XV - LA VITTORIA DELLA VIOLENZA
I
Nel 1930 il giovane attivista delle camicie brune Horst Wessel aveva attirato su di sé l’odio di tutti i membri delle unità paramilitari comuniste di Berlino. Idealista, intelligente e istruito, aveva colpito l’attenzione di Joseph Goebbels, che nella prima metà del 1928 l’aveva mandato a studiare il ben organizzato movimento giovanile nazista di Vienna. Tornato a Berlino, in breve tempo Wessel giunse a ricoprire un incarico di rilievo nella locale organizzazione delle camicie brune del quartiere di Friedrichshain, come capo di uno Sturm, un’unità d’assalto paramilitare nazista, e scatenò una violenta campagna provocatoria per le strade della zona. Tra le sue gesta vi fu anche un attacco delle camicie brune alla sede locale del Partito comunista in cui rimasero gravemente feriti quattro operai iscritti al partito. Heinz Neumann, il direttore della redazione berlinese del quotidiano «Rote Fahne», che veniva considerato il Goebbels comunista, reagì con un nuovo slogan diretto ai quadri dell’organizzazione: «Picchiate i fascisti ovunque li troviate!»649
In questo clima generale, il 14 gennaio 1930 la donna presso la quale Wessel abitava in subaffitto, vedova di un militante comunista, si recò in una taverna del quartiere e chiese aiuto ai compagni del marito per risolvere un problema con il suo inquilino: asserì che non solo si era rifiutato di pagare la pigione per la fidanzata che viveva con lui, ma che aveva anche risposto alle richieste della signora minacciandola di violenze. Non è certo che tutto ciò fosse vero. Sembra piuttosto che il motivo reale della controversia fosse il tentativo della locataria di aumentare l’affitto a Wessel; la donna temeva inoltre che, se la ragazza non se ne fosse andata, lei stessa sarebbe stata sfrattata dall’appartamento, anche perché la ragazza era una prostituta (e il dubbio se esercitasse ancora il mestiere o no divenne in seguito oggetto di un piccante e infuocato dibattito).
Ma il fattore chiave di tutta la faccenda era il legame della vedova con il Partito comunista. Nonostante che all’epoca della morte del marito i compagni avessero disapprovato l’insistenza della vedova per un funerale religioso, ora decisero di aiutarla: proprio il giorno precedente, affermarono, durante uno scontro con le camicie brune, un militante del partito era stato ferito da un colpo di arma da fuoco e la contesa sull’affitto era l’occasione buona per pareggiare i conti. Immaginando che Wessel sarebbe stato armato, gli uomini mandarono a chiamare Ali Höhler, un noto teppista locale che possedeva una pistola, e si avviarono all’appartamento di Wessel per una spedizione punitiva. Höhler, oltre a far parte della Lega dei combattenti del fronte rosso, aveva precedenti penali per vari reati minori, spergiuro e sfruttamento della prostituzione; membro di un’organizzazione criminale berlinese, era un tipico esempio degli ambigui legami tra comunismo e criminalità non rari in un’epoca in cui la base del partito era radicata nei quartieri poveri ed equivoci delle grandi città tedesche. Mentre gli altri rimanevano di guardia all’esterno, Höhler, accompagnato dal comunista Erwin Rückert, salì le scale fino all’appartamento di Wessel e, non appena questi aprì la porta, fece fuoco. Wessel cadde a terra con una grave ferita alla testa: rimase tra la vita e la morte in ospedale per qualche settimana, finché il 23 febbraio morì.650
Di fronte alla campagna propagandistica organizzata in gran fretta dai comunisti, che presentava Wessel come un protettore e il gesto di Höhler come un regolamento di conti fra delinquenti non collegato alla Lega dei combattenti del fronte rosso, Goebbels partì all’assalto per trasformare Wessel in un martire politico. Intervistò la madre e le strappò un ritratto del figlio descritto come un idealista che aveva salvato la fidanzata da una vita di prostituzione e si era sacrificato con altruistico fervore per la patria; i comunisti, al contrario, avevano mostrato il loro vero volto, tuonò Goebbels, ingaggiando nelle proprie file un criminale comune come Höhler. Prima ancora della sepoltura, Goebbels cominciò a esaltare la figura di Wessel, trasformandola in un vero e proprio culto. Innumerevoli articoli sulla stampa nazista di tutto il paese lo celebrarono come un «martire del Terzo Reich». Fu organizzato un solenne corteo funebre, che sarebbe stato molto più imponente se la polizia non avesse imposto restrizioni al numero di partecipanti, e quasi 30 mila persone, secondo quanto dichiarò Goebbels, si assieparono lungo le strade fino alla chiesa; ai margini della cerimonia, slogan, aggressioni e tentativi di provocare il caos da parte dei combattenti del fronte rosso produssero scene di violenza sfrenata.
Durante la sepoltura, che si svolse alla presenza di Göring, del principe Augusto Guglielmo di Prussia e di vari altri dignitari, Goebbels elogiò Wessel con parole che evocavano il sacrificio di Cristo per l’umanità: «Verso la redenzione attraverso il sacrificio» e «Dovunque è la Germania» proclamò «là sei anche tu, Horst Wessel!»
Quindi un coro delle SA intonò dei versi scritti pochi mesi prima dallo stesso Wessel e intitolati Die Fahne hoch (In alto la bandiera):
In alto la bandiera! I ranghi sono serrati!
Avanzano le SA con passo fermo e deciso.
Tra le file, al nostro fianco, gli spiriti dei camerati
Che il Fronte rosso e la Reazione hanno ucciso!
Fate largo ai bruni battaglioni,
Alla squadra d’assalto spianate il cammino!
Nella croce uncinata sperano a milioni,
Del pane e della libertà il giorno è vicino!
Per l’ultima volta risuona ora l’adunata!
Siamo tutti già pronti per la lotta a venire!
Le bandiere di Hitler sventolano in parata.
La nostra servitù sta ormai per finire!651
La canzone aveva già raggiunto in precedenza una certa popolarità nel movimento, ma ora Goebbels si adoperò per diffonderla ai quattro venti e predisse che presto sarebbe stata cantata da scolari, operai, soldati, da tutti. Aveva ragione: prima della fine dell’anno quello che divenne noto come l’Horst Wessel Lied fu pubblicato, ne venne inciso un disco e divenne l’inno ufficiale del Partito nazista; dopo il 1933 era di fatto l’inno nazionale di battaglia del Terzo Reich, accanto al tradizionale Deutschland, Deutschland über Alles.652 Wessel divenne l’oggetto di una sorta di culto religioso secolare diffuso dai nazisti, celebrato nel cinema e commemorato in innumerevoli cerimonie, memoriali e luoghi di pellegrinaggio.
Il fatto che una celebrazione così esplicita della brutalità fisica fosse diventata l’inno di battaglia del Partito nazista è indicativo del ruolo di primo piano che la violenza rivestì nella conquista del potere. Sfruttata senza remore nelle manovre orchestrate per provocare clamore da abili propagandisti come Goebbels, per i giovani come Wessel, che formavano il grosso delle camicie brune, divenne uno stile di vita, e così pure per i giovani operai disoccupati della Lega dei combattenti del fronte rosso. Altri inni erano ancora più espliciti, come la famosa «Canzone delle squadre d’assalto», scandita dalle camicie brune durante le marce per le strade di Berlino dal 1928 in poi:
Siamo le Squadre d’assalto, siamo sempre in prima linea,
Siamo i ranghi più avanzati, coraggiosi in ogni battaglia.
Con fronti sudate dal lavoro, con lo stomaco vuoto,
Con mani sporche e callose imbracciamo saldo il fucile.
Ecco le Squadre d’assalto, pronte alla lotta per la razza.
Solo il sangue sparso dagli ebrei ci libererà.
Basta trattare, a nulla servirebbe, a niente di niente:
A fianco del nostro Adolf Hitler lotteremo con coraggio.
Lunga vita al nostro Adolf Hitler! Siamo già in marcia,
All’assalto in nome della rivoluzione tedesca!
Lanciamoci sulle barricate! Solo la morte ci sconfiggerà.
Noi siamo le colonne d’assalto della dittatura hitleriana.653
Questo tipo di aggressività sfociava in continui scontri nelle strade tra membri di gruppi paramilitari rivali. È vero che nel periodo centrale della repubblica, a partire dal 1924, tutte le parti sembravano aver rinunciato all’intensità di violenza politica raggiunta nella sollevazione del gennaio 1919, nella guerra civile della Ruhr del 1920 o nei tanti conflitti del 1923, ma le armi da fuoco erano state deposte solo per essere sostituite da manganelli e tirapugni. Perfino negli anni di relativa stabilità tra il 1924 e il 1929, i nazisti rivendicarono la morte di 29 attivisti per mano dei comunisti, mentre i comunisti, a loro volta, sostenevano che tra il 1924 e il 1930 ben 92 «lavoratori» erano stati uccisi in scontri con i «fascisti». Si diceva che 26 esponenti degli Elmi d’acciaio fossero caduti nella lotta contro il comunismo e che 18 membri del Reichsbanner fossero rimasti uccisi in vari episodi di violenza politica tra il 1924 e il 1928.6 Questi dati si riferiscono solo alle conseguenze più gravi degli incessanti scontri tra gruppi paramilitari rivali: le stesse fonti riferiscono che in queste battaglie si contavano migliaia di feriti, spesso con lesioni più gravi di qualche contusione o frattura.654
Nel 1930 le cifre aumentarono in modo impressionante: i nazisti sostennero di avere avuto 17 caduti, che salirono a 42 nel 1931 e a 84 nel 1932; sempre in quell’anno, inoltre, fra i ranghi nazisti ci sarebbero stati quasi diecimila feriti durante gli scontri con gli avversari. I comunisti denunciarono 44 vittime tra le loro file nel 1930, 52 nel 1931 e 75 solo nei primi sei mesi del 1932, mentre tra il 1929 e il 1933 oltre 50 uomini del Reichsbanner morirono negli scontri contro i nazisti.655 Le fonti ufficiali confermarono in larga misura queste affermazioni: secondo una stima del Reichstag, che nessuno contestò, nell’anno precedente al marzo 1931 le vittime erano state almeno 300.656 I comunisti facevano la loro parte con lo stesso impegno dei nazisti: quando il marinaio Richard Krebs, comandante di un reparto di cento combattenti del fronte rosso, ebbe istruzioni di interrompere un comizio di Hermann Göring a Brema, per esempio, si assicurò che «ogni uomo fosse armato di sfollagente o tirapugni di ottone». Krebs si alzò per parlare, ma riuscì a dire solo poche parole prima che Göring ordinasse di buttarlo fuori; le camicie brune schierate lungo le pareti della sala scattarono verso il centro e seguì una mischia spaventosa. Le armi usate erano sfollagente, tirapugni, mazze, cinture con grosse fibbie, bicchieri e bottiglie. Pezzi di vetro e sedie volavano sopra le teste del pubblico; gli uomini di entrambe le parti staccavano le gambe alle sedie e le usavano come randelli, mentre le donne svenivano tra il clamore e le grida della battaglia. Dozzine di teste e volti erano già insanguinati, gli abiti venivano strappati mentre i combattenti schivavano i colpi in mezzo alla massa di spettatori terrorizzati ma impotenti. Le camicie brune lottavano come leoni e continuavano a farci arretrare verso l’uscita principale. La banda attaccò un pezzo marziale. Hermann Göring era rimasto tranquillo sul palco, con i pugni sui fianchi.657
All’inizio degli anni ’30 scene di questo tipo si ripetevano in tutta la Germania. La violenza si inaspriva soprattutto nei periodi elettorali: delle 155 persone uccise in scontri a sfondo politico in Prussia durante il 1932, ben 105 morirono tra giugno e luglio, i mesi delle elezioni, e nelle prime sette settimane di campagna elettorale la polizia registrò 461 episodi di disordine, con 400 feriti e 82 morti.658 Non contribuiva certo a limitare la violenza politica il fatto che di tanto in tanto i partiti più compromessi con tali azioni concordassero un’amnistia per i prigionieri politici di entrambi gli schieramenti, i quali appena usciti dal carcere prendevano parte a una nuova serie di pestaggi e uccisioni. L’ultima di queste amnistie entrò in vigore il 20 gennaio 1933.659
II
Al disordine dilagante avrebbe dovuto far fronte una polizia la cui lealtà nei confronti della democrazia di Weimar era tutt’altro che incrollabile. A differenza dell’esercito, le forze dell’ordine rimasero decentralizzate anche dopo il 1918, ma il governo prussiano di Berlino, a maggioranza socialdemocratica, non riuscì a sfruttare la situazione per creare un nuovo corpo capace di fungere da fedele servitore della giustizia repubblicana. Era inevitabile che gli agenti fossero reclutati tra gli ex soldati, dato che gran parte degli appartenenti alla fascia di età interessata aveva servito nell’esercito durante la guerra; il nuovo corpo di polizia finì per essere comandato da ex ufficiali, ex soldati professionisti e combattenti dei corpi franchi, che fin dall’inizio imposero un’impronta militare, ma che, soprattutto, non erano sostenitori entusiasti del nuovo ordine politico.660 Godevano inoltre dell’appoggio della polizia politica, che in Prussia, così come in altri Stati tedeschi ed europei, per lunga tradizione si occupava della sorveglianza, delle indagini e talvolta della repressione in primo luogo di socialisti e rivoluzionari.661 I suoi ufficiali, come quelli degli altri reparti di polizia, si consideravano al di sopra della politica dei partiti: la loro lealtà, in modo molto simile a quanto si registrava nell’esercito, andava a un concetto astratto di «Stato», di Reich, più che alle istituzioni democratiche della repubblica appena fondata. Non deve sorprendere, quindi, che le loro operazioni di sorveglianza avessero come obiettivo non solo gli estremisti politici ma anche i socialdemocratici, partito di governo in Prussia e quindi, in un certo senso, loro datore di lavoro. L’antica consuetudine di cercare i sovversivi in primo luogo alla sinistra dello spettro politico era tutt’altro che morta.662
La parzialità di polizia e magistratura si rivelò in tutta la sua ampiezza nei confronti, per esempio, del socialdemocratico Otto Buchwitz, deputato della Slesia al Reichstag, che in seguito avrebbe ricordato con profonda amarezza i disordini che le squadre d’assalto provocarono durante i suoi discorsi dal dicembre 1931 in poi. Agli incontri, le camicie brune occupavano i posti a sedere, gli gridavano insulti e in un’occasione spararono un colpo di pistola nella sua direzione, suscitando il panico fra il pubblico e innescando una rissa con altri spari provenienti sia dalle SA sia dagli uomini del Reichsbanner: in parecchi tra nazisti e socialdemocratici finirono all’ospedale e non un tavolo o una sedia della sala rimase integro.
Dopo questo episodio, Buchwitz continuò a essere molestato da bande di otto-dieci camicie brune davanti a casa, quando al mattino usciva per andare al lavoro; tornando in ufficio dopo pranzo veniva attorniato da una ventina di uomini e infine cento o duecento persone lo tormentavano mentre tornava a casa cantandogli una canzone composta appositamente per lui, il cui ritornello ripeteva: «Quando le pistole spareranno, tutte Buchwitz beccheranno!». Le dimostrazioni naziste si fermavano sempre davanti a casa sua per scandire: «A morte Buchwitz». Non solo le sue proteste alla polizia e le sue richieste di protezione furono del tutto ignorate, ma quando, dopo lo scioglimento del Reichstag nel 1932, perse l’immunità parlamentare, fu addirittura trascinato in tribunale per possesso illegale di un’arma ai tempi della rissa del dicembre 1931 e condannato a tre mesi di reclusione. Nemmeno uno dei nazisti coinvolti nella vicenda fu processato. Una volta scarcerato, gli fu negato il permesso di portare una pistola, ma ne aveva sempre una con sé, alla quale toglieva con ostentazione la sicura se le camicie brune si avvicinavano troppo. Quando protestò con il ministro degli Interni della Prussia, il socialdemocratico Carl Severing, gli fu risposto che non avrebbe dovuto farsi coinvolgere in una sparatoria. La sensazione di Buchwitz di essere stato tradito dai vertici socialdemocratici non poté che rafforzarsi quando, prima di un discorso che avrebbe dovuto tenere al funerale di un membro del Reichsbanner ucciso dai nazisti, fu avvicinato da un numeroso gruppo di militanti comunisti: erano venuti a proteggerlo, spiegarono, da un attentato progettato dalle camicie brune. In giro non c’era traccia né della polizia né degli uomini del Reichsbanner.663
La polizia, dal canto suo, considerava la Lega dei combattenti del fronte rosso una banda di delinquenti. Questo atteggiamento derivava non solo dall’antica abitudine della polizia di assimilare i rivoluzionari ai criminali, ma anche dal fatto che le roccaforti comuniste erano spesso i quartieri poveri e degradati già centri della criminalità organizzata. Dal punto di vista della polizia, i combattenti del fronte rosso erano teppisti a caccia di profitti personali; per i comunisti, la polizia era il pugno di ferro dell’ordine capitalista che doveva essere abbattuto, e diventava spesso l’obiettivo di aggressioni fisiche che potevano arrivare fino all’omicidio: la conseguenza era che, negli scontri con i comunisti, gli uomini della polizia, sfiancati, tesi e spaventati, non esitavano a mettere mano alle pistole di ordinanza. I lunghi scontri del 1929 a Berlino rimasero nella memoria come il «maggio di sangue»: 31 persone caddero, tra cui alcuni passanti innocenti, soprattutto sotto i colpi della polizia, e durante le manifestazioni comuniste nel quartiere operaio di Wedding si registrarono oltre duecento feriti e più di mille arresti. I racconti di giornalisti che, incaricati di seguire gli eventi, asserivano di essere stati picchiati dalla polizia non fecero che inasprire i commenti della stampa, mentre la polizia stessa reagì con un malcelato disprezzo verso un ordine politico democratico che non era riuscito a proteggerla dagli attacchi fisici e verbali.664
Tra i poliziotti, già ostili alla repubblica a causa delle continue polemiche con i comunisti e dei tentativi dei socialdemocratici di limitarne i poteri, serpeggiava anche il malcontento per la lentezza delle promozioni: molti fra i più giovani avevano l’impressione che la loro carriera fosse bloccata.665 In Germania, così come in altri paesi, la professionalità dei reparti investigativi aveva fatto notevoli passi avanti grazie alle tecniche di analisi delle impronte digitali, alla fotografia e ai metodi scientifici, considerati innovativi strumenti di indagine di straordinaria efficacia. Singoli investigatori come il noto Ernst Gennat, capo della squadra omicidi di Berlino, diventarono famosi per le loro imprese e a metà degli anni ’20 la polizia vantava eccezionali tassi di successo nelle indagini su reati gravi. Eppure le forze dell’ordine erano bersaglio di spietate critiche da parte della stampa e dei mezzi di informazione per non aver arrestato pluriomicidi come Fritz Haarmann a Hannover o Peter Kürten a Düsseldorf prima che si lasciassero alla spalle una lunga serie di vittime. La polizia, a sua volta, lamentava che la violenza politica e i disordini dilaganti di quel periodo la costringessero a distogliere preziose risorse dalla lotta contro i crimini più efferati.666 Non sorprende, quindi, che i poliziotti cominciassero a condividere gli attacchi nazisti alla Repubblica di Weimar: secondo un rapporto del 1935, 700 poliziotti avevano aderito al partito prima del 1933, mentre ad Amburgo nel 1932 gli agenti iscritti erano 27 su 240.667
Malgrado questa situazione, il cancelliere del Reich Brüning decise di ricorrere alle forze dell’ordine per contenere la violenza politica tanto di destra quanto di sinistra: la sua principale preoccupazione era il fatto che il caos nelle strade scoraggiava le banche straniere a concedere prestiti alla Germania.668 Due gravi incidenti del 1931 rafforzarono la sua decisione. In aprile Walther Stennes, comandante delle camicie brune nella Germania nordorientale, entrò in contrasto con il quartier generale del partito e per un breve tempo occupò gli uffici centrali nazisti di Berlino, picchiando le SS a guardia dell’edificio e costringendo Goebbels a scappare a Monaco. Stennes contestava gli sperperi dei notabili del partito e li accusava di tradire i principi socialisti, ma nonostante esprimesse un sentimento condiviso da altri nelle SA, ottenne un sostegno molto limitato. In realtà, alcuni elementi indicano che fosse finanziato sottobanco dal governo di Brüning per creare spaccature all’interno del movimento. Hitler licenziò il capo delle camicie brune, Franz Pfeffer von Salomon, che non era riuscito a evitare quel disastroso incidente, richiamò Ernst Röhm dall’esilio in Bolivia e gli affidò il comando dell’organizzazione. Costrinse inoltre tutte le camicie brune a giurare singolarmente fedeltà alla sua persona. Stennes fu cacciato, con l’inaspettata conseguenza che tra gli imprenditori e i vertici militari conservatori si diffuse la convinzione che il movimento nazista avesse perso molto del suo slancio sovversivo.669 Ma tra l’attivismo incessante delle unità d’assalto e i calcoli politici dei capi del partito rimasero palpabili i contrasti, punti di frizione che sarebbero in seguito sfociati in vere e proprie crisi.670 La ribellione di Stennes, infine, era anche il sintomo di qualcosa di più grave: tra le camicie brune cresceva la smania di scatenare violenze sovversive su larga scala e questo segnale non sfuggì al già ansioso governo del Reich.
La scoperta dei cosiddetti documenti di Boxheim, nel novembre 1931, sembrò la conferma ai sospetti in questo senso. Da carte naziste sequestrate dalla polizia nell’Assia risultava che le SA stavano organizzando un colpo di Stato violento, cui sarebbero seguiti il razionamento dei generi alimentari, l’abolizione del denaro, il lavoro coatto generalizzato e la pena di morte per chi avesse disobbedito alle autorità. In realtà, la polizia aveva in parte esagerato l’importanza del ritrovamento: i piani dei documenti di Boxheim, in effetti, avevano una portata solo regionale ed erano stati concepiti, all’insaputa dei suoi superiori, da un giovane funzionario locale, Werner Best, a titolo di istruzioni per il partito in caso di un tentativo di sollevazione comunista nella regione. Hitler prese subito le distanze dalla vicenda e a tutti i comandanti delle SA fu ordinato di astenersi dal redigere piani di emergenza di questo tipo. Le accuse di tradimento contro Best finirono per essere lasciate cadere per insufficienza di prove;671 ma ormai il danno era fatto. Il 7 dicembre Brüning ottenne un decreto che vietava le uniformi politiche, cui seguì un duro attacco verbale contro i nazisti. Riferendosi alle continue rassicurazioni di Hitler di voler arrivare al potere nel rispetto della Costituzione, Brüning affermò: «Se si dichiara che, una volta arrivati al potere con mezzi legittimi, si infrangerà la legge, questa non è legittimità».672
Il divieto di indossare uniformi non fu molto efficace: le camicie brune continuarono le loro marce indossando delle semplici camicie bianche e le violenze proseguirono durante tutto l’inverno. In questo periodo, a causa di voci su un’imminente insurrezione comunista e su pressione di Schleicher, Brüning rinviò qualsiasi altra iniziativa, ma nella primavera del 1932 le sconfitte elettorali dei comunisti ad Amburgo, nell’Assia e nell’ Oldenburg lo convinsero che era arrivato il momento di mettere al bando le camicie brune. Di fronte alle continue rimostranze degli altri partiti politici, in particolare dei socialdemocratici, e forti delle preoccupazioni che pervadevano gli ambienti militari, il 13 aprile 1932 Brüning e il generale Groener (il quale, già ministro per la Difesa, nell’ottobre 1931 era stato nominato anche responsabile degli Interni) convinsero Hindenburg a emanare, per quanto malvolentieri, un decreto che metteva fuorilegge le squadre d’assalto. La polizia fece irruzione nelle sedi delle camicie brune in tutta la Germania, confiscando armi e insegne militari. Hitler era fuori di sé dalla rabbia, ma impotente. Tuttavia le file delle SA continuavano a ingrossarsi in clandestinità: in Alta e Bassa Slesia, per esempio, nel dicembre 1931 i reparti d’assalto contavano 17 mila 500 uomini, che nel luglio dell’anno successivo erano diventati almeno 34 mila 500. La messa al bando delle camicie brune smorzò a malapena la violenza politica e la presenza di simpatizzanti nei ranghi più bassi della polizia permise ai paramilitari nazisti di continuare ad agire con una certa libertà.673 Chi ha sostenuto che il Partito nazista e il suo braccio paramilitare sarebbero scomparsi se il divieto fosse rimasto in vigore per un altro anno o poco più era del tutto fuori strada.674
Alla nuova situazione dopo la clamorosa vittoria elettorale dei nazisti fece seguito non solo una brusca intensificazione della violenza nelle strade, ma anche una modifica radicale nell’essenza dei procedimenti nel Reichstag. Rissoso e caotico già prima del settembre 1930, il parlamento divenne ora impossibile da gestire; 107 deputati nazisti, in uniforme e camicia bruna, univano la loro voce a quella di 77 comunisti, disciplinati e ben organizzati, nel presentare senza sosta mozioni d’ordine, scandire slogan, gridare, interrompere i lavori e manifestare in ogni occasione il proprio totale disprezzo per l’assemblea legislativa. Il Reichstag perse potere con impressionante rapidità: ormai quasi tutte le sedute finivano in tumulti e convocare le sessioni appariva sempre più inutile; dal settembre 1930 qualsiasi provvedimento veniva bloccato dai voti congiunti delle opposizioni.
Nel febbraio 1931, riconoscendo che era impossibile continuare in quel modo, il parlamento sospese i lavori per sei mesi dopo che i partiti di estrema destra e di estrema sinistra avevano abbandonato un dibattito in segno di protesta contro gli emendamenti al regolamento parlamentare che avevano reso più difficile il loro ostruzionismo. I deputati non si riunirono più fino a ottobre.675 Tra il 1920 e il 1930 il Reichstag si era riunito in sessione per una media di cento giorni all’anno: fra l’ottobre 1930 e il marzo 1931 i giorni furono cinquanta; quindi, fino alle elezioni del luglio 1932, si riunì per ventiquattro giornate e tra luglio 1932 e febbraio 1933 per appena tre giornate in sei mesi.676
Nel 1931, quindi, il Reichstag non era ormai più sede di reali decisioni e il potere politico si era spostato altrove: nel circolo intorno a Hindenburg, il quale deteneva il diritto di firmare decreti e nominare governi, e nelle strade, dove la violenza continuava ad aumentare e dove la povertà, la miseria e il disordine sempre maggiori mettevano lo Stato di fronte alla necessità sempre più pressante di agire. Entrambi questi processi contribuirono a rafforzare in misura notevole l’influenza dell’esercito: solo in circostanze di questo tipo era possibile, infatti, che un personaggio come il generale Kurt von Schleicher, il più importante rappresentante dei militari negli ambienti politici, diventasse una delle figure chiave nel dramma che doveva seguire.
Ambizioso, brillante, loquace e forse troppo interessato agli intrighi politici in sé per trarne un reale vantaggio, Schleicher era una figura poco conosciuta prima di salire improvvisamente alla ribalta nel 1929, quando fu creato apposta per lui uno speciale «ufficio ministeriale» preposto alla rappresentanza delle forze armate nei loro rapporti con il governo. Seguace di Hans von Seeckt, il più importante generale dei primi anni ’20, era stato a lungo uno stretto collaboratore di Groener e aveva sviluppato una fitta rete di legami politici grazie ai suoi numerosi incarichi di collegamento tra esercito e mondo politico, l’ultimo dei quali come capo della sezione relativa all’esercito del ministero della Difesa. Il russo Lev Trockij lo aveva definito «un punto di domanda con le spalline da generale» e un giornalista dell’epoca lo considerava «una sfinge in uniforme»; ma sulla maggior parte degli obiettivi e delle posizioni di Schleicher non c’erano dubbi: come molti conservatori tedeschi nel 1932, era convinto che un regime autoritario potesse ottenere legittimità imbrigliando e domando il potere dei nazionalsocialisti sulle masse; per questa strada l’esercito tedesco, a nome del quale Schleicher parlava e con cui aveva mantenuto stretti rapporti, sarebbe arrivato dove voleva sulla via del riarmo.677
Dopo le elezioni del settembre 1930, il governo di Brüning incontrò crescenti difficoltà da parte di Schleicher e dei circoli intorno al presidente Hindenburg. I comunisti e i nazisti chiedevano la sua testa, i nazionalisti cercavano di spodestarlo e le frange di estrema destra erano divise sul fatto di sostenerlo o no: l’unica possibilità di Brüning era puntare sui socialdemocratici. Dal canto loro, i vertici di quello che era ancora il partito con la maggiore presenza numerica nel Reichstag erano rimasti tanto sconvolti dai risultati elettorali da impegnarsi a non bocciare un’altra volta il bilancio. Il fatto che l’attuazione delle politiche di Brüning dipendesse dalla tacita tolleranza dei socialdemocratici non gli fece guadagnare consensi nella cerchia di Hindenburg, guidata dal figlio di quest’ultimo, Oskar, e dal segretario di Stato Meissner, che anzi lo considerò una concessione vergognosa alla sinistra.678
Le priorità del cancelliere riguardavano ora la politica estera, dove compì qualche progresso riuscendo a ottenere la fine delle riparazioni, che vennero prima sospese dalla moratoria Hoover, il 20 giugno 1931, e quindi abolite in via definitiva con la conferenza di Losanna del luglio 1932, per la quale Brüning aveva svolto gran parte del lavoro di preparazione. Il cancelliere non riuscì a realizzare l’unione doganale austrotedesca, ma ebbe successo nelle trattative di Ginevra per il riconoscimento internazionale dell’uguaglianza della Germania nelle questioni relative al disarmo, principio che fu riconosciuto nel dicembre 1932. Tutto questo non fu però sufficiente a rafforzare la sua posizione politica: nonostante fosse in carica da parecchi mesi, Brüning non era ancora riuscito a conquistare il sostegno dei nazionalisti e dipendeva ancora dai socialdemocratici. Ciò comportava che qualsiasi progetto di un deciso emendamento della Costituzione in senso autoritario, che provenisse dallo stesso Brüning o dalla cerchia di Hindenburg, avrebbe incontrato gravi ostacoli, in quanto questa era l’unica iniziativa a cui i socialdemocratici non avrebbero mai acconsentito. Uomini come Schleicher erano sempre più convinti che l’opzione migliore fosse lo spostamento del fulcro del sostegno al governo dai socialdemocratici ai nazisti.679
III
All’inizio del 1932, il settennato presidenziale del venerando Paul von Hindenburg stava per terminare. In considerazione della sua età avanzata, l’ottantaquattrenne Hindenburg era restio a candidarsi di nuovo, ma aveva fatto sapere che sarebbe stato disposto a restare in carica se il suo mandato fosse stato prolungato senza una nuova elezione. Le trattative sul rinnovo automatico della presidenza Hindenburg si incagliarono sul rifiuto dei nazisti che condizionarono il loro voto al Reichstag per la necessaria modifica costituzionale alla simultanea destituzione di Brüning e alla convocazione di nuove elezioni generali, in cui prevedevano di poter compiere un altro notevole balzo in avanti.680 Hindenburg fu quindi costretto a presentarsi di nuovo all’elettorato. Ma questa volta la situazione era molto diversa rispetto al 1925: com’era logico, il candidato comunista era ancora Thälmann, ma nel frattempo il vecchio presidente era stato scavalcato a destra in modo netto; in effetti, tutto lo spettro politico si era spostato a destra dopo il trionfo elettorale nazista del settembre 1930.
Una volta che l’elezione per la presidenza fu indetta, tuttavia, Hitler non poteva evitare di candidarsi. Per alcune settimane aveva esitato, temendo le conseguenze di una sfida contro un’icona del nazionalismo come l’eroe di Tannenberg; inoltre, da un punto di vista procedurale, non sarebbe stato nemmeno autorizzato a concorrere dato che non aveva ancora acquisito la cittadinanza tedesca. Venne perciò organizzata in fretta e furia la sua nomina a funzionario pubblico a Braunschweig, carica che gli conferì automaticamente lo status di cittadino tedesco; la cittadinanza fu convalidata il 26 febbraio 1932 con il giuramento di fedeltà alla Costituzione di Weimar, secondo la procedura prevista per tutti i dipendenti pubblici.681 La sua candidatura trasformò l’elezione in una competizione tra sinistra e destra in cui Hitler, nessuno lo metteva in dubbio, era il candidato della destra: il fatto straordinario, quasi impossibile da credere, era che ciò faceva di Hindenburg il candidato della sinistra.
Con Hindenburg si schierarono il Partito del centro e i liberali, ma l’aspetto davvero sorprendente fu l’ampiezza dell’appoggio che il vecchio presidente ricevette dai socialdemocratici. Il partito lo considerava l’unico in grado di fermare Hitler e fu questo l’argomento centrale della propaganda socialdemocratica, ripetuto per tutta la campagna elettorale. Ma non era l’unica motivazione. A livello pratico, i leader del partito volevano con tutte le loro forze una rielezione di Hindenburg perché supponevano che avrebbe mantenuto in carica Brüning, ultima risorsa per un ritorno alla normalità democratica.682 Hindenburg, dichiarò il presidente socialdemocratico della Prussia Otto Braun, era l’«incarnazione della calma e della fermezza, della lealtà virile e della dedizione al dovere per il bene di tutto il popolo... un uomo sul cui lavoro si può contare, un uomo di desideri puri e giudizio sereno».683
Come rivelano queste sconcertanti affermazioni, i socialdemocratici avevano già cominciato a perdere contatto con la realtà politica: tollerare per diciotto mesi i tagli di Brüning, pur di evitare qualcosa di peggio, li aveva relegati ai margini dei giochi politici e privati del potere decisionale. Nonostante l’amarezza e le defezioni fra gli iscritti, la disciplinata macchina del partito portò all’uomo che avrebbe abbattuto la repubblica dall’alto oltre 8 milioni di voti, nel tentativo di mantenere in carica un cancelliere che a Hindenburg in realtà non piaceva e di cui non si fidava, e le cui politiche avevano peggiorato il tenore di vita e soppresso i posti di lavoro di quegli stessi cittadini rappresentati dai socialdemocratici.684
La minaccia di una vittoria nazista era molto concreta. L’apparato propagandistico di Goebbels trovò un modo di contrastare Hindenburg senza insultarlo: aveva reso un grande servizio alla nazione, ma era infine giunto il momento che si facesse da parte per lasciare spazio a un uomo più giovane, altrimenti sarebbe continuata la deriva verso il caos economico e l’anarchia politica. I nazisti scatenarono una massiccia campagna di raduni, marce, parate e incontri, sostenuta da manifesti, volantini ed esortazioni incessanti sulla stampa. Ma non fu sufficiente: al primo turno Hitler ottenne solo il 30 per cento dei voti. Eppure, nonostante gli sforzi dei socialdemocratici e la forza elettorale del Partito del centro, Hindenburg non riuscì a raggiungere la maggioranza assoluta che gli serviva per essere eletto. Ottenne il 49,6 per cento dei voti, sfiorando la quota necessaria. La sinistra offriva anche l’alternativa rappresentata da Thälmann, mentre a destra di Hindenburg si collocavano non solo Hitler ma anche Theodor Duesterberg, il candidato degli Elmi d’acciaio, che ricevette il 6,8 per cento dei voti al primo turno, una percentuale che sarebbe stata più che sufficiente per spingere Hindenburg oltre la soglia del 50 per cento.685
Per il ballottaggio fra Hitler, Hindenburg e Thälmann, i nazisti giocarono tutte le loro carte. Hitler noleggiò un aeroplano e volò in lungo e in largo in Germania, di città in città, tenendo 46 discorsi in tutto il paese: l’effetto di questa iniziativa senza precedenti, annunciata come il «volo sulla Germania» di Hitler, fu entusiasmante e l’impegno venne ripagato. Thälmann perse voti, fermandosi al 10 per cento, e le preferenze per Hitler balzarono al 37 per cento, con un totale di oltre 13 milioni di voti; Hindenburg, forte dell’appoggio di tutti i partiti principali salvo comunisti e nazisti, migliorò il suo risultato, benché non superasse il 53 per cento: nonostante il piccolo intoppo al primo turno, la sua rielezione era stata prevedibile fin dall’inizio. L’aspetto più rilevante della tornata elettorale fu la trionfale avanzata dei nazisti: Hitler non era stato eletto, ma i voti raccolti dal partito segnavano un nuovo record. I nazisti cominciavano a sembrare inarrestabili.686
Nel 1932, meglio organizzato e con maggiori risorse finanziarie rispetto al 1930, il partito aveva condotto una campagna presidenziale in stile americano, incentrata sulla persona di Hitler come rappresentante dell’intera Germania. Tutti gli sforzi erano stati diretti non tanto a conquistare il voto operaio, obiettivo che la campagna del 1930 aveva in buona parte mancato, quanto a coagulare le preferenze delle classi medie che in precedenza erano andate a organizzazioni marginali e ai partiti dell’elettorato protestante liberale e conservatore. Diciotto mesi di disoccupazione e crisi economica in costante aumento avevano spinto all’estremo la delusione degli elettori nei confronti della Repubblica di Weimar, di cui, in fondo, Hindenburg era stato il presidente negli ultimi sette anni. La macchina propagandistica di Goebbels riuscì a indirizzare i messaggi elettorali, con una precisione senza precedenti, a segmenti specifici della popolazione, in particolare alle donne. Nelle aree rurali protestanti, il malcontento era salito a livelli tali che al secondo turno Hitler addirittura sconfisse Hindenburg in Pomerania, nello Schleswig-Holstein e nel collegio orientale di Hannover.687
La nuova posizione del movimento nazista come primo partito politico della Germania venne confermata da ulteriori vittorie nelle elezioni statali che si svolsero nella primavera successiva, in cui conquistò il 36,3 per cento in Prussia, il 32,5 per cento in Baviera, il 31,2 per cento ad Amburgo, il 26,4 per cento nel Württemberg e, soprattutto, il 40,9 per cento in Sassonia-Anhalt, risultato che diede ai nazisti il diritto di formare il governo di quello Stato. Ancora una volta Hitler era ricorso all’aeroplano tenendo 25 discorsi in rapida successione. Ancora una volta la macchina della propaganda nazista aveva dimostrato tutta la sua efficienza e il suo dinamismo.
Era palese che i tentativi di Brüning di frenare l’ascesa del Partito nazista non avevano avuto alcun effetto e molti dei collaboratori più vicini al presidente Hindenburg ritenevano che fosse arrivato il momento di adottare una tattica diversa. Nonostante la vittoria, Hindenburg era tutt’altro che soddisfatto del risultato delle elezioni: essersi scontrato con un’opposizione così forte era stato molto spiacevole per un uomo che, con sempre maggiore convinzione, considerava la propria posizione alla stregua di quella, non elettiva, del Kaiser che aveva servito in passato. Il peccato capitale di Brüning era stato quello di non essere riuscito a convincere i nazionalisti a sostenere la rielezione di Hindenburg, e quando divenne evidente che essi erano schierati con Hitler, Brüning ebbe i giorni contati.
Nonostante l’incessante campagna del cancelliere del Reich a suo favore, Hindenburg, che per molti incarnava le tradizioni prussiane del monarchismo e del conservatorismo protestante, era indignato per aver dovuto fare affidamento sui voti dei socialdemocratici e del Partito del centro: tutto ciò lo faceva apparire il candidato della sinistra e dei clericali, e in fondo, a ben vedere, lo era. Per di più, nell’esercito si stava diffondendo un certo nervosismo a causa dei deleteri effetti della politica economica di Brüning sui produttori di armi; inoltre, la messa fuori legge delle camicie brune stava ostacolando i piani per la loro trasformazione in truppe ausiliarie, una prospettiva che diventava sempre più attraente a mano a mano che il loro numero cresceva. Infine, l’attenzione del vecchio generale venne richiamata su un provvedimento moderato di riforma agraria nelle regioni orientali proposto dal governo, progetto in base al quale le aziende agricole in bancarotta sarebbero state smembrate e ridistribuite in forma di piccoli poderi ai disoccupati. In qualità di rappresentante degli interessi terrieri e proprietario di un’azienda agricola lui stesso, Hindenburg avvertiva nell’iniziativa un pericoloso odore di socialismo.688
In un’atmosfera carica di intrighi dietro le quinte, con Schleicher che tentava di indebolire la posizione di Groener nei confronti dell’esercito e Hitler che prometteva di accettare un nuovo governo purché revocasse il bando alle camicie brune e fossero indette nuove elezioni per il Reichstag, l’isolamento di Brüning aumentò con grande rapidità. Quando Groener fu costretto a dimettersi, l’11 maggio 1932, non rimase nessuno a coprire il fianco al cancelliere: bersaglio continuo degli intrighi nell’entourage di Hindenburg, Brüning non ebbe più alternative e il 30 maggio 1932 presentò le sue dimissioni.689
IV
Hindenburg nominò nuovo cancelliere del Reich Franz von Papen, suo vecchio amico: esponente dell’aristocrazia terriera e del Partito del centro, per il quale era stato uno sconosciuto e non molto attivo deputato al parlamento prussiano, le sue posizioni erano ancora più a destra di quelle di Brüning. Durante la Prima guerra mondiale era stato espulso dagli Stati Uniti, dove si trovava come addetto militare dell’ambasciata tedesca, per spionaggio, o «attività incompatibili con il suo status», come recitava l’espressione diplomatica di rito, ed era entrato nello stato maggiore tedesco. Negli anni ’20 usò il denaro acquisito grazie al matrimonio con la figlia di un ricco industriale per comprare una quota di maggioranza del giornale del Partito del centro, «Germania». Papen era quindi collegato con alcune delle principali forze sociali e politiche della Repubblica di Weimar, comprese l’aristocrazia terriera, il ministero degli Esteri, l’esercito, gli industriali, la Chiesa cattolica e la stampa; in realtà, era stato Schleicher a suggerire il suo nome a Hindenburg, come persona che avrebbe sostenuto gli interessi dell’esercito. Rappresentava, ancora meglio di Brüning, una forma di autoritarismo politico cattolico diffuso in tutta Europa all’inizio degli anni ’30.
Da tempo Papen era in contrasto con il Partito del centro, tanto che alle elezioni presidenziali del 1925 si era schierato con Hindenburg anziché sostenere Marx, il candidato della sua formazione politica. Il Centro prese le distanze da Papen, che a sua volta restituì la tessera, proclamando che il suo obiettivo era quello di una «sintesi di tutte le forze realmente nazionaliste, a qualsiasi campo appartenessero, non come uomo di partito, ma come tedesco».690 La rottura era completa.691
Era chiaro, sia ai contemporanei sia a chi li osserva a posteriori, che questi eventi stavano segnando la fine della democrazia parlamentare in Germania. Il nuovo esecutivo era composto per lo più da personalità non appartenenti ai partiti, fatta eccezione per un paio di membri che, almeno sulla carta, erano iscritti al Partito nazionalista. Papen e i suoi collaboratori più vicini in termini di ideologia, tra i quali figurava Schleicher, si proponevano di creare un «nuovo Stato», al di sopra dei partiti, anzi contrapposto al principio stesso di sistema multipartitico, in cui i poteri delle assemblee elettive sarebbero stati più limitati di quanto non fossero nella più ristretta visione di Brüning. La strada per il tipo di organizzazione statale che immaginavano fu tracciata dal ministro degli Interni di Papen, Wilhelm Freiherr von Gayl, che aveva contribuito a creare uno Stato militare, razzista e autoritario nell’area ceduta alla Germania dal trattato di Brest-Litovsk del 1918.692 Le proposte di Gayl comprendevano la restrizione del suffragio a una minoranza e la drastica riduzione dei poteri del parlamento.693
Il compito che Papen si era attribuito consisteva nel far tornare indietro la storia, cancellando non solo la democrazia di Weimar, ma tutto ciò che era accaduto nella politica europea dai tempi della Rivoluzione francese, e nella creazione, al posto del moderno conflitto di classe, della struttura gerarchica tipica di una società dell’ancien régime.694 Un gesto di portata modesta, ma di grande significato simbolico, fu l’abolizione della ghigliottina, emblema della Rivoluzione francese, nelle esecuzioni in quelle zone della Prussia dove era stata introdotta nel XIX secolo, e la reintroduzione dello strumento prussiano tradizionale, la mannaia.695 Intanto, su un piano più pratico e immediato, il governo di Papen cominciò a estendere le restrizioni imposte dal suo predecessore alla stampa radicale anche ai giornali democratici, censurando periodici popolari della sinistra liberale come il quotidiano socialdemocratico «Vorwärts», due volte nel giro di poche settimane e, in altre due occasioni, il «Berliner Volkszeitung», generando negli osservatori liberali la convinzione che la libertà di stampa fosse stata infine abolita.696
Il conservatorismo utopistico di Papen non teneva in minimo conto la realtà politica del 1932. Il suo esecutivo era costituito da uomini con esperienza tutto sommato limitata e tra loro il numero di sconosciuti aristocratici era tale che il governo veniva chiamato da molti il «gabinetto dei baroni». Nelle discussioni che precedettero le dimissioni di Brüning, Papen e Schleicher si erano trovati d’accordo sulla necessità di conquistare l’appoggio nazista per poter disporre di un sostegno di massa per le politiche antidemocratiche del nuovo governo. Convinsero quindi Hindenburg a sciogliere il Reichstag e a indire nuove elezioni, come aveva preteso Hitler, che contava su un’ulteriore avanzata del suo partito. L’appuntamento elettorale venne fissato per la fine di luglio 1932. Inoltre assecondarono la richiesta dei nazisti di abolire il bando che colpiva le camicie brune: secondo Schleicher, ciò avrebbe frenato l’estremismo nazista, nonché persuaso le SA a fungere da esercito ausiliario, espediente con il quale si potevano aggirare in modo decisivo le limitazioni al riarmo tedesco imposte dal trattato di Versailles.697
Ma la decisione si rivelò un altro errore di valutazione disastroso: trionfanti, le truppe d’assalto tornarono a riversarsi in massa nelle strade, e ben presto pestaggi e scontri con morti e feriti, mai del tutto cessati nemmeno nel periodo del bando, raggiunsero un’intensità inaudita. Nonostante tutti i precedenti, grande impressione destò nell’opinione pubblica l’episodio del 17 luglio 1932: una colonna di migliaia di camicie brune in marcia attraverso le strade della roccaforte comunista di Altona, un comune abitato in prevalenza da operai sul lato prussiano del confine con la città-Stato di Amburgo, si scontrò con la violenta resistenza di migliaia di combattenti del fronte rosso armati fino ai denti.
Richard Krebs, a capo di 800 marinai e portuali comunisti pronti a respingere i nazisti dal porto, riferì in seguito che i combattenti del fronte rosso avevano l’ordine di attaccare le unità d’assalto mentre sfilavano nelle strade. Al passaggio dei nazisti furono lanciati sassi, rifiuti e ogni tipo di proiettili; secondo alcuni resoconti, sui tetti erano appostati dei cecchini comunisti, pronti a massacrare le camicie brune sotto di loro: a un certo punto, nessuno seppe confermare da dove, partì uno sparo. La polizia, subito in preda al panico, aprì il fuoco con tutte le armi a disposizione, provocando un fuggi fuggi precipitoso in tutte le direzioni. I comunisti si dispersero insieme agli altri: il loro tentativo di fermare la marcia delle camicie brune nel proprio territorio fu un misero fallimento.698 Diciotto persone furono uccise e più di cento ferite; le autopsie rivelarono che le vittime erano state colpite per lo più dai proiettili delle armi in dotazione alla polizia. Era chiaro che il livello di violenza a cui era ormai arrivato il confronto politico in Germania esigeva un intervento da parte del governo.699
Anziché bandire di nuovo i gruppi paramilitari, tuttavia, Papen approfittò degli eventi della «domenica di sangue» di Altona per destituire il governo della Prussia guidato dai socialdemocratici Otto Braun e Carl Severing, sostenendo che non era più in grado di mantenere la legalità e l’ordine. Era il colpo decisivo ai socialdemocratici, proprio l’obiettivo per cui Papen era stato messo a capo del governo. Esisteva un precedente analogo che risaliva al 1923, quando i governi della Sassonia e della Turingia erano stati deposti da Ebert, ma la Prussia, che si estendeva su oltre la metà del territorio del Reich e contava una popolazione superiore a quella della Francia, era un bersaglio molto più significativo. Il ruolo centrale dell’esercito nella situazione politica dilaniata dagli scontri civili del 1932 si manifestò in tutta la sua portata quando le strade di Berlino furono invase da truppe da combattimento in pieno assetto di guerra e nella capitale fu dichiarato lo stato d’assedio. La polizia, controllata dai socialdemocratici, fu messa da parte senza tanti complimenti. Qualsiasi tentativo del governo prussiano di utilizzarla per resistere alle armi dell’esercito avrebbe provocato solo il caos: gli agenti erano troppo pochi e gli ufficiali di grado medio-alto, ormai delusi dalla repubblica, condividevano le posizioni di Papen oppure erano già affiliati del Partito nazista.700
Se Papen e Schleicher temevano un’insurrezione dei lavoratori si sbagliavano. È pur vero che molti membri del Reichsbanner erano pronti a imbracciare le armi e, nell’evenienza di un colpo di Stato, si erano dotati di mitragliatrici, pistole e carabine per difendere il quartier generale del partito fino all’arrivo della polizia che, come il partito si aspettava – a torto, si scoprì poi –, avrebbe resistito a qualsiasi tentativo di rovesciare la repubblica. Di recente, inoltre, le unità di difesa repubblicana del Reichsbanner erano aumentate fino a superare i 200 mila membri, ma rimanevano in netta minoranza numerica rispetto alle camicie brune e agli Elmi d’acciaio, che insieme arrivavano a ben 750 mila uomini e che di certo si sarebbero mobilitati contro il Reichsbanner nel caso di un’insurrezione. Per giunta le unità d’assalto dei socialdemocratici erano poco addestrate e male organizzate e non avrebbero mai potuto competere con le forze ben equipaggiate dell’esercito tedesco. Né potevano aspettarsi che i comunisti, pur in possesso di migliori scorte di armi, le usassero per difendere i socialdemocratici.701
Nella situazione del luglio 1932, con Hindenburg, i vertici militari e i conservatori preoccupati solo di evitare una guerra civile in Germania, una rivolta armata del Reichsbanner avrebbe potuto portare a un arretramento da parte di Papen, o a un intervento del presidente del Reich. Ma non si saprà mai, giacché l’appello a resistere non arrivò. Mantenendosi nel solco della propria tradizione di rispetto della legalità, i socialdemocratici vietarono qualsiasi resistenza armata nei confronti di un atto ratificato dal capo dello Stato e dal governo legittimo, sostenuto dalle forze armate e non contrastato dalla polizia.702 L’unica strada aperta per Braun e Severing erano le proteste verbali e le azioni legali che furono intentate contro Papen con l’accusa di avere violato la Costituzione. Il 10 ottobre 1932 una sentenza della Corte di Stato riconobbe almeno in parte le istanze del governo di Braun, il quale continuò così a essere una spina nel fianco dell’organismo centrale, in quanto rappresentava la Prussia nel Consiglio del Reich, la camera alta del potere legislativo nazionale.703 Nel frattempo Papen aveva ottenuto dal presidente la nomina a commissario del Reich con competenze governative in Prussia, mentre gli scrupolosi funzionari pubblici preferirono astenersi dai loro compiti finché le circostanze legali non fossero state risolte.704
Il colpo di Stato di Papen ebbe un effetto devastante per la Repubblica di Weimar: soppresse il principio di federalismo e spianò la strada alla totale centralizzazione. Qualunque cosa fosse accaduta da allora in poi, un pieno ritorno alla democrazia parlamentare pareva improbabile. Dopo il 20 luglio 1932 le uniche alternative realistiche erano o una dittatura nazista o un regime autoritario conservatore appoggiato dall’esercito. La mancanza di qualsiasi reale ed efficace resistenza da parte dei socialdemocratici, i principali difensori della democrazia rimasti in gioco, fu decisiva: convinse infatti sia i conservatori sia i nazionalsocialisti che le istituzioni democratiche potevano essere abbattute senza alcuna opposizione degna di questo nome.
I socialdemocratici avevano ricevuto molti segnali di pericolo prima del colpo di Stato, eppure non avevano agito in alcun modo. La loro paralisi dipendeva non solo dal fatto che il putsch aveva avuto l’approvazione di Paul von Hindenburg, l’uomo che appena pochi mesi prima avevano sostenuto nella campagna elettorale presidenziale, ma anche dalla rovinosa sconfitta subita alle elezioni per il parlamento prussiano nell’aprile 1932. Mentre i nazisti avevano visto aumentare i propri rappresentanti nell’assemblea legislativa della Prussia da 9 a 162, e i comunisti da 48 a 57, i socialdemocratici avevano perso un terzo dei seggi, passando da 137 a 94. Nessun partito aveva la maggioranza e l’amministrazione in carica, guidata da Braun e Severing, svolgeva il proprio compito come governo di minoranza, e quindi con una legittimità politica molto debole. Inoltre, nei lunghi mesi in cui si era passivamente tollerata la politica di tagli indiscriminati di Brüning, fra i vertici del partito si era diffuso un senso di impotenza. I sindacati erano inermi di fronte al colpo di Stato perché la disoccupazione di massa rendeva impossibile uno sciopero generale. Essi erano infatti consapevoli che milioni di disoccupati disperati non avrebbero potuto evitare di agire da crumiri e non era quindi possibile ricorrere a un’azione unitaria del movimento dei lavoratori come quella che nel 1920 aveva sconfitto il putsch di Kapp.
I nazisti, dal canto loro, erano esultanti: «Ai rossi basta mostrare i denti e si fanno mettere i piedi in testa» scrisse il 20 luglio nel proprio diario il capo della propaganda nazista Joseph Goebbels. I socialdemocratici e i sindacati, osservò soddisfatto, «non alzano un dito». «I rossi» annotò non molto tempo dopo «hanno perso la loro grande occasione. E non ce ne sarà un’altra.»705