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Anna fumava e tossiva, come se non avesse mai messo in bocca una sigaretta prima di quel giorno. Lena rigirava il bicchiere nervosa, solo acqua perché temeva che lui le avrebbe sentito nel fiato qualunque altro odore.

«Come sei venuta qui?»

«Col treno, ho lasciato l’auto, con il cellulare dentro, a casa dei miei.»

«Acceso?»

«Acceso. Qualche volta non gli rispondo e lui lo sa.»

Si erano trovate in un bar a Bologna, zona neutra. Anna era reduce dalla visita a Bella insieme a tutta l’allegra compagnia dei sopravvissuti, e sapeva che Caparzo sarebbe stato trattenuto dai giornalisti e le autorità locali. Per questo si erano incontrate quel pomeriggio, perché erano certe che lui non le avrebbe scoperte.

Quel che sapevano l’una dell’altra non era edificante. Per Anna, Lena era la fidanzata fallita che non era riuscita in nulla, salvare Saverio, capire chi fosse davvero Sandra, sfuggire a Lucio Donadio, ribellarsi a Caparzo. Per Lena, Anna era la donna malvagia chiusa nella gabbia della iena, che sosteneva di essere il nuovo amore di Saverio, che aveva istigato i compagni alla violenza e che tutti odiavano. Provavano un mutuo disprezzo latente. E un poderoso bisogno reciproco.

«Allora, secondo te dove sono nascosti?» aveva chiesto Anna.

«Non lo so. Alex aveva un sacco di giri, conosceva animalisti, ambientalisti, anche all’estero. Potrebbe averlo portato ovunque.»

Avevano bevuto e fumato ancora un po’ nell’aria fresca di aprile.

«Non li troveranno, quindi.»

«No. È brava a nascondere le cose.»

Anna aveva allungato la mano verso il dispenser dei tovaglioli.

«Allora, se questa è Alex...» poi aveva avvicinato il posacenere «e questa è Sandra... tu ne conosci una, e io conosco l’altra. E poi ce n’è una terza, che non conosce nessuna di noi, ma che è un po’ di tutte e due. Quella si è presa Saverio. Quella.»

Il germe di un’idea si era depositato in loro durante il loro viaggio dal capannone all’ospedale. Non si erano più viste, non si erano mai cercate, ma in ciascuna era maturata una convinzione: avevano una cosa in comune, una cosa che era stata sottratta a entrambe, una cosa che creava tra loro un legame più forte di qualunque altro. Così Anna aveva pensato di contattare Lena fuori dagli schemi, lontano dai riflettori e dalla polizia, e soprattutto, soprattutto lontano da Francesco Caparzo. Ed eccole lì.

«Se uniamo le cose che sappiamo potremmo rimettere insieme i pezzi.»

Ma Lena aveva scosso la testa.

«Se non ci è riuscito Cecco non ci riusciremo nemmeno noi.»

«Perché lo chiami Cecco?»

«È come vuole che lo chiami.»

«E quanto ci ha provato, lui?»

«Tanto. Un anno. Per tutto il tempo in cui lei mi ha tormentata fingendosi qualcun altro. Ci è andato vicino, vicinissimo. E sai perché? Perché loro due sono uguali. Lui riusciva a fare le stesse cose che faceva lei, a giocare allo stesso gioco, con le stesse carte, costringendo anche me a giocare. Eppure ha perso. E io ho perso con lui» aveva concluso.

Anna l’aveva guardata, sospesa tra il disprezzo per la fidanzatina perfetta, che perfetta non era, e la curiosità verso quel gioco misterioso.

«Allora spiegami lui. Spiegami Caparzo come ragiona. Cosa farebbe, al posto nostro, per riavere indietro Saverio. Perché se è vero che lui e Sandra sono uguali allora forse abbiamo un enorme vantaggio.»

Lena aveva avvertito un immediato senso di pericolo, il timore superstizioso che se avesse parlato di lui in qualche modo lui lo avrebbe saputo. Ma poi l’aveva vista, dentro agli occhi di quella donna così diversa da lei, la fame, la stessa fame sua di riavere Saverio

chi sceglierebbe, tra noi?

e capì che se c’era una strada per ottenere una risposta, per riaverlo, quella strada l’avrebbero dovuta trovare insieme.

Così iniziò a raccontare.

Francesco Caparzo sentiva che lo stavano trascinando, ma non riusciva ad aprire gli occhi. Non era addormentato, ma nemmeno era sveglio, il corpo non rispondeva ai comandi e la mente impastava insieme realtà e fantasia.

Mi hanno fatto una trappola.

Io pensavo che l’avevo fatta a loro e loro l’hanno fatta a me.

Due donne, due femmine, due che aveva creduto di avere in pugno sin dalla prima intercettazione.

«È sbagliato andare a cercarla! Dobbiamo costringerla a tornare!»

avevano detto, nascoste nella macchina della Bacarelli in quello che aveva creduto essere il loro primo incontro segreto, e lui aveva pensato che era d’accordo, sì, l’idea era buona, ad avere un’esca, ma le esche erano finite. O no?

«Non tornerà mai, ha già tutto quello che vuole. Si è presa Saverio, perché dovrebbe tornare?»

«Per gli altri.»

Gli altri.

La notte era ancora fredda, gli avevano avvolto la testa e la schiena in un telo di plastica che frusciava mentre lo portavano fuori, una che pilotava

«A destra, da quella parte, verso il canale»

e l’altra che ubbidiva.

Non sei tu che comandi, eh, piccere’? Non sei mai tu.

In lontananza un animale si lamentava, ma lui lo sapeva che non era un animale

“Mo’ si’ grande, si ’nu grande guaglione”

e provò qualcosa, una specie di rammarico per quell’uomo grande e grosso che moriva di paura dentro al magazzino, sapendo che l’unica persona che poteva salvarlo stava per morire.

«Dobbiamo farlo scavalcare lì.»

Si era incuriosito quando aveva scoperto che le due fidanzate di Saverio Bartolomei si volevano parlare, e che mai si dovevano dire? Bisticciarsi l’uomo che si era preso una terza donna? Lui aveva promesso alla Bacarelli di levarle tutte le telecamere e i microfoni da casa, ma si sa, qualcosa resta sempre, è distrazione. E così, tra la macchina e il telefono, aveva seguito il primo incontro e pure il secondo, così aveva pensato che anche casa della Baroni magari aveva bisogno di un po’ di controllo, e pure il telefono suo.

Stai facendo come prima, France’, stai facendo come per Donadio e guarda com’è finita.

Ma la coscienza è un pulcino che pigola e la presunzione un leone che ruggisce, così di nuovo non aveva detto niente a nessuno e di nuovo era andato avanti ad ascoltare e guardare quelle due che pianificavano di terrorizzare gli altri, bastavano quattro cose, un mucchio di pastelli, qualche ricordo personale e persino un vecchio messaggio nella segreteria della Bacarelli, la voce della Gatteschi che diceva

“Ciao stella, sono io. Volevo solo sapere come te la cavavi. A poi”.

«L’avevo tenuto per non dimenticarla» aveva raccontato.

Una buona idea

vero che la Gatteschi solo con le emozioni sbagliava

ma un piano debole, nessuno torna dalla salvezza per due minacce a vuoto, il loro piano era infantile, le avrebbero scoperte subito e lui si sarebbe goduto la scena dal fondo di un canale, lo sforzo per sollevarlo, prima le gambe, no, prima le spalle, deve andare giù tutto insieme a faccia sotto, che c’è poca acqua.

Aveva sentito la schiena scivolare su cemento e metallo, poi una corsa verso il gelo, l’acqua, il corpo piegato con un braccio sotto.

Nell’acqua ho buttato il corpo di Gianluca Savelli.

È giusto che nell’acqua finisco pure io.

Ma il liquido gli scorreva intorno, un orecchio ancora all’aria, il resto sotto appena mezzo metro d’acqua.

Gira la testa.

Ma non si muoveva, le narici piene.

Se puoi pensare e puoi tenere il fiato puoi pure girare la testa.

Poco poco.

Le sentì allontanarsi di corsa, forse pensavano di aver finito con lui, forse si erano spaventate per qualcos’altro.

Poco poco, France’.

Aiutati con l’acqua.

L’ossigeno stava finendo, provò ad abbassare il mento, di appena un centimetro, due.

Metti tutta la forza!

Tutta la forza a destra, France’.

Ruotò il collo mentre i polmoni si arrendevano, l’acqua entrò, ma da una sola narice, e fu un bene perché il riflesso della tosse gli diede un’altra piccola scossa e anche la seconda narice emerse. Respirava. Gelato, quasi paralizzato ma respirava, a bagno in un canale putrido. Riuscì a sollevare la palpebra emersa verso un cielo nero con poche stelle.

“Ciao stella, sono io. Volevo solo sapere come te la cavavi. A poi.”

Non se la cavava bene.

E quando sentì i passi pensò che fossero loro due che tornavano per finirlo, e ci sarebbe voluto poco.

Ma non erano loro.

Lena lo aveva guardato rotolare giù, in attesa di un fiotto di gioia, trionfo, liberazione. Invece non aveva provato niente. Quando era morto Giovannino le si era rotto qualcosa dentro, ma Anna l’aveva presa per i capelli e aveva gridato

«O lui o Saverio! Vuoi che sia Saverio?»

e una volta accettato quello aveva accettato tutto. Anna era rimasta a guardare con lei.

«È caduto nella trappola come King Kong.»

Rientrando nel magazzino, verso i lamenti di Giulio, Lena le aveva chiesto

«Da quanto tempo era arrivato?».

«Un paio d’ore. All’inizio ho pensato che foste voi, poi ho visto l’auto.»

Ora dovevano riorganizzarsi. Il piano originale non aveva previsto quattro morti e un sequestro, ma il piano originale, stilato in quel bar di Bologna, l’unica volta in cui Caparzo non le aveva sorvegliate, mirava a stanarla.

«Non sopporterà che le vengano attribuite cose che non ha fatto. Quando ci ha provato il tuo Cecco ha reagito molto male, e adesso che non ha più Lucio a frenarla commetterà un errore.»

Anna aveva proposto i pastelli dopo averne visto uno, quel pomeriggio, in mano a Bella.

«Li lasciamo a tutti, in posti vari, insieme a quella merda di carta da macellaio. Penseranno a come li usavamo nel carrozzone e avranno paura.»

Ma per ogni impeto di Anna, Lena opponeva la cautela e la razionalità.

«Cecco se ne accorgerà. Lui mi controlla, traccia il mio cellulare, ho sicuramente ancora delle cimici in casa e anche nell’auto, mi chiama sempre non appena salgo. Capirà cosa stiamo facendo.»

Anna ci aveva riflettuto e aveva detto

«Che capisca».

Lena aveva trasalito.

«Non starà mai dalla nostra parte.»

«No, infatti non me l’aspetto, ma quanto ci scommetti che nemmeno ci denuncia? Pensa a quello che ha fatto con te, quando era solo lui a cercare di beccare lei e quella merda del fidanzato, pensaci! Non è un poliziotto integerrimo, è proprio come lei, a lui interessa solo vincere. Non ci sputtanerà, il massimo che potrà succedere è che ci venga a fare un richiamino, e allora noi cercheremo di tirarlo dentro, di farlo lavorare con noi, più siamo e meglio è.»

Lena si era opposta

«Io non faccio niente con lui»

e Anna aveva colpito basso

«Allora di riavere Saverio non te ne frega un cazzo».

Ci erano volute notti insonni e giorni di pianto, ma alla fine Lena aveva ceduto. Insieme loro due avevano tutte le informazioni che servivano, Anna aveva stivato ore e ore di racconti nel capannone, ricordava le abitudini della madre di Giulio e la superstizione di Nicola, e poi c’erano state le infinite confessioni di Yuri che le aveva detto tutto ciò che riguardava le scimmie, dalla pesca di Giorgio ai figli di Karina alle scopate di Sveva. Lena aveva imparato da Caparzo come sviare l’attenzione della polizia, mettersi in mostra per nascondersi e sfruttare le tracce telematiche, inoltre aveva una mente schematica che traduceva in termini pratici le idee di Anna. Si erano sempre potute alternare per avere un alibi a turno. Se Anna pedinava Giovannino sui monti, Lena inviava il pacco ai figli di Karina, se Anna terrorizzava Giulio, Lena copriva di liquido infiammabile le candele di Nicola. La palla passava sempre dall’una all’altra, entrambe parlavano poco con i sopravvissuti e molto con Caparzo, aspettandosi sempre un segnale da parte sua, ma tranne alcune frasi sibilline dette a Lena

“Statt’accuorta, piccere’. Perché non sai mai come vanno le cose. Tu non ci pensi, ti infili in qualcosa e questo ti cade addosso”

lui non interveniva.

«Ci sta lasciando fare. Lavoriamo per lui, questo crede. Perché sa che quello che facciamo funzionerà.»

Ma non era successo. Inutili i pastelli, inutili gli spaventi, le piccole angherie, nemmeno Caparzo aveva preso sul serio le intimidazioni con cui man mano colpivano i sopravvissuti del capannone.

«Qualcuno deve farsi male» era stata la proposta di Anna.

Ma Lena aveva detto di no, era troppo rischioso, avrebbero attirato l’attenzione su di loro, la polizia si sarebbe messa di mezzo.

«Non se succede a me» aveva risposto l’altra.

Lena aveva pianificato i tempi per l’incendio, Anna si era procurata i componenti, avevano provocato la crisi di Giulio e la crisi isterica di Karina perché Caparzo sarebbe stato distratto, e così era andato in scena l’attentato allo studio di traduzione. Eppure non era servito, nessuna traccia di Alex, silenzio di Caparzo. Così la volta seguente, quando di farsi male sarebbe toccato al Rosso, Anna aveva colpito forte.

«COSA FAI?» aveva gridato Lena, ma lei aveva alzato la pietra ancora e ancora.

«Adesso vedrai che viene.»

Ma Alex non era venuta.

E nemmeno dopo il volo di Bella.

E nemmeno dopo il ritrovamento di Nicola.

E nemmeno dopo che in due avevano tenuto Giorgio sott’acqua.

Caparzo sapeva tutto, e le aveva lasciate fare.

Fino a Karina.

Non era mai stato nella divisione narcotici e non aveva grandissima esperienza di sostanze stupefacenti. Ma da tutte le confidenze fatte dai colleghi e da tutti i rapporti letti una sola cosa aveva imparato.

Controlla il respiro.

E supino nell’acqua fino al collo, intorpidito dal freddo, Francesco Caparzo respirava.

Se sapevano cosa facevano ero morto.

Un pensiero razionale a cui aggrapparsi. Qualunque cosa gli avessero iniettato non doveva essere un preparato specifico per addormentare tigri o rinoceronti, perché a quell’ora sarebbe bell’e che affogato.

La Gatteschi sapeva le cose giuste, e Donadio padre pure, loro si sono arrangiate.

Respirava e ricordava tutte le volte in cui aveva pensato “ora basta, le fermo”. All’inizio non le credeva capaci, poi, davanti al cadavere di Giovannino Marinoni, si era fatto venire un dubbio.

T’aggio insegnato tutto, e alla fine hai imparato, piccere’?

Ma dopo che la Baroni aveva recuperato le chiavi dentro al manicomio ed era successo quel che era successo alla vecchia, il dubbio era diventato una certezza.

Pure un’altra buona maestra hai avuto.

Nicola Scherillo gli aveva detto che a uccidere Vasco Zavatta era stata la Baroni, lui non aveva visto, ma le voci gli erano arrivate. Caparzo non gli aveva creduto del tutto, Scherillo era paranoico e raccontava tante belle storie. Avrebbe dovuto credergli, invece, sapeva che il suo scetticismo rappresentava una grande fetta di colpa, che quei cocci erano anche suoi.

La devo salvare.

Guardava il cielo nero sopra di lui, muoveva piano le dita delle mani, respirava e non si chiedeva chi fosse la persona che doveva salvare. Era stato lì che aveva sentito i passi

tornano

ma non erano di due persone e non venivano verso di lui, verso il canale. Avevano seguito lo scroscio pigro del fiume diretti al magazzino.

Vai via

È una trappola, vai via.

Allora il pugno si strinse.

Giulio piangeva e si lamentava

«Non voglio morire, vi prego, non voglio morire»

mentre Lena chiedeva ad Anna

«Hai una dose anche per lui?».

«Meglio fargliela con la siringa e tenermi le due fiale che ho pronte.»

Aveva allungato a Lena una borsa nera da cui aveva estratto dei guanti in lattice, una boccetta e una siringa.

«Oddio! Dio! Dio!»

aveva strillato Giulio, e Anna si era innervosita.

«Smettila, imbecille. Ma non lo hai capito che sei il solo che non possiamo ammazzare?»

Lena gli si era accoccolata accanto e lo aveva disinfettato al braccio.

«Ti ricorda niente, questo?» gli aveva detto sorridendo.

«Mi aveva disinfettato anche lei.»

«Sì, lo hai raccontato tantissime volte. Te lo giuro, noi due non avremmo saputo come occuparci di te, sei stato tu a darci l’idea. E se non avessi avuto questo colpo di testa di scappare e venire qui stanotte ti ci avremmo attirato noi. Avremmo diffuso la foto del gancio, vedi?» Lo aveva indicato con un cenno del capo mentre infilava l’ago e poi, abbassando la voce «È un simbolo».

«Allora non lo farete?»

aveva piagnucolato lui. La donna aveva scosso la testa.

«Ha preso Karina, gliel’avrà raccontata lei la storia di questo posto. E vedrai che verrà.»

Giulio iniziò a battere le palpebre.

«Perché sei così cattiva anche tu, Lena?»

Lei aveva accompagnato il lento crollo della sua testa.

«Me lo avete insegnato voi.»

Si era voltata verso Anna e l’aveva vista attenta, tesa.

«Cosa?»

«Un rumore. Non lo so. Mettiti a terra.»

Lena si sdraiò accanto a Giulio, come se a essere narcotizzati fossero stati entrambi. Anna si rimise nella posizione da cui aveva sparato a Caparzo e caricò il fucile. Puntò all’ingresso del magazzino, guardò nel mirino di precisione e rimase ad ascoltare. Sciabordio, un uccello notturno, un leggero scricchiolio.

Passi.

Puntò il fucile esattamente sulla maniglia e finalmente seppe come si era sentita Alex quella notte in cui l’aveva vista fuggire dalla gabbia e l’aveva inseguita.

Avevi ragione, brutta troia, è una sensazione bellissima.

Vide la maniglia abbassarsi, alzò di poco la canna e trattenne il fiato fino a quando il viso di Saverio non occupò tutta la visuale.

Non poteva stare in piedi, ma carponi era completamente sott’acqua, quindi Caparzo ruotava, ora sopra, ora sotto, battendo le mani sulle pareti di cemento.

C’è la scaletta, c’è sempre.

Respirava profondamente, da quando si era mosso le dita delle mani e dei piedi si erano riempite di spilli e questo era un buon segno. Non si stava snebbiando quanto voleva, aveva comunque in circolo qualcosa, un tranquillante, un antipsicotico, una miscela chimica che aveva lo scopo di tenerlo buono e possibilmente farlo affogare, e non sarebbe bastata la volontà per fargliela smaltire.

Ma non si butta giù così ’a Bestia.

Respira, France’, respira!

I piedi ogni tanto toccavano il fondo e li usava per darsi una spinta fuori e prendere a pacche la parete del canale.

È da questa parte, perché da qui m’hanno buttato.

Una convinzione basata su niente, ma che si rivelò giusta: le dita trovarono la scaletta. Toccò il metallo e alzò gli occhi su quella parete che sembrava infinita. Non si era mai fermato davanti a nulla, in vita sua, a nulla, alle mani di sua madre, al bastone di suo padre, alle cariche dei manifestanti, ai proiettili, eppure davanti a quei pioli si fermò. Sapeva di essere debole, e sapeva che se avesse mancato la presa, a metà strada come in cima, una seconda caduta lo avrebbe probabilmente ucciso. Eppure non era quello. Era che se fosse risalito in cima e avesse cercato di risolvere quello schifo avrebbe potuto fallire di nuovo, un fallimento senza appello. Lì nell’acqua era una vittima del fato, là fuori sarebbe stata colpa sua.

Poi un urlo.

Un urlo che arrivava dal magazzino.

Un urlo della sua fanciulla da salvare.

E allora non fu per lei che afferrò il primo piolo.

Ma lo afferrò.

Anna abbassò il fucile, le luci azzurrognole del magazzino che creavano un’aureola intorno alla figura del ragazzo là in fondo, sulla porta.

«Saverio.»

Fu appena un sussurro, ma sufficiente perché Lena alzasse la testa. Entrambe lo sapevano che sarebbe stato possibile, che senza dubbio sarebbe stata la mossa più intelligente da parte di Alex, mandare avanti Saverio per farsene scudo, in fondo non era quello che aveva fatto finora?

Eppure successe lo stesso.

Lena si alzò da terra mentre Anna scendeva dalla sua postazione, iniziarono a correre insieme e insieme rovinarono su di lui, come se stessero cercando di assorbirlo con i loro corpi. Il nome, mai urlato, solo sussurrato, Lena che ritrovava la consistenza del suo corpo, l’odore, il calore, Anna che lo imparava attimo dopo attimo mentre gli occhi si riprendevano tutto quello che avevano osservato nel capannone. Lui lasciava fare, lo sguardo smarrito, un pupazzo imbottito di paglia. Quattro mani gli tennero il viso, il petto, le spalle, lo trascinarono dentro, rapaci, mentre una riprendeva il fucile e l’altra gli si metteva davanti a protezione.

«Dov’è?» ringhiava Anna

ma Saverio non le stava a sentire, si guardava intorno, cercava. E poi vide Giulio. E finalmente si scosse, staccandosi da Lena che tentava di trattenerlo, andò là, vicino al grosso tubo ricurvo, si accoccolò a terra accanto all’amico e gli sfiorò il viso, le spalle, poi prese a spingerlo da un lato per rimetterlo dritto, mentre le due donne gli andavano accanto e

«Tranquillo, sta dormendo, è solo un sedativo».

«Se lo è fatto prescrivere mia madre per me, ha un amico medico»

lo rassicuravano. Così si era chinato e gli aveva dato un bacio su ogni guancia, sorridendo.

«Amore, perché non parli?» gli aveva chiesto Lena.

«Forse è un bene che tu non senta cos’ha da dire» rispose Anna per lui.

E le puntò il fucile alla testa.

Le avevano viste rientrare veloci dal canale. Cosa avessero fatto laggiù non era chiaro, ma Alex aveva tranquillizzato Saverio

«Non può essere Giulio, non ce l’avrebbero fatta a portarlo lì da sole, fidati, io lo so».

Avevano lasciato la Tiguan sulla riva del Po

«È qui che avevamo messo l’auto di Giulio»

ed erano arrivati alla chiusa risalendo l’argine, una cosa non troppo difficile, visto che il livello era basso. Avevano visto il pick-up e non c’era stato molto altro, solo una decisione da prendere. Fino a qualche minuto prima Alex era stata certa che dietro a tutto ci fosse Caparzo. Lui, il Nemico, che per ben due volte era stato sul punto di prenderla. Lo aveva immaginato lapidare Giovannino, spingere Greta, affamare Nicola e annegare Giorgio, ed era stata colta da un’amarezza profonda perché in fondo anche per lui aveva sperato. Poi le aveva viste. E vederle le aveva dato uno strano sollievo, una tregua alla disperazione e all’astio per il dolore procurato alle sue creature, che tanto amava.

Avrei dovuto prevederlo.

Loro sono irrecuperabili.

Saverio non aveva mostrato sorpresa né emozioni, le due donne della sua vita erano due assassine, eppure non gli faceva effetto.

O forse è tutto sommerso e deve ancora emergere.

«Ascolta» gli aveva sussurrato. «Abbiamo solo due opzioni. La prima è che io entri e le uccida. Non è garantito che ci riesca, non ho mai ucciso nessuno, ma lo abbiamo detto, me lo hai fatto capire tu che non si fermeranno. E questo ci porta alla seconda ipotesi, cioè che ci fermiamo tutti. Loro sono dentro con Giulio, e se non sono stupide Giulio è ancora vivo. Allora tu vai lì e dai loro quello che cercano. E ti prendi la tua libertà, io non ho più niente da insegnarti.»

Saverio aveva guardato anche lei come avrebbe poi guardato le altre due, senza espressione.

«E mentre tu le tieni impegnate io chiamo la polizia e mi consegno. Dico dove siamo, dico che ci sono anche loro, dico di venirci a prendere. Magari proprio a Caparzo, no? Loro ci prendono tutti e sarà finita.»

Saverio non le aveva fatto nessun cenno, si era solo mosso, aveva superato l’erba e aveva raggiunto la ghiaia. Alex lo guardava allontanarsi con la pistola pronta in mano e il telefono nell’altra.

Non gli faranno del male.

E Giulio è vivo.

Lo vide accanto alla porta, abbassare la maniglia ed entrare.

Attese.

Attese.

Attese ancora.

Poi sollevò il telefono, compose il 112 e sentì Lena urlare.

«Cosa stai facendo?»

«Prendo una decisione, Lena.»

Saverio guardava Anna con gli occhi sgranati e istintivamente si spostò davanti a Giulio.

«No, lui non lo tocco, stai tranquillo. È una cosa tra me e lei, una delle due è di troppo.»

Lena aveva alzato le mani lentamente.

«No, amore, non è che ti puoi arrendere, non funziona così. È proprio che non posso lasciarti in vita, capisci? Sai un mucchio di cose, e se anche la polizia dovesse trovare le intercettazioni di Caparzo, senza di te le cose sarebbero immensamente più facili, per me e Saverio.»

Aveva fatto scattare il fucile e Lena aveva gridato.

«NON URLARE, CRETINA! VUOI CHE QUELL’ALTRA ENTRI? DAVVERO? NON LO SAI CHE È QUA FUORI AD ASPETTARE IL MOMENTO BUONO!»

«Ti prego, Anna... ti prego...»

«Tanto devo farvi fuori tutte e due, non importa in che ordine. Preferisci farti uccidere da lei? Sei libera di uscire.» Poi si era rivolta a Saverio. «Tu non guardare, non sarà un bello spettacolo.»

«Anna, ti prego, TI PREGO!» gridava Lena, e Anna avanzava, un passo, due passi. «NON MI FARE QUESTO! NON MI FARE QUESTO! SAVERIO, AIUTAMI!»

Ma Saverio non si muoveva, sempre attaccato a Giulio, sempre con quegli occhi vacui e colmi di terrore. Così Lena aveva cominciato a correre e a gridare

«AIUTO! AIUTO!»

e sì, Alex era entrata e aveva spianato la pistola, esplodendo un colpo.

Anna si era buttata a terra un attimo prima che dietro di lei, da qualche parte, un pezzo di intonaco si staccasse. Saverio si era coperto le orecchie. E Lena aveva affondato nella pancia di Alex una spanna di lama di puro acciaio texano.

Del resto, chi non ha un coltello a serramanico, su un pick-up?