella tradizionale debolezza del liberalismo germanico; nel profondo risentimento di quasi tutti i tedeschi per la sconfitta bellica e le dure condizioni del trattato di Versailles; nella paura e nel disorientamento suscitati in molti cittadini delle classi medie dal modernismo sociale e culturale degli anni di Weimar; e infine nell’iperinflazione del 1923. A questi aspetti si sommò la mancanza di legittimità della Repubblica di Weimar, che per la maggior parte della sua esistenza non poté mai contare sull’appoggio della maggioranza dei deputati del Reichstag: ciò finì per tenere viva la nostalgia del vecchio Reich e della leadership autoritaria di un personaggio come Bismarck. Gli ideali dello «spirito del 1914» e della «generazione del fronte», diffusi soprattutto fra coloro che erano stati troppo giovani per arruolarsi e combattere, alimentarono un forte desiderio di unità nazionale e un senso di insofferenza per il pluripartitismo e per i suoi continui compromessi negoziali. Anche la devastante violenza politica su larga scala era un lascito della guerra, che contribuì a persuadere cittadini rispettabili e non violenti a tollerare episodi che sarebbero stati inconcepibili in una democrazia parlamentare efficace.
Fra tutti questi fattori, tuttavia, alcuni si distinguono per il loro ruolo chiave. Il primo è costituito dagli effetti della depressione economica, che portò a una radicalizzazione dell’elettorato, disgregò o inflisse gravi danni ai partiti più moderati e creò una polarizzazione del sistema politico fra i partiti «marxisti» e il gruppo dei partiti «borghesi», che si sarebbero presto avvicinati all’estrema destra. La crescente minaccia del comunismo incuteva terrore agli elettori dei ceti medi e favorì lo spostamento delle forze politiche cattoliche dalla democrazia verso l’autoritarismo, con una dinamica comune al resto dell’Europa. Il fallimento di molte aziende e i dissesti finanziari rafforzarono la convinzione di imprenditori del mondo dell’industria e dell’agricoltura che il potere dei sindacati dovesse essere arginato o addirittura eliminato. Gli effetti politici della depressione ingrandirono a dismisura quelli del precedente disastro economico, l’iperinflazione, e crearono l’impressione che tutto ciò che la repubblica aveva portato era la rovina dell’economia. La prima democrazia della Germania sembrava già condannata indipendentemente dalla crisi economica, ma l’insorgere di una delle peggiori recessioni della storia fu la spinta definitiva oltre il punto di non ritorno. In aggiunta a tutto ciò, la disoccupazione di massa indebolì il forte movimento dei lavoratori tedesco, che fino a pochi anni prima aveva rappresentato un solido bastione della democrazia: ancora nel 1920 era riuscito a sconfiggere il putsch di destra guidato da Kapp, nonostante l’esercito non fosse intervenuto contro gli insorti. Spaccato, demoralizzato e privato della sua arma fondamentale, lo sciopero politico, il movimento dei lavoratori rimase intrappolato fra il sostegno impotente al regime autoritario di Heinrich Brüning da una parte e l’ostilità autodistruttiva nei confronti della «democrazia borghese» dall’altra.
Un secondo fattore determinante fu il movimento nazista stesso. È evidente che le sue idee esercitavano un forte richiamo sull’elettorato, o almeno non erano così estranee da allontanarlo, e che il suo dinamismo si proponeva come una cura radicale per tutti i mali della repubblica. Il suo leader, Adolf Hitler, era una figura carismatica, capace non solo di attirare il sostegno elettorale grazie all’impeto retorico delle denunce che scagliava contro la poco amata Repubblica di Weimar, ma anche di trasformare tutto questo in un incarico politico facendo le mosse giuste al momento giusto. Il rifiuto di Hitler di entrare in un governo di coalizione con qualsiasi altra carica diversa dal cancellierato del Reich, un rifiuto che fu fonte di delusione estrema per alcuni dei suoi subalterni, per esempio per Gregor Strasser, alla fine si rivelò una tattica vincente. Come vice di Papen o Schleicher, entrambi statisti che non godevano di grande stima fra la gente, la sua reputazione avrebbe sofferto in maniera non indifferente ed egli avrebbe dovuto rinunciare a buona parte del carisma che gli derivava dall’essere il Führer. Il Partito nazista era un partito di protesta, senza un programma davvero positivo e con poche soluzioni pratiche per i problemi della Germania: la sua ideologia estremista, tuttavia, adattata e talvolta dissimulata in base alle circostanze e alla particolare natura del gruppo a cui si faceva appello, attingeva a una tale quantità di convinzioni e pregiudizi preesistenti e molto diffusi da farla sembrare degna di sostegno elettorale agli occhi di molti tedeschi. Per queste persone, i mali estremi richiedevano estremi rimedi; per molti altri, in particolare per i cittadini delle classi medie, la volgarità e l’ignoranza dei nazisti sembravano una garanzia del fatto che gli alleati di governo di Hitler, istruiti e di buone maniere, sarebbero riusciti a tenerlo a bada e a imporre un freno alla violenza nelle strade, violenza che sembrava un contorno spiacevole, ma certamente effimero, dell’ascesa del movimento.
Un terzo fattore che si rivelò decisivo per la nomina di Hitler a cancelliere del Reich il 30 gennaio 1933 fu la sostanziale sovrapposizione tra l’ideologia nazista e quella dei conservatori e perfino, in parte, dei liberali tedeschi. Le convinzioni che imperavano all’inizio degli anni ’30 fra quasi tutti i partiti politici a destra dei socialdemocratici avevano molto in comune con le idee dei nazisti: senza dubbio la somiglianza fu sufficiente a far sì che la maggior parte dell’elettorato protestante dei partiti liberali e conservatori li abbandonasse, almeno in via temporanea, a favore di un’alternativa che sembrava garantire maggiore efficacia. In questo periodo, neanche fra gli elettori cattolici o nel Partito del centro loro rappresentante politico, esisteva più un forte attaccamento alla democrazia. Al nazismo aderì perfino un cospicuo numero di operai cattolici, o per lo meno quelli, tra costoro, che per qualche motivo non avevano forti legami con il loro ambiente politico o culturale. Fu l’appello a valori politici e sociali preesistenti, spesso radicati nella profondità delle coscienze, che consentì ai nazisti di diventare in breve il primo partito in Germania. Allo stesso tempo, tuttavia, la pur abile e innovativa propaganda nazista, nonostante le energie profuse, non fece breccia nelle persone che, per motivazioni ideologiche, erano riluttanti a votare per Hitler. I finanziamenti per la macchina propagandista di Goebbels erano quasi sempre insufficienti a permettere il dispiegamento di tutte le sue armi e fino al 1933 i nazisti non avrebbero avuto accesso alla radio. Inoltre, l’opera di diffusione si basava sul lavoro volontario di gruppi locali di attivisti che spesso erano caotici e disorganizzati. Per tutte queste ragioni l’offensiva propagandistica dal 1930 al 1932 deve essere considerata solo uno dei fattori che spinsero la gente a scegliere i nazisti nelle varie tornate elettorali: sovente, in realtà, i cittadini votarono per i nazisti prima ancora che la loro propaganda li raggiungesse, come avvenne nel Nord rurale e protestante. Il voto per i nazisti era in primo luogo un voto di protesta e, dopo il 1928, Hitler, Goebbels e i vertici del partito riconobbero in modo implicito questo aspetto: la maggior parte delle loro politiche specifiche, quando ne avevano, venne relegata in secondo piano rispetto a un astratto appello emotivo che metteva in risalto quasi esclusivamente lo slancio giovanile e il dinamismo del partito, la sua determinazione a distruggere la Repubblica di Weimar, il Partito comunista e i socialdemocratici, e la convinzione che solo per mezzo dell’unità di tutte le classi sociali la Germania sarebbe potuta rinascere. L’antisemitismo, che negli anni ’20 aveva avuto un ruolo di primo piano nella propaganda nazista, scivolò nell’ombra e fu un fattore di poco conto nella conquista del sostegno elettorale alle votazioni dei primi anni ’30. Molto più rilevante, invece, fu il ritratto di sé che il partito proiettò nelle strade: le colonne di squadre d’assalto che sfilavano a passo di marcia alimentavano quell’immagine generale di disciplina, energia e determinazione che Goebbels cercava di creare.1035
Gli sforzi della propaganda nazista, quindi, ebbero successo soprattutto fra coloro che erano già propensi a riconoscersi nei valori che il partito sosteneva di rappresentare, e consideravano i nazisti un mezzo più efficace e più energico, rispetto ai partiti borghesi, per vederli attuati. Molti storici hanno affermato che tali valori erano di natura preindustriale, o pre-moderna, ma questa argomentazione si basa sulla semplicistica identificazione di democrazia e modernità. Gli elettori che si accalcavano ai seggi per sostenere Hitler, gli uomini delle squadre d’assalto che rinunciavano alle serate in famiglia per andare a picchiare comunisti, socialdemocratici ed ebrei, gli attivisti del partito che trascorrevano il loro tempo libero tra raduni e manifestazioni non si sacrificavano per riportare in vita un passato perduto. Al contrario, erano animati da un’imprecisa, eppure trascinante prospettiva di futuro, un futuro in cui le contrapposizioni di classe e i battibecchi del partitismo erano superati, i privilegi dell’aristocrazia come quelli incarnati dall’odiata figura di Papen non esistevano più, la tecnologia, i mezzi di comunicazione e tutte le invenzioni della modernità sarebbero state al servizio della causa del «popolo»; in cui una rigenerata volontà nazionale si esprimeva attraverso la sovranità non di una monarchia ereditaria legata alla tradizione o di un’élite sociale arroccata sulle proprie posizioni, bensì di un leader carismatico che veniva dal nulla, aveva servito nella Prima guerra mondiale come modesto caporale e insisteva di continuo sulle sue credenziali di populista in quanto uomo del popolo.
I nazisti sostenevano che avrebbero eliminato le incrostazioni straniere ed estranee dalla politica tedesca, liberando il paese da comunismo, marxismo, liberalismo «ebreo», bolscevismo culturale, femminismo, libertinaggio sessuale, cosmopolitismo, nonché dalle limitazioni economiche alla politica di potenza imposte dalla Gran Bretagna e dalla Francia nel 1919, dalla democrazia «occidentale» e da molto altro ancora. Avrebbero messo a nudo la vera Germania. Non era una Germania storica, con una datazione specifica o una struttura particolare, ma una Germania mitologica, che avrebbe recuperato la sua anima razziale eterna dopo l’alienazione che aveva sofferto durante le Repubblica di Weimar. Una prospettiva di questo tipo non si richiamava solo al passato, o solo al futuro: si affacciava su entrambi.
I conservatori che portarono Hitler al potere condividevano buona parte di questa visione. Essi guardavano al passato con un sentimento di reale nostalgia e anelavano alla restaurazione della monarchia degli Hohenzollern e al Reich di Bismarck, ma epurati da quelle che, secondo loro, erano state imprudenti concessioni alla democrazia. Nella loro visione del futuro, ciascuno sarebbe stato al proprio posto; in particolare le classi operaie dovevano essere mantenute nella posizione che era loro propria: al di fuori del processo di formazione delle decisioni politiche. Ma nemmeno questa prospettiva può essere definita davvero preindustriale o premoderna. Anzitutto, era in gran parte condivisa da numerosi grossi industriali, che avevano fatto molto per indebolire la democrazia di Weimar, e da diversi tecnocrati e ufficiali dell’esercito la cui ambizione era scatenare una guerra moderna, in cui utilizzare le dotazioni militari avanzate che il trattato di Versailles vietava loro di dispiegare. Come hanno fatto altri individui in epoche e in luoghi diversi, i conservatori, alla pari di Hitler, manipolavano e ricomponevano il passato per adattarlo alle loro finalità nel presente. Non possono essere ridotti a espressioni di gruppi sociali «preindustriali»: molti di loro, dagli Junker, capitalisti terrieri alla ricerca di nuovi mercati, ai piccoli negozianti e agli impiegati i cui mezzi di sostentamento nemmeno esistevano prima dell’industrializzazione, erano parte tanto della modernità quanto della tradizione.1036 Furono queste comunanze di prospettiva che convinsero uomini come Papen, Schleicher e Hindenburg circa l’opportunità di legittimare il loro potere facendo entrare il movimento di massa del Partito nazista in una coalizione di governo finalizzata a istituire uno Stato autoritario sulle rovine della Repubblica di Weimar.
La scomparsa della democrazia in Germania si inserisce in quello schema di eventi molto più ampio che interessò tutta l’Europa negli anni fra le due guerre, ma aveva radici anche nella particolare storia tedesca e in un complesso di idee che appartenevano a una precisa tradizione di quel paese. Il nazionalismo tedesco, la visione pangermanista del completamento per mezzo di una guerra di conquista dell’opera incompiuta di Bismarck, cioè l’unione di tutti i tedeschi in un unico Stato, l’idea della superiorità della razza ariana e della minaccia rappresentata dagli ebrei, i principi della pianificazione eugenetica e dell’igiene razziale, l’ideale militarista di una società in divisa, irreggimentata, obbediente e pronta a combattere: tutti questi concetti e i molti altri che trovarono attuazione nel 1933 si richiamavano a idee che si erano diffuse in Germania a partire dall’ultimo quarto del XIX secolo. Alcune di esse, a loro volta, avevano radici in altri paesi o avevano trovato rispondenza in importanti pensatori stranieri, come il razzismo di Gobineau, l’anticlericalismo di Schönerer, le fantasie paganeggianti di Lanz von Liebenfels, le politiche demografiche pseudoscientifiche dei seguaci di Darwin di vari paesi, e così via. Ma fu in Germania che esse si fusero in una miscela tossica unica nel suo genere, che la posizione egemonica della Germania, lo Stato più avanzato e più potente del continente europeo, rendeva ancora più pericolosa. Negli anni successivi alla nomina di Hitler a cancelliere del Reich il resto dell’Europa e del mondo avrebbe appreso quanto esiziale questa miscela potesse rivelarsi.
II
Nonostante i successi elettorali che aveva ottenuto, è fuori di dubbio che fu una manovra politica di corridoio a portare Hitler al potere. Non furono «i tedeschi» a eleggerlo cancelliere del Reich, né essi ebbero occasione di esprimere il proprio libero e democratico consenso alla creazione di uno Stato a partito unico. Si è tuttavia sostenuto che la Repubblica di Weimar non fu soppressa dai suoi nemici, ma si autodistrusse: si sarebbe trattato di un caso di suicidio politico, piuttosto che di omicidio.1037 La debolezza dell’ordinamento repubblicano durante la crisi finale del 1930-33 è indiscutibile e, data la fatale mancanza di legittimità della repubblica, i cittadini erano più che disposti a prendere in considerazione soluzioni politiche diverse per i mali della Germania. Ma questi mali non derivavano solo dai meccanismi istituzionali repubblicani: nel corso dell’intero processo fu decisivo il modo in cui i nemici della democrazia riuscirono a sfruttare per i propri fini la Costituzione e la cultura politica della democrazia stessa. Joseph Goebbels derise in pubblico e con toni molti espliciti la stupidità della democrazia. Una delle migliori beffe della democrazia sarà sempre quella di aver fornito ai suoi implacabili nemici gli strumenti con cui distruggerla. I dirigenti dell’NSDAP che erano stati perseguitati divennero deputati e acquisirono l’immunità parlamentare, varie indennità e il diritto a viaggiare gratis. Erano quindi al riparo dalle ingerenze della polizia, potevano dire cose non permesse a un normale cittadino e, oltre a ciò, i costi delle loro attività erano pagati dai loro nemici. Si può trarre grande profitto dalla stupidità della democrazia. I membri dell’NSDAP se ne resero conto subito e lo fecero con molto piacere.1038
È impossibile negare il sommo disprezzo dei nazisti per le istituzioni democratiche. D’altro canto è la natura stessa di tali istituzioni a presupporre almeno un minimo di propensione a rispettare le regole della politica democratica. Le democrazie minacciate di distruzione devono confrontarsi con un dilemma impossibile da risolvere: cedere alla minaccia attenendosi con ostinazione e scrupolosità alla prassi democratica o violare i propri principi limitando i diritti civili. I nazisti erano consapevoli di questo dilemma e nella seconda fase della creazione del Terzo Reich, tra il febbraio e il luglio 1933, lo sfruttarono appieno.
Dal fallimento del putsch della birreria nel novembre 1923 in poi, Hitler aveva sempre sostenuto che sarebbe andato al potere con mezzi legali; lo dichiarò addirittura sotto giuramento, in tribunale. Dopo il 1923 sapeva che un colpo di Stato violento, sulla falsariga della Rivoluzione d’ottobre in Russia nel 1917, o perfino un’iniziativa analoga alla «marcia su Roma», che aveva proiettato Mussolini alla presidenza del Consiglio in Italia nel 1922, non potevano riuscire. Lungo tutto il percorso, quindi, Hitler e i suoi collaboratori cercarono sempre un paravento legale per le loro mosse ed evitarono il più possibile di offrire agli avversari opportunità simili a quella sfruttata dai socialdemocratici quando decisero di opporsi al colpo di mano di Papen in Prussia, nel luglio 1932, ricorrendo alla magistratura. Dal punto di vista legale i socialdemocratici avevano ottenuto un certo successo, ma nella prospettiva politica la strada giudiziaria si era rivelata del tutto inutile. Fu proprio per evitare un analogo inconveniente che Hitler ripose tanta importanza, per esempio, nel decreto per l’incendio del Reichstag e nella legge sui pieni poteri. Per questo stesso motivo Göring arruolò le camicie brune e le SS a titolo di polizia ausiliaria in Prussia, cercando di dare alla furia delle loro azioni una pretesa di legalità; e sempre per questa ragione i vertici nazisti vollero che tutta la prima ondata di provvedimenti politici fosse attuata attraverso leggi approvate dal Reichstag o ratificate da decreti presidenziali.
La strategia della «rivoluzione legale» funzionò. Le continue rassicurazioni da parte di Hitler che avrebbe agito nell’ambito della legalità contribuirono a convincere tanto i suoi alleati di governo quanto i suoi avversari che i nazisti potevano essere controllati con mezzi legali. Questa cornice di legalità consentì ai funzionari pubblici di dar corso a tutti i decreti e le leggi che i nazisti chiedevano, perfino quando tali atti scardinavano i principi stessi di neutralità che erano alla base della pubblica amministrazione: ne fu un esempio la legge del 7 aprile 1933, che impose il licenziamento dei burocrati di origine ebraica e di quelli politicamente inaffidabili. Funzionari pubblici, dipendenti statali e molti altri rimasero affascinati dalle modalità con cui i nazisti assunsero il controllo del potere fra la fine di gennaio e la fine di luglio 1933 proprio perché tali modalità sembravano rispettare la legge alla lettera.
Ma non era così: i nazisti violarono la legge in ogni fase del processo. In primo luogo contravvennero allo spirito stesso cui le leggi dovevano servire. L’articolo 48 della Costituzione di Weimar, in particolare, che attribuiva al presidente il potere di governare tramite decreti in situazioni di emergenza, era stato pensato solo ed esclusivamente come base per provvedimenti provvisori: i nazisti lo trasformarono nel principio base di uno stato di emergenza permanente, più immaginario che reale, ma che sarebbe durato, in senso tecnico, fino al 1945. L’articolo 48, inoltre, non era destinato all’introduzione di misure di portata così ampia come quelle approvate il 28 febbraio 1933. Quanto mai inopportuno, in effetti, si rivelò il generoso ricorso all’articolo da parte del presidente Ebert nei primi anni della storia repubblicana, e ancora più improprio fu il disinvolto uso che ne fecero i cancellieri Brüning, Papen e Schleicher durante la crisi dell’inizio degli anni ’30. Ma perfino i provvedimenti di questi ultimi sembrarono poca cosa rispetto alla radicale limitazione delle libertà civili che entrò in vigore il 28 febbraio. Né il potere di governare per decreti avrebbe dovuto essere utilizzato da un cancelliere per sostituirsi al presidente nelle funzioni che gli erano proprie. Nelle sue trattative con Hindenburg del gennaio 1933, Hitler si preoccupò di garantirsi proprio questo.1039 La legge sui pieni poteri rappresentò una violazione ancora più lampante dello spirito della Costituzione, e tale fu anche l’abolizione delle libere elezioni che la seguì. Né si può sostenere che questa prospettiva fosse un piano segreto, in quanto durante la campagna elettorale i dirigenti nazisti dichiararono in termini espliciti che le elezioni del 5 marzo sarebbero state le ultime per molti anni.
I nazisti non solo violarono lo spirito della Costituzione di Weimar, ma la infransero anche in senso tecnico, legale. Il decreto del 6 febbraio 1933 che assegnava a Göring il controllo sulla Prussia andava contro le sentenze che la Corte di Stato aveva pronunciato in occasione dell’azione contro Papen intentata dal deposto governo socialdemocratico di minoranza della Prussia. Da un punto di vista legale, la legge sui pieni poteri avrebbe dovuto essere considerata nulla perché Göring, in qualità di presidente del Reichstag, aveva escluso dal conteggio i deputati eletti nelle file comuniste: è vero che la maggioranza di due terzi non esigeva che se ne tenesse conto, ma il rifiuto di riconoscere la loro esistenza era un atto illegale. Inoltre, la ratifica della legge da parte del Consiglio federale, la camera alta della legislatura che rappresentava gli Stati federati, era irregolare in quanto i governi statali erano stati rovesciati con la forza e non erano né costituiti né rappresentati secondo i requisiti di legge.1040
Tutti questi episodi erano più che semplici dettagli tecnici e ciononostante passano in secondo piano rispetto alle gravi, prolungate e del tutto arbitrarie violenze delle squadre d’assalto naziste nelle strade: a metà febbraio la campagna era già in atto, aumentò di intensità dopo l’incendio del Reichstag e infuriò in tutto il paese in marzo, aprile, maggio e giugno. Il fatto che molte unità delle SA fossero inquadrate nella polizia ausiliaria non rendeva legittimi i loro atti: dopo tutto, indossare un’uniforme della polizia non significa avere licenza di commettere omicidi, depredare sedi sociali e confiscare denaro, o arrestare le persone, picchiarle, torturarle e rinchiuderle senza processo in campi di concentramento organizzati in fretta e furia.1041
Le autorità giudiziarie tedesche erano consapevoli dell’illegalità delle violenze naziste anche dopo la presa del potere. Il ministero della Giustizia del Reich tentò in tutti i modi di sottoporre la massa di arrestati della prima metà del 1933 a un processo formale, a norma di legge, ma le sue ingerenze furono semplicemente ignorate. Per tutto il 1933 si registrarono casi di procuratori di Stato che incriminarono uomini delle camicie brune e delle SS per omicidi e violenze contro i loro avversari e in agosto fu istituita una speciale divisione giudiziaria per coordinare questi sforzi. In dicembre il procuratore bavarese tentò di indagare sulla morte in seguito a torture di tre prigionieri del campo di concentramento di Dachau e quando l’autorizzazione gli fu negata, il ministro della Giustizia della Baviera annunciò la sua intenzione di portare avanti l’indagine con tutta la determinazione possibile. Nel gennaio 1934 il ministro degli Interni del Reich protestò perché in molti casi si era abusato della detenzione preventiva, ma soltanto nell’aprile successivo venne approvata una serie di provvedimenti che regolamentavano la competenza a effettuare arresti e a decidere in merito alla custodia preventiva, nonché il trattamento dei prigionieri durante il periodo di detenzione. In quello stesso anno, tuttavia, il procuratore di Stato incriminò 23 fra uomini delle SA e ufficiali della polizia politica del campo di concentramento di Hohnstein, in Sassonia, fra cui il comandante del campo, per torture sui reclusi, le quali, come precisava il ministro della Giustizia del Reich Gürtner, «dimostrano una ferocia e una crudeltà dei responsabili che sono del tutto estranee alla compassione e ai sentimenti tedeschi».1042
Molti di coloro che tentarono di perseguire le sevizie e le violenze commesse da componenti delle squadre d’assalto naziste erano iscritti al partito. Il ministro della Giustizia bavarese che voleva procedere contro le torture a Dachau nel 1933, per esempio, altri non era che Hans Frank, quello stesso Frank che, durante la Seconda guerra mondiale, sarebbe diventato famoso come brutale governatore generale della Polonia. Queste iniziative della magistratura non portarono a nulla e furono tutte sventate da interventi dall’alto, da parte di Himmler o addirittura di Hitler in persona. 1043 Già il 21 marzo 1933 venne varata un’amnistia per i crimini commessi nel corso della «sollevazione nazionale» che annullò più di 7000 procedimenti giudiziari. 1044 Nel 1933 e 1934 tutti, non ultimi gli stessi nazisti, sapevano che i feroci pestaggi, le torture, i maltrattamenti, la distruzione di proprietà e le violenze di tutti i tipi contro gli oppositori del nazismo, tra cui si contavano gli omicidi commessi dalle squadre d’assalto in camicia bruna delle SA e dalle squadre in uniforme nera delle SS, erano evidenti violazioni della legge tedesca. Eppure tali violenze furono una componente fondamentale e irrinunciabile della conquista nazista del potere dal febbraio 1933 in poi: la diffusa, e col tempo quasi universale, paura che generarono fra i tedeschi che non avevano aderito al partito o alle sue organizzazioni ausiliarie fu un fattore decisivo per intimidire gli oppositori di Hitler e piegare i suoi talvolta riluttanti alleati.1045
Infine, non esistono dubbi in merito alla responsabilità ultima di Hitler e dei vertici nazisti per questi atti illeciti. Il leader nazista espresse con chiarezza in molte occasioni il suo disprezzo per la legge e per la Costituzione di Weimar. «Intendiamo accedere agli enti legittimi per rendere il nostro partito un fattore determinante» affermò davanti alla corte di Lipsia, durante il processo contro gli ufficiali dell’esercito nel 1930, «tuttavia, quando avremo il potere costituzionale, plasmeremo lo Stato nella forma che riteniamo più adatta.»1046 E subito dopo l’incendio del Reichstag, spronò l’esecutivo a non farsi impastoiare dalle sottigliezze legali nel perseguire i presunti colpevoli comunisti.
Tutta l’eloquenza di Hitler, tutto il suo atteggiamento nei primi mesi del 1933 era un incessante incoraggiamento agli atti di violenza contro gli avversari dei nazisti. I suoi appelli alla disciplina erano quasi sempre accompagnati da retorici quanto generici attacchi contro gli oppositori, che le truppe delle squadre d’assalto recepivano come un’autorizzazione a proseguire indisturbati nelle violenze. Le azioni di massa coordinate dal centro, come l’occupazione delle sedi dei sindacati il 2 maggio, persuasero le camicie brune della base che analoghe azioni frutto della loro iniziativa, purché perseguite nello stesso spirito, sarebbero state altrettanto tollerate. E così fu.1047
Il fatto decisivo era che Hitler e i nazisti di ogni livello gerarchico erano ben consapevoli di infrangere la legge. Il loro disprezzo per il diritto e per l’amministrazione formale della giustizia era palese e si manifestò con chiarezza in numerosissime circostanze: era la forza a creare il diritto e la legge era solo l’espressione del potere. Ciò che contava veramente, secondo le parole di un giornalista nazista, non era la «mendace ipocrisia» dei sistemi giudiziario e penale della Germania, bensì la «legge del potere, che si incarna nei legami di sangue e nella solidarietà cameratesca della propria razza … Né il diritto né la giustizia esistono di per sé. Ciò che è riuscito a imporsi come “diritto” nella lotta per il potere deve essere protetto, anche nell’interesse del potere che è risultato vittorioso».1048
III
Data la natura illegale della conquista del potere da parte dei nazisti nella prima metà del 1933, l’evento si configurava di fatto come un rovesciamento rivoluzionario di un sistema politico esistente, e in effetti la retorica della «rivoluzione nazionalsocialista» mirava, non da ultimo, a fungere da giustificazione implicita di atti illegali. Ma di che genere di rivoluzione si trattò? Il conservatore Hermann Rauschning, che iniziò lavorando a fianco dei nazisti, ma che negli ultimi anni ’30 sarebbe diventato uno dei loro più feroci e ostinati detrattori, la descrisse come una «rivoluzione nichilista», priva di un obiettivo determinato, il cui unico interesse era la rivoluzione in sé. Essa aveva annientato l’ordine sociale, la libertà, il decoro: Rauschning giunse alla conclusione che «la rivoluzione è distruzione» e null’altro.1049 Ma in questa appassionata invettiva, che terminava con un fervido appello alla restaurazione dei valori conservatori autentici, Rauschning si limitava a usare la parola «rivoluzione» come un manganello retorico con cui punire i nazisti per aver rovesciato un ordine che gli stava a cuore. Altre rivoluzioni, nonostante ciò che Rauschning poteva pensare, non hanno portato soltanto distruzione: come si pone la rivoluzione nazista rispetto a esse?
A prima vista, la rivoluzione nazista non è una vera rivoluzione. La Rivoluzione francese del 1789 e quella russa del 1917 spazzarono via l’ordine esistente con la forza e lo sostituirono con qualcosa che i rivoluzionari consideravano completamente nuovo. I nazisti, invece, con la loro caratteristica tendenza a tenere il piede in due scarpe, utilizzarono sì la retorica della rivoluzione, ma al contempo sostennero di essere saliti al potere con mezzi legittimi e secondo quanto previsto dalla struttura politica esistente. Pochi furono i loro atti effettivi per cancellare le istituzioni centrali della Repubblica di Weimar o per sostituirle con qualcosa di diverso: in questo senso, l’abolizione della carica di presidente del Reich nel 1934 fu un episodio quasi unico. Preferirono piuttosto lasciare che si atrofizzassero, come nel caso del Reichstag, che dopo il 1933 fu convocato di rado e solo per ascoltare i discorsi di Hitler, o del gabinetto del Reich, il quale finì per non riunirsi più.1050
D’altro canto, neppure ciò che era nei desideri delle élite conservatrici – ossia una reale controrivoluzione con la partecipazione dei nazionalsocialisti, che sarebbe dovuta sfociare nella restaurazione del Reich guglielmino o in qualcosa di molto simile, con o senza il Kaiser sul trono – si concretizzò. Qualsiasi cosa sia successa nel 1933, non si trattava di una restaurazione di ispirazione conservatrice. La violenza che caratterizzò la presa del potere conferiva all’evento una tipica aura rivoluzionaria e la retorica della «rivoluzione» utilizzata dai nazisti non venne contestata da nessuno dopo il giugno 1933: si deve quindi prendere per buona questa versione?1051
Alcuni storici hanno sostenuto che è possibile tracciare una linea storica diretta fino al nazismo partendo dalla Rivoluzione francese del 1789 e passando per il Terrore giacobino del 1793-94 e per l’idea di una dittatura del popolo sottintesa nella teoria della «volontà generale» di Rousseau, che all’inizio viene espressa dal popolo ma che, una volta stabilita, non ammette più alcuna opposizione.1052 Uno degli aspetti più notevoli della Rivoluzione francese fu il fatto che rappresentò una prova generale di molte delle principali ideologie che comparvero sul palcoscenico della storia europea nei due secoli successivi, da comunismo e anarchia a liberalismo e conservatorismo. Ma il nazionalsocialismo non fu tra queste: i nazisti, in effetti, si consideravano i demolitori di tutto ciò che la Rivoluzione francese aveva generato e il loro proposito era di spostare le lancette dell’orologio, almeno di quello della politica, molto più indietro, fino all’inizio dell’alto Medioevo. Il loro concetto di popolo era razziale, piuttosto che civico. Tutte le ideologie partorite dalla Rivoluzione francese dovevano essere soppresse e la rivoluzione nazista sarebbe stata la negazione storica, a livello mondiale, del suo predecessore francese, non il suo coronamento.1053
Se vi fu una rivoluzione nazista, quindi, che caratteristiche avrebbe dovuto avere secondo i nazisti stessi? Ancora una volta, il confronto con le rivoluzioni francese e russa non sembra possibile. I rivoluzionari del 1789 erano dotati di un preciso complesso di dottrine che fungevano da base teorica per l’introduzione della sovranità popolare tramite istituzioni rappresentative. I rivoluzionari russi dell’ottobre 1917 miravano al rovesciamento della borghesia e delle élite tradizionali per portare al potere il proletariato. Per contro, i nazisti non avevano un programma preciso per il riordino della società, e in realtà neanche un schema completo della società che dicevano di voler rivoluzionare. Lo stesso Hitler sembra aver immaginato la rivoluzione come una sostituzione del personale in posizioni di potere o dotato di autorità. In un discorso ai funzionari nazisti di grado più elevato, il 6 luglio 1933, lasciò intendere che il nocciolo della rivoluzione era la soppressione di partiti politici, istituzioni democratiche e organizzazioni indipendenti. Sembra che considerasse la conquista del potere come l’essenza della rivoluzione nazista e che i due termini fossero per lui intercambiabili: La conquista del potere richiede perspicacia. La conquista del potere in sé è semplice, ma è garantita solo da un rinnovamento degli esseri umani adeguato alla nuova forma … In questo momento la grande sfida è riprendere il controllo della rivoluzione. La storia dimostra che le rivoluzioni che hanno avuto successo al primo assalto sono più numerose di quelle che sono state anche in grado di rimanere in sella. La rivoluzione non deve diventare una condizione permanente, come se la prima rivoluzione dovesse ora essere seguita da una seconda, e la seconda da una terza. Abbiamo conquistato molto e avremo bisogno di un periodo molto lungo per assimilare tutto … I prossimi sviluppi devono avvenire in forma di evoluzione, le circostanze esistenti devono essere migliorate …1054
Hitler, quindi, se da un lato voleva rimodellare culturalmente e spiritualmente il popolo tedesco affinché si adattasse alla nuova forma del Reich, al tempo stesso pensava che ciò dovesse essere realizzato con modalità evolutive, non rivoluzionarie. E continuava: L’attuale struttura del Reich va contro natura. Non è condizionata né dalle esigenze dell’economia né dalle necessità del nostro popolo … Abbiamo assunto il controllo di una determinata situazione di fatto: la domanda è se vogliamo mantenerla com’è … Nostro compito è ora proteggere e riplasmare quanto di tale costruzione è utilizzabile, in modo che ciò che è valido possa essere mantenuto per il futuro, e ciò che non può essere usato sia eliminato.1055
Per analogia, anche la trasformazione culturale dell’individuo tedesco, che costituiva l’aspetto più rivoluzionario delle intenzioni dei nazisti, poteva essere attuata conservando o riportando in vita ciò che si considerava valido nella cultura tedesca del passato, ed eliminando tutto ciò che appariva un’ingerenza esterna.
Neanche le squadre d’assalto, la cui sedicente propensione a una «seconda rivoluzione» era l’oggetto diretto delle critiche di Hitler in questo contesto, avevano una vera idea di cambiamento rivoluzionario sistematico. Un’indagine del 1934 sulle opinioni della base elettorale nazista mise in luce che la maggioranza degli attivisti che avevano aderito al partito durante la Repubblica di Weimar si aspettava che il regime portasse a una rinascita nazionale, descritta da un interpellato come un «completo riordino della vita pubblica», in cui Hitler avrebbe «epurato la Germania delle persone estranee al nostro paese e alla nostra razza che si sono infiltrate nelle posizioni più alte e, assieme ad altri criminali, hanno portato la mia patria sull’orlo della rovina». Una rinascita nazionale, nella concezione di questi attivisti, significava soprattutto la riaffermazione della posizione della Germania nel mondo, il sovvertimento del trattato di Versailles e delle sue disposizioni e il ripristino, con ogni probabilità per mezzo di una guerra, dell’egemonia tedesca in Europa.1056 Uomini di questo tipo, quindi, non erano rivoluzionari neanche in senso lato: non avevano alcuna concezione, o quasi, di una trasformazione interna della Germania che si spingesse oltre l’epurazione di ebrei e «marxisti». L’incessante attivismo delle camicie brune avrebbe causato grossi problemi al Terzo Reich nei mesi e negli anni successivi. Nella seconda metà del 1933 e nella prima del 1934 fu spesso giustificato con l’asserzione che «la rivoluzione» doveva continuare, ma il concetto di rivoluzione delle squadre d’assalto era, alla fin fine, poco più che la prosecuzione delle risse e degli scontri cui avevano fatto l’abitudine durante la conquista del potere.
Per i gradi più alti della gerarchia nazista, e soprattutto per i vertici del partito, la continuità era importante quanto il cambiamento. La solenne cerimonia di insediamento del Reichstag nella cappella militare di Potsdam dopo le elezioni del marzo 1933, con la sua ostentazione dei simboli del vecchio ordine politico e sociale, compreso il trono vuoto riservato al Kaiser e la deposizione di corone di fiori sulle tombe dei re prussiani, lasciava intendere con vigore che il nazismo rifiutava i fondamenti della rivoluzione e si ricollegava simbolicamente alle principali tradizioni del passato tedesco. Forse questa interpretazione non rende conto di tutto, ma non si era trattato di un mero saggio di propaganda o di una cinica concessione per indorare la pillola che Hitler voleva far ingoiare ai suoi alleati conservatori. Inoltre, il fatto che nelle settimane e nei mesi successivi alla nomina di Hitler un numero così elevato di persone aderì al nazismo, o almeno lo tollerò e non oppose alcuna resistenza, non può essere ridotto a semplice opportunismo: quest’ultimo può fornire una spiegazione per i regimi ordinari, non per uno con caratteristiche così decise e radicali come quello nazista. La rapidità e l’entusiasmo con cui migliaia e migliaia di persone si identificarono con il nuovo ordine, inoltre, indicano che una vasta maggioranza delle élite colte della società tedesca, a prescindere dalle loro scelte elettorali fino a quel momento, erano già inclini ad accettare molti dei principi su cui poggiava il nazismo.1057 Nei primi mesi del Terzo Reich i nazisti non assunsero il controllo solo del potere politico, ma anche del potere ideologico e culturale. Ciò non era soltanto una conseguenza della natura versatile e indefinita di molte delle loro formulazioni ideologiche, in grado di offrire tutto a chiunque: derivava anche dal fatto che le idee del nazismo si rifacevano in modo diretto a molti dei principi e dei concetti che si erano diffusi fra le élite colte tedesche fin dalla fine del XIX secolo. In seguito alla Prima guerra mondiale, tali principi e concetti non erano più appannaggio di una circoscritta minoranza rivoluzionaria, ma erano condivisi dalle principali istituzioni della società e della politica. Erano coloro che li rifiutavano in parte o nella loro totalità, ovvero i comunisti e i socialdemocratici, a definirsi rivoluzionari, e come tali erano considerati dalla maggioranza dei tedeschi.
Tutte le grandi rivoluzioni della storia hanno rifiutato il passato, giungendo al punto di costituire, con l’«Anno 1», un nuovo sistema di datazione, come fece la Rivoluzione francese nel 1789, o di relegare i secoli che le avevano precedute nella «pattumiera della storia», per citare la celebre frase utilizzata da Trockij per la Rivoluzione russa del 1917.1058 Fondamentalismi di questo tipo si ritrovano anche all’estrema destra: si pensi al progetto di Schönerer di introdurre un calendario nazionalista tedesco al posto di quello cristiano. Eppure anche il sistema di datazione di Schönerer cominciava in un passato remoto. Per i nazisti e i loro sostenitori, la denominazione stessa di «Terzo Reich» rappresentava un potente collegamento simbolico alla vagheggiata grandezza del passato, che si incarnava nel Primo Reich di Carlo Magno e nel Secondo Reich di Bismarck. La rivoluzione nazista, quindi, come affermò Hitler il 13 luglio 1934, ripristinava il corso naturale della storia tedesca, che era stato interrotto dai soprusi di Weimar: Per noi, la rivoluzione che ha fatto a pezzi la Seconda Germania non è stata altro che il formidabile atto di nascita che ha dato origine al Terzo Reich. Abbiamo voluto ricreare uno Stato a cui ogni tedesco possa stringersi con amore; instaurare un regime a cui ciascuno possa guardare con rispetto; trovare leggi che siano commisurate alla moralità del nostro popolo; insediare un’autorità a cui ogni singolo uomo possa obbedire con gioia.
Per noi, la rivoluzione non è una condizione permanente. Quando lo sviluppo naturale di un popolo è costretto con la violenza a subire un arresto fatale, un atto di violenza può servire a liberare il flusso dell’evoluzione artificiosamente interrotto e a restituirgli la libertà dello sviluppo naturale.1059
Anche in questo caso la rivoluzione era presentata come poco più di una conquista del potere politico e dell’instaurazione di uno Stato autoritario. Come disporre di questo potere dopo averlo conquistato non rientrava necessariamente nella definizione di rivoluzione. La maggior parte delle rivoluzioni sono sfociate, magari per un periodo limitato, nella dittatura di un singolo, ma per nessuna – a eccezione della rivoluzione nazista – un simile progetto era esplicito fin dall’inizio. Perfino la rivoluzione bolscevica, finché non comparve Stalin, si proponeva di instaurare la dittatura collettiva del proletariato sotto la guida della sua avanguardia politica.1060
Il nazismo costituì una sintesi di rivoluzione e restaurazione. I nazisti non perseguivano un rovesciamento totale del sistema sociale, come quello invocato a Parigi nel 1789 o a Pietrogrado nell’ottobre 1917: al centro del sistema che crearono c’era qualcosa di diverso. Nonostante tutta la loro aggressiva retorica egualitaria, in fondo i nazisti erano piuttosto indifferenti alle ineguaglianze della società: ciò che contava veramente, per loro, erano la razza, la cultura e l’ideologia. Negli anni a venire avrebbero creato una nuova serie di istituzioni per mezzo delle quali avrebbero tentato di rimodellare la psiche e ricostruire il carattere dei tedeschi. Una volta completata l’epurazione della vita artistica e culturale, era tempo che gli scrittori, i musicisti e gli intellettuali tedeschi che erano rimasti mettessero il loro talento al servizio dell’entusiastica creazione di una nuova cultura tedesca. La cristianità delle Chiese costituite, a cui finora, per ragioni di convenienza politica, erano state risparmiate le ostili attenzioni dei nazisti, non sarebbe stata preservata ancora a lungo.
I nazisti stavano per avviare la realizzazione di un’utopia razziale: una nazione di eroi di razza pura si sarebbe preparata nel più breve tempo e nel modo più completo possibile alla prova suprema della superiorità razziale tedesca – una guerra in cui avrebbe schiacciato e annientato i suoi nemici e instaurato un nuovo ordine europeo il cui fine ultimo era la dominazione del mondo. Nell’estate del 1933 il terreno era ormai pronto per la costruzione di una dittatura che non aveva pari nella storia. Il Terzo Reich era nato: la fase successiva della sua esistenza sarebbe stata contrassegnata dall’ irruente ingresso in una dinamica maturità all’insegna di una crescente intolleranza.