XVI - DECISIONI FATALI

 

I

 

Il colpo di Stato di Papen si verificò nel mezzo della più frenetica e violenta campagna elettorale nella storia della Germania, combattuta in un’atmosfera ancora più viscerale e scorretta di due anni prima. Ancora una volta Hitler si spostò in aereo in tutto il paese, da una località all’altra, e parlò in oltre cinquanta raduni, davanti a folle oceaniche, denunciando le divisioni, le umiliazioni e i fallimenti di Weimar e offrendo per il futuro la vaga ma suggestiva promessa di una nazione migliore e più unita. Nel frattempo i comunisti predicavano la rivoluzione e annunciavano l’imminente crollo dell’ordine capitalistico, i socialdemocratici facevano appello agli elettori affinché si ribellassero alla minaccia del fascismo e i partiti borghesi propugnavano un’unità per la ricostruzione che chiaramente non erano in grado di realizzare.706 Lo sfacelo della politica parlamentare si rivelava in modo inequivocabile nella crescente visceralità dello stile propagandistico di tutti i partiti, compresi perfino i socialdemocratici. Contornata da scontri nelle strade e da manifestazioni sempre più violente, la lotta politica si ridusse a quella che i socialdemocratici definirono, senza alcun intento critico, la guerra dei simboli. Resisi conto che un appello alla ragione non era sufficiente, per le tornate elettorali del 1931 essi si avvalsero della collaborazione dello psicologo Sergej Chakhotin, un radicale russo allievo di Pavlov, il fisiologo scopritore dei riflessi condizionati: «Dobbiamo lavorare su sentimenti, anima ed emozioni affinché trionfi la ragione». Di fatto, la ragione fu messa da parte. In occasione delle elezioni del luglio 1932, i socialdemocratici ordinarono a tutte le sezioni locali di assicurarsi che i membri indossassero il distintivo del partito, si salutassero con il pugno chiuso quando si incontravano e gridassero lo slogan «Libertà!» nelle opportune circostanze. Con lo stesso spirito, i comunisti da lungo tempo usavano il simbolo della falce e martello e tutta una serie di slogan e saluti. Adottando questo stile, i partiti si mettevano allo stesso livello dei nazisti, sebbene fosse molto difficile competere con il simbolo della svastica, il saluto Heil Hitler! e i loro slogan semplici ma molto efficaci.707

Alla ricerca di un’immagine che trasmettesse un senso di dinamismo da contrapporre alla forza di attrazione dei nazisti, il 16 dicembre 1931 socialdemocratici, Reichsbanner, sindacati e altre organizzazioni operaie collegate ai socialisti formarono il «Fronte di Ferro», schierato contro la minaccia «fascista». Il nuovo movimento pescò a piene mani dall’arsenale dei metodi di propaganda sviluppati dai comunisti e dai nazionalsocialisti: i discorsi lunghi e noiosi furono sostituiti da brevi ed energici slogan e la rilevanza che il movimento dei lavoratori aveva sempre attribuito a istruzione, ragione e scienza fece spazio a una nuova enfasi sull’importanza di risvegliare le emozioni nelle masse per mezzo di cortei, dimostrazioni collettive e marce in uniforme. Il nuovo stile della propaganda socialdemocratica includeva anche la creazione di un simbolo da contrapporre alla svastica e alla falce e martello: furono scelte tre frecce parallele, simboleggianti i tre componenti principali del Fronte di Ferro. Niente di tutto ciò aiutò in modo rilevante il movimento dei lavoratori tradizionale, i cui appartenenti, compresi esponenti di primo piano nel Reichstag, rimanevano in gran numero scettici o incapaci di adeguarsi al nuovo modo di presentare le proprie politiche. Il nuovo stile poneva i socialdemocratici sullo stesso piano dei nazisti, ma essi non avevano il dinamismo, il vigore giovanile o l’estremismo necessari per essere davvero competitivi: i simboli, le marce e le uniformi non riuscirono a radunare attorno al Fronte di Ferro nuovi sostenitori, in quanto il controllo rimaneva comunque in mano al chiuso apparato organizzativo dei socialdemocratici. Né il nuovo stile dissipava i timori degli elettori delle classi medie circa le intenzioni del movimento dei lavoratori.708

Ancora più eloquenti erano i manifesti elettorali che i partiti produssero nelle campagne dei primi anni ’30. In quasi tutti campeggiava l’immagine di un lavoratore gigantesco, a torso nudo, che negli ultimi anni ’20 era assurto a simbolo del popolo tedesco, al posto dell’ironico e dimesso deutscher Michel in berretto da notte, o della più nobile e idealistica personificazione femminile Germania usati in precedenza per rappresentare la nazione. Nei manifesti nazisti il gigante torreggiava su una banca denominata «Alta finanza internazionale» e la demoliva con massicci colpi di un martello pneumatico su cui spiccava una svastica. In quelli dei socialdemocratici il gigantesco lavoratore si faceva largo a gomitate fra nazisti e comunisti. Quelli del Partito del centro lo rappresentavano invece in abbigliamento magari meno succinto, ma comunque con le maniche rimboccate, mentre spazzava via con la forza minuscoli nazisti e comunisti dal parlamento. Il Partito popolare ritraeva il gigante, con indosso solo un perizoma, mentre spingeva da parte uomini politici di tutte le altre fazioni in campo quel luglio 1932, con un’immagine che era quasi l’esatto contrario di quanto sarebbe successo nella realtà. Perfino i poster del posato Partito nazionalista utilizzavano l’effigie del gigante, anche se soltanto per fargli sventolare la bandiera bianca, rossa e nera del vecchio Reich bismarckiano.709 Sui muri di tutta la Germania imperversavano le violente immagini di lavoratori giganteschi che facevano a pezzi i loro avversari, li prendevano a calci, li buttavano fuori dal parlamento, o incombevano sui politici in redingote e cilindro, i quali erano quasi sempre raffigurati come insignificanti nanerottoli attaccabrighe: l’aggressiva virilità avrebbe tolto di mezzo le litigiose, inconcludenti ed effeminate fazioni politiche. Quali che fossero le intenzioni originarie, il messaggio subliminale era evidente: era giunto il momento di porre fine alla politica parlamentare, messaggio che si esplicitava nei quotidiani scontri tra gruppi paramilitari nelle strade, nell’onnipresenza di uniformi sui palchi dei politici e nelle continue violenze e disordini durante i comizi elettorali.

Nessun partito era in grado di tenere testa ai nazisti su questo terreno: Goebbels poteva anche lamentarsi che «ora si sono messi a rubare i nostri metodi», ma la potenza simbolica delle tre frecce non era affatto in grado di reggere il confronto con l’ormai familiare svastica; per avere qualche possibilità di sconfiggere i nazisti con le loro stesse armi, i socialdemocratici avrebbero dovuto schierarle con più anticipo.710 La battaglia elettorale di Goebbels non era diretta contro il governo di Papen bensì contro i risultati ottenuti dalla Repubblica di Weimar e, di conseguenza, i principali obiettivi della propaganda nazista di questo periodo erano gli elettori del Partito del centro e dei socialdemocratici. Essi venivano sommersi di poster, cartelloni, volantini, film e discorsi tenuti in enormi adunate all’aperto, che tratteggiavano in toni apocalittici la drammatica visione di una «guerra civile rossa che incombeva sulla Germania», in cui gli elettori dovevano fare una scelta precisa: schierarsi a fianco delle arcaiche forze del tradimento e della corruzione, o a favore della rinascita nazionale per un futuro di gloria.

Goebbels e il suo apparato propagandistico si proponevano di travolgere l’elettorato con un ossessionante fuoco di fila che prendeva di mira tutti i sensi: l’obiettivo era la saturazione non solo tramite la pubblicità indirizzata alla massa, ma anche mediante studiate campagne di volantinaggio porta a porta. I discorsi nazisti rimbombavano da microfoni e altoparlanti in ogni spazio pubblico a disposizione; i messaggi, fatti circolare non solo tramite poster e riviste illustrate, ma anche con manifestazioni di massa e marce nelle strade, ripudiavano i discorsi razionali e i ragionamenti logici a favore di slogan di facile assimilazione, in grado di suscitare un’ampia gamma di sentimenti: rancore e aggressività, ma anche bisogno di sicurezza e riscatto. Le colonne di camicie brune in marcia, i rigidi protocolli di saluto e gli atteggiamenti militareschi dei capi nazisti trasmettevano l’idea di ordine, affidabilità e risolutezza, mentre stendardi e bandiere alimentavano quella di incessante attivismo e idealismo. L’aggressivo linguaggio della propaganda nazista creava senza sosta definizioni stereotipate dei loro avversari, che venivano ripetute all’infinito: «criminali di novembre», «padroni rossi», «burattinai ebrei», «branco di assassini rossi». Malgrado tutto ciò, i nazisti dovevano anche rassicurare i ceti medi sulle proprie intenzioni, e il lavoratore gigantesco cominciò a essere talvolta raffigurato non più come feroce e aggressivo, bensì in un atteggiamento più benevolo, mentre, non più a torso nudo, porgeva ai disoccupati attrezzi da lavoro, anziché brandirli come armi contro gli avversari: i nazisti erano pronti ad assumersi responsabilità di governo.711

Questa propaganda elettorale di intensità senza precedenti portò presto i risultati sperati e le elezioni per il Reichstag del 31 luglio 1932 rivelarono tutta la follia delle tattiche di Papen. Lungi dal rendere Hitler e il suo partito più malleabili, le elezioni produssero l’effetto contrario: i nazisti rafforzarono in modo considerevole il loro potere e raddoppiarono i voti ottenuti nella precedente tornata, passando da 6,4 milioni a 13,1 milioni e imponendosi come il primo partito nel Reichstag con 230 deputati; distanziavano di quasi 100 seggi il secondo maggior partito, i socialdemocratici, che riuscirono a limitare le perdite a 10 seggi e a mandare in parlamento 133 deputati. Anche in termini percentuali, il 37,4 per cento dei nazisti era più del doppio del 18,3 per cento ottenuto nel settembre 1930. La progressiva polarizzazione della scena politica era confermata dall’ulteriore avanzata dei comunisti, i cui deputati passarono da 77 a 89; inoltre, anche il Partito del centro era cresciuto, conquistando il suo record storico di 75 seggi, mentre i nazionalisti registrarono un’ulteriore diminuzione da 41 a 37 deputati, riducendosi quasi a formazione marginale. Il risultato più clamoroso, tuttavia, fu il pressoché totale annientamento dei partiti collocati al centro degli schieramenti: il Partito popolare perse 24 dei suoi 31 seggi, il Partito della libera economia ne perse 21 su 23 e il Partito dello Stato, la nuova denominazione dei democratici, 16 su 20. Crollò anche la moltitudine di gruppuscoli di estrema destra che nel 1930 avevano raccolto un forte supporto da parte delle classi medie: si salvarono soltanto 9 dei precedenti 55 deputati. Destra e sinistra si fronteggiavano ora nel Reichstag divisi da un centro ridotto a dimensioni insignificanti: un totale di 13,4 milioni conquistati da socialdemocratici e comunisti si contrapponeva ai 13,8 milioni di voti nazisti; tutti gli altri partiti sommati insieme avevano raccolto appena 9,8 milioni di preferenze.712

I motivi della vittoria elettorale nazista del luglio 1932 non erano molto diversi da quelli del settembre 1930. Quasi due anni di crisi sociale, politica ed economica sempre più grave avevano reso questi fattori ancora più determinanti. Le elezioni confermarono che il Partito nazista raccoglieva il voto di un’eterogenea moltitudine di scontenti: in questa occasione esso ottenne un consenso molto maggiore fra i ceti medi, i quali sembravano aver superato le perplessità dimostrate due anni prima, quando avevano preferito votare per i gruppi marginali di destra. La quasi totalità degli elettori delle classi medie si era schierata con i nazisti. La metà di coloro che nel settembre 1930 avevano votato per le fazioni della destra ora si era espressa a favore dei nazisti, come pure un terzo di coloro che nelle elezioni precedenti avevano votato per i nazionalisti, per il Partito popolare e per il Partito dello Stato; un astenuto su cinque questa volta si era recato alle urne e aveva votato per il Partito nazista, e il fenomeno era stato particolarmente rilevante fra le donne. Perfino un elettore socialdemocratico su sette aveva votato per i nazisti. Il 30 per cento dell’incremento di voti derivava da elettori che in precedenza avevano votato per partiti minori, inclusi i molti che nel 1924 e nel 1928 avevano appoggiato i nazionalisti; alcuni voti provenivano perfino da elettori comunisti e da cattolici del Partito del centro, per quanto questo numero corrispondesse più o meno a coloro che si spostarono in senso inverso. Il Partito nazista continuava a raccogliere consensi soprattutto fra i protestanti: solo il 14 per cento dei cattolici lo aveva votato, contro il 40 per cento dell’elettorato non cattolico. In queste elezioni il 60 per cento degli elettori nazisti proveniva dalle classi medie, definite in senso lato, mentre il 40 per cento era costituito da lavoratori manuali salariati e dai loro familiari; ma la stragrande maggioranza di questo segmento era ancora costituita da dipendenti i cui rapporti con il movimento dei lavoratori, per un motivo o per l’altro, erano sempre stati deboli. In tutti i collegi il tradizionale rapporto inversamente proporzionale tra voto nazista e percentuali di disoccupazione era ancora molto forte. I nazisti continuavano a rappresentare un partito di protesta sociale ad ampio raggio, che godeva di forti consensi soprattutto fra le classi medie e di un supporto minore nella classe operaia industriale e nella comunità cattolica, in particolare nelle aree in cui era presente un pervasivo sostegno economico e istituzionale da parte del movimento dei lavoratori e delle associazioni di volontari cattolici.713

Malgrado la rilevante avanzata del partito nel Reichstag nel luglio 1932, l’occasione fu anche motivo di un certo disappunto fra i vertici nazisti. Per loro, infatti, l’aspetto centrale del risultato non fu tanto il progresso rispetto alle precedenti elezioni per il Reichstag, quanto il fatto che non avevano registrato un miglioramento rispetto al secondo turno delle elezioni presidenziali di marzo o alle elezioni di aprile in Prussia, sempre di quell’anno: era diffusa l’impressione che il voto nazista avesse infine raggiunto il tetto massimo. In particolare, nonostante il grandissimo impegno profuso in questo senso, l’obiettivo prioritario di fare breccia nell’elettorato socialdemocratico e del Partito del centro era stato raggiunto solo in parte; pertanto non ci fu alcuna replica delle manifestazioni di esultanza con cui i nazisti avevano accolto la vittoria elettorale del settembre 1930. Nel suo diario Goebbels ammise che «abbiamo vinto soltanto un po’», niente di più, e giunse alla conclusione che «in questo modo non arriveremo mai alla maggioranza assoluta». L’elezione, quindi, rivestì di una nuova urgenza l’impressione che, come scrisse Goebbels, «qualcosa deve succedere. Il tempo dell’opposizione è finito. Ora servono fatti!».714 Il momento di mettere le mani sul potere era arrivato, aggiunse il giorno dopo, osservando che Hitler era d’accordo con lui; in caso contrario, se avessero continuato a seguire la strada parlamentare per il potere, la stagnazione della loro forza elettorale lasciava intendere che avrebbero potuto perdere il controllo della situazione. Ciononostante, Hitler escluse la possibilità di entrare in un governo di coalizione guidato da un altro partito, come aveva diritto di fare, in quanto il suo partito deteneva, con ampio margine, il maggior numero di seggi nell’assemblea legislativa nazionale. Subito dopo le elezioni ribadì quindi a più riprese che sarebbe entrato nel governo solo in qualità di cancelliere del Reich: questo era l’unico incarico che gli avrebbe permesso di mantenere vivo il suo mistico carisma fra i seguaci. A differenza di una posizione subordinata, tale incarico gli avrebbe inoltre dato la possibilità di trasformare il controllo dell’esecutivo in una dittatura sfruttando tutti i poteri dello Stato che avrebbe in tal modo avuto a sua disposizione.

 

II

 

La chiara dimostrazione di come tali poteri avrebbero potuto essere impiegati venne da un incidente dei primi di agosto 1932. Nel tentativo di porre un freno alla violenza imperversante, il 29 luglio Papen aveva vietato gli incontri politici pubblici: l’unico risultato fu di privare gli attivisti di un legittimo sfogo delle loro ardenti passioni politiche e, di conseguenza, di alimentare gli scontri nelle strade. Il 9 agosto Papen promulgò allora un altro decreto presidenziale che introduceva la pena di morte per chiunque uccidesse un avversario politico in un eccesso di collera o di odio; nelle sue intenzioni, il provvedimento era diretto in primo luogo contro i comunisti. Ma all’alba del mattino seguente, un gruppo di camicie brune ubriache e armate di manganelli di gomma, pistole e stecche da biliardo, irruppe in una fattoria nel villaggio di Potempa, nell’Alta Slesia, e assalì Konrad Pietzuch, un simpatizzante comunista. Gli uomini delle SA lo colpirono al volto con una delle stecche, lo picchiarono fino a fargli perdere i sensi e, una volta a terra, lo presero a calci, per poi finirlo a colpi di rivoltella. Pietzuch era polacco e l’incidente si connotava sia come politico sia come razziale; inoltre, alcuni degli assalitori avevano motivi di risentimento personale contro la vittima. Era tuttavia un chiaro caso di omicidio politico che rientrava nei termini previsti dal decreto e cinque membri delle camicie brune furono arrestati, processati e condannati a morte nella vicina città di Beuthen. Subito dopo il verdetto, le squadre d’assalto naziste si scatenarono per le strade della cittadina, devastando i negozi degli ebrei e facendo a pezzi le redazioni dei giornali liberali e di sinistra. Hitler in persona condannò pubblicamente l’ingiustizia di «questo mostruoso verdetto di sangue» e Hermann Göring inviò ai condannati una lettera aperta «di illimitata amarezza e indignazione di fronte alla sentenza terroristica che vi ha colpito».715

L’omicidio entrò nell’ordine del giorno delle trattative fra Hitler, Papen e Hindenburg sulla partecipazione dei nazisti al governo. Il presidente Hindenburg era fin da principio titubante ad approvare la nomina di Hitler a cancelliere poiché la formazione di un esecutivo guidato dal capo del partito che aveva vinto le elezioni sarebbe stata troppo simile a un passo indietro verso un sistema di governo parlamentare. Ora poi si era aggiunta la costernazione per l’assassinio di Potempa: «Non dubito del vostro amore per la Patria» disse a Hitler con condiscendenza il 13 agosto 1933. Ma, aggiunse, «contro eventuali atti di terrorismo e violenza che sono stati commessi, purtroppo, anche da esponenti delle SA, devo intervenire con la massima severità». Neanche Papen era disposto a lasciare la guida del governo a Hitler e dopo la rottura delle trattative il leader nazista proclamò:

Camerati, fratelli di razza tedesca! Chiunque fra voi nutra dei sentimenti nei confronti della lotta per l’onore e la libertà della nazione capirà perché mi rifiuto di entrare in questo governo. La giustizia di Herr von Papen finirà per condannare forse migliaia di nazionalsocialisti alla morte. Hanno pensato di poter aggiungere il mio nome a questa cieca azione aggressiva, a questa sfida a un intero popolo? I signori si sbagliano! Herr von Papen, ora so quale sia la tua «obiettività» macchiata di sangue! Io voglio la vittoria di una Germania nazionalistica e l’annientamento dei suoi sovvertitori e corruttori marxisti. Io non sono portato a fare il boia dei combattenti per la libertà nazionale del popolo tedesco!716

L’appoggio di Hitler alla brutale violenza delle squadre d’assalto non avrebbe potuto essere più esplicito. Il discorso fu sufficiente a intimidire Papen, che non aveva mai considerato il suo decreto come un provvedimento contro i nazisti: il 2 settembre commutò le sentenze capitali in condanne al carcere a vita, con la speranza di ammansire i vertici nazisti.717 Subito dopo i fatti di Potempa Hitler, temendo un’altra messa al bando, aveva congedato per due settimane le camicie brune: la precauzione era stata superflua.718

Malgrado ciò, i nazisti, che dopo l’esito delle elezioni di luglio già sentivano il profumo del potere, erano rimasti molto amareggiati quando i loro capi non riuscirono a entrare al governo. Dopo la rottura dei negoziati con Hitler, inoltre, per Papen e Hindenburg si prospettava il problema di conquistare la legittimità popolare: il momento di distruggere il sistema parlamentare sembrava essere arrivato, ma come attuare questo proposito? Papen, con l’appoggio di Hindenburg, decise che avrebbe sciolto il nuovo Reichstag non appena si fosse riunito, quindi avrebbe usato, o meglio abusato del potere presidenziale di governare tramite decreti per dichiarare che non si sarebbero più tenute elezioni. Tuttavia, quando in settembre il Reichstag infine si riunì tra scene di caos indescrivibile, Hermann Göring, che secondo la tradizione presiedeva la seduta in qualità di rappresentante del partito con il maggior numero di seggi, non solo ignorò di proposito i tentativi di Papen di dichiarare sciolto il parlamento, ma ammise anche una mozione di sfiducia dei comunisti nei confronti del governo. La mozione fu approvata con 512 voti favorevoli, 42 contrari e 5 astenuti: il voto rappresentò un’umiliazione per Papen e rivelò in modo così evidente la sua mancanza di sostegno nel paese che il piano di abolire le elezioni fu abbandonato. Al governo non rimase altra alternativa che attenersi alla Costituzione e convocare nuove elezioni per il Reichstag a novembre.719

Durante la campagna elettorale Hitler, assai irritato dalle tattiche di Papen, lanciò un furioso attacco contro il governo e dichiarò che un gabinetto di reazionari aristocratici non avrebbe mai ottenuto la collaborazione di un uomo del popolo come lui. La stampa nazista annunciò con gran clamore l’ennesimo trionfante giro degli Stati tedeschi da parte del «Führer», ma la sua esaltazione della massiccia affluenza di pubblico e del travolgente entusiasmo per l’oratoria di Hitler non poteva nascondere, quanto meno ai vertici del partito, il fatto che molte sale questa volta rimanevano mezze vuote e che, dopo le tante campagne di quell’anno, le condizioni finanziarie del partito non consentivano più una propaganda come quella dell’elezione precedente. Inoltre, gli attacchi populisti di Hitler nei confronti di Papen stavano allontanando gli elettori delle classi medie, che temevano di veder riaffiorare la natura «socialista» dei nazisti. La partecipazione del partito, nel periodo pre elettorale, a un duro sciopero dei lavoratori dei trasporti di Berlino a fianco dei comunisti non portò ad alcun risultato positivo fra il proletariato berlinese, che era l’obiettivo di Goebbels, e finì per scoraggiare l’elettorato rurale e parte degli elettori delle classi medie. I metodi propagandistici del partito, un tempo innovativi, erano ormai familiari a tutti, e Goebbels non aveva più assi nella manica con cui stupire l’elettorato. I vertici nazisti si stavano rassegnando con mestizia alla prospettiva di subire gravi perdite il giorno delle elezioni.720

Il diario di Louise Solmitz, un’ex maestra che viveva ad Amburgo, è un’istantanea dell’umore prevalente nei ceti medi. Nata nel 1899 e sposata a un ex ufficiale, la Solmitz era stata per lungo tempo una sostenitrice di Hindenburg e Hugenberg, come gran parte dei protestanti aveva disprezzato il «meschino gesuita» Brüning e nel suo diario si lamentava spesso delle violenze naziste.721 Ma nell’aprile 1932 era andata a sentire un comizio di Hitler in un sobborgo di Amburgo ed era rimasta entusiasta tanto dell’atmosfera e del pubblico, proveniente da tutti gli ambienti sociali, quanto del comizio stesso.722 «Lo spirito di Hitler rapisce» scrisse. «È tedesco ed è nel giusto.»723 In breve tutti gli amici della sua famiglia, appartenenti ai ceti medi, si erano schierati con Hitler e in luglio avevano votato per lui. Ma rimasero molto delusi sia dall’arroganza con cui Göring gestì il Reichstag quando si riunì, sia da quello che considerarono uno spostamento a sinistra dei nazisti durante la campagna elettorale di novembre. Ora simpatizzavano piuttosto per Papen, sebbene con scarso entusiasmo in quanto era un cattolico: «Ho votato per Hitler due volte» affermò un vecchio amico, ex soldato, «ma ora basta». «È triste» commentò un altro conoscente «ma non posso più essere d’accordo con lui.» L’appoggio allo sciopero dei trasporti di Berlino, secondo Louise Solmitz, costò a Hitler migliaia di voti: non gli interessava la Germania, concluse l’ex maestra, ma solo il potere. «Perché ci ha abbandonato, dopo averci mostrato un futuro al quale potevamo dire di sì?» si chiedeva. In novembre la famiglia Solmitz votò per i nazionalisti.724

Dovendosi misurare con un tale grado di disillusione, gli sconfortanti risultati elettorali dei nazisti non furono una sorpresa. L’affluenza alle urne fu molto inferiore rispetto a luglio e il partito subì un brusco calo di voti, da 13,7 a 11,7 milioni, che ridusse la sua rappresentanza al Reichstag da 230 deputati a 196. I nazisti rimanevano comunque il primo partito, con uno scarto considerevole, ma il loro numero di seggi era inferiore a quello sommato dei due partiti «marxisti».725 «Hitler in declino» annunciava il giornale socialdemocratico «Vorwärts»726 e Joseph Goebbels ammetteva nel suo diario che «abbiamo subito una battuta d’arresto».727 I partiti di governo, al contrario, registrarono qualche aumento: i nazionalisti passarono da 37 a 51 seggi e il Partito popolare da 7 a 11. Molti dei loro elettori erano tornati all’ovile dopo la temporanea fuga tra i nazisti, ma queste cifre erano ancora molto avvilenti e rappresentavano poco più di un terzo di quanto tali partiti avevano ottenuto nel momento di massimo splendore, nel 1924. Proseguì il triste declino degli ex democratici, il Partito dello Stato, la cui rappresentanza si dimezzò da 4 a 2 seggi, e i socialdemocratici persero altri 12 deputati, fermandosi a 121 seggi, il loro minimo dal 1924. I comunisti, d’altro canto, si confermarono il terzo partito e avanzarono ancora: con 11 seggi in più portavano al Reichstag un totale di 100 deputati e riducevano la distanza sui socialdemocratici; tale risultato suscitò grandi paure fra molti tedeschi dei ceti medi poiché prospettava la minaccia di una rivoluzione comunista in un prossimo futuro. Anche il Partito del centro, assieme alla sua ala regionale, il Partito popolare bavarese, subì un limitato calo, da 75 a 70 seggi, con un parziale spostamento di voti a favore dei nazisti.728

Nel complesso il Reichstag era ancora più difficile da controllare che in precedenza. Dai lati opposti dell’aula si fronteggiavano ora 100 comunisti e 196 nazisti ed entrambi i gruppi erano decisi a distruggere un sistema parlamentare che odiavano e disprezzavano. L’ostilità del Centro e dei socialdemocratici nei confronti di Papen, conseguenza degli attacchi verbali del governo contro di loro durante la campagna elettorale, era aumentata ancora. Il proposito di Papen di ribaltare l’umiliazione subita nel Reichstag il 12 settembre era fallito del tutto e nella nuova assemblea legislativa il suo governo si trovava ancora di fronte a una schiacciante maggioranza ostile. Papen prese in considerazione l’ipotesi di tagliare il nodo gordiano mettendo fuori legge sia i nazisti sia i comunisti e di imporre un regime presidenziale per mezzo dei militari, aggirando del tutto il Reichstag, ma questa non era più un’opzione praticabile: egli aveva ormai perso in modo irrevocabile la fiducia dell’esercito e dei suoi principali ufficiali. All’inizio dell’anno i vertici militari avevano provocato la caduta del ministro della Difesa, il generale Wilhelm Groener, perché ritenevano che la sua disponibilità al compromesso con la Repubblica di Weimar e le sue istituzioni non fosse più adeguata alle nuove circostanze politiche. Al suo posto fu nominato Kurt von Schleicher, le cui posizioni erano più vicine a quelle degli ufficiali; questi, però, era indispettito dal fatto che il cancelliere avesse osato dar corso alle proprie idee e piani verso un regime autoritario, invece di seguire le istruzioni dell’uomo che tanto si era prodigato per farlo arrivare al potere, cioè lui stesso. Papen, inoltre, non era riuscito a procurarsi l’appoggio della maggioranza parlamentare, composta in primo luogo dai nazisti e dal Partito del centro, che Schleicher e l’esercito stavano cercando di ottenere. Era giunto il momento di una svolta. Schleicher, senza alcun clamore, informò Papen che l’esercito non era disposto a rischiare una guerra civile e non lo avrebbe più sostenuto. Il governo fu d’accordo e Papen, privo dei mezzi per impedire un’ulteriore intensificarsi della già incontenibile violenza nelle strade, fu costretto ad annunciare l’intenzione di dimettersi.729

 

III

 

Seguirono due settimane di complesse trattative guidate da Hindenburg e dai suoi collaboratori più vicini. Di fatto, in questo periodo i meccanismi costituzionali erano tornati a essere quelli del Reich bismarckiano, in cui i governi venivano nominati dal capo dello Stato senza alcun rapporto con la maggioranza parlamentare o l’assemblea legislativa stessa. Il Reichstag era stato marginalizzato e, a tutti gli effetti, non era più necessario neanche per approvare le leggi. Rimaneva tuttavia un problema: qualsiasi governo che avesse tentato di modificare la Costituzione in senso autoritario, senza la legittimazione offerta dall’appoggio di una maggioranza dell’organo legislativo, sarebbe incorso nel grave rischio di far scoppiare una guerra civile. La ricerca del sostegno parlamentare, quindi, proseguì. Di fronte al rifiuto dei nazisti di entrare in gioco, Schleicher stesso fu costretto ad assumere il cancellierato il 3 dicembre, ma il suo incarico era condannato fin dall’inizio. Hindenburg gli era ostile perché aveva provocato il rovesciamento di Papen, in cui il presidente aveva riposto la propria stima e la propria fiducia e con cui condivideva molte idee. Schleicher, meno odiato di Papen dal Partito del centro e dai socialdemocratici, riuscì a conquistare qualche settimana di respiro evitando di ricadere nella retorica autoritaria del suo predecessore; continuava inoltre a sperare che i nazisti si sarebbero schierati al suo fianco. Il partito era uscito indebolito dalle elezioni di novembre ed era diviso sulle prossime mosse; come se non bastasse, alle elezioni locali in Turingia, ai primi di dicembre, aveva perso quasi il 40 per cento dei consensi rispetto al record nazionale del luglio precedente, e un anno di intensa propaganda elettorale l’aveva portato sull’orlo della bancarotta. L’acqua sembrava affluire verso il mulino di Schleicher.730

All’interno del Partito nazista cominciavano a levarsi voci di critica nei confronti di Hitler per essersi rifiutato di entrare in un governo di coalizione se non come capo di gabinetto. Il principale oppositore era Gregor Strasser, il quale si rendeva conto fin troppo bene delle precarie condizioni in cui, secondo lui, Hitler aveva ridotto la struttura organizzativa di cui egli era responsabile e che era il frutto del solerte lavoro degli anni precedenti. Strasser cominciò a corteggiare sia i grandi imprenditori, con la speranza di rimpinguare le casse del partito, sia i sindacati, che tentò di convincere a partecipare a una coalizione nazionale allargata. Conoscendone le idee, tuttavia, i suoi nemici tra i capi nazisti, primo fra tutti Joseph Goebbels, cominciarono a complottare alle sue spalle e ad accusarlo di sabotare la marcia verso il potere del partito.731 La situazione precipitò quando Schleicher, cercando di fare pressione su Hitler affinché entrasse nell’esecutivo, aprì trattative separate con Strasser in merito a un suo possibile incarico ministeriale. Ma Hitler era irremovibile sul fatto che i nazisti non sarebbero entrati in alcun governo che non fosse presieduto da lui: durante un teso incontro con il Führer, Strasser tentò di difendere il suo punto di vista, ma esso venne ancora una volta rifiutato con decisione. Ferito nell’orgoglio, l’8 dicembre Strasser si dimise da tutti i suoi incarichi nel partito.

Hitler si mosse in fretta per evitare una scissione: cacciò su due piedi chi aveva sostenuto con franchezza il suo ex comandante in seconda e contattò di persona gli incerti. In un viaggio lampo in tutto il paese, parlò con un gruppo dopo l’altro di funzionari del partito e li persuase della correttezza della propria posizione, dipingendo Strasser come un traditore, proprio come, in quello stesso periodo, Stalin stava facendo con Trockij in Unione Sovietica. Il rischio di una scissione era stato reale, e senza dubbio Hitler e Goebbels lo presero molto sul serio, ma le basi erano state di ordine tattico, non di principio. Strasser non rappresentava in alcun modo una visione del futuro alternativa a quella di Hitler: la sua posizione ideologica era molto vicina a quella del Führer e nel 1930 egli aveva dato il suo completo appoggio all’espulsione del fratello Otto, le cui idee erano molto a sinistra della corrente principale del partito; neppure nel dicembre 1932 oppose alcuna resistenza. Se avesse difeso le sue posizioni e cercato seguaci, è probabile che avrebbe portato con sé una fetta rilevante di iscritti, infliggendo un danno mortale all’organizzazione. Ma non fece nulla: subito dopo le dimissioni partì per una vacanza in Italia e, pur non venendo espulso dal partito, non ebbe più nulla a che fare con esso, ritirandosi di fatto dalla vita politica. Hitler si autodesignò capo della struttura organizzativa e ne smembrò la gestione centralizzata sviluppata da Strasser, per evitare il rischio che qualcun altro potesse assumerne il controllo. La crisi all’interno del partito era finita e Hitler e gli altri capi potevano tirare un sospiro di sollievo.732

L’insuccesso dei tentativi di conquistare l’appoggio dei nazisti si sarebbe rivelato decisivo per Schleicher. Alla fine dell’anno le sue prospettive non sembravano all’apparenza troppo fosche. Il Partito nazista era in declino e nemmeno i brillanti risultati riportati nelle elezioni regionali del 15 gennaio nel piccolo Stato di Lippe, dove raccolse il 39,5 per cento dei voti, furono considerati una prova del contrario, visto che erano stati chiamati alle urne soltanto 100 mila cittadini. Un imponente sforzo della propaganda e una campagna elettorale di intensità senza precedenti non furono sufficienti a migliorare il numero di voti raccolti nel luglio 1932: Hitler e Goebbels celebrarono il risultato come un trionfo per risollevare il morale infiacchito dei nazisti e rinvigorire la determinazione degli iscritti, ma per i principali attori della scena politica la situazione era chiara.733 I nazisti sembravano essere in calo anche in altri contesti. Alle elezioni per le organizzazioni studentesche, per esempio, la loro percentuale diminuì dal 48 per cento del 1932 al 43 per cento all’inizio del 1933.734 Nel frattempo, la situazione economica mondiale si avviava verso la ripresa, la grande depressione sembrava aver toccato il fondo e Schleicher, consapevole delle opportunità offerte dall’uscita della Germania dal regime monetario aureo, avvenuta diciotto mesi prima, stava preparando un imponente programma inteso a creare nuovi posti di lavoro: per ridurre la disoccupazione, lo Stato avrebbe promosso la realizzazione di opere pubbliche. Le prospettive non facevano presagire nulla di buono per i nazisti, che erano diventati il primo partito del paese soprattutto nella scia della crisi economica; anche nelle elezioni regionali avevano ormai raggiunto l’apice e tutti ne erano consapevoli.

Era probabile, nondimeno, che il declino dei nazisti e la ripresa dell’economia sarebbero diventati fattori rilevanti solo nell’arco di alcuni mesi, o addirittura anni, e Schleicher non aveva mesi o anni a disposizione, ma solo qualche settimana. Hindenburg e i suoi consiglieri, primi fra tutti suo figlio Oskar, il segretario di Stato Meissner e l’ex cancelliere Franz von Papen, ritenevano che fosse della massima urgenza ammansire i nazisti coinvolgendoli nel governo, tanto più che le recenti perdite elettorali e le divisioni interne sembravano averli messi in una posizione in cui sarebbe stato più facile convincerli. Ma se il loro declino era destinato a perdurare, in un futuro non molto lontano e con un’espansione dell’economia in corso sembrava plausibile ipotizzare un recupero dei vecchi partiti politici e un ritorno al governo parlamentare, che forse avrebbe coinvolto addirittura i socialdemocratici. Una prospettiva di questo tipo preoccupava anche Alfred Hugenberg. Senza contare che alcune politiche economiche di Schleicher, fra cui una possibile nazionalizzazione dell’industria siderurgica e, a dicembre, la revoca dei tagli su salari e sussidi imposti da Papen nel settembre precedente, provocavano apprensioni nel mondo degli affari, i cui interessi stavano molto a cuore a Papen, Hindenburg e Hugenberg. La proposta di una riforma della terra, finalizzata a distribuire le tenute degli Junker in bancarotta ai contadini, era costata a Schleicher un profondo rancore da parte di Hindenburg, proprietario terriero lui stesso. Attorno al presidente cominciò a raccogliersi una coalizione di forze conservatrici con il comune obiettivo di liberarsi di Schleicher, la cui dichiarazione di non essere schierato né con il capitalismo né con il socialismo aveva destato molta preoccupazione.735

I congiurati si assicurarono l’appoggio degli Elmi d’acciaio e dei loro comandanti, Franz Seldte e Theodor Duesterberg, per estromettere Schleicher e nominare al suo posto un cancelliere del Reich che godesse della loro fiducia. Con mezzo milione di uomini all’attivo, gli Elmi d’acciaio avrebbero costituito una forza da combattimento straordinaria. Tuttavia erano attraversati da profonde divisioni, i loro capi Seldte e Duesterberg erano ai ferri corti e non sapevano decidere se schierarsi in campo con i nazisti o con i conservatori; il loro impegno a collocarsi «al di sopra dei partiti», anziché fungere da principio unificante com’era nelle intenzioni originali, finiva per essere una costante fonte di disaccordo interno. Date queste circostanze, molte figure di rilievo nell’organizzazione facevano pressioni, con un certo successo, affinché si tornasse ad attività come il sostegno economico dei veterani, l’addestramento militare e la «protezione» dei confini orientali della Germania per mezzo di una robusta presenza di paramilitari. Gli Elmi d’acciaio si consideravano anzitutto un corpo di riserva, da mobilitare in caso di necessità per dar man forte all’esercito regolare, la cui entità era di poco superiore a un quinto della loro a causa delle restrizioni imposte dal trattato di Versailles. Il deludente risultato riportato da Duestererg alle elezioni presidenziali convinse molti dell’opportunità di ritirarsi dal campo di battaglia della politica. I trascorsi di ufficiale prussiano di Duesterberg, inoltre, lo portavano a diffidare dei nazisti e a ritenerli troppo rozzi e indisciplinati per considerare di associarsi con loro. Ma la rivelazione che egli aveva antenati ebrei provocò profondo sconcerto fra le file degli Elmi d’acciaio e indebolì la sua posizione. Fu quindi Seldte che associò il nome dell’organizzazione alla cospirazione per estromettere Schleicher all’inizio del 1933.736

Era chiaro che Papen, sebbene coinvolto nel complotto, non rappresentava un possibile candidato al cancellierato, poiché nei mesi precedenti aveva perso quasi tutto il sostegno al di fuori della cerchia di Hindenburg e non godeva dell’appoggio popolare nel paese. Trattative febbrili portarono a un piano per nominare Hitler cancelliere di un esecutivo, in cui la maggioranza era conservatrice proprio al fine di tenerlo a freno. Il piano assunse carattere di urgenza quando cominciarono a circolare voci che Schleicher, con la collaborazione del generale Kurt von Hammerstein, comandante in capo dell’esercito, stesse preparando una contromossa: avrebbe avuto l’intenzione di instaurare uno Stato corporativo autoritario, sopprimere il Reichstag per mezzo di un decreto presidenziale, affidare il comando all’esercito e mettere fuori legge sia i nazisti sia i comunisti. «Se alle 11 non sarà stato formato un nuovo governo» comunicò Papen a Hugenberg e ai capi degli Elmi d’acciaio il 30 gennaio «l’esercito si metterà in marcia. All’orizzonte si sta profilando una dittatura militare di Schleicher e Hammerstein.»737

Le voci trovarono un certo credito perché nei circoli politici era risaputo che, giacché non era riuscito ad assicurarsi il supporto del parlamento, l’unica possibilità rimasta a Schleicher per superare la crisi era di ottenere dal presidente poteri di ampia portata e di fatto incostituzionali. Quando avvicinò Hindenburg con questa richiesta, l’anziano presidente e i suoi collaboratori non si lasciarono sfuggire l’occasione di sbarazzarsi dell’indisponente e infido intrallazzatore e la respinsero. Dopo il rifiuto, taluni si aspettavano che Schleicher e l’esercito entrassero in gioco e si impadronissero con la forza dei poteri che avevano chiesto, ma essi avevano considerato la possibilità di un putsch solo nel caso di un ritorno di Papen alla cancelleria, e anche in questa circostanza esclusivamente perché ritenevano che la sua nomina, con ogni probabilità, avrebbe scatenato una guerra civile. Interessato soprattutto a evitare questa evenienza, Schleicher accolse con favore la prospettiva di una designazione di Hitler, soprattutto per quanto riguardava l’esercito: «Se Hitler vuole instaurare una dittatura nel Reich» commentò con fiducia «l’esercito sarà la dittatura all’interno della dittatura».738 Dopo il rifiuto opposto dal presidente a un suo governo al di fuori dei limiti della Costituzione, l’unica alternativa rimasta a Schleicher era rassegnare le dimissioni. All’interno della cerchia di collaboratori di Hindenburg erano già in corso le trattative per la nomina di Hitler e infine, alle undici e mezzo circa del mattino del 30 gennaio 1933, Hitler prestò giuramento come cancelliere del Reich. Il suo governo era dominato, dal punto di vista numerico, da Papen e dai suoi fedeli conservatori. L’ala radicale dell’ormai ridottissimo Partito nazionalista entrò nell’esecutivo con Alfred Hugenberg, nominato ai dicasteri dell’Economia e dell’Alimentazione; Konstantin Freiherr von Neurath, già ministro degli Esteri dei governi di Papen e Schleicher, rimase in carica, come pure il ministro delle Finanze Lutz Graf Schwerin von Krosigk e, poco dopo, il ministro della Giustizia, Franz Gürtner, esponente dei nazionalisti. Il ministero dell’Esercito fu affidato a Werner von Blomberg e Franz Seldte, in rappresentanza degli Elmi d’acciaio, fu nominato ministro del Lavoro.

Solo due dei principali dicasteri furono affidati ai nazisti, ma entrambi erano incarichi di importanza cruciale, che Hitler aveva richiesto come condizione essenziale per l’accordo: il ministero degli Interni, che venne occupato da Wilhelm Frick, e la carica di cancelliere del Reich, che andò a Hitler. Hermann Göring fu nominato ministro del Reich senza portafoglio e ministro reggente degli Interni della Prussia, carica che gli dava il controllo diretto sulla polizia di gran parte della Germania: i nazisti potevano ora manovrare a proprio vantaggio tutti gli aspetti legali dell’ordine pubblico interno e, se avessero agito anche solo con un briciolo di abilità, presto le camicie brune avrebbero avuto la via sgombra per scatenare un’ondata di violenza senza precedenti contro i loro avversari. Franz von Papen fu nominato vice cancelliere e continuò a governare la Prussia in qualità di commissario del Reich, posizione nominalmente sovraordinata a quella di Göring. Hitler e i nazisti, rozzi, ignoranti, privi di esperienza di governo e per giunta circondati dagli amici di Papen, che godeva della fondamentale fiducia del presidente Hindenburg, sarebbero stati tenuti sotto controllo senza problemi. «Ti sbagli,» rispose infatti con arroganza Papen a un suo seguace che aveva espresso scetticismo e timori «siamo noi che l’abbiamo preso a servizio.»739 «Nel giro di due mesi» confidò con baldanza a un conoscente preoccupato «terremo Hitler in pugno, in un pugno così stretto che strillerà.»740