II - I SEMI DELL’ODIO

 

I

 

Alla fine del 1889 il direttore di una scuola elementare di Berlino, Hermann Ahlwardt, era sull’orlo della rovina finanziaria. Era nato in Pomerania nel 1846 da una famiglia caduta in miseria e il reddito della sua modesta posizione nella gerarchia del sistema educativo prussiano era insufficiente a coprire le ingenti spese necessarie per condurre una vita decorosa. Ormai alla disperazione, commise un crimine che sembrava pensato apposta per scuotere le coscienze dei suoi superiori: rubò parte del denaro raccolto per organizzare la festa di Natale dei bambini della scuola. L’illecito venne presto scoperto, Ahlwardt fu licenziato e privato quindi anche dell’ultima fonte di reddito che gli era rimasta. Molti, in una situazione di questo tipo, si sarebbero lasciati sopraffare da sensi di colpa e rimorso, ma non Hermann Ahlwardt. «Il direttore», come in breve divenne noto ai più, decise di passare all’attacco e, cercando qualcuno cui imputare le proprie disgrazie, concentrò presto la sua attenzione sugli ebrei.84

In quel tempo la comunità ebraica in Germania era un gruppo con un elevato livello di acculturazione, che godeva di una buona posizione sociale e si distingueva dagli altri tedeschi soprattutto per la religione praticata.85 Durante il XIX secolo le limitazioni giuridiche imposte ai non cristiani negli Stati germanici erano state gradualmente soppresse, con un processo che andava di pari passo con l’abolizione, dal punto di vista formale, delle discriminazioni religiose negli altri paesi (ne è un esempio l’emancipazione dei cattolici in Gran Bretagna nel 1829). Gli ultimi ostacoli legali alla completa uguaglianza dei diritti vennero eliminati con l’unificazione della Germania nel 1871. Dopo l’introduzione in tutto il paese del matrimonio civile, che sostituiva le cerimonie religiose, il numero di unioni miste tra ebrei e cristiani aumentò con rapidità. A Breslavia, per esempio, nel 1915 per ogni 100 matrimoni fra ebrei se ne contavano 35 misti, rispetto a solo 9 degli ultimi anni ’70 del XIX secolo. Pochissimi dei coniugi cristiani di tali matrimoni provenivano da famiglie di ebrei convertiti e il numero di unioni miste era equamente distribuito fra tutti gli strati sociali. Nel 1904, a Berlino i matrimoni con un coniuge cristiano raggiunsero il 19 per cento fra gli uomini e il 13 per cento fra le donne; a Düsseldorf, alla metà del primo decennio del XX secolo, un quarto degli ebrei sposati aveva un coniuge cristiano e la proporzione aumentò fino a un terzo nel 1914. Alla vigilia della Prima guerra mondiale si contavano 38 matrimoni misti ogni 100 unioni fra due ebrei, con un picco di 73 ad Amburgo. Anche il numero di conversioni al cristianesimo aumentò: nei primi sette decenni del XIX secolo se ne registrarono 11 mila e ben 11.500 nei successivi trent’anni; fra il 1880 e il 1919 furono battezzati circa 20 mila ebrei tedeschi. Il successo sociale ed economico stava lentamente stemperando l’identità di gruppo religioso chiuso che aveva caratterizzato la comunità ebraica.86

I circa 600 mila ebrei praticanti che vivevano nell’Impero germanico costituivano una minoranza religiosa di dimensioni minime in quella società di matrice prevalentemente cristiana e rappresentavano appena l’1 per cento della popolazione complessiva. Non ammessi per secoli alle fonti di ricchezza tradizionali come la proprietà terriera, gli ebrei rimanevano esclusi dall’establishment del Reich in quanto le discriminazioni sociali di fatto continuavano a impedire loro di accedere a istituzioni chiave come l’esercito, le università e i ranghi più elevati dell’amministrazione pubblica; l’accesso a tali istituzioni addirittura diminuì nei due decenni a cavallo tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX.87 Nella vita quotidiana l’antisemitismo provocava notevoli sofferenze tra gli ebrei convertiti, tanto che molti preferirono modificare il proprio nome in modo che sembrasse cristiano.88 Nel XIX secolo la discriminazione spinse almeno 100 mila ebrei tedeschi sulla via dell’emigrazione, principalmente verso gli Stati Uniti. Tuttavia, soprattutto quando ebbe inizio il boom economico alla fine del secolo, la maggior parte scelse di rimanere, concentrandosi nelle città e nei centri più grandi; a Berlino nel 1910 viveva un quarto degli ebrei tedeschi e la percentuale sarebbe stata di quasi un terzo nel 1933. Nelle singole città era evidente la preferenza per determinate aree: circa la metà degli ebrei di Amburgo nel 1885 viveva tra Harvestehude e Rotherbaum, due quartieri del ceto medio; nel 1900 a Francoforte circa due terzi della comunità ebraica abitava in quattro dei quattordici quartieri della città e nel 1925 il 70 per cento degli ebrei di Berlino era suddiviso fra cinque rioni centrali e occidentali, caratterizzati da un’elevata presenza delle classi medie. Gli ebrei rappresentavano una minoranza esigua anche nelle città dove la concentrazione era più elevata: nel 1871 a Berlino, Breslavia e Francoforte non superavano rispettivamente il 4,3, il 6,4 e il 7,1 per cento della popolazione.89

Molti ebrei erano attivi nel mondo degli affari e delle libere professioni. Oltre ai noti banchieri Rothschild, si imposero molti altri istituti finanziari di proprietà di famiglie ebree, per esempio la società di attività bancarie di Gerson von Bleichröder, al quale lo stesso Bismarck aveva affidato le finanze personali.90 Le nuove strutture di vendita al dettaglio come i grandi magazzini, che in Germania erano circa 200 alla vigilia della Prima guerra mondiale, spesso appartenevano a ebrei, come la famiglia Tietz o i fratelli Wertheim.91 Gli ebrei erano inoltre presenti e numerosi in vari campi come medicina, diritto, scienza e ricerca, insegnamento universitario, giornalismo e arti varie.92 La comunità ebraica si stava lentamente trasformando, da minoranza religiosa vittima dell’ostracismo, in uno dei molti gruppi etnici che componevano una società sempre più multiculturale, a fianco di polacchi, danesi, alsaziani, sorabi e altri. Alla stregua degli altri gruppi, aveva le proprie istituzioni di rappresentanza, di carattere via via più laico, la più importante delle quali era l’Associazione centrale dei cittadini tedeschi di fede ebraica fondata nel 1893. A differenza della maggior parte delle altre minoranze, tuttavia, aveva ottenuto un buon successo economico e più che a fondare un proprio partito politico i suoi componenti erano inclini ad aderire ai partiti politici di largo seguito, in particolare di sinistra e di centro, ricoprendovi talvolta cariche dirigenziali. La maggior parte degli ebrei si riconosceva profondamente nel nazionalismo tedesco e una delle principali ragioni della preferenza per i partiti liberali era proprio il netto supporto che tali schieramenti avevano dato alla creazione di uno Stato-nazione tedesco.93 Nel complesso, quindi, la loro storia alla fine del XIX secolo può essere narrata in termini di successo e la comunità ebraica veniva associata in primo luogo con i più moderni e avanzati progressi della società, della cultura e dell’economia.94

Furono proprio questi positivi risultati che fecero degli ebrei l’obiettivo di attivisti scontenti e privi di scrupoli come Hermann Ahlwardt. Per gli insoddisfatti o i falliti, per coloro che si sentivano messi in disparte dall’inesorabile avanzata dell’industrializzazione e anelavano a una società più semplice, ordinata, sicura e gerarchica, come quella che ritenevano fosse esistita fino a un passato non troppo lontano, gli ebrei erano l’icona stessa della modernità culturale, finanziaria e sociale. Questo sentimento era particolarmente forte a Berlino, la città adottiva di Ahlwardt. Nel 1873 all’economia della città fu inferto un colpo tremendo quando, all’improvviso, la travolgente ondata di spese e investimenti che aveva seguito l’euforia per la fondazione del Reich ebbe termine. La crisi degli investimenti per la costruzione delle ferrovie negli Stati Uniti innescò una depressione che interessò l’economia mondiale e che in Germania provocò una serie di bancarotte e fallimenti; furono colpite soprattutto le imprese e le fabbriche di dimensioni modeste. Incapaci di comprendere i grandi meccanismi che stavano annientando i loro mezzi di sostentamento, coloro che soffrirono le conseguenze più gravi credettero con grande facilità alle affermazioni di giornalisti cattolici e conservatori, secondo i quali la colpa era dei finanzieri ebrei.

Con il protrarsi della depressione, ai giornalisti si unì il predicatore di corte Adolf Stöcker. Uomo di umili origini impegnato in una crociata per strappare la classe operaia all’influsso della socialdemocrazia, Stöcker fondò il Partito cristiano sociale e si presentò alle tornate elettorali degli anni ’80 con un esplicito programma antisemita. Alla nuova causa aderì Max Libermann von Sonnenberg, che negli stessi anni contribuì a organizzare una petizione nazionale che chiedeva l’allontanamento degli ebrei dagli impieghi di rilevanza pubblica. Per il suo estremismo si distinse anche Ernst Henrici, la cui impetuosa retorica fu all’origine dei disordini nella città di Neustettin, in Pomerania, culminati nell’incendio della sinagoga locale. Proprio a questo movimento si avvicinò Hermann Ahlwardt negli ultimi anni ’80, cercando vendetta per la sua malasorte con un libro che dava la colpa delle sue disgrazie finanziarie agli intrighi dei prestatori di denaro ebrei e lasciava intendere che all’interno della società tedesca costoro godevano di un potere formidabile. Sfortunatamente per lui, le prove fornite a sostegno delle sue affermazioni – alcuni documenti che dovevano dimostrare come il governo tedesco fosse al soldo del banchiere ebreo Gerson von Bleichröder – risultarono scritte da Ahlwardt stesso ed egli venne condannato a quattro mesi di carcere. Non appena rilasciato, Ahlwardt fece circolare un’altra serie di clamorose dichiarazioni, altrettanto infondate, secondo cui un produttore di armi ebreo avrebbe di proposito rifornito l’esercito di fucili difettosi per favorire una cospirazione franco-ebrea mirante a indebolire l’esercito tedesco. Come è facile immaginare, tali affermazioni valsero ad Ahlwardt un’altra condanna a cinque mesi di carcere.95

Non li scontò mai: nel frattempo era riuscito a farsi eleggere al Reichstag in un collegio elettorale rurale del Brandeburgo. Girando per le fattorie, aveva convinto i contadini che i loro problemi, dovuti in realtà alla crisi mondiale dei prezzi agricoli, erano provocati dagli ebrei, una remota e, agli occhi di questa gente, arcana minoranza religiosa che viveva lontano, nelle grandi città e nei centri finanziari dell’Europa e del Reich. Il seggio nel Reichstag valse ad Ahlwardt l’immunità parlamentare. Il suo successo dimostrò la permeabilità dell’elettorato rurale a demagogie di questo tipo e altri attivisti antisemiti, come un bibliotecario dell’Assia, Otto Böckel, riuscirono a farsi eleggere, anche grazie all’offerta ai contadini di un aiuto concreto, come l’organizzazione di cooperative, per consentire loro di superare le difficoltà economiche del momento.

All’inizio dell’ultimo decennio del XIX secolo gli antisemiti rappresentavano una minaccia reale all’egemonia elettorale del Partito conservatore tedesco nei distretti rurali, tanto che in occasione della conferenza del 1893 il partito, impensierito anche da una politica del governo che sembrava destinata a danneggiare in modo ancora più grave gli interessi degli agricoltori, approvò e incluse nel proprio programma la richiesta che venisse ostacolata la «penetrante e disgregante influenza degli ebrei sulla vita del nostro popolo».96

L’iniziativa si rivelò un vero punto di svolta in rapporto a quel coacervo di posizioni che era l’antisemitismo politico in Germania. Nonostante il tentativo di un altro attivista, Theodor Fritsch, di riunirne le varie frange e di far pervenire il loro messaggio alle classi urbane medio-basse ed economicamente insoddisfatte, l’egocentrismo di personaggi come Böckel impedì qualsiasi aggregazione e il movimento antisemita rimase lacerato da controversie interne. L’influenza di Fritsch si sarebbe esercitata in altro modo. Egli continuò infatti a pubblicare un gran numero di trattati divulgativi dell’antisemitismo, che furono letti da un vasto pubblico anche dopo la sua morte avvenuta nel settembre del 1933, dopo che l’attivista aveva conquistato un seggio al Reichstag come rappresentante del Partito nazista. Fino alla Prima guerra mondiale, tuttavia, egli rimase una figura politica marginale. Nei primi anni del XX secolo gli antisemiti erano stati indeboliti dal successo dell’alleanza del movimento cristiano-sociale di Berlino con il Partito conservatore, nonché, per quanto riguarda le regioni cattoliche, dalla disponibilità del Partito del centro a fare propria una retorica antisemita molto simile. Cani sciolti come Böckel e Ahlwardt persero i propri seggi e i relativi partiti, e le organizzazioni antisemite con base urbana, come quella di Fritsch, si dissolsero. Ahlwardt perse il sostegno perfino di altri antisemiti a causa della violenza del suo linguaggio e si trasferì per qualche tempo negli Stati Uniti. Tornato in Germania, si dedicò alla lotta contro la massoneria; nel 1909 fu di nuovo incarcerato, questa volta per ricatto: evidentemente le sue costanti difficoltà finanziarie lo avevano portato a tentare strade ancora più criminose che in passato. Morirà in un banale incidente stradale nel 1914.97

 

II

 

Ahlwardt era un rappresentante senz’altro estremo, ma in un certo senso non anomalo di un nuovo tipo di antisemitismo che stava affiorando in Germania e in altri paesi europei alla fine del XIX secolo. L’antisemitismo tradizionale concentrava la sua attenzione sulla religione degli ebrei e faceva discendere il proprio potere politico dalla Bibbia stessa. Il Nuovo Testamento incolpava gli ebrei della morte di Cristo e li condannava al disonore eterno in quanto avevano accettato di buon grado che il suo sangue ricadesse su loro e sui loro figli. Essendo una minoranza non cristiana in una società guidata da princìpi e istituzioni cristiane, gli ebrei erano il logico e scontato oggetto dell’odio popolare in tempi di crisi, come durante l’epidemia di peste nera della metà del XIV secolo, quando in tutta Europa folle inferocite accusarono gli ebrei della mortale pestilenza che decimava la popolazione, vendicandosi con innumerevoli violenze e distruzioni.

Non fu un caso che la storia dell’antisemitismo moderno in Germania avesse inizio con il predicatore di corte Adolf Stöcker: l’ostilità di matrice cristiana nei confronti degli ebrei costituì un trampolino di lancio decisivo per l’antisemitismo moderno, anche perché spesso tale sentimento celava comunque una forte componente di pregiudizio contro la razza stessa, che lo portava a fondersi con l’antisemitismo razziale. Alla fine del XIX secolo, tuttavia, questa ostilità stava diventando obsoleta, almeno nelle sue forme originarie e tradizionali, in primo luogo perché era sempre più difficile identificare gli ebrei come una minoranza religiosa ben definita a causa del notevole aumento tanto delle conversioni al cristianesimo quanto dei matrimoni misti. Negli anni ’70, cercando un capro espiatorio per le difficoltà economiche di quel periodo, demagoghi e pubblicisti delle classi medio-basse lo trovarono negli ebrei, visti non come minoranza religiosa bensì razziale, e cominciarono a invocarne non la totale assimilazione nella società tedesca, ma l’esclusione tout court.98

La responsabilità di tale svolta è di solito attribuita a un autore semisconosciuto, Wilhelm Marr: nel suo opuscolo Der Sieg des Judentums über das Germanentum (La vittoria dell’ebraismo sul germanesimo), pubblicato nel 1873, fu il primo a sostenere che, come si può leggere in un’opera successiva, «non ha senso parlare di pregiudizi religiosi: si tratta di una questione di razza e la vera differenza è nel “sangue”».99 Richiamandosi alle teorie allora in voga propugnate dal teorico francese della razza conte Joseph Arthur de Gobineau, Marr contrappose gli ebrei non ai cristiani ma ai tedeschi, sostenendo con decisione che appartenevano a due razze distinte. Gli ebrei, proclamava, avevano preso il sopravvento nella lotta fra razze e di fatto stavano governando il paese. Perciò non doveva destare stupore che onesti artigiani e piccoli imprenditori tedeschi fossero in gravi difficoltà. Fu Marr a coniare la parola «antisemitismo» e a fondare nel 1879 la Lega antisemita, la prima organizzazione al mondo a utilizzare il termine nella sua denominazione. La Lega si poneva l’obiettivo, così affermò Marr, di ridurre l’influenza ebrea nella vita tedesca. I suoi scritti erano intrisi di pessimismo apocalittico; nel suo «Testamento» dichiarava che «la questione ebraica è l’asse attorno al quale gira la ruota della storia mondiale» e proseguiva sostenendo con toni avviliti che «tutti i nostri progressi sociali, commerciali e industriali sono basati su una concezione ebraica del mondo».100

L’atteggiamento di Marr aveva radici anche di carattere personale. I disordini finanziari degli anni ’70 colpirono in modo grave le sua già difficile situazione economica. La seconda moglie, un’ebrea, lo sostenne finanziariamente fino a quando morì nel 1874; la terza, da cui Marr divorziò dopo una breve e sfortunata relazione, era mezzo ebrea ed egli le attribuì una parte della colpa delle sue ristrettezze, in quanto doveva versarle rilevanti somme di denaro per il mantenimento del figlio che avevano avuto insieme. Trasformando con disinvoltura la sua esperienza personale in una regola generale, Marr giunse alla conclusione che la chiave di tutto fosse la purezza razziale, mentre la mescolanza fra razze era la fonte di tutte le sventure. Data la componente molto soggettiva del suo antisemitismo, non sorprende che Marr non partecipasse alla politica attiva; la Lega antisemita fu un fallimento ed egli rifiutò di appoggiare i partiti antisemiti perché li considerava troppo moderati.101 Ma nella sua attività di propagandista del nuovo antisemitismo razziale fu presto affiancato da una schiera di altri autori. Il rivoluzionario Eugen Dühring, per esempio, identificò il capitalismo con gli ebrei e sostenne che il principale obiettivo del socialismo dovesse essere la soppressione della loro influenza finanziaria e politica. Lo storico nazionalista Heinrich von Treitschke asserì che gli ebrei stavano erodendo la cultura tedesca e rese celebre la frase «gli ebrei sono la nostra disgrazia», parole che negli anni successivi sarebbero diventate uno slogan per molti antisemiti, compresi i nazisti. Questi scrittori non erano figure marginali come Hermann Ahlwardt: Eugen Dühring, per esempio, ebbe tanta influenza sul socialismo contemporaneo da indurre Friedrich Engels, nel 1878, a scrivere il famoso opuscolo conosciuto come Anti-Dühring per contrastare, peraltro con successo, tali idee all’interno del movimento dei lavoratori socialisti. I testi di storia di Heinrich von Treitschke erano tra i più letti nella Germania del XIX secolo e le sue polemiche posizioni contro ciò che definiva il materialismo e la disonestà degli ebrei scatenarono una reazione compatta nell’ambiente accademico di Berlino. Gli storici Theodor Mommsen e Gustav von Droysen, il patologo Rudolf Virchow e molti altri studiosi tedeschi condannarono in termini inequivocabili l’«odio e il fanatismo razziale» del loro collega.102

Reazioni di questo tipo sono indicative del fatto che, nonostante il crescente ascendente degli autori antisemiti, la grande maggioranza delle figure autorevoli, di destra e di sinistra, tanto della classe media quanto della classe operaia, rimanevano contrarie al razzismo di questo tipo. I tentativi di far accettare le concezioni antisemite al popolo tedesco non ebbero molto successo. Soprattutto la classe operaia e il suo principale rappresentante, il Partito socialdemocratico, che era la più vasta organizzazione politica del paese, con il più alto numero di seggi nel Reichstag dopo il 1912 e di voti alle elezioni nazionali già ben prima di quella data, si opponevano con fermezza all’antisemitismo, che consideravano arretrato e antidemocratico. Perfino la base del partito rifiutava gli slogan improntati all’odio. Un agente di polizia incaricato di ascoltare clandestinamente le conversazioni politiche nelle taverne e nei luoghi di ritrovo di Amburgo nel 1898 ha riportato queste osservazioni fatte da un operaio:

Il sentimento nazionale non può degenerare nel senso di superiorità nei confronti di un’altra nazione. Ancora peggio è se uno considera gli ebrei una razza inferiore e quindi combatte contro la razza. Cosa possono fare gli ebrei, se hanno avuto origine da un’altra stirpe? Sono sempre stati un popolo oppresso, e per questo sono sparpagliati in giro per il mondo. Per un socialdemocratico è logico volere l’uguaglianza di tutti gli esseri umani. E gli ebrei non sono affatto i peggiori.103

In altre occasioni diversi lavoratori furono sentiti esprimere disprezzo per gli antisemiti, condannare le violenze di matrice antisemita e appoggiare l’aspirazione degli ebrei all’uguaglianza civile. Erano queste le opinioni che caratterizzavano l’ambiente del movimento dei lavoratori prima del 1914.104

Se c’è qualcosa di cui i socialdemocratici possono essere accusati è di non aver dato sufficiente peso alla minaccia rappresentata dall’antisemitismo e di aver permesso che alcuni stereotipi antisemiti facessero capolino in qualche fumetto pubblicato nelle loro riviste ricreative.105 In alcune regioni i socialdemocratici e gli schieramenti antisemiti si sostennero a vicenda nei ballottaggi elettorali, tuttavia ciò non comportava un’approvazione dei rispettivi principi, ma solo una volontà di costituire un temporaneo fronte comune dei partiti di protesta contro le élite al potere.106 In qualche piccola città e in villaggi piuttosto arretrati, soprattutto nelle aree orientali profondamente rurali, ad alcuni ebrei locali furono mosse medievali accuse di omicidi rituali, che ottennero un certo sostegno popolare, sfociato perfino in dimostrazioni di protesta. Tuttavia nessuna di tali imputazioni venne mai confermata da prove davanti a un tribunale. Piccoli imprenditori, negozianti, artigiani e contadini erano i gruppi più propensi a un aperto antisemitismo, sulla scia di un sentimento popolare che, privo della moderna coloritura razzista, in alcune regioni risaliva alla rivoluzione del 1848.107 Tra le classi medie istruite, invece, la maggior parte degli uomini d’affari e dei professionisti non ebrei collaborava senza problemi con colleghi ebrei, la cui numerosa rappresentanza in seno ai partiti liberali era una barriera sufficiente a evitare che vi facessero breccia tesi o atteggiamenti propri dell’antisemitismo. I partiti antisemiti rappresentarono un fenomeno marginale di protesta e pochi sopravvissero all’inizio del nuovo secolo.

Tuttavia, il fallimento fu in certa misura solo apparente. Infatti, una delle cause della scomparsa di tali gruppi fu l’adozione di istanze antisemite da parte dei partiti con largo seguito, ossia i conservatori e il Partito del centro, tra i cui sostenitori erano compresi gruppi di estrazione sociale medio-bassa in condizioni economicamente instabili, ai quali l’antisemitismo si era rivolto fin dalle origini. I conservatori, riprendendo le politiche antisemite già presenti nel programma di Tivoli del 1893, chiedevano misure atte a ridurre ciò che definivano l’influsso sovversivo degli ebrei sulla vita pubblica. Questi pregiudizi trovavano un seguito presso vasti strati della società rurale protestante della Germania del nord e tra gli artigiani, i negozianti e i piccoli imprenditori che costituivano l’ala cristiano-sociale del partito. Agli occhi del Partito del centro, molto più numeroso ma probabilmente meno autorevole in quell’epoca, gli ebrei, o meglio la loro immagine distorta e controversa, incarnavano il liberalismo, il socialismo, la modernità: tutti concetti che la Chiesa rifiutava. Tale concezione trovava eco in molti agricoltori e artigiani iscritti al partito e veniva diffusa da gruppi autonomi di protesta fra i contadini cattolici, le cui idee non erano molto diverse da quelle di Otto Böckel; questa posizione era inoltre condivisa da larga parte della gerarchia della Chiesa più o meno per lo stesso motivo. In Vaticano, l’antisemitismo religioso e razziale si fuse con le polemiche contro gli ebrei alimentate da esponenti del clero e pubblicate su alcuni dei più intransigenti giornali o riviste dell’ultramontanismo.108

Inoltre, i pregiudizi antisemiti erano tanto influenti negli strati più elevati della società, nei tribunali, nella pubblica amministrazione, nell’esercito e nelle università da non permettere agli ebrei di dimenticare neanche per un istante che, come membri della nazione tedesca, erano meno uguali degli altri.109 Gli antisemiti riuscirono a far entrare la «questione ebraica» nell’ordine del giorno della politica e non ci fu momento in cui l’accesso degli ebrei alle istituzioni sociali più importanti non fosse oggetto di dibattiti e discussioni. Eppure tutta la controversia manteneva un profilo relativamente basso, anche secondo gli standard dell’epoca. Uno storico ha provato a immaginare che cosa sarebbe successo se, viaggiando a ritroso nel tempo, qualcuno fosse piombato dal 1945 nell’Europa appena antecedente alla Prima guerra mondiale e avesse raccontato a un intelligente e informato cittadino dell’epoca che nel giro di trent’anni un paese europeo avrebbe attuato un piano sistematico di eliminazione di tutti gli ebrei del continente uccidendone quasi 6 milioni. Se il viaggiatore avesse chiesto al suo interlocutore di indovinare di quale nazione si trattasse, è probabile che la risposta sarebbe stata la Francia, dove l’affare Dreyfus aveva di recente provocato un violento rigurgito di antisemitismo fra le masse; o forse la Russia, dove i Cento Neri zaristi avevano assassinato un gran numero di ebrei dopo la fallita rivoluzione del 1905.110 Difficilmente egli avrebbe potuto pensare che il paese il quale avrebbe scatenato la campagna di sterminio sarebbe stata la Germania, dove il livello di integrazione della comunità ebraica era molto alto e dove l’antisemitismo politico manifesto o violento era inesistente rispetto ad altri paesi.

La politica antisemita era ancora un fenomeno molto marginale, ma alcune affermazioni propagandistiche stavano cominciando ad avere un seguito nel dibattito politico più ampio. Per esempio l’idea che il cosiddetto «spirito ebraico» avesse una componente «sovversiva», o che gli ebrei avessero un’influenza «eccessiva» in determinati settori della società, come il giornalismo o il diritto. Inoltre, i partiti antisemiti avevano lanciato un nuovo stile, improntato alla demagogia e alla sovversione e privo dei freni delle convenzioni politiche tradizionali. Anche questo aspetto rimase circoscritto ad alcuni gruppi marginali, ma nelle sessioni parlamentari e nei comizi elettorali erano ormai ammesse espressioni di odio e di pregiudizio che alla metà del XIX secolo sarebbero state considerate del tutto fuori luogo in un discorso pubblico.111

Gli ultimi due decenni del secolo sono di fatto testimoni, oltre che di questa «acclimatazione» dell’antisemitismo, del suo coagularsi in determinate frange politiche e intellettuali di molte delle componenti che in seguito si sarebbero fuse nel potente ed eclettico calderone ideologico del nazionalsocialismo. Un ruolo centrale in questo processo ebbero autori antisemiti quale il popolare romanziere Julius Langbehn, il cui libro Rembrandt als Erzieher (Rembrandt come educatore), pubblicato nel 1890, definiva l’artista olandese il classico tipo razziale germanico e faceva appello all’arte tedesca affinché tornasse alle proprie radici etniche, un imperativo culturale che sarebbe stato ripreso con vigore dai nazisti. Nelle loro prese di posizione contro gli ebrei, questi autori svilupparono un nuovo linguaggio, veemente e violento: per Langbehn, gli ebrei erano un «veleno» e «andavano trattati di conseguenza» o, come si espresse nel 1892, «gli ebrei sono solo una pestilenza passeggera, un colera». Nel libro di Langbehn, che raggiunse le 40 ristampe in poco più di un anno e rimase ancora a lungo uno dei più venduti, si alter navano sguaiati attacchi a quelli che l’autore chiamava «ebrei e idioti, ebrei e canaglie, ebrei e sgualdrine, ebrei e professori, ebrei e berlinesi» e un appello alla restaurazione di una società gerarchica guidata da un «Kaiser segreto» che un giorno sarebbe emerso dall’ombra per riportare la Germania alla gloria del passato.112

Queste idee furono adottate e sviluppate dal circolo raccolto attorno alla vedova di Richard Wagner a Bayreuth. Il compositore aveva vissuto in questa città della Baviera settentrionale fino alla morte, nel 1883, e ogni anno i suoi melodrammi epici venivano messi in scena nel teatro che egli vi aveva fatto costruire. Scopo non secondario delle sue opere era la diffusione di miti nazionali pseudogermanici, in cui gli eroi delle leggende nordiche erano assunti a esempio per i leader della Germania del futuro. Wagner stesso aveva fatto mostra di antisemitismo culturale già all’inizio degli anni ’50 del XIX secolo: nel suo famoso libro Il giudaismo nella musica aveva sostenuto che lo «spirito ebraico» era in contrasto con la profondità della musica e suggeriva non solo la totale assimilazione degli ebrei nella cultura tedesca, ma anche la sostituzione della religione ebraica, anzi di tutte le religioni, con valori estetici secolari simili a quelli che egli riversava nei suoi melodrammi. Negli ultimi anni della sua vita, sotto l’influsso della seconda moglie Cosima, figlia del compositore Franz Liszt, il suo razzismo si fece sempre più estremo. Alla fine degli anni ’70 Cosima annotava nel suo diario che il marito, la cui concezione della civiltà era ormai profondamente pessimistica, aveva letto l’opuscolo antisemita di Wilhelm Marr del 1873 e condivideva buona parte di quelle idee. Di conseguenza non desiderava più l’assimilazione degli ebrei nella società tedesca, ma la loro completa esclusione. Nel 1881, a proposito del dramma classico di Lessing Nathan il saggio e del tragico incendio al Ringtheater di Vienna in cui morirono oltre 400 persone, tra cui molti ebrei, Cosima scriveva che suo marito aveva affermato «con sarcasmo che tutti gli ebrei sarebbero dovuti bruciare durante una rappresentazione del Nathan».113

Dopo la morte di Wagner la vedova trasformò Bayreuth in una specie di santuario in cui un drappello di devoti seguaci avrebbero onorato la sacra memoria del maestro morto. Attorno a lei si raccolse una cerchia di fanatici antisemiti che si adoperarono per interpretare le opere del compositore in chiave di contrapposizione tra eroi nordici e cattivi ebrei, benché, ovviamente, non sia questa l’unica interpretazione possibile della sua opera. Fra le personalità di spicco del circolo si possono ricordare Ludwig Schemann, uno studioso che nel 1898 tradusse il saggio di Gobineau sull’ineguaglianza razziale in tedesco, e l’inglese Houston Stewart Chamberlain, nato nel 1855, che aveva sposato una delle figlie di Wagner e che in seguito avrebbe pubblicato un’entusiastica biografia del grande compositore. Mentre Cosima e i suoi accoliti diffondevano le loro idee per mezzo del periodico «Bayreuther Blätter», Schemann girava il paese tenendo discorsi alle riunioni degli antisemiti e fondando varie organizzazioni razziste radicali, in particolare la Società Gobineau nel 1894. Nessuna ebbe molto successo, ma con la sua opera di divulgazione delle idee del teorico della razza francese, Schemann contribuì a far entrare il termine «ariano», tanto caro a Gobineau, nel vocabolario dei razzisti tedeschi. Utilizzato in origine per indicare gli antenati comuni di tutti coloro che parlavano una lingua germanica quali l’inglese o il tedesco, in breve il termine acquisì un significato nuovo e moderno: Gobineau aveva avanzato la tesi che la sopravvivenza della razza poteva essere garantita solo dalla purezza razziale, come quella che si supponeva si fosse mantenuta tra i contadini tedeschi, o «ariani», e che la mescolanza di razze comportava un declino culturale e politico.114

Furono tuttavia Chamberlain e il suo libro I fondamenti del XIX secolo, pubblicato nel 1900, a esercitare l’influenza più forte. In quest’opera fumosa e mistica Chamberlain descrive la storia come una lotta per la supremazia fra tedeschi ed ebrei, gli unici due gruppi razziali che hanno mantenuto la loro purezza originaria in un mondo caratterizzato dagli incroci fra razze. Agli eroici e raffinati tedeschi vengono contrapposti i rozzi e stereotipati ebrei, che Chamberlain, lungi dal relegare a gruppo marginale o inferiore, dichiara essere la minaccia prima della società umana. Alla lotta razziale era collegata la contrapposizione religiosa e Chamberlain dedica un ingente sforzo al tentativo di dimostrare che l’essenza della cristianità è in realtà germanica e che Gesù, contro ogni evidenza, non era affatto ebreo. L’opera di Chamberlain ebbe un notevole impatto su molti lettori grazie ai richiami scientifici portati a sostegno delle sue argomentazioni; il contributo più rilevante di Chamberlain fu proprio la fusione di antisemitismo e razzismo con il darwinismo sociale. Charles Darwin aveva infatti sostenuto che i regni animale e vegetale erano governati dal principio della selezione naturale secondo cui il più forte sopravvive a spese del più debole o del meno adatto: è questo meccanismo a garantire il miglioramento delle specie. I darwinisti sociali applicarono il modello anche alla razza umana. 115 Già qui, dunque, si ritrovano alcuni dei concetti fondamentali che in seguito saranno sviluppati dai nazisti.

 

III

 

Chamberlain non era l’unico ad avanzare teorie di questo tipo. Furono infatti molti gli scrittori, gli scienziati e altri pensatori che nell’ultimo decennio del XIX secolo contribuirono allo sviluppo di una nuova e rigorosa variante del darwinismo sociale basata sulla selezione, variante che metteva l’accento non sull’evoluzione pacifica bensì sulla lotta per la sopravvivenza. Un tipico rappresentante di questa scuola di pensiero fu l’antropologo Ludwig Woltmann, il quale nel 1900 sostenne che la razza ariana o tedesca rappresentava il culmine dell’evoluzione umana e quindi era superiore a tutte le altre; di conseguenza, affermava Woltmann, la «razza germanica è stata prescelta a dominare la terra».116 Altre razze, tuttavia, impedivano che ciò si realizzasse. I tedeschi, secondo taluni, avevano bisogno di maggior «spazio vitale», di un più ampio Lebensraum che avrebbero dovuto acquisire a spese di altri, verosimilmente degli slavi. Il motivo non era una reale sovrappopolazione del paese, problema che non si poneva affatto: i promotori di questa teoria si limitavano a prendere a prestito il concetto di territorialismo dal regno animale e lo applicavano alla società umana. Turbati dalla rigogliosa crescita che stava interessando le città tedesche, inseguivano la restaurazione di un ideale rurale in cui i «coloni» tedeschi avrebbero dettato legge sui contadini slavi «inferiori» come avevano fatto, secondo quanto gli storici cominciavano ad affermare, nell’Europa centro-orientale del Medioevo.117 La rappresentazione della politica internazionale come di un’arena di scontro fra razze diverse per la conquista della supremazia o della sopravvivenza era diventata un concetto largamente condiviso fra le élite politiche tedesche alla vigilia della Prima guerra mondiale. Statisti come il ministro della Guerra Erich von Falkenhayn, il segretario della Marina Alfred von Tirpitz, il consigliere del cancelliere Bethmann Hollweg, Kurt Riezler e il capo di gabinetto della Marina imperiale Georg Alexander von Müller consideravano la guerra uno strumento di tutela o di affermazione della razza germanica contro i latini e gli slavi. La guerra, nelle celebri parole che il generale Friedrich von Bernhardi scrisse in un libro pubblicato nel 1912, era una «necessità biologica»: «In assenza di guerre le razze inferiori o in declino potrebbero facilmente impedire la crescita degli elementi sani e fiorenti; a ciò seguirebbe una decadenza universale». La politica estera non doveva più essere una questione di relazioni fra Stati bensì di rapporti fra razze. Traspare qui un primo cenno a quel ridimensionamento del ruolo dello Stato che avrebbe avuto una notevole influenza nella politica estera nazista.118

Anche l’aspirazione al successo in una eventuale guerra, preoccupazione sempre più viva fra i leader e i politici tedeschi del centro e della destra dopo l’inizio del nuovo secolo, rendeva necessarie, almeno secondo alcuni, iniziative concrete volte al miglioramento della razza. Uno degli aspetti della svolta selezionista del darwinismo sociale negli anni ’90 fu l’accento posto sulla «selezione negativa». Taluni sostennero che il miglioramento della razza tramite il progresso delle condizioni abitative, delle cure mediche, dell’alimentazione, dell’igiene, delle misure sanitarie e simili era lodevole, ma non bastava a neutralizzare gli effetti della rinuncia della società al principio di lotta per la sopravvivenza, che si manifestava nella cura dei deboli, dei malati e dei disadattati. Avvalorando le loro affermazioni anche sulla base delle nuove scoperte della genetica che si andava affermando proprio a quel tempo, alcuni studiosi di medicina sostennero che questo comportamento era la causa della progressiva degenerazione della razza umana e doveva essere combattuto con un approccio scientifico alla riproduzione teso a ridurre o eliminare i soggetti deboli e a rafforzare e rendere più numerosi quelli forti. Tra i fautori di queste teorie c’era Wilhelm Schallmayer, il cui trattato sull’eugenetica applicata alla politica sociale vinse il primo premio in un concorso nazionale organizzato dall’industriale Alfred Krupp nel 1900. Alfred Ploetz, un altro medico convinto che il culmine dell’evoluzione umana fino a quel momento fosse rappresentato dai tedeschi, proponeva che in caso di guerra si inviassero al fronte i «soggetti inferiori», in modo che i deboli fossero i primi a essere eliminati. L’autore più noto fu Ernst Haeckel, il cui libro di divulgazione dei principi darwiniani Gli enigmi dell’universo conobbe un successo straordinario quando venne pubblicato nel 1899.119

Sarebbe un errore considerare tutte queste posizioni un’ideologia omogenea e coerente, e tanto meno una strada univoca e diretta verso il nazismo. Schallmayer, per esempio, non era antisemita e anzi rifiutava con decisione l’idea di superiorità della razza «ariana»; Woltmann non nutriva ostilità nei confronti degli ebrei e l’apprezzamento che dimostrava per la Rivoluzione francese (i cui capi, secondo le sue poco plausibili affermazioni, erano di razza germanica come tutti i grandi personaggi della storia) non avrebbe riscosso il favore dei nazisti. Haeckel, dal canto suo, invocava la pena capitale su larga scala per eliminare i criminali dalla linea genetica, nonché l’uccisione dei malati di mente mediante iniezioni di sostanze chimiche ed elettroesecuzioni. Ed era anche razzista, tanto da affermare che nessuna razza con i capelli crespi aveva mai realizzato nulla di importante nella storia. Al tempo stesso, però, riteneva che una guerra sarebbe stata un disastro dal punto di vista eugenetico in quanto avrebbe eliminato i giovani migliori e più coraggiosi del paese, tanto che i suoi seguaci, organizzati in una sedicente Lega monista, divennero pacifisti e rifiutarono totalmente il concetto di guerra. Non era certo una posizione che li avrebbe fatti entrare nelle grazie dei nazisti e molti di loro avrebbero pagato a caro prezzo le proprie convinzioni quando, nel 1914, il conflitto alla fine scoppiò.120

La dottrina che più delle altre può far presagire l’ideologia nazista si trova nei lavori di Ploetz, che distribuì nelle sue teorie una buona dose di antisemitismo e collaborò con i Gruppi per la supremazia nordica. Ciononostante, non sembra che prima della grande guerra Ploetz considerasse la razza «ariana» superiore alle altre, anche se questa era la convinzione di uno dei suoi collaboratori più stretti, Fritz Lenz. Ploetz assunse una posizione ferocemente selettiva nella pianificazione eugenetica, sostenendo per esempio che una commissione di medici dovesse presenziare a tutti i parti e decidere se il neonato fosse adatto a sopravvivere o se dovesse essere ucciso in quanto debole e inadeguato. Il darwinista Alexander Tille perorava in modo esplicito l’uccisione degli inabili mentali e fisici ed era d’accordo con Ploetz e Schallmayer che le infermità infantili non dovessero essere curate: in questo modo si sarebbero eliminati i deboli dalla catena dell’eredità genetica. Nel 1905 Ploetz fondò assieme a Ernst Rüdin, suo ex cognato con il quale condivideva molte convinzioni, la Società per l’igiene della razza, che in breve acquistò un notevole ascendente in ambito medico e sociale. Mentre Gobineau era stato da molti punti di vista un conservatore, convinto che l’ideale eugenetico fosse incarnato dall’aristocrazia, i pensatori tedeschi imboccarono una strada più rigida e potenzialmente più rivoluzionaria, in cui i tratti ereditari erano spesso quasi del tutto svincolati dal concetto di classe sociale.121

Alla vigilia della Prima guerra mondiale queste idee, nell’una o nell’altra forma, si erano diffuse in campi quali la medicina, l’assistenza sociale, la criminologia e il diritto. Comportamenti devianti come la prostituzione, l’alcolismo, i piccoli furti e il vagabondaggio erano considerati sempre più spesso tare ereditarie e le richieste degli addetti ai lavori di imporre a chi se ne dimostrasse affetto la sterilizzazione forzata erano diventate troppo insistenti per non richiamare l’attenzione. Così profondo fu l’influsso di queste posizioni sugli enti di assistenza sociale che perfino i socialdemocratici presero in seria considerazione la proposta di Alfred Grotjahn di associare le politiche abitative e di assistenza con programmi di sterilizzazione coatta di dementi, «sfaticati» e alcolisti.122 Tali sviluppi riflettevano la crescente importanza della medicina in settori specialistici all’epoca in rapida espansione, come la criminologia e l’assistenza sociale. I successi della scienza medica tedesca del XIX secolo, con la scoperta dei bacilli che provocavano malattie quali il colera e la tubercolosi, l’avevano ammantata di uno straordinario prestigio intellettuale, ma avevano avuto anche l’effetto collaterale del tutto accidentale di fornire agli esponenti dell’antisemitismo un linguaggio nuovissimo con cui esprimere il loro odio e la loro paura degli ebrei. Tali successi avevano comportato una generale medicalizzazione della società e fra la popolazione, classi operaie comprese, si andavano diffondendo pratiche igieniche di base, come lavarsi regolarmente, disinfettare i bagni, bollire l’acqua da bere e così via. Il concetto di igiene aveva cominciato a propagarsi dalla medicina ad altri campi, dando origine non solo all’«igiene sociale» ma anche all’«igiene razziale», che tanta importanza avrebbe avuto negli anni successivi.

Nonostante tutti i dibattiti e le controversie, questi argomenti non ebbero praticamente nessun impatto sui programmi e sulle politiche del governo prima del 1914. Al di fuori dell’ambiente scientifico, i promotori della creazione di una super razza bionda e ariana, come il sedicente Lanz von Liebenfels, direttore di «Ostara. Periodico per i biondi», ottenevano l’interesse solo di un sottobosco di estremisti e di minuscole ed eccentriche sette politiche.123 Malgrado tutti i distinguo, però, la comparsa di queste idee e l’attenzione sempre più rilevante di cui godettero nell’opinione pubblica furono un elemento importante nelle origini dell’ideologia nazista. Alcuni principi fondamentali accomunavano quasi tutte le componenti di questo eterogeneo gruppo di scienziati, medici e propugnatori dell’igiene razziale. Il primo era il ruolo decisivo riconosciuto all’ereditarietà nella determinazione del carattere e del comportamento umano; il secondo, che derivava dal precedente, era il fatto che la società, sotto la guida dello Stato, doveva gestire la popolazione in modo da aumentare l’efficienza nazionale, ovvero gli «idonei» dovevano essere persuasi, o obbligati, a riprodursi di più, i «non idonei» di meno. In terzo luogo, a prescindere dalle diverse sfumature di significato attribuite ai due termini, il movimento per l’igiene della razza introduceva una minacciosa classificazione razionale e scientifica della popolazione, che veniva suddivisa tra coloro che erano «utili» alla nazione e coloro che non lo erano. Minderwertig, letteralmente «di scarso valore», «scadente», era il termine generico usato prima della guerra da assistenti sociali e medici per etichettare i devianti sociali di vario tipo. Con questa classificazione gli igienisti della razza spianarono la strada al controllo, all’abuso, e infine allo sterminio, degli individui «inutili» per lo Stato mediante la sterilizzazione coatta e perfino l’uccisione, provvedimenti che alcuni igienisti avevano caldeggiato già prima del 1914. Infine, una politica demografica così tecnocratica e razionalistica richiedeva un approccio alla morale del tutto laico e funzionale. Precetti cristiani come la sacralità del matrimonio e della maternità e l’uguaglianza di tutti gli individui dotati di un’anima immortale, venivano gettati alle ortiche. A prescindere da come potessero essere classificate, le idee «igieniste» non erano certo ispirate alla tradizione o a una valorizzazione del passato, e in effetti alcuni dei propugnatori, come Woltmann e Schallmayer, si ritenevano politicamente più vicini alla sinistra che alla destra, anche se le loro idee trovavano ben pochi sostenitori tra i socialdemocratici. Di fatto, l’igiene razziale scaturì dalla nuova aspirazione della società a essere guidata in base a principi scientifici svincolati da qualsiasi altro fattore. Si trattava di una nuova variante del nazionalismo germanico, che era poco probabile venisse fatta propria dai conservatori o dai reazionari, o accettata dalle Chiese cristiane o da una qualsiasi altra religione organizzata e strutturata.124

Tanto l’antisemitismo quanto l’igiene razziale sarebbero stati componenti centrali nell’ideologia nazista. Entrambi erano aspetti della secolarizzazione del pensiero che caratterizzò gli ultimi decenni del XIX secolo, sintomi di una più ampia ribellione contro quello che un crescente numero di scrittori e pensatori cominciava a considerare lo stolido e ottundente autocompiacimento tipico degli atteggiamenti liberali e borghesi che avevano dominato la Germania alla metà del secolo. Il senso di appagamento diffuso tra moltissimi tedeschi delle classi medie e istruite dopo il compimento dello Stato nazionale negli anni ’70 stava cedendo il passo a una variegata insoddisfazione che traeva origine dalla sensazione che lo sviluppo spirituale e politico della Germania fosse giunto a una battuta d’arresto e necessitasse di una spinta in avanti. Tale sentimento trovò vigorosa espressione nella prolusione tenuta da Max Weber, in cui il sociologo definì l’unificazione del 1871 una «ragazzata» della nazione tedesca. 125 Il paladino più autorevole di questa teoria fu Friedrich Nietzsche che, con una prosa incisiva e vigorosa, attaccò l’etica conservatrice della sua epoca. Il filosofo tedesco fu una figura per molti aspetti simile a Wagner, da lui profondamente ammirato per gran parte della sua vita; come il compositore, Nietzsche fu un personaggio complesso e il suo lavoro offrì il fianco a molte e diverse interpretazioni. I suoi scritti auspicavano la liberazione del singolo dai vincoli e dalle convenzioni morali del proprio tempo e prima del 1914 vennero in larga parte interpretati come un appello all’emancipazione dell’individuo. Ebbero un forte ascendente su molti gruppi liberali e radicali, compreso il femminismo: una delle esponenti più creative del movimento, Helene Stöcker, scrisse numerosi saggi che ricalcavano la prosa nietzschiana. In essi sosteneva che, secondo il messaggio del maestro, le donne dovevano essere libere di sviluppare la propria sessualità al di fuori del matrimonio. A tal fine propugnava l’uso di metodi contraccettivi meccanici e l’uguaglianza di diritti dei figli illegittimi.126

Altri trassero invece una lezione completamente diversa dalle opere del grande filosofo. Nietzsche era un fiero avversario dell’antisemitismo e profondamente contrario al rozzo culto del potere e del successo che, secondo lui, era il portato dell’unificazione tedesca da parte dei militari nel 1871; i suoi concetti più noti, quali la «volontà di potenza» e il «superuomo», erano destinati, da lui stesso, a essere applicati in via esclusiva alla sfera del pensiero e delle idee, non alla politica o all’azione. Ma la forza della sua prosa rese fin troppo facile la riduzione a slogan di queste formule che, avulse dall’originale contesto filosofico, furono utilizzate in ambiti che Nietzsche non avrebbe affatto approvato. Il suo ideale di essere umano, libero dai vincoli morali e vittorioso sulle debolezze grazie al potere della volontà, poteva con facilità essere fatto proprio da coloro che, a differenza del filosofo stesso, credevano nella riproduzione della razza umana basata su criteri razziali ed eugenetici. Un ruolo chiave nella diffusione di tali interpretazioni lo ebbe la sorella, Elisabeth Förster, che divulgò le sue idee forzando l’accento sugli aspetti più spietati ed elitari e rendendole gradite ai nazionalisti dell’estrema destra. Scrittori e intellettuali come Ernst Bertram, Alfred Bäumler e Hans Günther trasformarono Nietzsche in un profeta del potere e il suo concetto di superuomo in un appello a favore dell’avvento di un grande leader tedesco libero dai vincoli delle inibizioni morali o della teologia cristiana.127

Altri, sulla base degli studi antropologici delle società indigene della Nuova Guinea e di altre regioni dell’impero coloniale tedesco, spinsero l’elitismo spirituale di Nietzsche ancora oltre e invocarono la creazione di una nuova società guidata da un gruppo di energici giovani uomini legati da spirito fraterno, che avrebbero governato lo Stato come una confraternita di cavalieri medievali. In questa concezione estremamente misogina del mondo l’unico ruolo riservato alle donne era la procreazione e l’educazione delle élite del futuro, posizione condivisa, anche se in toni meno drastici, da molti eugenisti e igienisti della razza. L’ideologia della fratellanza ricorreva in innumerevoli pubblicazioni di autori provenienti dal mondo accademico, come Heinrich Schurtz, ma il maggiore impatto lo ebbe su settori come il movimento giovanile: furono molti i ragazzi, soprattutto maschi appartenenti alle classi medie, che si dedicarono ad attività di escursionismo per cercare il contatto con la natura, intonare canzoni nazionaliste attorno ai falò ed esprimere il loro disprezzo per l’appiattimento della politica, l’ipocrisia della morale e l’affettazione sociale del mondo degli adulti. Il movimento giovanile produsse forti suggestioni su scrittori quali Hans Blüher, che portarono a nuovi eccessi l’appello per un’organizzazione dello Stato secondo principi antidemocratici, in cui la guida doveva essere affidata a un gruppo coeso di uomini eroici uniti da legami omoerotici di amore e amicizia. Già in tempi antecedenti la Prima guerra mondiale i promotori di tali principi avevano cominciato a istituire organizzazioni di ispirazione pseudomonastica e cospirativa tra cui si distingueva l’Ordine germanico, fondato nel 1912. Nell’universo di queste minuscole sette laiche il simbolismo e i rituali «ariani» assunsero un ruolo centrale: gli adepti recuperarono le rune e l’adorazione del sole come segni fondanti della germanicità e, influenzati dal poeta di Monaco Alfred Schuler e dal teorico della razza Lanz von Liebenfels, sul cui castello in Austria già nel 1907 sventolava una bandiera con la svastica, adottarono come emblema quel simbolo indiano. Per quanto stravaganti possano sembrare queste idee, non si può sottovalutare l’impatto che ebbero su molti giovani della classe media entrati in contatto con le varie organizzazioni del movimento prima del 1914. Quanto meno, esse contribuirono a diffondere un senso di rivolta contro le convenzioni sociali borghesi nella generazione nata nei due decenni a cavallo del 1900.128

I valori esaltati da queste correnti di pensiero erano in netto contrasto con le virtù borghesi di moderazione e riservatezza e diametralmente opposti ai principi basilari del nazionalismo liberale quali libertà di pensiero, governo di rappresentanza, tolleranza per le opinioni altrui e i diritti fondamentali degli individui. È molto probabile che all’inizio del nuovo secolo la grande maggioranza dei tedeschi ancora credesse in tali principi e i socialdemocratici, il cui partito era l’organizzazione politica con il più ampio seguito in Germania, si ergevano a tutori di questi valori, valori che, dicevano, i liberali non erano stati capaci di difendere. I liberali, in ogni caso, rimanevano una forza tutt’altro che trascurabile e negli ultimi anni di pace prima del 1914 ci furono perfino segnali di una loro moderata ripresa.129 Ma già a quest’epoca si assisteva a precisi tentativi di fondere alcuni dei concetti del nazionalismo estremo, dell’antisemitismo e della ribellione contro le convenzioni sociali in una nuova sintesi suscettibile di ricevere una forma organizzata. Il vortice politico di ideologie radicali da cui alla fine sarebbe emerso il nazismo era già in piena azione con largo anticipo sullo scoppio della Prima guerra mondiale.130