XX - IL PROCESSO DI «COORDINAMENTO»

 

I

 

La mattina del 6 maggio 1933 alcuni furgoni si fermarono davanti all’Istituto di sessuologia del dottor Magnus Hirschfeld, nell’elegante quartiere di Tiergarten a Berlino. Ne uscì un gruppo di studenti della Scuola di educazione fisica, membri della Lega nazionalsocialista degli studenti tedeschi: si avvicinarono in formazione militare e mentre alcuni, dando fiato a trombe e tube, cominciarono a suonare inni patriottici, altri si introdussero nell’edificio. Era chiaro che le loro intenzioni non erano pacifiche. L’istituto di Hirschfeld era famoso a Berlino non solo per le campagne a favore della legalizzazione dell’omosessualità e dell’aborto e per le sue gremite lezioni serali di educazione sessuale, ma anche per la sua vasta raccolta di libri e manoscritti in tema di sessualità – raccolta avviata dal direttore da prima dell’inizio secolo e che nel 1933 comprendeva tra i 12 mila e i 20 mila volumi –, oltre che per una documentazione fotografica ancora più estesa.889 Gli studenti che attaccarono l’istituto quel 6 maggio versarono inchiostro rosso su libri e manoscritti, presero a calci le fotografie incorniciate fino a ricoprire il pavimento di schegge di vetro e frugarono in armadi e cassetti, gettandone il contenuto per terra.

Quattro giorni più tardi arrivarono altri furgoni, da cui stavolta scesero uomini delle squadre d’assalto muniti di ceste: le riempirono con tutti i testi che riuscirono a farci stare e le portarono fuori sulla piazza dell’Opera. Qui disposero libri e manoscritti in una gigantesca catasta e la incendiarono. Andarono in fumo, sembra, 10 mila volumi circa. La sera, mentre il falò ancora ardeva, gli studenti portarono sulla piazza un busto di Hirschfeld e lo gettarono tra le fiamme. Saputo che il sessantacinquenne direttore dell’istituto era in convalescenza all’estero, le camicie brune esclamarono: «Allora speriamo che tiri le cuoia per conto suo; così ci risparmieremo di appenderlo a un cappio o pestarlo a morte».890

Saggiamente, Hirschfeld non tornò in Germania. Mentre la stampa nazista esaltava la «decisa azione contro la bottega dei veleni» e annunciava che «studenti tedeschi suffumicano l’Istituto di sessuologia» diretto «dall’ebreo Magnus Hirschfeld», il venerabile riformatore del sesso e paladino dei diritti degli omosessuali rimase in Francia, dove morì poi all’improvviso il 14 maggio 1935, giorno del suo sessantasettesimo compleanno.891 La distruzione del suo istituto, per quanto clamorosa, fu solo un episodio del vasto attacco contro tutto ciò che i nazisti consideravano parte del movimento ebraico volto a minare la famiglia tedesca. Sesso e procreazione, almeno fra gli individui di razza ariana, non potevano essere disgiunti e tanto i conservatori quanto i cattolici approvavano le iniziative naziste tese a sopprimere ogni espressione della intricata e vivace congerie di gruppi di pressione che nella Germania di Weimar si adoperavano per la libertà sessuale, la riforma della legge sull’aborto, la depenalizzazione dell’omosessualità, la creazione di consultori per la contraccezione e così via, a cui i nazisti imputavano la costante diminuzione del tasso di natalità nel paese.

Riformatori come il freudiano Wilhelm Reich o come Helene Stöcker, che da molti anni si batteva per la riforma dell’aborto, furono costretti all’esilio; le loro organizzazioni e cliniche vennero chiuse o passarono sotto il controllo dei nazisti. Allo stesso tempo, la polizia faceva irruzione in locali e luoghi frequentati da omosessuali, fino ad allora tacitamente tollerati, e arrestava centinaia di prostitute nei quartieri attorno al porto di Amburgo: con una motivazione alquanto improbabile, l’iniziativa venne ricondotta al decreto per l’incendio del Reichstag e quindi motivata con «la difesa del popolo e dello Stato». Se non altro, le irruzioni dimostrarono come il decreto potesse essere usato per legittimare qualsiasi azione repressiva da parte delle autorità. Il 26 maggio 1933 il governo mise a tacere i dubbi sulla legittimità dell’azione di polizia con un emendamento alla legge contro le malattie a trasmissione sessuale, un provvedimento liberale entrato in vigore sei anni prima: oltre a dichiarare nuovamente reato la prostituzione, di fatto depenalizzata nel 1927, vennero messe fuori legge la propaganda e l’educazione su temi collegati all’aborto.892 In un breve lasso di tempo i nazisti avevano non solo stroncato il movimento per le riforme sessuali, ma anche fatto oggetto di restrizioni legali molti altri comportamenti sessuali non finalizzati all’incremento della natalità.

L’offensiva in questo campo si era già profilata negli ultimi anni della Repubblica di Weimar. Fra il 1929 e il 1932 si era assistito a un acceso dibattito pubblico sulla riforma della normativa sull’aborto: stimolato dai comunisti, esso rifletteva il bisogno di molte coppie di evitare la maternità date le diffuse condizioni di estrema povertà e di disoccupazione. Dimostrazioni e raduni affollatissimi, petizioni, film, campagne sui giornali e iniziative analoghe contribuirono ad attirare l’attenzione sui problemi dell’aborto clandestino e dell’ignoranza in tema di contraccezione. La polizia aveva proibito numerosi incontri pubblici con i promotori delle riforme e il 1° marzo 1933 la chiusura in tutto il paese dei consultori finanziati dallo Stato fu legittimata da un nuovo decreto in materia di sanità. Nelle settimane successive squadre di camicie brune si impegnarono a far applicare il decreto: i medici e il personale degli ambulatori furono cacciati e molti di loro, in particolare gli ebrei, scelsero la via dell’esilio. I nazisti sostenevano che il sistema di medicina sociale della Repubblica di Weimar era orientato a impedire la riproduzione dei più forti da un lato e a sostenere le famiglie dei più deboli dall’altro. Era ora di finirla con l’igiene sociale, che doveva essere sostituita dall’igiene razziale:893 come alcuni eugenisti andavano affermando dalla fine del XIX secolo, era necessario alleggerire la società del peso costituito dalle categorie deboli introducendo un programma di prevenzione delle nascite.

Idee di questo tipo si erano diffuse e avevano acquisito un notevole credito fra medici, funzionari e assistenti sociali negli anni della depressione economica. Ancor prima della fine della Repubblica di Weimar, la recessione aveva offerto l’occasione ad alcuni per sostenere che il modo migliore per ridurre la spesa assistenziale, insostenibile per l’economia, era limitare le nascite tra le classi inferiori attraverso programmi di sterilizzazione forzata. Così, nel giro di pochi anni, ci sarebbero state in Germania meno famiglie bisognose da sostenere e anche il numero degli alcolizzati, dei «renitenti al lavoro», dei disabili psichici e fisici, nonché degli individui con tendenze criminali si sarebbe ridotto in modo drastico, conclusione basata sul discutibile presupposto che tutte queste condizioni fossero in larga misura di natura ereditaria. Lo Stato sociale avrebbe così potuto destinare le sempre più magre risorse ai poveri davvero meritevoli di aiuto. La maggior parte delle organizzazioni caritative protestanti, sotto l’influsso delle dottrine su predestinazione e peccato originale, accolsero con favore queste idee; i cattolici, invece, erano contrari e basavano la loro profonda avversione sul severo monito di un’enciclica papale del 1930, secondo cui il matrimonio e i rapporti sessuali avevano come unico scopo la procreazione e tutti gli esseri umani avevano un’anima immortale. Le proposte basate sull’eugenetica suscitarono interesse perfino fra i riformatori di matrice liberale, non da ultimo per il fatto che dal 1930 i manicomi avevano rapidamente cominciato a riempirsi, perché le famiglie in difficoltà economiche non erano più in grado di prendersi cura degli ammalati o dei disabili, mentre al contempo le autorità locali e regionali avevano drasticamente ridotto i fondi destinati a queste strutture. Nel 1932 la commissione sanitaria statale della Prussia cominciò a discutere una proposta di legge che prevedeva l’introduzione della sterilizzazione eugenetica volontaria. Redatta da Fritz Lenz, uno studioso il cui interesse per le politiche di questo tipo risaliva al periodo precedente la Prima guerra mondiale, la legge riservava il potere di esprimere pareri sull’applicazione del provvedimento a funzionari del sistema sanitario e sociale: è facile immaginare che i poveri, gli emarginati e i disabili non avrebbero avuto molte possibilità di opporvisi.894

Il giro di vite aveva comunque una portata molto più ampia e mirava a colpire tutti quei comportamenti che i benpensanti reputavano socialmente devianti. All’apice della crisi economica ad almeno 10 milioni di cittadini veniva erogata qualche forma di assistenza pubblica. Con la soppressione dei partiti democratici, l’instaurarsi del controllo nazista sugli organi legislativi comunali e statali, trasformati in consessi di sostenitori dei caporioni locali, e le restrizioni operate sulla stampa, che impedivano ai giornali di approfondire questioni di interesse sociale e politico, gli enti assistenziali, come già la polizia, risultarono privi di qualsiasi forma di controllo pubblico. Da tempo gli assistenti sociali e i funzionari tendevano a considerare coloro che chiedevano aiuto alla stregua di parassiti e sfaticati; ora, grazie ai nuovi dirigenti nominati dalle autorità locali e regionali controllate dai nazisti, i loro pregiudizi potevano avere libero corso. La normativa varata nel 1924 aveva permesso di condizionare l’erogazione di sussidi alla disponibilità del richiedente, «nei casi opportuni», a partecipare a programmi di lavoro di pubblica utilità, che erano stati avviati, per quanto su scala ridotta, già prima del 1933: nel 1930 i programmi di prestazione d’opera obbligatoria di Duisburg coinvolgevano 3500 persone e a Brema l’erogazione di sussidi era stata condizionata a forme di impiego analoghe fin dall’anno precedente. Ma nella gravissima situazione economica dei primi anni ’30 era possibile provvedere solo a una minima parte dei disoccupati; ad Amburgo, per esempio, appena 6000 delle 200 mila persone che ricevevano sussidi erano inquadrate in programmi di questo tipo. Dai primi mesi del 1933, tuttavia, il loro numero aumentò con celerità. Non si trattava di un impiego nel vero senso della parola, in quanto non comprendeva contributi né sanitari né pensionistici, e in effetti non era nemmeno retribuito: tutto ciò che garantiva erano i sussidi sociali più, talvolta, un rimborso per le spese di trasporto o il pranzo gratis.895

La partecipazione a questi programmi, gestiti come iniziative private di enti di beneficenza quali le organizzazioni assistenziali della Chiesa, avrebbe dovuto essere volontaria, ma dal marzo 1933 l’aspetto opzionale venne messo via via nell’ombra e sull’urgente problema della disoccupazione di massa si intervenne anzitutto con la coercizione. L’esempio classico è il programma di lavoro agricolo lanciato nel marzo 1933, che riprendeva alcune iniziative già avviate durante la Repubblica di Weimar e si proponeva di aiutare l’economia rurale inviando giovani disoccupati urbani a lavorare nelle campagne in cambio di vitto, alloggio e un salario simbolico. Anche in questo caso non si poteva parlare di un vero e proprio impiego, ma entro l’agosto 1933 il programma aveva contribuito a ridurre gli iscritti alle liste di disoccupazione di 145 mila unità, di cui 33 mila donne.

Già dal 1931 le autorità locali di Amburgo, cui spettava il problema dei senzatetto, avevano cercato di rendere la vita degli indigenti più difficile, spingendoli così a cercare aiuto altrove, atteggiamento che dal 1933 si sarebbe diffuso con grande rapidità. In quello stesso anno il numero di ricoveri notturni nel rifugio gestito dalla polizia di Amburgo passò dai 403 mila registrati nel 1930 a 299 mila e la diminuzione fu soprattutto il risultato di questa politica di dissuasione. I funzionari presero a sostenere che vagabondi e scioperati dovessero essere internati nei campi di concentramento. Il 1° giugno 1933 il ministro degli Interni della Prussia pubblicò un decreto che vietava di elemosinare sulla pubblica via. La povertà e l’indigenza, già stigmatizzate prima del 1933, cominciavano ora a essere addirittura criminalizzate.896

La stessa polizia, affrancata da qualsiasi interferenza di controllo democratico, fra il maggio e il giugno del 1933 scatenò a Berlino una campagna contro i delinquenti abituali e le reti del crimine organizzato, con una serie di massicce irruzioni nei circoli e nei luoghi di incontro dei racket. Nei distretti ritenuti covi delle bande criminali si concentravano anche i comunisti e i loro sostenitori, e le incursioni della polizia erano diventate possibili solo dopo l’annientamento della Lega dei combattenti del fronte rosso. Tali azioni erano anche un ulteriore mezzo di intimidazione della popolazione. Poiché i nazisti ritenevano che a tirare le fila del crimine, in particolare di quello organizzato, fossero gli ebrei, non sorprende che il 9 giugno 1933 la polizia facesse irruzione anche in cinquanta locali del rione berlinese di Scheunenviertel, il «quartiere delle baracche» noto non solo per la sua povertà, ma anche per l’elevata percentuale di abitanti ebrei. È superfluo precisare che tale legame esisteva quasi solo nell’immaginazione dei nazisti.897 I racket malavitosi furono smantellati e i loro componenti trattenuti in custodia cautelare senza processo, mentre circoli e bar vennero chiusi.898

Nell’ambito del sistema penale, nelle cui maglie molti degli arrestati finivano, il rapido aumento dei reati minori aveva provocato la richiesta di politiche più severe, dotate di maggiore capacità di deterrenza. Negli ultimi anni della Repubblica di Weimar, amministratori e criminologi avevano sostenuto l’opportunità di introdurre la reclusione a tempo indeterminato oppure la detenzione preventiva o «di protezione» per i delinquenti abituali, le cui tare ereditarie si riteneva avrebbero vanificato ogni tentativo di riportarli sulla retta via; la seconda di tali ipotesi si impose come la soluzione a lungo termine ideale per risolvere il grave problema che essi rappresentavano per le comunità. Alla fine degli anni ’20, fra tutti i reclusi nelle prigioni statali, la proporzione di delinquenti abituali andava da 1 detenuto su 13 a 1 su 2, a seconda del criminologo o del direttore di carcere che redigeva la stima. La detenzione preventiva era stata inserita nella proposta definitiva di un nuovo codice penale, in discussione nella seconda metà di quel decennio: il progetto rimase impigliato fra le maglie delle interminabili dispute partitiche del sistema di Weimar ma, godendo di ampio consenso negli ambienti penali e giudiziari, era destinato a tornare alla ribalta.899 Non mancavano neanche gli specialisti i quali sostenevano che la sterilizzazione di individui con difetti genetici dovesse essere resa obbligatoria.900 Il sistema sociale di Weimar aveva già cominciato a prendere in considerazione soluzioni autoritarie, che prevedevano un grave attacco ai diritti fisici e all’integrità della persona, soluzioni presto riprese dal Terzo Reich e destinate a essere applicate con un rigore draconiano impensabile durante gli anni di Weimar. Nell’immediato, i tagli delle risorse finanziarie statali costringevano gli amministratori dei sistemi penale e sociale a operare distinzioni sempre più rigide su chi fosse meritevole di aiuto: le condizioni delle istituzioni di entrambi i sistemi erano infatti andate via via peggiorando fino al punto in cui era diventato difficile mantenere in vita e in salute le persone a esse affidate.901

 

II

 

Il giro di vite non interessò soltanto chi era politicamente sospetto o i devianti e gli individui ai margini della comunità: coinvolse tutti i settori della società tedesca. La forza trainante dell’intero processo fu l’intensa esplosione di violenza innescata dalle squadre d’assalto, dalle SS e dalla polizia nella prima metà del 1933. La stampa pubblicava di continuo articoli, rivisti e corretti ad arte, in cui si riferiva di violenti pestaggi, torture e umiliazioni inflitti a prigionieri provenienti da tutte le classi sociali e da tutte le formazioni politiche, a eccezione del Partito nazista. Il terrore non era diretto solo contro minoranze specifiche e mal tollerate: la sua portata era anzi molto ampia ed esso colpiva chiunque esprimesse in pubblico un qualsiasi dissenso contro la politica nei confronti di devianti, vagabondi, anticonformisti di ogni tipo.902 La capillare intimidazione dei cittadini tedeschi era una condizione necessaria e fondamentale per il processo di «coordinamento», come fu denominato dai nazisti, che tra febbraio e luglio 1933 avrebbe interessato tutta la Germania: il più suggestivo termine originale, Gleichschaltung, preso a prestito dall’impiantistica elettrica, indica la disposizione di una serie di interruttori su uno stesso circuito, attivabili tutti per mezzo di un unico interruttore generale posto al centro. Il «coordinamento» interessò quasi ogni aspetto della vita politica, sociale e associativa a tutti i livelli, da quello nazionale fino al singolo villaggio.

Il controllo che i nazisti si erano assicurati sugli Stati federati si rivelò una componente cruciale di questo processo; altrettanto importante fu il «coordinamento» della pubblica amministrazione, la cui attuazione, iniziata nel febbraio 1933, aveva determinato pressioni tali sul Partito del centro da farlo alla fine capitolare. Nell’arco delle due settimane successive all’investitura di Hitler, in numerosi ministeri erano stati nominati nuovi segretari di Stato, la più alta carica dell’amministrazione pubblica; tra essi c’era Hans-Heinrich Lammers, chiamato alla cancelleria del Reich. In Prussia, già colpita dalla purghe di Papen dopo il luglio 1932, a metà febbraio Hermann Göring aveva già sostituito dodici capi della polizia. Da marzo in poi, le violenze delle squadre d’assalto costrinsero i funzionari locali e i sindaci invisi al nuovo governo ad abbandonare i loro incarichi: alla fine di maggio erano stati cacciati 500 dirigenti comunali di primo piano e 70 sindaci di grandi città. Dopo la prima settimana di aprile, grazie alle leggi che cancellavano l’autonomia degli Stati federati e imponevano a ciascuno di essi un commissario del Reich nominato da Berlino – commissari che erano tutti, a eccezione di uno, anche Gauleiter del Partito nazista – rimanevano ben pochi ostacoli al «coordinamento», ossia alla nazificazione della pubblica amministrazione a tutti i livelli. Contemporaneamente al rovesciamento dei governi statali, a livello locale i nazisti, con il supporto di squadre armate di SA e di uomini delle SS, occuparono i municipi e intimidirono sindaci e consiglieri costringendoli a dimettersi, per sostituirli quindi con funzionari di propria nomina. La stessa sorte fu riservata al personale del sistema sanitario, dei centri di collocamento, delle amministrazioni locali, degli ospedali, dei tribunali e di ogni altra istituzione pubblica e statale: i funzionari venivano obbligati a dimettersi dai loro incarichi o a entrare nel Partito nazista. Se rifiutavano, venivano picchiati e trascinati in prigione.903

Questa purga di massa venne resa legittima dalla promulgazione, il 7 aprile, di un decreto di fondamentale importanza per il nuovo regime, la cosiddetta «legge per il rinnovo della pubblica amministrazione professionale». Il nome voleva evocare lo spirito di corpo dei funzionari pubblici conservatori e conteneva una critica esplicita ai governi di Weimar, in particolare a quello prussiano, per aver spesso nominato alle cariche più elevate dirigenti di provata fede democratica, ma esterni alla pubblica amministrazione. Il primo obiettivo del nuovo decreto era legittimare e regolamentare dal centro le numerose estromissioni forzate di funzionari e dirigenti pubblici attuate dalle camicie brune e da esponenti locali del partito. La legge prevedeva il licenziamento dei dirigenti privi di adeguate qualifiche nominati dopo il 9 novembre 1918, dei funzionari pubblici «non ariani» (aventi cioè, secondo la definizione dell’11 aprile, uno o più nonni «non ariani», in altre parole ebrei; la definizione verrà ampliata il 30 giugno fino a comprendere tutti i funzionari pubblici con coniuge non ariano), e di tutti coloro la cui precedente attività politica non garantisse affidabilità; il licenziamento era previsto anche come misura di difesa degli interessi dello Stato nazionalista. Soltanto coloro che avevano prestato servizio in guerra nel 1914-18 erano esclusi dall’applicazione di questa norma.904

Perorando la legge, il 25 aprile 1933, Hermann Göring espresse critiche contro gli «opportunisti» della pubblica amministrazione sostenendo che era rimasto disgustato e indignato vedendo che, nonostante quasi il 60 per cento dei funzionari fosse formato da seguaci di Severing, nel suo ministero i distintivi con la svastica stavano spuntando come funghi nel giro di pochi giorni, e che il batter di tacchi e il braccio teso in segno di saluto erano diventati una scena normale nei corridoi dopo solo quattro giorni.905

In effetti molti funzionari pubblici si precipitarono a iscriversi al Partito nazista per conservare il posto di lavoro, entrando nella schiera di coloro che furono presto definiti sarcasticamente i «caduti di marzo», in riferimento ai democratici che avevano perso la vita nei moti rivoluzionari del marzo 1848. Fra il 30 gennaio e il 1° maggio 1933, 1,6 milioni di persone entrarono nelle file del Partito nazista, facendo apparire insignificante il precedente numero di iscritti; era una corsa verso il precipizio che rivelava, forse meglio di qualsiasi altro aspetto, il grado di opportunismo e di panico che si stavano insinuando nella popolazione tedesca. Nell’estate del 1933, in distretti cattolici come Coblenza-Treviri e Colonia-Aquisgrana, fino all’80 per cento degli iscritti al partito erano membri solo da pochi mesi. Hitler cominciò addirittura a preoccuparsi che questa massiccia affluenza potesse modificare il carattere del partito, rendendolo troppo borghese, ma, almeno nel breve periodo, essa garantiva la fedeltà al nuovo regime di gran parte dei funzionari pubblici.906 Di fatto, in seguito alla legge per il rinnovo della pubblica amministrazione, fu licenziato circa il 12,5 per cento dei funzionari di grado elevato in Prussia e più o meno il 4,5 per cento negli altri Stati; altre clausole, che interessarono percentuali analoghe di personale, prevedevano la retrocessione di grado o il pensionamento forzato ai fini dello snellimento dell’apparato amministrativo. Nel complesso, la legge colpì un numero di funzionari pubblici compreso fra l’1 e il 2 per cento del totale. Oltre a imporre l’uniformità razziale e politica, licenziamenti e retrocessioni ebbero l’effetto secondario, ma niente affatto casuale, di ridurre la spesa pubblica. Nel frattempo, il 17 luglio 1933 Göring aveva emanato un decreto con cui si attribuiva il diritto esclusivo di nominare i funzionari pubblici di grado elevato, i professori universitari e i funzionari della magistratura in Prussia.907

Fra le molte e diverse categorie di dipendenti statali, un’importanza particolare rivestivano giudici e procuratori poiché esisteva un forte rischio che le violenze, le intimidazioni e gli omicidi perpetrati dai nazisti si scontrassero con la legge. Un gran numero di azioni legali, infatti, era stato intentato da avvocati che non condividevano la visione, propria del nuovo regime, della giustizia come strumento politico. Ma era già evidente che la maggioranza di giudici e avvocati non avrebbe rappresentato un ostacolo. Dei quasi 45 mila giudici, procuratori di Stato e funzionari che formavano il sistema giudiziario prussiano nel 1933, solo 300 circa furono licenziati o trasferiti ad altri incarichi per motivi politici, benché alla data del 30 gennaio, quando Hitler era stato nominato cancelliere del Reich, soltanto un ristretto numero di avvocati prussiani fosse iscritto al Partito nazista. Se a questi si aggiungono gli avvocati e i giudici ebrei epurati per motivi razziali, a prescindere dalla loro opinione politica, il totale degli allontanati fu di 586. Negli altri Stati tedeschi la percentuale di licenziamenti fu altrettanto ridotta. Queste iniziative non suscitarono alcuna reale opposizione da parte dei professionisti forensi. Del resto, una protesta collettiva diventò pressoché impossibile quando le associazioni di categoria di giudici, avvocati e notai furono obbligate a fondersi con la Lega degli avvocati nazionalsocialisti per dare vita al Fronte della giurisprudenza tedesca; la nuova associazione era guidata da Hans Frank, che il 22 aprile fu nominato commissario del Reich per il «coordinamento del sistema giudiziario degli Stati e per il rinnovamento dell’ordine legale». L’accenno di Hitler all’«inamovibilità dei giudici», durante un discorso tenuto il 23 marzo, aveva contribuito a placare le riserve della Lega dei giudici tedeschi, anche in considerazione delle promesse del ministero della Giustizia di migliorare la retribuzione e il prestigio della categoria. Ben presto, non appena i ministri della Giustizia precisarono che la carriera e le prospettive di promozione di chi non era iscritto al Partito nazista avrebbero sofferto, gli avvocati si accalcarono a richiederne la tessera.908 Fra questo momento e l’inizio del 1934, 2250 azioni legali contro membri delle SA e 420 contro esponenti delle SS furono sospese o lasciate cadere, anche a causa delle pressioni esercitate dalle locali squadre delle truppe d’assalto.909

Queste iniziative erano tutte parte dell’imponente purga che interessò le istituzioni sociali tedesche fra la primavera e l’inizio dell’estate del 1933. In breve tempo furono nazificati tutti i gruppi di pressione e le diverse associazioni del mondo economico. Formalmente, l’agricoltura era nelle mani di Alfred Hugenberg, alleato di governo di Hitler, ma in realtà era il responsabile dell’organizzazione degli agricoltori del Partito nazista, Walther Darré, a dettare le regole e fu lui a imporre la fusione delle varie associazioni agricole in un’unica organizzazione nazista, ancora prima che Hugenberg fosse costretto a dimettersi dal suo incarico governativo. Molti gruppi e istituzioni reagirono tentando di anticipare il processo di coordinamento. Nel mondo dell’imprenditoria, le associazioni di datori di lavoro e i gruppi di pressione come l’Associazione dell’industria tedesca del Reich chiamarono a far parte dei loro consigli esecutivi esponenti nazisti, dichiararono fedeltà al regime e si unirono ad altri gruppi di pressione del settore formando un’unica Corporazione dell’industria tedesca del Reich. Agendo di propria spontanea volontà, gli industriali speravano di prevenire l’invadenza del nuovo regime. Il dirigente nazista Otto Wagener, per esempio, aveva occupato con la forza la sede dell’Associazione dell’industria tedesca del Reich con la chiara intenzione di farla chiudere, ma a seguito del coordinamento spontaneo e volontario dell’associazione stessa, egli venne destituito dall’incarico di commissario per le questioni economiche e sostituito con Wilhelm Keppler, il quale da lungo tempo fungeva da intermediario fra i nazisti e gli imprenditori e che, a differenza di Wagener, godeva della fiducia di entrambe le parti.

Il 1° giugno 1933 il mondo degli affari compì un altro passo per tutelare la propria posizione. Imprenditori e società di primo piano dell’economia tedesca istituirono un sistema di donazioni intitolate a Hitler: con il proposito di porre fine alle frequenti estorsioni, spesso accompagnate da intimidazioni, da parte di gruppi locali di SA e di membri del Partito nazista, gli industriali si impegnarono a versare quote regolari e proporzionali nelle casse del partito. Nei successivi dodici mesi l’iniziativa fruttò ai nazisti 30 milioni di Reichsmark, ma mancò il suo obiettivo principale: il nuovo sistema di finanziamento non impedì ai capi locali del partito e delle SA di continuare a estorcere somme, per quanto inferiori, agli uomini d’affari della propria zona. I grandi imprenditori, tuttavia, non erano particolarmente preoccupati. Il 23 marzo Hitler si era prodigato a garantire ai loro rappresentanti che non avrebbe interferito con il diritto alla proprietà e ai profitti, né avrebbe ripreso le stravaganti e sperimentali politiche monetarie che il partito, sotto l’influenza di Gottfried Feder, aveva vagheggiato all’inizio degli anni ’20.910 I sindacati erano stati schiacciati, il socialismo in ogni sua forma era stato eliminato dalla scena politica e all’orizzonte si profilavano nuovi contratti per la fornitura di armi e munizioni: la grande imprenditoria si sentiva soddisfatta e si era convinta che le concessioni fatte al nuovo regime fossero state un ottimo affare.

Il «coordinamento» volontario era una possibilità a disposizione di associazioni e istituzioni di vario tipo, purché riuscissero a organizzarsi e ad agire in tempi rapidi. In molti casi, tuttavia, organizzazioni che per decenni avevano condotto un’esistenza tranquilla e priva di interferenze si ritrovarono ora perplesse, divise e sopraffatte dagli eventi. Un tipico esempio è offerto dalla Federazione delle associazioni femminili tedesche, l’organizzazione generale delle femministe moderate analoga ai consigli nazionali delle donne esistenti in altri paesi: fondata quasi quarant’anni prima, era un’enorme e complessa confederazione di associazioni di tipo diverso, comprese associazioni professionali come quella delle donne insegnanti. L’ascesa del nazismo provocò una profonda frattura nella Federazione, composta in prevalenza da esponenti dei ceti medi che con ogni probabilità nel 1932 avevano votato in maggioranza proprio per il Partito nazista: alcune figure storiche dell’associazione volevano opporsi al «maschilismo inebriato dalla vittoria» che secondo loro si stava imponendo nel movimento di Hitler; altre esponenti appoggiavano invece la posizione di neutralità rispetto alla politica dei partiti che aveva sempre caratterizzato la Federazione. Mentre le discussioni si trascinavano, furono i nazisti a risolvere il dilemma.

Il 27 aprile 1933 la responsabile dell’organizzazione delle donne naziste del Baden, Gertrud Scholtz-Klink, inviò una secca nota alla locale sezione provinciale della Federazione in cui comunicava di considerarla sciolta. Le dirigenti nazionali della Federazione, sconcertate, scrissero al ministro degli Interni del Reich chiedendo quali fossero le basi legali per un atto così drastico, rassicurandolo sul fatto che la sezione del Baden non rappresentava un pericolo per la sicurezza pubblica. La responsabile nazionale del Fronte delle donne naziste, Lydia Gottschewski, rispose sbrigativamente che la sezione del Baden era stata sciolta in base alla «legge della rivoluzione» e allegò un modulo, che la presidente della Federazione avrebbe dovuto firmare, con il quale la direzione veniva attribuita a Hitler. La Federazione si impegnava inoltre a espellere dalle sue file tutte le donne ebree, a eleggere esponenti naziste a incarichi di vertice e a entrare nel Fronte delle donne naziste entro il 16 maggio. La Federazione riconfermò alla Gottschewski il proprio appoggio alla «rivoluzione nazionale» e ai provvedimenti di matrice eugenetica proposti dal regime e ribadì di voler svolgere un ruolo attivo nel Terzo Reich: fu tutto inutile. Il 15 maggio, considerando che molte delle associazioni di cui era composta erano già state «coordinate» in qualche istituzione nazista e che la sua carta costitutiva rendeva impossibile l’appartenenza a un’altra organizzazione, la Federazione votò l’autoscioglimento.911

 

III

 

Il «coordinamento» nazista della società tedesca non interessò soltanto partiti politici, istituzioni statali, amministrazioni locali e regionali, professioni e gruppi di pressione economici. Forse, il modo migliore per capire la profondità cui questo processo si spinse è riprendere l’esempio di Northeim, la piccola città della Germania settentrionale di cui abbiamo già parlato. Era stata governata a lungo da una coalizione di liberali e conservatori, a cui si contrapponevano un forte movimento socialdemocratico e una piccola sezione del Partito comunista. Alle elezioni comunali del 12 marzo i nazisti locali si presentarono come «Lista di unità nazionale» escludendo tutti gli altri partiti; il capo nazista della città, Ernst Girmann, aveva promesso di porre fine alla corruzione dei socialdemocratici e al parlamentarismo. Nonostante tutto, i socialdemocratici ressero il confronto alle elezioni sia locali sia regionali e i nazisti, pur conquistando il consiglio comunale, non avanzarono rispetto ai risultati del luglio 1932. Il nuovo consiglio si riunì in pubblico: camicie brune in uniforme erano schierate lungo le pareti, uomini delle SS affiancavano gli agenti di polizia, e durante i lavori dell’assemblea continuarono tutti a scandire Heil Hitler!, in una versione locale dell’azione intimidatoria che aveva accompagnato l’approvazione della legge sui pieni poteri nel Reichstag. Ai quattro consiglieri socialdemocratici venne impedito di fare parte delle commissioni e di prendere la parola; mentre uscivano dall’incontro, gli uomini delle squadre d’assalto fecero ala per sputare loro addosso. Due di essi si dimisero di lì a poco e gli altri due abbandonarono il consiglio in giugno.

Dopo le dimissioni dell’ultimo socialdemocratico, il consiglio comunale di Northeim venne utilizzato solo per annunciare i provvedimenti decisi da Girmann: non c’era alcun dibattito e i membri si limitavano a presenziare in silenzio. Entro giugno, in applicazione della legge sul rinnovo della pubblica amministrazione del 7 aprile 1933, 45 dipendenti comunali, in maggioranza socialdemocratici, furono licenziati dalla società del gas, dalla fabbrica di birra, dalla piscina, dall’istituto di previdenza sanitaria e da altri enti locali: contando anche gli amministratori e i contabili, essi costituivano un quarto dei dipendenti del comune. Convincere il sindaco di Northeim, un conservatore in carica dal 1903, a lasciare il suo incarico si rivelò più difficile: resistette a tutti i tentativi di persuasione e sopportò notevoli vessazioni; infine, mentre era in vacanza, il consiglio comunale nazificato votò una mozione di sfiducia nei suoi confronti e lo sostituì con il capo nazista Ernst Girmann.

A questo punto i vertici del Partito comunista locale erano stati arrestati, come pure numerosi esponenti socialdemocratici, e il quotidiano regionale più diffuso nella cittadina aveva cominciato a pubblicare articoli non solo sul campo di concentramento di Dachau, ma anche su quello di Moringen, molto più vicino a Northeim, che alla fine di aprile contava oltre 300 internati in maggioranza comunisti, cui si affiancavano però anche appartenenti ad altri raggruppamenti politici. Dato che almeno due dozzine di uomini delle SS di guardia al campo provenivano dai dintorni di Northeim e molti reclusi venivano rilasciati dopo un breve periodo di prigionia, la cittadinanza doveva essere bene informata su ciò che vi accadeva. Il quotidiano locale di Northeim, un tempo di dichiarata tendenza liberale, riferiva spesso di arresti e incarcerazioni di cittadini per trasgressioni irrilevanti, come la diffusione di dicerie e affermazioni offensive nei confronti del nazionalsocialismo. La gente sapeva che un’opposizione più ferma avrebbe comportato una repressione più dura. Contro gli oppositori del regime vennero impiegate anche altre misure: gli attivisti socialdemocratici furono licenziati e le loro case vennero perquisite; quelli che si rifiutavano di fare il saluto nazista venivano picchiati e furono fatte pressioni sui loro padroni di casa affinché li sfrattassero. Le camicie brune attuarono un boicottaggio contro il negozio del locale responsabile del Partito socialdemocratico e da allora in poi egli fu soggetto a continue molestie; la stessa sorte fu riservata ad altri esponenti locali del movimento dei lavoratori, anche se avevano ormai abbandonato la politica.

Queste le minacce implicite, e talvolta esplicite, che il «coordinamento» comportò per una piccola città come Northeim e per migliaia di altri paesi, città e villaggi; il processo ebbe inizio nel marzo 1933 e divenne via via più rapido fra aprile e maggio. Come in quasi tutti i piccoli centri, a Northeim c’era una vivace vita associativa, non sempre legata alla politica: in un modo o nell’altro il locale Partito nazista impose il proprio controllo su tutte le associazioni e i circoli. Alcuni furono chiusi o incorporati in organizzazioni naziste, su altri venne imposto un controllo diretto. Northeim era un importante nodo ferroviario nazionale e gli operai del locale scalo merci, ancora prima che Hitler diventasse cancelliere, avevano subito pressioni da parte dei dirigenti nazisti perché entrassero nell’organizzazione delle cellule di fabbrica. Con i lavoratori di altri settori i nazisti ebbero ben poco successo fino al 4 maggio, quando le camicie brune occuparono gli uffici dei sindacati e li dichiararono disciolti. Girmann, inoltre, premeva affinché il consiglio direttivo di ogni circolo o associazione fosse composto in maggioranza da nazisti o Elmi d’acciaio. Le associazioni professionali vennero fuse nella Lega dei medici nazionalsocialisti, nella Lega degli insegnanti nazionalsocialisti o in altre organizzazioni simili, tutte di nuova fondazione: i vari professionisti erano consapevoli di dover aderire alla lega di competenza se volevano continuare a lavorare. La locale cooperativa di consumatori, molto popolare e remunerativa, passò sotto il controllo dei nazisti: in precedenza era stata avversata in quanto considerata un’istituzione «rossa» che indeboliva le attività commerciali indipendenti, ma era un elemento troppo importante dell’economia cittadina per poter essere chiusa. Le associazioni di invalidi di guerra si fusero nell’Associazione nazionalsocialista delle vittime della guerra, mentre i boy scout e il Giovane ordine tedesco furono inglobati nella Gioventù hitleriana.

Tra le associazioni volontarie della città, le forti pressioni per la nazificazione suscitarono reazioni diverse. La maggior parte dei circoli di canto si sciolsero, anche se il coro degli operai tentò di adeguarsi prima dell’imposizione del «coordinamento» tagliando tutti i legami con la Lega dei cori degli operai tedeschi. La formazione corale degli appartenenti alle classi più elevate sopravvisse modificando il proprio consiglio direttivo secondo le indicazioni del Partito nazista cittadino. Le associazioni venatorie, una componente importante della vita locale in molte parti della Germania, elessero a loro capo Girmann, secondo il quale queste associazioni non dovevano esistere solo per scopi ricreativi, com’era stato finora, ma dovevano adoperarsi per promuovere lo spirito militare. Esse sopravvissero facendo sventolare la bandiera con la svastica, cantando l’Horst Wessel Lied e aprendo al pubblico alcune gare di caccia per rispondere alle accuse di esclusivismo sociale mosse da Girmann. Tutti i circoli sportivi, dall’associazione di nuoto alla squadra di calcio e a quelle di ginnastica furono obbligate ad aderire, fra notevoli proteste, a un unico Circolo sportivo di Northeim controllato dai vertici nazisti. Alcuni dirigenti di altre associazioni scelsero di giocare d’anticipo per impedire ai nazisti di impossessarsi dei loro fondi. Il «Circolo per le bellezze naturali», un gruppo con notevoli risorse finanziarie che si dedicava a migliorare il verde cittadino, investì tutti i propri soldi nella costruzione di un capanno di caccia appena fuori il perimetro urbano e quindi si sciolse. Parecchie altre associazioni, sapendo di dover eleggere nuovi consigli direttivi entro il 2 maggio, organizzarono grandi bevute e sontuosi banchetti per esaurire i fondi, certi che altrimenti il denaro sarebbe presto finito nelle mani dei nazisti.912

Il processo di «coordinamento» fu attuato fra la primavera e l’estate del 1933 a tutti i livelli, in ogni città, paese e villaggio tedeschi. Ciò che rimase della vita sociale continuò a svolgersi nella locale taverna, o fra le mura domestiche, ma gli individui erano ormai isolati, a eccezione di quando si ritrovavano nell’ambito di una delle organizzazioni naziste. La società era stata ridotta a una massa anonima e indifferenziata, per essere poi ricostituita in una forma nuova, in cui tutto veniva fatto in nome del nazismo. Era impossibile esprimere un palese dissenso o resistere; perfino discuterne o fare progetti per il futuro erano attività che dovevano svolgersi in segreto. Dal punto di vista pratico, è ovvio che una situazione di questo tipo era più un fine che una realtà concreta. Il processo di «coordinamento» non si svolse con perfezione assoluta e l’adesione formale al nuovo ordine mediante, per esempio, l’aggiunta della dicitura «nazionalsocialista» al nome di un circolo, di un’associazione o di un’organizzazione professionale non indicava affatto un autentico impegno ideologico delle persone coinvolte. Malgrado ciò, la portata e l’ambito di applicazione del «coordinamento» furono impressionanti. Lo scopo non era soltanto eliminare qualsiasi nicchia in cui si sarebbe potuta sviluppare un’opposizione: negli intenti del nuovo regime, l’operazione doveva servire a preparare il paese all’indottrinamento e alla rieducazione secondo i principi del nazionalsocialismo.

Riflettendo su questo processo, qualche anno più tardi, l’avvocato Raimund Pretzel si chiedeva dove fosse finito quel 56 per cento di tedeschi che alle elezioni del 5 marzo 1933 avevano votato contro i nazisti: com’era stato possibile che questa maggioranza si fosse data per vinta così presto? Come mai tutte le istituzioni sociali, politiche ed economiche tedesche erano cadute in mano ai nazisti con tanta facilità? «Il motivo più semplice e, se si andava a fondo, il più inconfessato era la paura» fu la sua conclusione. «Picchiare, per non far parte dei picchiati. E poi una certa confusa ebbrezza del consenso, magnetismo della massa.» Pretzel riteneva inoltre che molti si fossero sentiti traditi dalla debolezza dei loro leader politici, da Braun e Severing a Hugenberg e Hindenburg, e l’adesione al nazismo aveva rappresentato in questo caso un perverso atto di vendetta. Su taluni fece presa il fatto che tutto ciò che i nazisti avevano previsto sembrava avverarsi. C’era inoltre «per alcuni (soprattutto tra gli intellettuali) la convinzione di poter ancora cambiare il volto del Partito nazista e sviare le sue tendenze entrando a farne parte. E anche, ovviamente, la solita, naturale propensione al fiancheggiamento e allo sfruttamento della congiuntura». Nelle condizioni createsi con la depressione economica, quando i tempi erano duri e il lavoro scarso, le abitudini meccaniche della vita quotidiana sembravano l’unica forma di sicurezza possibile: non adeguarsi al nazismo avrebbe significato mettere a rischio i propri mezzi di sussistenza e le proprie prospettive, resistere poteva significare mettere a repentaglio la propria vita.913