Banca d’Italia: c’è chi va in pensione a 44 anni (e prende 18.000 euro)
Se tutti coloro che lavorano in banca sono, dal punto di vista della pensione, particolarmente fortunati, quelli che lavorano in Banca d’Italia lo sono ancora di più. Non solo per quanto riguarda la somma che percepiscono, ma anche per l’età a cui cominciano a percepirla. Il record, sotto questo profilo, è del professor Rainer Stefano Masera, oggi preside della facoltà di economia all’Università Marconi di Roma, nonché presidente della commissione intergovernativa italo-francese per la nuova linea alta velocità, nonché membro esperto del cda della Banca europea degli investimenti, nonché consigliere d’amministrazione di Ariston Thermo Group Spa, di Colacem Spa, di Nomura Italia, di Icc Italia, nonché componente del «De Larosière», gruppo di alto livello della Commissione europea per la revisione della regolamentazione finanziaria, nonché iscritto all’albo dei revisori dei conti e autore dal 2008 al 2010 di ben diciassette saggi sulle ragioni e le conseguenze della crisi finanziaria. Ebbene, il cumulo di incarichi e il frenetico attivismo non vi tragga in inganno: il professor Rainer Masera è un pensionato. E che pensionato: riceve il vitalizio non da 5 anni, non da 10, non da 15. Lo riceve da ben 22 anni. Ventidue, proprio così.
Ora è evidente che se uno è in pensione da 22 anni e ha ancora l’energia per mantenere cotanti impegni (e a tale livello), incompatibili con un ottuagenario, c’è qualcosa che non va. In effetti, presto detto: il professor Masera, oggi sessantaseienne, è andato in pensione alla verdissima età di 44 anni. Correva l’anno 1988, il Muro di Berlino era ancora baldanzosamente in piedi, Massimo Ranieri vinceva il festival di Sanremo, sulle Tv italiane aveva appena fatto capolino un programma assai innovativo, «Colpo grosso». E Masera, dal canto suo, lasciava la Banca d’Italia, dove aveva ricoperto il ruolo di direttore centrale, assicurandosi un assegno iniziale di 6,5 milioni di lire mensili (oltre 3000 euro di oggi) destinato rapidamente a crescere. Naturalmente a 44 anni non ci pensava nemmeno di ritirarsi sulla panchina a leggere il giornale: fu infatti subito nominato direttore generale dell’Imi, quindi presidente del San Paolo Imi, presidente della Rete ferroviaria italiana, presidente di Banca Fideuram, managing director di Lehman Brothers e nel frattempo assunse tanti altri incarichi (doverosamente ben retribuiti) che gli sono valsi la Gran Croce della Repubblica italiana e la Legion d’onore della Repubblica francese. Nelle more ha pure trovato il tempo di fare il ministro del Bilancio nel governo Dini, partecipando s’intende alla riforma che ha reso più severe le norme per i pensionati. Severità di cui, per altro, non si trova traccia nell’assegno che l’Inps oggi versa ogni mese al super baby-pensionato Masera: 18.413 euro, cioè 239.000 l’anno.
Paradosso su paradosso. La Banca d’Italia, si sa, non perde occasione, convegno o relazione, rapporto o audizione, per censurare gli sprechi previdenziali. Ma quanti ne nasconde nel suo passato? Richiami, avvertimenti, pungoli e moniti: ne abbiamo sentiti tanti in questi anni, e fa un po’ sorridere pensare che dietro la scrivania da cui partono ci sono scheletri da riempire tutti gli armadi di via Nazionale. Fino al 1997, in effetti, i dipendenti dell’istituto potevano andare in pensione con appena 20 anni di servizio, qualunque fosse l’età anagrafica. Masera ci è andato a 44 anni, per diventare poi presidente del San Paolo Imi; Francesco Carbonetti a 45, per diventare presidente della Sgr (Società gestione per il realizzo); Guido Cammarano a 48, per diventare segretario generale di Assogestioni. L’assegno iniziale non era principesco (equivalente a 2500-3000 euro), ma per un quarantenne poteva bastare. Tanto più che era in vigore anche la cosiddetta «clausola d’oro» che agganciava la pensione allo stipendio dei pari grado ancora in servizio. Praticamente una manna, che ha consentito a tutti loro di raggiungere rapidamente pensioni superiori ai 10.000 euro al mese.
Fra i baby pensionati di Bankitalia anche l’ex vicedirettore Mario Sarcinelli, che oggi ha 77 anni e riscuote il vitalizio da quando ne aveva 48, cioè da 29 anni. Era il 1982: Bearzot vinceva i mondiali, nell’Urss comandava Brežnev, Grace Kelly era ancora viva e Sarcinelli si metteva in tasca il primo assegno previdenziale, cui ne aggiunse poi un secondo nel 1995 (in tutto circa 15.000 euro di oggi). La doppia (e ricca) busta paga, per altro, non gli ha impedito una brillante carriera che l’ha portato, dal 1982 in poi, a occupare ogni tipo di poltrona pubblica e privata: è stato direttore generale del Tesoro, consigliere d’amministrazione di Iri, Eni, Imi, Sace e Ferrovie, ministro del Commercio estero, presidente del Comitato monetario europeo, presidente della Banca nazionale del lavoro, presidente della Diners Sim del Gruppo Perna, consigliere d’amministrazione dell’Ina-Assitalia, della Lotti e associati Spa e della Banca Italease. Oggi è presidente di Dexia Crediop, e può vantare sul suo curriculum almeno nove onorificenze, dalla Legion d’onore al premio Città di Scanno. Tutti riconoscimenti meritati, s’intende: sono 29 anni che riceve il vitalizio e non ha mai lavorato così tanto come da quando è in pensione…
I 15.000 euro mensili di Sarcinelli, comunque, non vi sembrino troppi. Abbiamo già incontrato infatti in queste pagine almeno altri due superpensionati dell’istituto centrale: Lamberto Dini, che dal 1994 incassa una pensione Bankitalia di oltre 18.000 euro al mese (cui poi ha aggiunto anche una pensione Inps), e Carlo Azeglio Ciampi, che incassa addirittura due pensioni Bankitalia per un totale di oltre 30.000 euro (cui poi ha aggiunto pure lui una pensione Inps). E anche l’attuale governatore Mario Draghi è un pensionato. Pensione diretta definitiva erogata dall’Inpdap, che si va a sommare alla sua retribuzione pari a 450.000 euro l’anno. Su questa cifra ci sono state polemiche in passato. Un ricercatore dell’Università La Sapienza di Roma, per esempio, ha pubblicato uno studio, che ha avuto una certa eco sui giornali, in cui paragonava lo stipendio dei numeri uno delle banche centrali: l’omologo di Draghi in Francia, ha scritto il ricercatore, prende solo 142.000 euro, quello tedesco raggiunge a malapena i 101.000. Ma, a dir la verità, 450.000 euro per chi ha responsabilità come quelle di Draghi non sono tanti in assoluto, e per di più nel novembre 2010 lo stipendio è stato pure tagliato (del 10 per cento) con una decisione quanto mai rara per le nostre istituzioni. Piuttosto stupisce l’assegno che ogni mese l’Istituto di previdenza eroga a un uomo nel pieno della sua attività: 14.843 euro, 8614 netti, che scorrono dal 1° aprile 2005, cioè esattamente da pochi mesi prima che Draghi diventasse governatore…
Un’ultima notazione prima di lasciare l’Eldorado previdenziale della Banca d’Italia: va detto, per onestà, che molti dei privilegi che hanno dato origine a queste storture sono stati aboliti. Nessun dirigente di via Nazionale, per fortuna, può andare oggi in pensione a 44 anni, 20 anni di attività non bastano per garantire il vitalizio. Però non tutto fila ancora liscio: nel luglio 2010, per esempio, un’interrogazione parlamentare chiede conto di un piano di ristrutturazione delle filiali nel quale sarebbero previsti oltre 6 anni di pensione anticipata, cioè una buonuscita pari a 400.000 euro per chi volesse aderire. «Sei anni di pensione anticipata non sono un po’ troppi?» ci si chiede persino a Montecitorio, dove pure con i privilegi c’è una certa consuetudine. Nel frattempo i dipendenti dell’istituto centrale continuano anche a godere di un altro trattamento previdenziale di riguardo: i contributi, infatti, vengono versati all’Inps, che poi al momento giusto paga la pensione. La pensione, però, non viene incassata direttamente dal lavoratore, ma dalla medesima Banca d’Italia, che provvede a integrarla con il proprio fondo. Con questo meccanismo gli ex dipendenti continuano a godere di vitalizi più alti, cioè, in pratica, come se fossero ancora calcolati con il generoso sistema retributivo. Con tanti saluti al sistema contributivo, che pure dimostrano di apprezzare tanto nei loro studi e nei loro dossier. Solo fin che riguarda gli altri, però.