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Il grosso dell’armata turca puntò verso meridione mentre le forze della retroguardia si attardavano lungo la costa per seminare il terrore, come la scia di una cometa nefasta. Furono catturati circa settecento schiavi cristiani e decapitati molti notabili, religiosi e ribelli. Sinan venne a sapere dell’incendio del castello di Montiano, della presa di Porto Ercole e pure della terribile minaccia scampata da Civitavecchia. Il Barbarossa non aveva scordato che la spedizione contro Tunisi di dieci anni prima era salpata proprio da quella città marinara, base delle galee pontificie, ed era stato tentato dal desiderio di vendetta. Ma lo Strozzi era riuscito a dissuaderlo.

«Non è stato facile convincerlo ad abbandonare l’impresa», confessò il fiorentino, aggiornando Sinan sugli ultimi avvenimenti. «Dopo la confessione del Sufi, l’amír soppesa ogni mia parola con diffidenza».

Il giovane si appoggiò a un parapetto della fiancata, godendosi il sole del tardo mattino. Lo stesso sole che stava facendo annaspare i remieri della Lionne. Il sacrificio di Omar era una ferita ancora aperta, d’altro canto era valso a custodire il segreto della chiave cilindrica, benché Sinan continuasse a ignorarne il significato. Non riusciva a comprendere come quel piccolo oggetto potesse aiutarlo a interpretare la mappa d’argento. Forse a Marmosolio, si disse, avrebbe intuito il da farsi. «Quindi», interpellò l’amico, «come siete riuscito a convincere l’amír?»

«Gli ho fatto capire che assediare Civitavecchia ci avrebbe esposti a un agguato del nemico». Il cavaliere di Malta corrugò la fronte. «Ma questo è stato il minimo. Ho dovuto anche placare la sua inquietudine riguardo l’assenza prolungata di Nizzâm. Per il momento, ho eluso i suoi sospetti ventilando l’ipotesi che il luogotenente sia stato intercettato dal Doria lungo la rotta del ritorno».

«Non avrei saputo inventare menzogna migliore».

Il fiorentino annuì distratto, come se non avesse più intenzione di proseguire il discorso.

Sinan lo scrutò incuriosito. «Ultimamente vi vedo strano».

«Ormai siamo a un passo dal Rex Deus», si giustificò l’uomo. «Inoltre, la mia vendetta si avvicina».

Il giovane scosse il capo. «Non intendevo in quel senso». Studiò le pieghe intorno alla sua bocca e sulla fronte, soffermandosi sulle pupille leggermente vacue. «Dite la verità, vi è costato molto separarvi da quella donna».

Il cavaliere di Malta si voltò verso il mare. «Non dite idiozie».

«Ho visto come la guardavate mentre saliva sulla scialuppa». Gli ammiccò un sorriso. «Avete posato la mano sull’elsa della spada almeno un paio di volte».

«Tacete, non intendo parlarne».

«Aveva detto di amarvi», continuò invece Sinan, cercando di aprirsi un varco in quei modi scostanti. «Ma voi vi siete rifiutato di incontrarla. Perché?».

Lo sguardo dello Strozzi restò fisso sul mare, poi fu attratto da un volo di gabbiani e per un attimo parve invidiare la loro leggerezza. «L’amore non basta», disse infine, seguendo il volteggiare di quelle ali bianche.

«Non capisco».

L’uomo si voltò di scatto e lo guardò con amarezza. Trasudava una velata ostilità, una rabbia covata da giorni. «Vi avevo chiesto di non salvare nessun altro da quella dannata nave», sbottò con voce secca. «Nessun altro!», e all’improvviso lo colpì al petto.

Il giovane arretrò d’un passo, disorientato da quel gesto. Non si trattava di una provocazione e nemmeno di un ammonimento. Il compagno l’aveva appena reso partecipe di un’intima sofferenza. La amava, ora ne era certo, ma nella pressione del suo tocco aveva percepito anche la ritrosia di chi agisce a ragion veduta. La ritrosia di chi vuole essere leggero come un gabbiano, lontano dalle trappole e dagli abbracci di una donna. Il cavaliere di Malta sembrava pagare di buon grado il prezzo del distacco, pur di solcare i mari della vendetta senza dover tornare a terra, dove l’ira e l’onore rischiavano di svanire sotto le coltri di un letto caldo.

Sinan si limitò ad annuire, solidale, e come risposta ottenne un cenno di apprezzamento. «Lei starà bene?», gli chiese poi.

«Nessuno la toccherà con un dito fino a Costantinopoli», rispose lo Strozzi, prendendo congedo. «Verrà donata al sultano».

Quando Sinan entrò nella cabina, esitò un attimo sull’uscio prima di scorgere la ragazza tra le ombre. Padre Maurand le aveva lasciato quello spazio a completa disposizione e si era ritirato in un alloggio più piccolo e modesto, invaso dal tanfo della sentina. Un nobile gesto, aveva commentato lo Strozzi, pur sapendo che dietro quella decisione c’era stato un pressante – e minaccioso – interessamento del figlio del Giudeo.

Isabel pareva la personificazione della melanconia. Seduta sulla cassapanca con i ricci neri sciolti sulle spalle, sfogliava un voluminoso libro a stampa, il volto segnato dal dolore per la perdita della compagna. In attesa di un suo cenno, il giovane la contemplò in silenzio e si rammaricò di non aver potuto fare nulla per evitarle un simile dispiacere.

Le rivolse un tacito saluto e cercò di ignorare la consueta stretta allo stomaco che preludeva a ogni loro incontro. «Notizie sulla vostra compagna», le disse per consolarla, facendosi avanti. «Non le sarà fatto alcun male».

«Cosa ne sapete, voi?»

«È stata promessa in dono al sultano».

«Promessa in dono», ripeté lei, con sarcasmo. «Come un cavallo».

Sinan aprì le braccia, costernato. «Non era in mio potere evitarlo».

«Me lo avete già detto una volta». Isabel gli rivolse un’occhiata di rimprovero. «Non siete uso a esporvi per donne qualsiasi».

«Non siate ingiusta. Quando ho scoperto che il Barbarossa aveva scelto lei, e non voi, ho ringraziato il cielo. E lo faccio tuttora, rendendomi conto che siete sana e salva al mio cospetto. Se avessi provato a riscattare la vostra compagna, la scelta dell’amír sarebbe potuta ricadere su di voi».

Per tutta risposta, Isabel scagliò il libro a terra e parve in procinto di esplodere in una crisi di rabbia. Invece si portò le mani al volto. «Non capite...», singhiozzò. «Lei non mi perdonerà mai...».

Sinan le si inginocchiò dinanzi per asciugarle le lacrime con la punta delle dita, poi restò a contemplarla. «Non piangete, madonna», sussurrò, sedotto dalla perfezione dei suoi lineamenti. «Esistono destini ben peggiori...».

Lei scoprì lo sguardo, le mani fra i capelli, e sembrò leggergli dentro. «Alludete all’uomo giustiziato sull’ammiraglia, vero? L’uomo vestito di bianco. Chi era?»

«Un amico. Forse l’unico di cui potessi fidarmi, benché l’abbia incontrato una volta soltanto. Mi ha raccontato cose incredibili su mio padre e sui suoi avi... I miei avi. Cose che neppure immaginavo».

«E non avete fatto nulla per salvarlo?».

Sinan fu tentato di zittirla con un’esclamazione secca, ma si trattenne. «Isabel, non potete capire». Si alzò in piedi, le grida di Omar echeggiavano ancora dentro di lui. «Io sono la cosa più simile all’anticristo che abbia mai messo piede sulla Terra».

Lei si ritrasse. «Mi spaventate».

La mente del giovane era tormentata dal rimorso e dall’orrore per la morte. «Non lo siate, mia cara». Moderò il tono della voce. «Ciò di cui parlo non si riassume in termini di malvagità. Riguarda la missione di una confraternita che da quindici secoli nasconde un segreto talmente importante da poter svelare la grande menzogna della fede cattolica. Il segreto del Rex Deus».

«Ma cosa significa? Di quale menzogna state parlando?»

«La menzogna dei dogmi della Chiesa. La menzogna di una fede basata su incertezze».

Isabel parve prendere gradualmente coscienza di quelle parole e ne fu scossa. «E secondo voi questo segreto... questo Rex Deus... potrebbe annientare il sacro istituto della Madre Chiesa?», disse incredula. «Togliereste davvero la speranza e il conforto a tutti i suoi devoti?».

Fino ad allora Sinan non si era mai posto quella domanda, aveva agito soltanto per interesse personale, senza meditare sul valore intrinseco del Rex Deus. All’improvviso veniva messo di fronte agli sconvolgimenti che avrebbe potuto causare rivelando al mondo un simile mistero, e si chiese se fosse giusto farlo. Per trovare la risposta gli sarebbe servita la saggezza del templare Aloisius, e con rammarico si rese conto che tutte le persone in grado di aiutarlo – Tadeus, Omar e suo padre – erano scomparse per sempre. Era solo, di fronte a un enigma senza soluzione. Solo di fronte a lei. Lungi dal lasciar trapelare la propria titubanza, alzò le spalle e si rifugiò nell’ombra. «Preferireste vivere nella menzogna?», controbatté, per non restare in silenzio.

«Parlate di menzogna con troppa facilità», lo ammonì la ragazza. «Nessun mortale è davvero in grado di discernere il vero dal falso. Ci è concesso soltanto di riporre fede in Dio e di andare alla ricerca della Sua volontà. Todo modo».

«Parlate come un gesuita», la schernì.

«E voi come un uomo senza fede».

Sinan emise una risata nervosa. «Io ripongo fede soltanto nella vendetta su Jacopo V Appiani, l’uomo che mi ha ingannato, umiliato, e che ha ucciso mio padre facendomi assistere impotente alla sua morte. Non gli perdonerò mai un simile misfatto, e in un modo o nell’altro giuro che gliela farò pagare».

Isabel parve molto impressionata, ma anche amareggiata. «Il vostro cuore è adombrato dall’odio. Non vi importa di nient’altro oltre alla vendetta?»

«Ci siete voi, Isabel». Il giovane le si avvicinò di nuovo, incapace di trattenere l’ardore. «Ci sono i sentimenti che provo nei vostri confronti e la speranza che possiate condividerli».

La donna arrossì. «Volete confondermi...».

«Siete voi a confondermi», insistette lui, accarezzandole le gote per asciugarle l’ultimo accenno di lacrima. Un gesto audace, calcolato. «Sento ancora il sapore delle vostre labbra sulle mie».

Isabel si sottrasse al suo tocco. «Al di là di quel bacio, tra noi non esiste alcun legame».

«Mentite, mia cara. Leggo ancora la passione sul vostro volto».

«Cristiano!», esclamò lei, avvampando. «Un gentiluomo non si rivolge così a una signora».

«Già una volta vi dissi di non chiamarmi più Cristiano», ribatté lui, con sfrontatezza. «E quanto al resto, non sono certo un gentiluomo».

«Siete un corsaro», gli rinfacciò la ragazza. «Un corsaro privo di scrupoli, giunto a reclamare una femmina».

«L’unica che abbia mai desiderato», confermò Sinan, senza nascondersi dietro false ipocrisie. Non si sarebbe tirato indietro proprio ora, di fronte alla sfida di quegli occhi verdi. “Tu sei mia”, continuava a pensare. Non ne era mai stato tanto certo come in quel momento, eppure gli sembrava di vederla svanire dietro una coltre di nebbia, come se una parte di lei gli fosse ancora ignota. «Sono qui per voi, è vero. E sono giunto senza carrozze, né paggi e buone maniere. Non sono un signorotto di alto rango». Improvvisamente dovette asciugarsi gli occhi per non versare lacrime di rabbia, e quasi non si accorse del modo in cui la donna lo stava osservando. «Ma ho imparato a battermi con coraggio e non intendo più nascondere ciò che sono, né ciò che provo, a costo di naufragare nel dolore e nella follia. Ieri eravate mia, Isabel, l’ho sentito mentre vi baciavo, e se negaste di aver provato passione, mentireste. Ma giuro sul mio onore che non vi toccherò mai più con un dito, se non lo vorrete». E accennando un frettoloso commiato, si avviò verso l’uscita.

«Aspettate!», si sentì chiamare. «Sinan, non ve ne andate».

Si aggrappò allo stipite, confuso dal suono di quella voce, e nel voltarsi scorse lo stesso viso di donna da cui aveva preso congedo il giorno prima. Un volto in bilico tra l’incertezza e il desiderio. Un volto che aveva ancora sulle labbra il suo nome. In quel momento Sinan udì il grido di un gabbiano, ali solitarie in fuga sul mare, e per un attimo desiderò essere libero da ogni vincolo. Poi si dimenticò di quel richiamo, accorgendosi che la donna attendeva una risposta, e in uno slancio di passione tornò da lei, per soddisfare quella tacita domanda. Allora Isabel de Vega affondò le dita tra i suoi capelli e si abbandonò all’assedio della sua bocca, al tocco delle sue mani. E la notte fu sommersa da una sensuale marea.