In Sicilia ci sono ancora: 1000 baby pensionati fra il 2003 e il 2010

Ma com’è che dicevamo? Che le baby pensioni non esistono più? Che sono state abolite? Che sono un ricordo del passato? Illusi. Nel giugno 2010 arriva dalla Sicilia la bella notizia: un dipendente della Regione è andato in pensione alla veneranda età di 45 anni. Proprio così: 45 anni. Non sarà il record storico, non saranno i 29 dell’Ermanna friulana, né i 32 della Francesca da Lissone, ma comunque è già una bella impresa. Soprattutto se si considera che arriva dopo due decenni di appelli alla morigeratezza, con l’Europa che preme per alzare il limite a 70 anni e mentre il resto d’Italia vede scivolare sempre più avanti l’agognata meta. In Sicilia, di tutto questo tramestio risparmioso, arriva solo un’eco lontana: innalzamento dell’età pensionabile? Settant’anni? Macché. Cui tempu aspetta, tempu perdi, chi aspetta perde tempo. Si va in pensione a 45 anni, alla faccia dei «cacaminchia» che storcono il naso e dei cornuti che continuano a lavorare.

Poi dicono che il Mezzogiorno è lento. Altro che lento: in certe occasioni è come Speedy Gonzales, rapidissimo, lesto, imprendibile. Quando c’è da acchiappare un vitalizio a 45 anni, per esempio. Che poi mica è un caso unico. Basta sollevare un po’ il velo al sapor di mandorle e marsala per scoprire un Paese del Bengodi previdenziale, l’Eden del giovin pensionato, la riserva naturale dei baby vitalizi. Tutto merito di un cavillo inserito in un provvedimento del 2003, che recepì la legge nazionale 104 del 1992, equiparando di fatto il sistema di welfare siciliano a quello del resto d’Italia, a parte un piccolo particolare: il particolare è un privilegio riservato ai dipendenti della Regione Sicilia, quello appunto di poter andare in pensione con 25 anni di contributi (uomini) o addirittura 20 (donne), purché abbiano un parente malato da accudire.

Li parenti su’ parenti, si capisce: e chi non ha un padre che dev’essere accompagnato periodicamente in ospedale? Chi non ha una madre che necessita di assistenza e conforto? O almeno una vecchia zia sulla sedia a rotelle? In effetti, dal 2003 al 2010 le baby pensioni concesse sono state oltre 1000, con una crescita esponenziale dal 2008 in poi, quando si sono registrate oltre 200 baby uscite l’anno, cioè praticamente una per ogni giorno lavorativo. L’età media delle persone andate a riposo è piuttosto bassina: 53 anni. Considerando che la vita media in Sicilia è di 83,5 anni per le donne e 78,5 anni per gli uomini, la previsione è fin troppo facile: la maggior parte di questi baby pensionati riceverà un vitalizio da mamma Regione per una trentina d’anni, un periodo di sicuro superiore rispetto agli anni in cui ha lavorato. E i contributi? Qualcun altro ci penserà. Del resto, i vecchi dell’isola lo dicono da sempre: lu travagghiu d’autru nun si senti, il lavoro degli altri non si sente. Al massimo, s’intasca.

«Un’anomalia? No, un semplice contratto fra datore di lavoro e dipendente» spiega alle pagine locali della «Repubblica» l’avvocato Gaetano Armao, assessore regionale con delega al personale. Un semplice contratto, si capisce: ma qualcuno si chiede per quale motivo sono pochi i datori di lavoro disposti a siglare contratti del genere? Forse perché tanta generosità se la può permettere solo chi non sta spendendo soldi suoi ma quelli dei contribuenti? «Chi vorrà questa opportunità dovrà accettare una decurtazione dell’assegno pensionistico» tenta di giustificarsi l’assessore. Tentativo vano: la decurtazione (dall’1,2 per cento al 18 per cento) resta sulla carta; nella realtà l’assegno del baby pensionato risulta praticamente uguale al suo ultimo stipendio. «Ho fatto i conti» spiega per esempio Fulvio Pantano, segretario regionale di uno dei sindacati più influenti alla Regione siciliana, il Sadirs. «Ho 53 anni e 28 di versamenti. Considerato che non dovrò più pagare i contributi previdenziali, la mia pensione non solo sarà uguale al mio ultimo stipendio. Potrebbe essere addirittura superiore…»

Cinquantatré anni, a riposo, con un assegno a fine mese uguale o addirittura superiore all’ultimo stipendio: come si fa a non cogliere al volo un’occasione così? Pare che siano circa 7000 quelli che hanno il requisito per la baby pensione. E chi non ce l’ha, se lo inventa: una signora di 50 anni, da 20 dipendente della Regione, non avendo a disposizione un familiare malato da assistere, ha avuto un’idea geniale. S’è fatta adottare da un’anziana non autosufficiente. E così zac, appena adottata dalla signora ha presentato richiesta per andare in pensione: permesso accordato, s’intende, a norma di legge. Un signore, invece, ha chiesto il diritto al baby vitalizio due giorni prima che la madre morisse: «Cosa volete, ne avrei avuto diritto da tempo, ma non l’avevo mai fatto…» ha spiegato agli amici. Quando mammà è andata in coma, ha pensato che non poteva perdere l’ultimo treno e ci è saltato sopra. Appena in tempo.

«Il governo nazionale deve venire incontro alle esigenze della Sicilia» strepitano i politici dell’isola. «Lo Stato non ci deve abbandonare» ripetono. A conti fatti, però, almeno dal punto di vista previdenziale, più che lo Stato che lascia i siciliani sono i siciliani che lasciano lo Stato. O almeno, la Regione. In effetti, ogni giorno lavorativo che Dio manda sulla terra, c’è un cinquantenne della Trinacria, azzimato e aitante, che se ne va in pensione con regole che valgono solo per lui. È felice, va in spiaggia a Mondello o alle Eolie, si gode il sole e il ricco assegno di denaro pubblico. Buon per lui, s’intende. Ma perché un operaio della Valsugana dovrebbe continuare a tirare la lima fino a 70 anni, come vuole l’Europa, per coprire il deficit delle casse sicule e mantenere il baby pensionato con la coppola?

Sanguisughe
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