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@SUSSEXROYAL

Per il loro primo anniversario di matrimonio, Harry e Meghan si concessero un tradizionale pranzo domenicale con Doria, il suo ultimo pasto prima di tornare a Los Angeles. Le cinque settimane a Frogmore erano volate e ora doveva tornare al lavoro.

Meghan era grata per l’affetto e il sostegno che sua madre le aveva riservato nelle ultime settimane di gravidanza e nelle prime della vita di Archie. Come osservò un’amica all’epoca: «Meg si è adattata facilmente alla maternità, ma di sicuro le è stato utile avere Doria a cui chiedere un secondo parere. È tutto così nuovo per lei». Inoltre la presenza della sua famiglia in quel periodo fu importante per condividere i primi ricordi del neonato.

Il 19 maggio 2019 Harry fece una sorpresa alla moglie regalandole un anello che aveva creato con Lorraine Schwartz, la gioielliera delle star e una delle preferite di Meghan. La fascia di diamanti etici rendeva omaggio alla loro famiglia con all’interno le pietre di nascita di Meghan, Harry e Archie (rispettivamente peridoto, smeraldo e zaffiro). «Harry voleva che fosse un dono speciale» dichiara Lorraine. «È la persona più amorevole del mondo. Molto romantico, molto premuroso.» (Tanto che il principe pensò anche di chiedere alla gioielliera di ridimensionare e rincastonare l’anello di fidanzamento di Meghan con una nuova fascia di diamanti.)

I Sussex non avrebbero mai immaginato che il primo anno sarebbe passato così in fretta e che avrebbero raggiunto tanti traguardi in un periodo tanto breve. «Il loro sogno era festeggiare il primo anniversario di matrimonio da genitori, ma sapevano che non sempre le cose vanno secondo i piani» rivela una fonte vicina alla coppia. «Si sentono entrambi incredibilmente fortunati. Meghan ringrazia Dio ogni giorno per aver dato loro Archie. Stentavano a credere di avere con sé all’improvviso quel bellissimo bambino. C’è stato un momento in cui si sono guardati come se volessero dire: “Ce l’abbiamo fatta”. D’un tratto erano in tre.»

Nelle prime settimane dopo la nascita del bambino Harry e Meghan ricevettero le visite di amici da ogni parte del mondo. Jessica e sua figlia Ivy fecero un viaggio a Londra e trovarono il tempo di andare a conoscere Archie. Anche Serena, Alexis e la loro figlia Alexis Olympia furono ospiti dei duchi per un pomeriggio. Li andarono a trovare anche Charlie van Straubenzee e Daisy Jenks. Trascorsero qualche ora con i duchi anche Ellen DeGeneres e Portia de Rossi, che si fermarono per un pomeriggio in agosto. «Una coppia tenerissima e con i piedi per terra» commentò Ellen in seguito.

E ci furono le visite di molti parenti prossimi e membri della famiglia allargata. William e Kate arrivarono otto giorni dopo la nascita di Archie, senza i figli. Lady Sarah e Lady Jane portarono dei regali, come Celia McCorquodale, la cugina di Harry, e suo marito George Woodhouse. E un «emozionato» principe Carlo fece due visite, una da solo e una con Camilla.

Carlo fece il possibile per vedere Archie tutte le volte che gli impegni glielo permettevano, andando a trovarlo in tre occasioni nei suoi primi quattro mesi di vita. Anche se ora Harry e suo padre erano più vicini che mai, gli obblighi reali impedivano loro di vedersi regolarmente. Carlo tendeva a partecipare più spesso ai grandi eventi di famiglia. «I membri della Royal Family non si scambiano visite di cortesia e non si messaggiano per chiedere se vada tutto bene» spiega una fonte. «Sono molto formali.»

La bisnonna «Gan-Gan» (come i figli dei Sussex e dei Cambridge chiamano la regina) vide Archie molto più spesso. Il fatto che trascorresse parecchio tempo nella tenuta di Windsor (i suoi appartamenti nel castello sono a circa un chilometro e mezzo dal Frogmore Cottage) rendeva tutto assai più facile. Il neonato ricevette diverse visite anche da Eugenie e Jack.

Benché all’inizio Harry e Meghan avessero deciso di rinunciare a una baby-sitter a tempo pieno, non appena Doria tornò a Los Angeles, assunsero una tata notturna che aiutasse a regolarizzare i ritmi del sonno di Archie e a svolgere altre mansioni. La donna tuttavia rimase a Frogmore per un periodo brevissimo. I duchi furono costretti a licenziarla la sua seconda notte di lavoro, giudicandola irresponsabile e poco professionale.

Ne assunsero una seconda, che si rivelò molto brava, ma a causa dell’incidente con la prima, nessuno dei due riusciva a dormire di notte senza andare regolarmente a controllare Archie. Dopo qualche settimana decisero di accudire il bambino da soli e rinunciarono alla tata notturna, ingaggiando invece una baby-sitter per i giorni infrasettimanali. La donna entrò a far parte dello staff di Frogmore, che consisteva di un’assistente e una governante, nessuna delle quali viveva nel cottage.

Harry e Meghan non volevano una casa affollata di dipendenti. Il principe aveva visto quella situazione a casa di William (i Cambridge hanno una governante e una tata a tempo pieno che vivono con loro) e non desiderava la stessa cosa per la sua famiglia. Lui e Meghan amavano l’idea di restare soli con Archie quando andavano a dormire la sera. Un’atmosfera intima e raccolta.

La mattina, di solito Harry si preparava il caffè. Quando fissavano delle riunioni con lo staff intorno al grande tavolo della cucina, spesso era Meghan a fare il tè e a mettere cioccolatini o palline energetiche su un vassoio per offrire uno spuntino.

Meghan rimase in maternità per tutta l’estate, facendo solo apparizioni intermittenti in occasione di pochi impegni selezionati e inderogabili, e uscendo per gli eventi di famiglia. L’8 giugno, il Trooping the Colour, la parata ufficiale per il compleanno della regina, fu il suo primo impegno postparto. Harry rinunciò ai quindici giorni di congedo di paternità previsti nel Regno Unito, limitandosi a uno o due impegni alla settimana per rispettare gli appuntamenti fissati in precedenza e mantenere alta l’attenzione del pubblico sulle cause che stavano a cuore a lui e a Meghan. Non c’erano molte cose che riuscissero ad allontanare i neogenitori dal figlio. Harry si rese conto quasi subito della rapidità con cui crescono i bambini quando parlò di Archie agli amici. «Quando l’abbiamo portato a casa era minuscolo, ma è già diventato grande!»

Tuttavia, aiutare altri bambini meno fortunati diventò una priorità ancora più importante per la coppia. Il 9 maggio Harry volò nei Paesi Bassi per lanciare il countdown ufficiale degli Invictus Games, che si sarebbero tenuti a L’Aia di lì a un anno. Cinque giorni dopo andò a Oxford per dare visibilità al lavoro condotto in un ospedale pediatrico e visitare il centro ricreativo per disabili OXSRAD, che sua madre aprì nel 1989.

Il 24 maggio partì per Roma, dove si fermò due notti per partecipare alla Sentebale ISPS Handa Polo Cup. Dalla sua fondazione nel 2006, l’ente offre istruzione, assistenza sanitaria e programmi psicosociali per aiutare i bambini vittime dei pregiudizi contro l’AIDS e l’HIV. Organizza anche club, campi e programmi per oltre 4600 adolescenti costretti a convivere con il virus, ospitando più di duemila bambini nel Mamohato Children’s Centre nel Lesotho.

Per William e Harry, le partite di polo erano uno strumento essenziale per raccogliere fondi destinati alle loro iniziative filantropiche. Harry, un giocatore appassionato, si era preparato all’evento per due settimane montando regolarmente il suo cavallo nel Windsor Great Park. E gli sforzi furono ripagati. La sua squadra vinse 9 a 6. Durante la partita e il ricevimento serale al St Regis Hotel, dove il principe soggiornò per due notti, raccolsero oltre un milione di dollari.

Quella sera, durante una cena privata, Harry spiegò cosa sperava di raggiungere con la Sentebale. «Questi bambini ricevono aiuto e sostegno perché capiscano che l’HIV non è più una condanna a morte, che non sono soli in questa battaglia e che possono vivere davvero, anziché limitarsi a sopravvivere» disse. «Il nostro campo non solo offre a questi giovani la fiducia e le rassicurazioni di cui hanno bisogno per convivere con l’HIV, ma li incoraggia a parlare del virus e a spronare i coetanei a conoscerlo e a prevenirne la diffusione.»

Prima della partita Nacho Figueras – ambasciatore della Sentebale, nonché caro amico e compagno di squadra di Harry – sottolineò quanto il principe fosse già cambiato grazie alla paternità. «Sembra molto, molto felice» osservò Nacho. «Era pronto, e credo che sia entusiasta. Ho sempre pensato che sarebbe stato un padre fantastico, perché ha una grande affinità con i bambini.»

Come Nacho fece notare durante l’intervista, Harry, che a casa si alzava dal letto per dare il biberon ad Archie, ebbe la sua prima notte di sonno ininterrotto dopo la nascita del figlio proprio durante quell’evento. La conversazione, però, prese un’altra piega quando un reporter chiese: «Non sono tanti i padri che vanno all’estero due settimane dopo l’arrivo di un bebè. Cosa ne pensa la madre?».

«Come osa quel tipo dire una cosa simile? Harry ama suo figlio e si è allontanato da casa per ventiquattr’ore per raccogliere fondi destinati a migliaia di bambini vulnerabili in Africa» si infuriò Nacho sulla CBS qualche giorno dopo. Il giocatore di polo non era l’unico a essere indignato per le insinuazioni. Il team di Harry a Palazzo era arrabbiato, perché gli sforzi del principe contro la crisi dell’AIDS non solo miravano al bene comune, ma tenevano anche vivo il ricordo di Lady D.

«Dopo che mia madre e molti altri hanno condotto per anni campagne contro questa epidemia, finalmente siamo a un punto di svolta» affermò Harry all’epoca. «O finiamo ciò che abbiamo iniziato e risolviamo questo problema una volta per tutte, o affrontiamo l’umiliazione di accontentarci e di permettere al virus di tornare alla carica proprio quando stiamo cominciando a sconfiggerlo.»

Per lui era una missione profondamente personale, perché rappresentava la possibilità di proseguire il lavoro che la principessa Diana non aveva potuto ultimare. «La nostra speranza è che la presente sia la generazione capace di cancellare questo stigma» continuò. «Sarà la generazione che parlerà di sesso sicuro, che sosterrà chi convive con l’HIV e che impedirà una volta per tutte la sua diffusione.»

I rimproveri che il principe ricevette per essere andato a Roma dopo la nascita di suo figlio erano niente rispetto alle critiche di cui i Sussex furono bersaglio dopo i loro viaggi estivi. I problemi iniziarono quando Harry, noto per la sua coscienza ambientalista, si servì di un jet privato per raggiungere tre diverse destinazioni in un mese.

La prima tappa fu il Google Camp, un evento di tre giorni, organizzato nell’ultima settimana di luglio in un’esclusiva località marittima siciliana, dove imprenditori d’alto profilo, star del cinema e filantropi come Barack Obama e Leonardo DiCaprio unirono le forze contro il cambiamento climatico. Il gigante tecnologico pagò tutte le spese, inclusi i viaggi di andata e ritorno. In un primo momento Harry aveva deciso di prendere un volo di linea, partendo e rientrando nello stesso giorno, ma durante l’evento accettò un passaggio a Londra sul jet privato di un altro ospite per fermarsi un giorno in più e discutere del suo lavoro durante un’iniziativa fuori programma per il turismo sostenibile.

Dopo il trentottesimo compleanno di Meghan il 4 agosto, i Sussex partirono da Londra per Ibiza, dove alloggiarono in un lussuoso complesso privato. Da lì usarono il jet di Elton John per volare a Nizza. Il cantante li aveva invitati a stare a casa sua per un po’.

Scoppiò un pandemonio per la cosiddetta ipocrisia del principe, che apparentemente esaltava le virtù della tutela ambientale e poi viaggiava su jet privati ad alto consumo di carburante. Per non parlare del fatto che all’inizio dell’estate i duchi avevano deciso di non andare a trovare la regina a Balmoral, accampando – a quanto si diceva – il pretesto che Archie era troppo piccolo per il viaggio. Alcuni giornalisti ci sguazzarono, definendolo un affronto.

Elton John prese subito le loro difese, dichiarando che aveva pagato di tasca propria il volo e la compensazione delle relative emissioni di carbonio (una pratica che consente ai passeggeri di investire in progetti come pannelli solari e foreste sostenibili, grazie ai quali si elimina la stessa quantità di anidride carbonica liberata nell’aria dal volo privato).

«Chiedo alla stampa di interrompere queste accuse false e implacabili contro di loro, inventate di sana pianta quasi ogni giorno» twittò il cantante.

Con la controversia che raggiungeva l’apice pochi giorni prima del lancio di Travalyst, l’iniziativa per il turismo sostenibile a cui Harry lavorava da quasi un anno, il principe rimpianse di non aver ascoltato i consigli di Sara. La collaboratrice l’aveva avvertito di una potenziale bufera mediatica se fosse tornato con un jet privato dal Google Camp, a cui aveva partecipato per presentare Travalyst in anteprima. Quando Harry commetteva un errore, era il primo ad ammetterlo.

Buckingham Palace non fece commenti, il che non fece altro che rafforzare il desiderio dei Sussex di cambiare modello di lavoro. Alla base dei loro problemi c’era l’impossibilità di parlare in prima persona, affidandosi invece alla lenta e ingombrante macchina della monarchia. Per una donna americana indipendente come Meghan, era particolarmente frustrante, il che spiega perché fosse così entusiasta dell’account Instagram @SussexRoyal che lei e Harry avevano reso pubblico nella primavera precedente.

«Il lancio dell’account è stata un’esperienza liberatoria per Meghan» rivela un aiutante di Palazzo. «Non avere una piattaforma tutta sua per parlare direttamente con il pubblico è stato uno dei cambiamenti più duri per lei, soprattutto dopo aver in gran parte costruito il suo brand su Instagram e sul suo blog. @SussexRoyal le offre finalmente uno spazio in cui raccontare le sue attività.»

I duchi cominciarono a progettare l’account più o meno nel periodo in cui annunciarono che avrebbero ottenuto un ufficio tutto loro sotto gli auspici di Buckingham Palace. Instagram non era una novità per il Palazzo. William, Kate e Harry avevano creato @KensingtonRoyal nel 2015. Quando Meghan sposò Harry, iniziò a postare anche sull’account condiviso. Persino la regina aveva usato l’account @TheRoyalFamily pubblicando il suo primo post (una foto degli Archivi reali del British Science Museum) nel marzo del 2019.

Per il duca e la duchessa di Sussex, la piattaforma social non era solo uno strumento per raggiungere una nuova generazione di royal watchers.

«Le persone possono ricevere le notizie direttamente da noi» disse Meghan a una delle prime riunioni preparatorie con lo staff, durante la quale lei e Harry scelsero la sfumatura perfetta di blu per il loro branding. Oltre a decidere che le foto avrebbero sempre dovuto avere il bordo bianco, all’inizio Meghan ideò personalmente molti post. Fu una delle attività che la tennero occupata negli ultimi giorni della gravidanza.

David Watkins, l’esperto social media manager della coppia, che si era trasferito da Burberry all’ufficio reale, fu avvistato spesso agli impegni dei duchi, intento a fotografare contenuti esclusivi. I Sussex, infatti, volevano che l’account fosse informale e accessibile. David era stato raccomandato da Isabel May, ex responsabile delle comunicazioni di Burberry e una delle migliori amiche di Meghan nel Regno Unito da quando Markus le aveva presentate nel 2017. Isabel («Izzy», per gli amici) era una stretta confidente della duchessa, nonché una delle madrine di Archie, e andava regolarmente al Frogmore Cottage. Diventò una delle poche persone in Gran Bretagna a cui Meghan sentiva di poter raccontare «qualunque cosa».

Per l’account, i Sussex lavorarono con un aiutante di Palazzo per creare una presentazione di fotografie inedita delle loro nozze la settimana precedente il primo anniversario. Si divertirono a ricordare i momenti fissati sulla pellicola un anno prima e a guardare alcuni videoclip di quel giorno speciale per la prima volta da quando l’avevano vissuto.

Instagram diventò ben presto una parte vitale della loro nuova strategia mediatica. Superarono il papa, battendo il record mondiale di un milione di follower raggiunti nel giro di ventiquattr’ore. In realtà, nel giro di un giorno, ne contavano già due milioni e centomila. E tennero il passo con l’account di William e Kate, che rimase @KensingtonRoyal.

«Ci è voluto un po’ di tempo, ma comincio a vedere il segno di Meg su molte cose» osservò un’amica. «Certe volte i post dell’account mi ricordano il periodo di The Tig, e lo adoro. La sua voce diventa ogni giorno più forte.»

Pur essendo uno strumento efficace per controllare la propria immagine, @SussexRoyal era anche uno spazio per condividere alcuni momenti importanti, per esempio quando conobbero Jay-Z e Beyoncé a Londra, alla prima europea del Re leone a Leicester Square il 14 luglio. Quando Beyoncé le strinse la mano dicendo: «Vi vogliamo bene, ragazzi», Meghan sentì che era valsa la pena di programmare accuratamente quell’uscita di tre ore tra una poppata e l’altra.

Quell’occasione è un altro esempio di come le informazioni su Harry e Meghan siano state travisate.

Scherzando sul red carpet con Bob Iger, l’allora amministratore delegato della Disney, il principe disse: «Sai che fa anche doppiaggi?». Si riferiva a Meghan, che aveva accettato di essere la voce narrante di La famiglia di elefanti, un documentario di Disneynature. Qualcuno realizzò un video e, quando la clip venne a galla nel gennaio del 2020, i tabloid la spacciarono per una dimostrazione di come la coppia si fosse «venduta» a un dirigente di Hollywood. In realtà, Meghan aveva già firmato l’accordo, secondo cui sarebbe andata in sala registrazione nell’autunno del 2019 in cambio di una donazione della Disney all’organizzazione ambientalista Elephants Without Borders.

Instagram costituiva un altro strumento per pubblicizzare i loro enti e patrocini benèfici, per esempio il Diana Award National Youth Mentoring Summit, durante il quale Harry tenne un discorso il 2 luglio. «Essere un mentore e un modello di comportamento può aiutare a guarire le ferite del proprio passato e a costruire un futuro migliore per qualcun altro» disse. «Su un piano più personale, è la capacità di cambiare il corso di una vita, di essere la stella polare per un giovane che ha difficoltà a trovare la sua strada.»

Harry e Meghan amavano annunciare in anticipo i loro obiettivi, cosa che ora potevano fare almeno in certa misura. «Erano contenti di poter gestire la loro immagine» rivela una fonte, il che spiega perché per loro fu molto triste dover accettare di avere un ufficio a Buckingham Palace invece di crearne uno autonomo a Windsor, come avrebbero voluto.

Harry, che desiderava fare molte cose nel mondo, era sempre più frustrato al pensiero che le loro iniziative e priorità sembrassero spesso secondarie rispetto a quelle di altri membri della famiglia. Benché avessero entrambi un grande rispetto per la gerarchia dell’istituzione, era difficile rassegnarsi quando volevano promuovere un determinato progetto e si sentivano dire che un membro di grado più elevato, fosse esso William o Carlo, avrebbe annunciato un’iniziativa o un tour nello stesso momento e che dunque avrebbero dovuto aspettare.

Più la loro popolarità cresceva, e meno capivano perché a Palazzo fossero così in pochi a curare i loro interessi. Dopotutto erano un grande richiamo per la Royal Family. Secondo un articolo del New York Times che confronta la popolarità online dei Sussex con quella dei Cambridge dal novembre del 2017 al gennaio del 2020, «le ricerche legate a Harry e Meghan rappresentano l’83 per cento della curiosità mondiale verso le due coppie».

I Sussex cercarono di sfogare privatamente l’esasperazione ma, oltre a non portare da nessuna parte, le conversazioni finivano di solito in mano ai giornali britannici. A quel punto potevano fidarsi solo di pochi collaboratori del Palazzo: oltre a Sara, il responsabile delle comunicazioni James Holt, la segretaria addetta alle comunicazioni Marnie Gaffney (nominata dalla regina membro del Royal Victorian Order, un’onorificenza che riconosce il servizio personale alla sovrana o ai membri della famiglia reale, durante un’investitura nel giugno del 2019) e la segretaria privata Samantha Cohen, la loro collaboratrice di grado più elevato. Al di fuori di questo nucleo, nessuna informazione era al sicuro. Un amico della coppia chiamò «vipere» i componenti della vecchia guardia. Nel frattempo un funzionario esasperato dello staff reale definì il team dei Sussex «il terzo incomodo» del Palazzo.

Era questo il contesto disfunzionale in cui, alla fine di settembre, Harry, Meghan e Archie, che all’epoca aveva venti settimane, volarono a Città del Capo per iniziare un royal tour di quattro paesi nell’Africa meridionale.

Nella township di Nyanga, i Sussex ricevettero un caloroso benvenuto dagli artisti e dai giovani del posto, che si erano riuniti per chiacchierare, danzare e abbracciarsi. L’atmosfera era molto diversa dal clima negativo che la coppia aveva respirato per l’intera estate.

Non ci furono atterraggi in aeroporto con tanto di red carpet, come accade di solito durante le visite reali ufficiali. Quel tour di dieci giorni fu più familiare e informale. Di comune accordo con Harry, Meghan – il cui guardaroba consisteva di capi semplici, che aveva scelto perché erano comodi o li aveva indossati per precedenti impegni reali – aveva lasciato l’anello di fidanzamento nel Regno Unito. Il loro obiettivo non era far colpo sulle persone con il loro stile di vita, bensì instaurare un legame autentico con la gente del luogo.

«Ci tengo solo a dire che, pur essendo qui con mio marito e come membro della Royal Family» disse Meghan nel suo discorso alla township di Nyanga, «sono qui con voi come madre, come moglie, come donna, come donna di colore e come vostra sorella.»

Il viaggio diede inoltre al mondo l’opportunità di vedere Archie per la prima volta dopo il battesimo del 6 luglio nella cappella privata della regina al castello di Windsor. Alla cerimonia – a cui avevano partecipato ventidue ospiti, tra cui i Cambridge, Carlo e Camilla, Doria, le sorelle di Diana, i padrini, le madrine e alcune amiche come Genevieve e Lindsay –, Archie aveva indossato lo stesso abitino da battesimo già utilizzato da George, Charlotte e Louis. Il vestitino di pizzo Honiton è una riproduzione di quello che la regina Vittoria ordinò per la sua primogenita, poi usato da sessantadue royal babies – compresi cinque monarchi – in centosessantatré anni. Il battesimo di Archie era stato un evento assolutamente riservato, il che aveva suscitato le ire dei media, abituati a essere presenti all’arrivo degli ospiti. Per giorni, i reporter avevano ripetuto che la cerimonia aveva «violato la tradizione» e trasgredito a un tacito accordo della famiglia reale con i contribuenti, che finanziano parzialmente la monarchia. «Abbiamo il diritto pubblico di vedere Archie» aveva dichiarato un opinionista in un programma mattutino. Non che a Meghan importasse. «Le stesse persone che mi hanno insultata vogliono che serva loro mio figlio su un piatto d’argento» aveva detto a un’amica. «Un bambino che non godrà di alcuna protezione e che non ha un titolo. Che senso ha? Vallo a raccontare a qualunque madre del mondo.»

Allo stesso modo, i Sussex tennero i trecentottanta giornalisti assegnati al tour africano lontani dall’incontro privato con l’arcivescovo Desmond Tutu, preferendo invece scattare da sé la foto da pubblicare. A quasi cinque mesi, Archie (o «Bubba» o «Arch», come amano chiamarlo i suoi genitori) gorgogliò e sorrise per la gioia dell’ecclesiastico anglicano.

Per il bene del neonato, Meghan restò in Sudafrica con due aiutanti di Palazzo per tutta la durata del tour, lasciando che Harry andasse da solo in Malawi, Angola e Botswana. In Angola il principe accese i riflettori sulla rimozione delle mine antiuomo, continuando il lavoro iniziato da sua madre nel 1997 (quando, com’è noto, Lady D attraversò un campo minato bonificato dall’HALO Trust per attirare l’attenzione sulla tragedia dei residenti gravemente feriti dagli ordigni esplosivi improvvisati). Il lavoro di Diana non fu vano: un anno dopo la sua morte fu siglato un trattato internazionale per la messa al bando di tutti gli IED (Improvised Explosive Device) e nel 2013 Harry promise di proseguire lungo la strada intrapresa dalla madre.

Gli impegni lavorativi di Meghan erano scanditi dalle poppate e dai sonnellini. «È impegnativo, ma ogni momento è prezioso» confidò a un’amica. L’estate precedente Archie aveva cominciato a frequentare corsi di nuoto neonatale (dopo che i suoi genitori avevano guardato ansiosamente alcuni video su YouTube su come i neonati trattengono il respiro sott’acqua). Durante il viaggio il bambino continuò a imparare cose nuove, per esempio a imitare i versi degli animali durante il soggiorno nella residenza dell’alto commissario a Città del Capo.

Dopo aver percorso più di ottomila chilometri in cinque giorni (la distanza maggiore che l’avesse mai separato da Archie), Harry tornò dalla moglie e dal figlio. Pur rilasciando qualche dichiarazione alla stampa, il più delle volte evitò i giornalisti. Anche se era soddisfatto della positiva copertura mediatica del tour, faticava a essere cordiale con i rappresentanti di pubblicazioni che, a suo parere, avevano passato gran parte degli ultimi due anni e mezzo a scrivere articoli negativi, se non addirittura menzogneri, su sua moglie e sulla sua famiglia. Per nove di quei dieci giorni tenne per sé i suoi pensieri. Ma la verità venne a galla il 2 ottobre, quando fece una dichiarazione bomba che pochi avevano previsto.