Le pensioni dei parlamentari/2 (da Guido Rossi a Luciano Benetton)
Però, ecco, insomma, bisogna dirlo: la pensione dei parlamentari non guarda in faccia nessuno. Per dire: se uno in Parlamento ha fatto appena una capatina? Gliela diamo lo stesso. E se è straricco? Pure. Si capisce, è chiaro: i privilegi devono essere uguali per tutti. Prendete Guido Rossi. Avete presente il commercialista di grido, l’uomo che riuscì a farsi pagare 23 miliardi di vecchie lire per una sola parcella, quello che chiamano ogni volta che c’è un problema da risolvere in Italia, dalla Telecom alla Federcalcio (ricompensandolo sempre profumatamente)? Ebbene, proprio lui: ogni mese incassa i suoi bravi 3108 euro per il suo antico, breve e piuttosto insignificante passaggio in Parlamento. E dire che il grande commercialista le pensioni sembra preferisca gestirsele da sé, tanto che negli anni scorsi ha citato in giudizio la Cassa forense per avere indietro tutti i contributi versati come avvocato. La Cassazione nel 2003 gli ha dato ragione: la Cassa forense è stata costretta a rimborsargli parecchi denari, salvo poi cambiare le regole per evitare che altri avvocati lo imitassero mandando in crisi l’intero sistema.
Ma come mai Guido super-Rossi, l’uomo dalle parcelle miliardarie, quello che bene conosce il valore dei soldi, vuole indietro i contributi dalla Cassa forense mentre dal Parlamento preferisce incassare regolarmente il vitalizio mensile? Ci sarà una ragione? Ma certo: la ragione è che il vitalizio dei parlamentari non è affatto proporzionato ai contributi versati. È una specie di regalia, un gentile omaggio a spese della collettività. Se si facesse rimborsare i contributi versati da parlamentare, come ha fatto da avvocato con la Cassa forense, a Guido Rossi resterebbero pochi spiccioli. L’onorevole vitalizio invece è come il diamante: dura per sempre…
Certo, anche quella è una briciola rispetto ai suoi abituali compensi. Ma perché rinunciarvi? In effetti fa una certa impressione leggere l’elenco dei super-ricchi che s’intascano regolarmente la pensione da Palazzo Madama e Montecitorio: dall’imprenditore Luciano Benetton (3108 euro) all’imprenditore Francesco Merloni (9947), passando per il fiscalista Augusto Fantozzi (3108) fino all’ex top banker di Lehman Brothers Mario D’Urso (3108). Nessuno di loro che abbia mai pubblicamente rinunciato al denaro pubblico. Del resto anche Susanna Agnelli fino alla sua morte si fece accreditare, senza batter ciglio, il vitalizio da 8455 euro al mese.
Continua a incassare anche il fondatore della «Repubblica» Eugenio Scalfari (3108 euro al mese pure lui), che può così unire la rendita parlamentare ai proventi della sua lunga, ricca e fortunata attività giornalistica. Prende 4725 euro al mese Vittorio Cecchi Gori, produttore cinematografico assai noto, già presidente della Fiorentina ed ex di Valeria Marini, senatore del Ppi fra il 1994 e il 1996; 6590 euro vanno a Franco Debenedetti, che pure una volta smesso il laticlavio non se l’è passata per niente male, almeno a giudicare dal suo curriculum che cita, fra gli altri, gli incarichi di consigliere d’amministrazione di Cir, Cofide e Piaggio, un posto di prestigio nell’Advisory Board di Progetto Italia e all’Iride, l’ex municipalizzata che fa capo ai comuni di Torino e Genova. Si aggiudica ben 9947 euro al mese, invece, Giuseppe Zamberletti, ex potente democristiano, che comunque continua a occupare poltrone importanti (e ben retribuite). Infatti è presidente della società Stretto di Messina Spa, controllata dall’Anas. 6590 euro vanno all’ex ministro Giuliano Urbani e a Giancarlo Abete, presidente della Federcalcio; 4725 a Vito Riggio, presidente dell’Enac, l’ente nazionale che controlla l’aviazione civile. E 4725 euro vanno pure al compagno banchiere Nerio Nesi, prima socialista, quindi comunista, coinvolto nello scandalo Bnl-Atlanta e poi ministro dei Lavori pubblici per conto di Armando Cossutta: un uomo che è riuscito per tutta la vita a unire il rosso delle bandiere con il rosso dei bilanci. Ma solo i bilanci altrui, dal momento che i suoi, a fargli i conti in tasca, non sono mai stati men che floridi…
Ha diritto a 9947 euro al mese l’ex ministro Franco Bassanini, che nel frattempo è diventato anche presidente della Cassa depositi e prestiti, oltre che (tenetevi forte) membro del Supervisory Board del Fondo Marguerite, il primo fondo equity europeo per il finanziamento delle infrastrutture, dell’energia e dell’ambiente, e presidente dell’Investment Board del Fondo InfraMed, fondo equity per gli investimenti in infrastrutture, energia e ambiente nei Paesi delle sponde sud ed est del Mediterraneo, e per aggiunta anche membro dello Steering Committee del Long Term Investors Club. (Ma non era quello che si era battuto per la semplificazione? Meriterebbe una tassa solo per la cumulativa complessità delle sue cariche…)
Del resto, si sa, di limitazioni per la pensione da parlamentari ce ne sono poche. Nel 2007, sotto la spinta dell’indignazione popolare, è stato introdotto un divieto di cumulo per chi assume incarichi pubblici (ma solo dopo il 1° gennaio 2008). Di altre penalizzazioni, nemmeno l’ombra. Nessun ostacolo, dunque, per gli assegni destinati a Giancarlo Cito, ex missino, ex sindaco di Taranto, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, e nemmeno per Gian Mauro Borsano, ex deputato socialista ed ex presidente del Torino Calcio, cui sono bastati 600 giorni in Parlamento per assicurarsi i 3108 euro al mese, nonostante le accuse di bancarotta e falso in bilancio.
Seicento giorni, d’altra parte, con tutto quello che abbiamo visto non sembrano nemmeno pochi: Paolo Prodi, fratello di Romano, riesce a prendere la pensione con appena 4 mesi e 5 giorni da deputato. L’ex sindaco di Ancona, il liberale Alfredo Trifogli, è riuscito a far di meglio: è stato in Parlamento esattamente 3 anni e 10 giorni, ma prende la pensione come se ci fosse stato 10 anni. Il primo mandato (1976-1979) si interruppe a metà, il secondo fu lampo: Trifogli subentrò a un suo collega deceduto quando la legislatura (1987) era già scaduta, restò in carica 10 giorni ma tanto bastò per far scattare 5 anni di anzianità. Un colpaccio: oggi prende 4725 euro al mese, quasi 1500 euro per ogni anno da onorevole…
Conveniente, no? Lo notò anche il banchiere varesino Giovanni Valcavi, uno che di soldi se ne intendeva, uomo del profondo Nord che però seppe subito integrarsi alla perfezione nei meccanismi di Roma ladrona. Gli bastò infatti una prestazione da Kim Basinger (nove settimane e mezzo in Parlamento) per ricevere per 18 anni, cioè dall’aprile 1992 fino all’aprile 2010, quando è morto, 3108 euro al mese. Nel frattempo continuava a fare il presidente della Banca di Luino e Varese, oltre che mille altre attività. «Oh signur, ma lei ha idea di quanto ho lavorato in quelle nove settimane al Parlamento?» disse Valcavi a Gian Antonio Stella. «Ho fatto un sacco di disegni di legge, di interrogazioni, di riunioni, di viaggi all’estero. Non stavo mica a guardare per aria.» Ma una rendita di 3108 euro per 68 giorni di presenza è un bel guadagno anche per un banchiere… «Ho dato tanto a questo Paese. Tanto.» Capito? Lui ha dato tanto. E il Paese l’ha ricompensato regalandogli, in 18 anni, circa 600.000 euro cash per nove settimane e mezzo di (duro) lavoro.