XIII - LA «GRANDE DEPRESSIONE»

 

I

 

«Dopo un lungo peregrinare senza meta di città in città» scrisse nell’autunno del 1932 un ventunenne tipografo di Essen «giunsi al porto di Amburgo, ma che delusione! C’era ancora più povertà, più disoccupazione di quanto temessi, e le mie speranze di trovare un lavoro si infransero. Cosa potevo fare? Non avevo parenti lì e non volevo diventare un vagabondo». Alla fine il giovane non fu costretto a unirsi alle sempre più numerose schiere di senzatetto che vivevano nelle strade delle piccole e grandi città tedesche e che, secondo stime ufficiali, contavano dai 200 mila ai 500 mila uomini; riuscì a trovare un sostegno grazie a un programma di lavoro volontario della Chiesa.569 Ma molti non ebbero altrettanta fortuna.

La disoccupazione annientava l’autostima delle persone e, soprattutto nel caso degli uomini, minava la loro posizione in una società in cui era in primo luogo il lavoro a determinare il prestigio, l’accettazione e perfino l’identità stessa di un individuo. Nei primi anni ’30 si potevano vedere uomini agli angoli delle strade con al collo cartelli su cui era scritto «Cerco un lavoro qualsiasi». Interpellati da sociologi, i bambini in età scolare rispondevano spesso che la disoccupazione era una mortificazione sociale per le persone: più a lungo non hanno lavoro, più pigri diventano e si sentono sempre più umiliati, perché di continuo vedono altri che sono ben vestiti e si arrabbiano perché anche loro vorrebbero esserlo, e allora diventano criminali … Hanno ancora voglia di vivere! Quelli più anziani, invece, spesso non ce l’hanno più.570

C’erano bambini che giocavano a «mettersi in lista» al collocamento e quando, nel dicembre 1932, un ricercatore chiese ad alcuni ragazzini di scrivere un breve componimento autobiografico, la disoccupazione emerse anche in questo contesto: «Mio padre è disoccupato da oltre tre anni» scrisse una quattordicenne. «Prima credevamo ancora che presto o tardi papà avrebbe trovato di nuovo un lavoro, ma ora perfino noi figli abbiamo perso tutte le speranze.»571

La disoccupazione a lungo termine colpiva gli individui in modi diversi. I giovani erano forse più ottimisti delle persone di mezza età riguardo alle possibilità di trovare un lavoro, ma lo sconforto aumentava con il perdurare del periodo di inattività, tanto che interviste condotte nell’estate del 1932 rivelarono un generale atteggiamento molto più cupo rispetto ai sondaggi di diciotto mesi prima. I matrimoni venivano rinviati e le coppie sposate preferivano aspettare ad avere figli; i giovani vagavano per le strade senza meta, passavano le giornate in casa, apatici, o giocando a carte, oppure trascinandosi per i parchi pubblici o sulla circonvallazione di Berlino, rifacendo lo stesso percorso un numero infinito di volte.572 In quelle circostanze qualsiasi azione sembrava meglio che non fare niente. La noia si trasformava in frustrazione. Molti disoccupati, e tra loro anche ragazzi e ragazze, tentavano di guadagnare qualcosa come venditori ambulanti o artisti di strada, facendo pulizie nelle case, oppure con piccoli traffici o ricorrendo a qualche altro espediente tipico degli emarginati del sistema economico. Gruppi di bambini si appostavano vicino ai locali notturni alla moda di Berlino e si offrivano di «sorvegliare» le automobili dei ricchi: era una rudimentale forma di protezione, attività diffusa anche tra gli adulti sebbene con altre e più pericolose modalità. Alcune associazioni informali di escursionisti e gruppi di giovani operai si trasformarono presto in bande: si incontravano in edifici abbandonati, cercavano di procurarsi da mangiare, rubacchiavano, combattevano contro gang nemiche, entrando spesso in aperto conflitto con la polizia.

I tassi di criminalità in sé non aumentarono in modo clamoroso come durante il periodo dell’iperinflazione. Ciononostante, tra il 1929 e il 1932 gli arresti per furto a Berlino crebbero del 24 per cento. La prostituzione, maschile e femminile, divenne molto più palese e diffusa, conseguenza tanto della tolleranza sessuale di Weimar quanto del fallimento della repubblica in campo economico, e la visibilità del fenomeno creava scandalo tra i benpensanti. Alla fine della china, i venditori ambulanti e gli autori di piccoli traffici si riducevano a chiedere l’elemosina.573 Sembrava che la società tedesca stesse scivolando in un pantano di miseria e criminalità e la gente cominciò ad aggrapparsi a qualsiasi fuscello offerto dalla politica: qualunque idea, per quanto estremista, sembrava preferibile alla disperazione senza via d’uscita in cui si sentivano precipitati.

Come si era creata questa situazione? La disoccupazione aveva già raggiunto livelli elevati in seguito alle riforme economiche realizzate nel 1923 per porre fine alla grande inflazione, ma all’inizio degli anni ’30 la situazione era enormemente peggiorata. La ripresa economica della Germania era stata finanziata in larga misura da ingenti investimenti da parte degli Stati Uniti, la più forte economia del mondo: grazie agli elevati tassi di interesse tedeschi, abbondanti capitali affluivano nel paese, ma venivano investiti soprattutto in prestiti a breve periodo e tale aspetto si sarebbe rivelato decisivo. La razionalizzazione e la meccanizzazione in corso nell’industria tedesca erano basate proprio su questo tipo di finanziamenti: società come la Krupp e la Vereinigte Stahlwerke, per esempio, avevano preso in prestito grandi somme di denaro. Inoltre, molte aziende americane investivano direttamente in Germania: era il caso della Ford, che possedeva fabbriche di automobili a Berlino e a Colonia, e della General Motors che nel 1929 acquistò lo stabilimento della Opel di Rüsselsheim, vicino a Francoforte. E anche le banche tedesche, per finanziare i propri investimenti nel paese, contraevano prestiti all’estero.574 Era una situazione per sua natura notevolmente precaria per l’industria e per il sistema bancario tedesco e alla fine del decennio sarebbe sfociata in una catastrofe.

Nel corso del 1928, di fronte ai primi segnali di una recessione imminente, tutti i principali paesi industrializzati cominciarono a imporre restrizioni monetarie e gli Stati Uniti presero a ridurre i prestiti esteri. Si trattava di provvedimenti necessari a proteggere le riserve in metallo pregiato che costituivano la base della stabilità finanziaria durante il regime monetario aureo, in cui il valore di tutte le valute era legato a quello dell’oro; anche il marco tedesco era agganciato all’oro da quando erano state varate le misure di stabilizzazione. La progressiva attuazione nei vari paesi di una strategia a difesa delle monete mise in difficoltà l’industria. Nel biennio 1928-29 la crescita della produzione tedesca fu quasi nulla e, alla fine di quell’inverno, il numero di disoccupati aveva già sfiorato i due milioni e mezzo. Gli investimenti rallentarono bruscamente, forse a causa degli elevati costi di salari e contributi, ma è più probabile che la causa fosse la scarsità di capitale. Il governo tedesco incontrava notevoli difficoltà nel raccogliere denaro tramite l’emissione di buoni del tesoro in quanto gli investitori avevano ben presenti gli effetti dell’inflazione sui titoli emessi durante la guerra. I mercati internazionali avevano poca fiducia nelle capacità dello Stato tedesco di far fronte ai problemi economici in atto, e fu presto evidente che tale atteggiamento era del tutto giustificato.575

Il 24 ottobre 1929, il cosiddetto «giovedì nero», i segni inconfondibili di una crisi economica scatenarono il panico alla Borsa di New York: si verificò un’improvvisa ondata di vendite e il prezzo delle azioni, secondo taluni già sopravvalutato, cominciò a crollare. All’inizio della settimana successiva, il 29 ottobre o «martedì nero», le vendite, spinte dal panico, ripresero in modo molto più massiccio e 16,4 milioni di azioni passarono di mano, segnando un record che sarebbe rimasto insuperato per i successivi quarant’anni.576 Gli operatori erano in preda alla frenesia di vendere prima che il valore delle azioni precipitasse ancora e la sala delle contrattazioni della Borsa di New York si era trasformata in una bolgia. Ma questi drammatici giorni furono solo la manifestazione più clamorosa della crisi: in realtà il declino fu lungo e, all’apparenza, inarrestabile, e si protrasse per i successivi tre anni.

Dal settembre 1929 l’indice del «New York Times» passò dal suo massimo di 452 punti ai 58 punti del luglio 1932. Nel complesso, il 29 ottobre le più importanti società americane videro il proprio valore ridursi all’improvviso di 10 miliardi di dollari, una cifra che corrispondeva al doppio del denaro circolante negli Stati Uniti in quel momento, e quasi all’intera spesa sostenuta dal paese durante la partecipazione alla Grande Guerra. I fallimenti si susseguirono con rapidità, la domanda di importazioni del paese crollò e le banche, a mano a mano che i loro investimenti si volatilizzavano, furono risucchiate nella crisi. Di fronte all’aumento delle perdite, gli istituti di credito americani cominciarono a chiedere la restituzione dei prestiti a breve termine che negli ultimi cinque anni avevano rappresentato gran parte dei finanziamenti dell’industria tedesca.577

Il ritiro dei capitali americani dalla Germania giunse nel momento peggiore, proprio quando l’economia del paese, già in grave calo, avrebbe avuto bisogno di un forte stimolo per riprendersi. Le banche e le società tedesche tentarono di compensare la perdita di liquidità contraendo altri prestiti a breve termine, ma quanto più il processo accelerava, tanto più la situazione economica appariva instabile e un crescente numero di investitori stranieri e tedeschi cominciarono a trasferire i capitali all’estero.578 Senza mezzi per finanziare la produzione, le fabbriche furono costrette a ridurre le attività e la produzione, già stagnante, entrò in una fase di caduta vertiginosa: nel 1932 il suo valore era crollato del 40 per cento rispetto al livello del 1929. Fra le economie europee, solo in Austria e in Polonia si riscontrava una crisi analoga; negli altri paesi la contrazione non superò il 25 per cento e in Gran Bretagna fu dell’11 per cento. Il ritiro dei capitali e il crollo degli affari trascinò nella crisi anche le banche: tra il 1929 e il 1930 numerosi istituti di credito minori andarono in fallimento, seguiti dalle due più grandi banche austriache e, nel luglio 1931, la pressione raggiunse anche le grandi banche tedesche.579

Le dichiarazioni di bancarotta si moltiplicarono. Un tentativo di creare un più ampio mercato interno per mezzo di un’unione doganale tra Germania e Austria venne bloccato dall’intervento internazionale, in quanto a nessuno erano sfuggite le implicazioni sottostanti, ossia l’avvicinamento a quell’unione politica fra i due paesi che era stata proibita dal trattato di Versailles. Costretta a ripiegare sulle proprie risorse, l’economia tedesca precipitò nella depressione e i tassi di disoccupazione aumentarono con un andamento quasi esponenziale. I milioni di disoccupati nelle grandi città spendevano sempre meno denaro per i generi alimentari e la crisi agricola, già molto grave, peggiorò; di fronte alle richieste delle banche di restituire i prestiti, molti agricoltori, la cui attività era tutta basata sul regime di prestito, non riuscirono a evitare il pignoramento e la bancarotta. A mano a mano che fattorie e aziende agricole andavano in rovina, i lavoratori del settore persero il lavoro e la disoccupazione si diffuse anche nelle campagne.580

Nel 1932 quasi un operaio tedesco su tre era iscritto nelle liste di disoccupazione e nelle regioni più industrializzate, come la Slesia e la Ruhr, il rapporto era addirittura superiore. Mai in precedenza, neanche durante il periodo più duro della contrazione seguita alla stabilizzazione, si erano raggiunti simili valori. Fra il 1928 e il 1932, a Berlino, il più grande centro industriale tedesco, i disoccupati aumentarono da 133 mila a 600 mila; ad Amburgo, centro portuale e commerciale, passarono da 32 mila a 135 mila, e da 12 mila a 65 mila a Dortmund, città industriale nella Ruhr renana. Com’è naturale, l’industria fu il settore più colpito, ma nel 1932 anche oltre mezzo milione di impiegati e funzionari avevano perso il lavoro.581 La rapidità con cui il numero dei disoccupati aumentava era terrificante: nell’inverno del 1930-31, poco più di un anno dopo l’inizio della depressione, erano già oltre cinque milioni e un anno dopo sarebbero stati sei. All’inizio del 1932 risultava che i disoccupati e le persone a loro carico costituissero un quinto dell’intera popolazione tedesca, per un totale di 13 milioni di persone;582 il dato reale, tuttavia, potrebbe essere stato addirittura superiore in quanto le donne che perdevano il lavoro spesso non si iscrivevano nelle liste di disoccupazione.583

Queste cifre spaventose rivelano solo una parte della situazione. Anzitutto parecchi altri milioni di operai avevano conservato il loro posto a prezzo di una riduzione salariale, poiché i datori di lavoro, nel tentativo di adeguare la produzione al crollo della domanda, avevano ridotto l’orario. Inoltre, molti operai specializzati o in corso di formazione avevano dovuto accettare impieghi meno qualificati. Nonostante tutto, costoro erano da annoverare tra i fortunati. La reale causa della miseria e della disperazione, infatti, era la lunga durata della crisi: cominciata nell’ottobre 1929, quando la disoccupazione era già a livelli notevoli, non avrebbe mostrato segni di rallentamento per i successivi tre anni. Il sistema di indennità varato solo pochi anni prima era stato concepito per un livello di disoccupazione molto più basso, con un tetto di 800 mila assistiti, mentre nel 1932 le persone senza lavoro erano sei milioni; inoltre, i sussidi erano previsti per un periodo massimo di qualche mese, non per oltre tre anni. Un ulteriore fattore di aggravamento era il crollo del gettito fiscale seguito alla forte riduzione dei redditi delle famiglie. Anche molte amministrazioni locali si trovarono in difficoltà, in quanto per finanziare i loro programmi previdenziali e assistenziali avevano fatto ricorso a prestiti americani, di cui ora veniva richiesta la restituzione.

Tuttavia, in base al programma di indennità di disoccupazione, una volta esaurito il periodo di copertura assicurativa, spettava prima al governo centrale provvedere al sostegno finanziario dei disoccupati di lungo periodo, con l’erogazione dell’«indennità di crisi», e solo in seguito subentravano le amministrazioni locali, con il cosiddetto «supporto previdenziale di disoccupazione». Il governo centrale era riluttante a prendere le impopolari misure che sarebbero state necessarie per ristabilire l’equilibrio, i datori di lavoro ritenevano di non essere in grado di aumentare le contribuzioni dati i problemi in cui si trovavano le loro aziende, sindacati e lavoratori non volevano che i sussidi venissero tagliati: la situazione non sembrava offrire una via d’uscita. E le conseguenze ricadevano sui disoccupati, i cui sussidi vennero più volte ridotti, o addirittura aboliti.584

 

 

II

 

Con l’aumento degli effetti della depressione, si cominciarono a vedere gruppi di uomini e bande di ragazzi che bazzicavano nelle strade, nelle piazze e nei parchi delle città tedesche, bighellonando con quella che, agli occhi dei borghesi, non abituati a tale spettacolo, sembrava un’aria minacciosa, foriera di potenziali violenze e di atti criminali pronti a scatenarsi. Ancora più minacciosi erano i tentativi dei comunisti, spesso coronati da successo, di strumentalizzare i disoccupati per i propri scopi politici.

Il comunismo era il partito dei disoccupati per antonomasia: gli attivisti reclutavano i giovani semi delinquenti delle gang, organizzavano scioperi dell’affitto nei quartieri operai, dove gli abitanti a malapena riuscivano a pagarlo, proclamavano «distretti rossi» rioni proletari come Wedding, a Berlino, e intimorivano i non comunisti che osavano metterci piede, arrivando talvolta a picchiare o a minacciare con le armi quelli che erano notoriamente membri delle camicie brune; trasformavano determinati locali pubblici in punti di ritrovo loro riservati. Inoltre, cercavano nuovi proseliti tra gli scolari figli di operai e all’interno delle associazioni di genitori, suscitando allarme fra gli insegnanti, perfino fra quelli con idee di sinistra. Per i comunisti, dato che sempre più persone perdevano l’impiego, la lotta di classe doveva trasferirsi dai posti di lavoro alle strade e ai rioni; la difesa della roccaforte proletaria, se necessario con mezzi violenti, divenne una delle priorità della Lega dei combattenti del fronte rosso, l’organizzazione paramilitare comunista.585

Le classi medie cominciavano ad avere paura dei comunisti, non tanto perché trasformavano la minaccia sociale rappresentata dai disoccupati in un esplicito fattore politico, quanto per la loro rapida e costante crescita numerica nei primi anni ’30. Le iscrizioni al partito a livello nazionale lievitarono da 117 mila nel 1929 a 360 mila nel 1932 e l’elettorato aumentava a ogni chiamata alle urne. Nel 1932, nella regione costiera della Germania nordoccidentale, comprendente Amburgo e l’adiacente porto prussiano di Altona, meno del 10 per cento dei membri del partito aveva un lavoro; circa tre quarti dei nuovi iscritti dell’ottobre di quell’anno erano disoccupati.586 Il partito istituì «comitati dei disoccupati», attraverso i quali venivano organizzati cortei, dimostrazioni, «marce della fame» e altre manifestazioni di piazza con frequenza quasi quotidiana, eventi che spesso si concludevano con lunghi scontri con la polizia. Ogni occasione era sfruttata per alimentare la tensione politica in quella che, secondo i vertici del partito, era la crisi conclusiva del sistema capitalista.587

Questi sviluppi aprirono una spaccatura sempre più ampia fra il Partito comunista e i socialdemocratici negli ultimi anni della Repubblica di Weimar. Fra i due schieramenti già si frapponeva la scia di rancore e ostilità lasciata dagli eventi del 1918-19, quando elementi dei corpi franchi, con il benestare del ministro socialdemocratico Gustav Noske, avevano assassinato alcuni leader comunisti di primo piano, tra i quali Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg, i cui omicidi erano ricordati in tutte le cerimonie pubbliche che il partito organizzava in loro memoria. A ciò si stavano ora aggiungendo le divisioni generate dalla mancanza di lavoro: i comunisti disoccupati si scagliavano contro gli esponenti socialdemocratici e i sindacalisti che ancora avevano un lavoro, mentre la massiccia adesione al Partito comunista di individui turbolenti e inclini alla violenza stava creando notevoli preoccupazioni fra i socialdemocratici. Ulteriori cause di malanimo erano la consuetudine dei dirigenti sindacali socialdemocratici, in caso di esubero del personale, di segnalare i comunisti ai datori di lavoro e la pratica invalsa fra questi ultimi di dare priorità al licenziamento di operai giovani e non sposati rispetto a quelli più avanti negli anni: spesso ciò significava, ancora una volta, che a perdere il lavoro erano esponenti del Partito comunista. L’ambivalenza della base comunista nei confronti dell’originaria matrice socialdemocratica del movimento dei lavoratori favorì lo sviluppo di una relazione di amore e odio con il «fratello maggiore» del partito: la creazione di un fronte comune era auspicabile, ma solo alle condizioni dettate dai comunisti.588

L’estremismo comunista aveva radici che penetravano in profondità. Erano soprattutto i giovani operai più oltranzisti a sentirsi traditi dai socialdemocratici, dopo che le loro speranze di una rivoluzione totale, alimentate dalla generazione precedente di attivisti di quel partito, vennero infrante proprio quando sembravano sul punto di realizzarsi. L’influenza sempre più forte del modello russo, ossia di un’organizzazione molto unita di tipo cospirativo, contribuì a consolidare lo spirito di solidarietà e l’instancabile attivismo tra i membri più impegnati.

Sebbene pubblicate solo in seguito, le memorie di Richard Krebs, un marinaio nato a Brema nel 1904 nella famiglia di un portuale socialdemocratico, offrono un vivido esempio della vita di un attivista comunista sotto la Repubblica di Weimar. Krebs era un adolescente all’epoca della rivoluzione del 1918-19 e nella sua città natale fu testimone della feroce repressione da parte dei corpi franchi. Ad Amburgo combatté nei tumulti per la mancanza di generi alimentari e al porto si unì a un gruppo di comunisti; gli scontri con la polizia rafforzarono la sua ostilità verso gli agenti e i loro capi, i socialdemocratici che governavano la città. Più tardi Krebs avrebbe raccontato come i comunisti andassero alle manifestazioni con pezzi di tubo di piombo infilati nella cintura e le tasche piene di sassi da lanciare contro i poliziotti; quando gli agenti a cavallo attaccavano, i giovani attivisti della Lega dei combattenti del fronte rosso con dei coltelli ferivano gli animali alle zampe per farli imbizzarrire. In questo clima di scontri e violenza un «duro» come Krebs si sentiva del tutto a suo agio ed egli entrò nel Partito comunista nel maggio 1923, distribuendo volantini ai marinai del porto durante il giorno e frequentando i corsi di formazione politica di base la sera.589

La sua padronanza delle teorie marxiste-leniniste, tuttavia, era risibile: Avevo una coscienza di classe perché era una tradizione di famiglia: ero orgoglioso di essere un operaio e disprezzavo i borghesi. Il mio atteggiamento nei confronti delle convenzioni sociali era di derisione. Avevo un fervente ma partigiano senso della giustizia e mi lasciai travolgere da un folle odio per coloro che consideravo i responsabili delle sofferenze e dell’oppressione delle masse. I poliziotti erano i nemici, Dio era una menzogna inventata dai ricchi affinché i poveri si rassegnassero al loro giogo, e solo i vigliacchi facevano ricorso alla preghiera. Tutti i padroni erano iene in forma umana, malvagi, motivati solo dall’ingordigia, sleali e spietati. Ero convinto che un individuo non potesse vincere combattendo da solo: gli uomini devono rimanere uniti e battersi fianco a fianco per rendere migliore la vita di tutti coloro che fanno lavori utili. Devono lottare con tutti i mezzi a disposizione, anche quelli contrari alla legge se possono favorire la causa, né dare quartiere fino a quando la rivoluzione non avrà trionfato.590

Pervaso da questo ardente senso di dedizione, Krebs guidò un reparto armato di Combattenti del fronte rosso nel tentativo di rivoluzione ad Amburgo nell’ottobre 1923, in cui i comunisti attaccarono una stazione di polizia e innalzarono barricate.591 Come è facilmente intuibile, dopo il fallimento della sollevazione preferì sparire e riprese la vita di marinaio. Durante la sua fuga in Olanda e poi in Belgio entrò in contatto con i comunisti locali e in pochissimo tempo, grazie alla sua conoscenza dell’inglese, fu incaricato della diffusione della propaganda comunista in California da uno dei molti agenti segreti sovietici infiltrati nel partito (probabilmente non così numerosi come Krebs riferì nelle sue memorie). In California gli fu ordinato di uccidere un rinnegato che si riteneva avesse tradito il partito: Krebs fallì, deliberatamente come affermò, e fu arrestato e imprigionato a San Quintino. Dopo il rilascio nei primi anni ’30, divenne un funzionario della sezione marinai del Comintern, l’organizzazione internazionale dei partiti comunisti controllata da Mosca, e cominciò a fungere da corriere per il partito, trasportando denaro, volantini e molto altro ancora da un paese all’altro, e in seguito da una parte all’altra della Germania.592

Le memorie di Richard Krebs, quasi un romanzo giallo, descrivono un Partito comunista fondato su ferrei legami di disciplina e impegno, in cui ogni mossa era dettata dagli agenti della GPU, la polizia politica sovietica erede della Ceka, che segretamente controllava tutti i partiti nazionali. La sensazione che dietro a scioperi, manifestazioni e tentativi rivoluzionari in molte parti del mondo ci fosse il Comintern provocava terrore nelle classi medie tedesche, nonostante queste azioni si concludessero quasi sempre con un fallimento. Non c’è dubbio che l’impostazione cospirativa del Comintern e la palese presenza di agenti sovietici nel partito tedesco, fin dall’epoca di Karl Radek, suscitassero allarme fra la borghesia, ma l’immagine dell’organizzazione e del suo funzionamento dipinta da Krebs non è molto fedele alla realtà.

In effetti, scioperi, agitazioni operaie e perfino scontri e disordini erano il risultato di iniziative spontanee dei Combattenti del fronte rosso locali più che di piani congegnati da Mosca e dai suoi emissari. È inoltre vero che uomini come Krebs erano delle eccezioni. Il ricambio degli iscritti al Partito comunista fu di oltre il 50 per cento nel solo 1932: ciò indicava che centinaia di migliaia di disoccupati si erano avvicinati al partito tanto da chiederne l’ammissione, almeno per un periodo, ma significava anche che il partito era incapace di conquistare la fedeltà della maggior parte dei suoi membri per più di qualche mese. Gli iscritti di lunga data come Krebs rappresentavano lo zoccolo duro e disciplinato, ma anche ristretto, di attivisti e la Lega dei combattenti del fronte rosso divenne sempre più un’unità di impianto professionistico.593 Le parole avevano un peso rilevante in una situazione come questa e la retorica comunista si era fatta molto più aggressiva durante il cosiddetto «terzo periodo» inaugurato a Mosca dai dirigenti del Comintern nel 1928: da questo momento in poi gli strali del partito sarebbero stati diretti anzitutto contro la socialdemocrazia. Ogni governo tedesco era bollato come «fascista», il fascismo era l’espressione politica del capitalismo e i socialdemocratici erano «socialfascisti» giacché erano i principali sostenitori del capitalismo: distoglievano, infatti, i lavoratori dall’impegno a favore della rivoluzione, facendo loro accettare il sistema politico «fascista» di Weimar. Chiunque, fra i dirigenti del partito, tentasse di contestare questa posizione veniva cacciato dal suo incarico, mentre tutto ciò che poteva contribuire al rovesciamento dello Stato «fascista» e dei suoi favoreggiatori socialdemocratici era bene accetto.594

In questo periodo era a capo del Partito comunista tedesco il sindacalista di Amburgo Ernst Thälmann. Le sue credenziali di appartenente alla classe operaia erano indiscusse: nato nel 1886, aveva fatto vari lavori precari, compreso l’operaio in una fabbrica di farina di pesce e il manovale in una lavanderia, per esser quindi precettato dall’esercito e inviato a combattere sul fronte occidentale durante la Prima guerra mondiale. Iscritto al Partito socialdemocratico dal 1903, Thälmann si era avvicinato alla sua ala sinistra negli anni della guerra e durante la rivoluzione del 1918 si gettò nella politica attiva entrando nel comitato dei Revolutionäre Obleute, i rappresentanti sindacali rivoluzionari, e diventando segretario dei socialdemocratici indipendenti di Amburgo nel 1919. Lo stesso anno venne eletto al parlamento della città e nel 1922, quando gli indipendenti si sciolsero, entrò nel Partito comunista, quale membro del Comitato centrale nazionale. In tutto questo periodo continuò a fare lavori manuali in settori molto pesanti come la demolizione navale.

Privo di istruzione, grande e grosso, e sovversivo per natura, Thälmann incarnava l’ideale comunista di operaio rivoluzionario: era l’esatto contrario di un intellettuale e conquistava il pubblico di proletari anche per le sue evidenti difficoltà a districarsi tra i complessi termini marxisti; i suoi discorsi erano passionali piuttosto che precisamente argomentati, ma chi lo ascoltava leggeva in questo una dimostrazione di onestà e sincerità. Dati i suoi incarichi di leader di partito e di politico di professione negli ultimi anni ’20 e i primi anni ’30, era spesso costretto a indossare giacca e cravatta, ma divenne un tratto tipico dei suoi comizi il fatto che, a un certo punto, se li togliesse, tra l’entusiasmo dei presenti, per ridiventare un semplice operaio. Il suo odio per generali e padroni era palpabile, la sua sfiducia nei socialdemocratici altrettanto palese.

Come buona parte della base comunista, Thälmann seguiva le linee politiche tracciate dal Comintern a Mosca nonché i vari cambiamenti di rotta introdotti spesso sulla scia di necessità tattiche di Stalin nella lotta per estromettere i suoi rivali interni al partito russo. Thälmann aveva una fede assoluta nella rivoluzione e di conseguenza anche nell’unico Stato rivoluzionario del mondo, l’Unione Sovietica. Altri dirigenti comunisti, come il segretario del partito di Berlino Walter Ulbricht, erano forse più scaltri, più decisi e più intelligenti, ed erano il Politburo e il Comitato centrale, oltre al Comintern da Mosca, a dettare la politica e la strategia del partito; ma la reputazione personale di Thälmann e le sue doti di oratore avevano fatto di lui un punto di forza essenziale per il partito, che per due volte, nel 1925 e nel 1932, lo candidò alle elezioni per la presidenza del Reich. Nei primi anni ’30, quindi, egli era uno degli uomini politici più conosciuti di tutto il paese, e fra le classi medie e alte anche uno dei più temuti. Era molto più di una figura pittoresca, ma forse non un vero e proprio leader: rimaneva, tuttavia, la personificazione del comunismo tedesco in tutta la sua intransigenza e ambizione, colui che trascinava il partito verso la creazione di una «Germania sovietica».595

Guidato da una personalità come Thälmann il Partito comunista, all’inizio degli anni ’30, appariva, agli occhi di molti tedeschi, come una minaccia incombente e senza pari. La prospettiva di una rivoluzione comunista non sembrava affatto remota. Perfino un conservatore moderato, equilibrato e intelligente come Victor Klemperer giungeva a chiedersi, nel luglio 1931: «Il governo sta per cadere? Chi verrà dopo, Hitler o il comunismo?».596

Sotto molti punti di vista, tuttavia, la forza dei comunisti era solo apparente. L’animosità del partito nei confronti dei socialdemocratici lo condannava all’impotenza: l’ostilità per la Repubblica di Weimar, fondata sulla condanna radicale delle sue compagini governative – ritenute tutte, perfino la «grande coalizione» di Hermann Müller, «fasciste» – impediva ai suoi dirigenti di comprendere il grave pericolo rappresentato dal nazismo per quel sistema politico. La catastrofica situazione economica del 1932 rendeva plausibile il loro ottimismo sull’imminenza del crollo finale del capitalismo; a posteriori, tuttavia, esso appare del tutto infondato. Per di più, era inevitabile che un partito formato in larga parte da disoccupati avesse scarse risorse e fosse afflitto dalla stessa povertà e instabilità economica dei suoi membri. La mancanza di denaro fra gli iscritti era così grave che durante la depressione i loro locali di ritrovo furono costretti, uno dopo l’altro, a chiudere o a passare nelle mani dei nazisti: fra il 1929 e 1933 il consumo pro capite di birra in Germania diminuì del 43 per cento e per le camicie brune, che godevano di maggiori finanziamenti, rilevare queste attività non fu un problema. Lo stato di «quasi guerriglia», secondo una definizione che ne ha dato uno storico, aveva per teatro i quartieri più poveri delle grandi città tedesche e la brutale e incessante violenza delle SA costringeva i comunisti a una lenta ritirata nelle aree in cui il movimento era nato, nei bassifondi e nei rioni popolari. Di fronte a questo scontro, la borghesia in generale si schierava con i nazisti, i quali, dopotutto, non minacciavano né di distruggere il capitalismo né di creare una «Germania sovietica» se avessero conquistato il potere.597

 

III

 

Sebbene il fenomeno della disoccupazione interessasse in primo luogo la classe operaia, anche altri gruppi sociali erano afflitti da problemi economici. Ben prima dell’inizio della depressione, per esempio, il settore statale era stato attraversato da un’ondata di licenziamenti che erano la diretta conseguenza della politica di riduzione della spesa pubblica e di tagli su cui era fondata la stabilizzazione della moneta dopo il 1923. Fra il 1° ottobre 1923 e il 31 marzo 1924 persero il lavoro 135 mila funzionari pubblici su 826 mila, soprattutto nelle ferrovie e nei servizi postali, telegrafici e tipografici del Reich, nonché 30 mila impiegati su 61 mila e 232 mila operai statali su 706 mila.598 Altri massicci tagli al personale seguirono dopo il 1929 e tra il dicembre 1930 e il dicembre 1932 la riduzione della spesa totale per gli stipendi della pubblica amministrazione oscillò tra il 19 e il 23 per cento.

Molti funzionari pubblici di tutti i livelli erano smarriti di fronte all’incapacità dei loro rappresentanti sindacali di porre fine ai licenziamenti e la loro avversione nei confronti del governo era palese. Parecchi si avvicinarono al Partito nazista, ma molti altri erano intimiditi dalle minacce di epurazione nella pubblica amministrazione che esso prometteva se fosse giunto al potere. In ogni caso, i tagli al personale provocarono tra i dipendenti pubblici diffuse preoccupazioni e grande delusione nei confronti della repubblica.599

In quegli anni molti altri settori professionali percepivano che la loro posizione sociale ed economica era a rischio. Gli impiegati perdevano il lavoro, o temevano che potesse succedere, a causa delle difficoltà che interessavano banche e istituti finanziari; agenzie turistiche, ristoranti, negozi, società di vendita per corrispondenza e un’ampia gamma di imprese nel settore dei servizi si trovarono in cattive acque quando il potere d’acquisto della gente diminuì. Il Partito nazista, forte della sua complessa struttura di sezioni specializzate e realizzando quanto stava accadendo, cominciò a rivolgersi ai professionisti e ai piccoli proprietari delle classi medie.

Un simile cambio di strategia era sacrilego per quei nazisti che, come Otto Strasser, fratello di Gregor, il responsabile dell’organizzazione del partito, continuavano a sottolineare l’aspetto «socialista» del movimento: secondo loro, Hitler stava tradendo i comuni ideali. Infuriato per l’appoggio di Strasser e della sua casa editrice a istanze di sinistra e agli scioperi, in aprile Hitler convocò i vertici del partito a una riunione in cui si scagliò contro simili posizioni e, per neutralizzare l’influenza dell’editore, nominò Goebbels a capo della propaganda del partito. Con gran disappunto di quest’ultimo, tuttavia, Hitler continuò a rinviare un’azione più drastica, in quanto contava sull’apparato propagandistico di Otto per le elezioni regionali del giugno 1930. Solo dopo la tornata elettorale, e in seguito alla pubblicazione da parte di Strasser di un poco lusinghiero resoconto sui contrasti con il Führer dei mesi precedenti, questi si decise a estromettere dal partito Otto e i suoi sostenitori, i quali anticiparono la mossa dimettendosi il 4 luglio 1930.

La spaccatura era un episodio di notevole gravità e molti osservavano gli sviluppi con il fiato sospeso: il partito sarebbe sopravvissuto all’esodo della sua ala sinistra? La situazione, tuttavia, era del tutto cambiata rispetto ai giorni in cui Goebbels e i suoi amici rivitalizzavano il partito della Ruhr grazie agli slogan socialisti. L’allontanamento dei dissidenti aveva messo in luce lo scarso sostegno che Strasser e le sue idee incontravano all’interno del partito, e perfino suo fratello Gregor prese le distanze. Otto scomparve dalla scena politica e trascorse il resto della sua vita, prima in Germania e poi in esilio, inseguendo il sogno di creare piccole organizzazioni di natura settaria per diffondere le proprie convinzioni fra pochi seguaci.600

Dopo essersi liberato degli ultimi residui di «socialismo», Hitler cominciò a tendere la mano alla destra conservatrice. Nell’autunno del 1931 si schierò a fianco dei nazionalisti nel cosiddetto «fronte di Harzburg»: l’11 ottobre, in una dichiarazione congiunta con Hugenberg presentata a Bad Harzburg, dichiarò la propria disponibilità a una coalizione per governare la Prussia e il Reich. Nonostante i nazisti sottolineassero ancora una volta la loro indipendenza, tanto che Hitler si rifiutò di assistere alla parata degli Elmi d’acciaio, la dichiarazione era un significativo passo avanti nella collaborazione iniziata durante la campagna del 1929 contro il piano Young.

Nel frattempo Hitler si impegnò a convincere gli industriali che il suo partito non rappresentava una minaccia per la loro categoria. Nel gennaio 1932 tenne un discorso alla loro associazione a Düsseldorf, davanti a circa 650 imprenditori, e cercò di far breccia nel pubblico condannando il marxismo come l’origine di tutte le disgrazie della Germania, evitando ogni riferimento agli ebrei ed enfatizzando la sua convinzione circa l’importanza della proprietà privata, del duro lavoro e della giusta ricompensa per i più capaci e intraprendenti. Tuttavia, affermò, la soluzione per i gravi problemi economici del momento era in primo luogo di ordine politico: idealismo, patriottismo e unità nazionale avrebbero costituito le basi per il rilancio economico. Questi valori erano ciò che offriva il movimento nazionalsocialista, i cui aderenti sacrificavano il proprio tempo e il proprio denaro, rischiando la vita giorno e notte, nella lotta contro la minaccia comunista.601

L’allocuzione, di ben due ore e mezzo, non andò oltre l’enunciazione di concetti molto generali e non offrì alcuna indicazione sostanziale in tema di politiche economiche. Ne traspariva la lettura in chiave di darwinismo sociale che Hitler dava dell’economia, secondo cui la lotta era la strada per arrivare al successo, ma è poco probabile che questo destasse l’attenzione di quel particolare uditorio e, anzi, provocò delusione fra gli industriali più informati. In seguito i nazisti avrebbero affermato che Hitler aveva conquistato il cuore dei grandi imprenditori in quell’occasione, ma non fornirono prove concrete a sostegno di questa interpretazione. Né Hitler né i suoi collaboratori sfruttarono l’occasione per una campagna di raccolta di fondi tra gli industriali, e parte della stampa nazista proseguì con gli attacchi contro cartelli e monopoli, mentre altri nazisti tentavano ancora di guadagnare voti promuovendo i diritti dei lavoratori. Quando i giornali del Partito comunista descrissero l’incontro con toni che evocavano la cospirazione, a dimostrazione che il nazismo era figlio del mondo degli affari, i nazisti si prodigarono in mille modi a smentire l’affermazione, giungendo a pubblicare stralci del discorso per dimostrare l’indipendenza di Hitler dai capitalisti.

Com’è naturale, tutto ciò non aumentò la disponibilità degli imprenditori a sostenere il Partito nazista in termini finanziari. È vero che uno o due di loro, per esempio Fritz Thyssen, si accesero di entusiasmo e sovvenzionarono i raffinati gusti di personaggi di primo piano come Hermann Göring e Gregor Strasser. Inoltre, in termini generali, il discorso era stato rassicurante e, quando arrivò il momento, rese più facile per il mondo imprenditoriale accettare di dover sostenere il Partito nazista. Ma nel gennaio 1932 tutto questo doveva ancora venire: al momento il Partito nazista continuava a finanziare le sue attività per mezzo dei contributi volontari dei suoi iscritti, delle quote di ingresso agli incontri, dei proventi della stampa e delle altre pubblicazioni, nonché con le donazioni che arrivavano dalle piccole imprese, piuttosto che dalle grandi, ambito in cui l’antisemitismo, che Hitler aveva accuratamente dimenticato di menzionare rivolgendosi ai rappresentanti della grande industria, aveva molte più probabilità di fare presa.602

Rimane tuttavia vero che il nazismo aveva ora un volto rispettabile accanto a quello «da strada» e si stava facendo degli amici fra le élite conservatrici e nazionaliste. Mentre la Germania precipitava nel baratro della depressione, un crescente numero di cittadini dei ceti medi cominciò a guardare al gagliardo dinamismo del Partito nazista come a una possibile strada per risalire la china. Tutto dipendeva dalla capacità delle fragili strutture democratiche della Repubblica di Weimar di resistere alle tensioni, e dall’abilità del governo del Reich di individuare le politiche necessarie per impedire il crollo.