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Tutti si affrettarono a salire sulle due macchine, infilarono i caricatori, posizionarono i fucili da assalto e sistemarono i coltelli e le granate stordenti.
Swanny aveva dato il localizzatore gps a Joe, che stava guidando la macchina su cui erano lui e Hancock, mentre Nathan, Edge e Skylar portavano le attrezzature.
Usando le riprese satellitari erano riusciti a ottenere un’immagine del luogo esatto in cui risultava la posizione di Eden. Era una casa nella periferia di Parigi, a sud, in un quartiere con le case poco distanziate tra loro.
Dovevano essere sicuri che il loro ingresso fosse pulito e che nessun innocente venisse coinvolto nel fuoco incrociato. Swanny pregò per tutto il tragitto. Pregò perché Eden fosse viva. Pregò perché la sua rapitrice non si fosse accorta che la collana era in realtà un dispositivo di localizzazione e che l’avesse lasciato in quella posizione per depistarli. Perché in quel caso, sarebbero stati davvero fottuti. Avrebbero dovuto ricominciare da zero e ogni minuto prezioso era importante.
«Vai più veloce, cazzo» disse Swanny, in preda all’ansia.
«Sto pestando il più possibile» rispose Joe, con un’espressione cupa. «Stai calmo. Non possiamo lasciare che le emozioni annebbino la tua capacità di giudizio. Non abbiamo la certezza che lei si trovi nello stesso posto del dispositivo di localizzazione e non vogliamo fare irruzione a casa di un civile e far saltare tutti in aria.»
Swanny serrò i denti. Cazzate. Il suo giudizio annebbiato dalle emozioni? Come cazzo avrebbe potuto non essere sommerso dalle emozioni e dall’adrenalina? Per non parlare di quella cazzo di paura. La donna che amava stava soffrendo terribilmente. Sapeva fin troppo bene cosa stava passando, e lui era stato addestrato a sopportare la tortura nell’esercito. La violenza non aveva mai sfiorato Eden fino a poco tempo prima. Non era pronta al dolore e a essere sfigurata.
I suoi occhi si riempirono di lacrime, bruciavano, ma le scacciò via perché sapeva che doveva avere la vista perfetta e i sensi acuti. Forse avrebbero avuto solo una possibilità. Se minacciata, quella pazza avrebbe potuto uccidere Eden anche sapendo che sarebbe morta lei stessa.
Hancock, che stava studiando l’ingrandimento della mappa del quartiere, alzò la testa.
«Sembra che ci siano due entrate. A giudicare dallo sfondo del video, dico che sono nel seminterrato. I muri erano di cemento scuro e il pavimento sembrava polveroso e umido.»
«Quindi entreremo in silenzio, senza farci sentire, e la sorprenderemo con una granata stordente. Eden sarà disorientata ma probabilmente sarà già così a causa delle droghe» disse Swanny cupamente.
«Io e Nathan penseremo all’ingresso anteriore» disse Joe dal sedile dell’autista. «Tu e Hancock sul retro. Sky e Edge copriranno davanti e dietro, in caso vi sfuggisse.»
«Col cazzo che mi sfuggirà» giurò Swanny.
Hancock annuì per sostenerlo, sembrava quasi offeso dall’idea che qualcuno potesse sfuggirgli.
Trascorsi i dieci minuti più lunghi della sua vita, accostarono a tre case di distanza da quella in cui era segnalata la presenza di Eden.
Scesero dalle macchine, si sparpagliarono velocemente tenendo le pistole pronte all’uso. Joe fece segno a Nathan di seguirlo e poi fece segno a Edge e Skylar con la mano affinché ognuno controllasse un’uscita, mentre Swanny e Hancock iniziarono a correre rimuovendo velocemente una delle due recinzioni metalliche tra la casa vicina e il retro della casa in cui Eden era tenuta prigioniera.
La porta era chiusa a chiave, ma Swanny forzò velocemente la serratura e spinse silenziosamente la porta verso l’interno, camminando a passo leggero e silenzioso sul pavimento. Hancock gli stava immediatamente dietro, con una pistola in una mano e un fucile d’assalto pronto nell’altra, con la tracolla legata al braccio in modo da tenerlo in posizione per sparare.
S’immobilizzarono proprio davanti alla rampa di scale che portava al seminterrato quando sentirono un urlo agghiacciante infrangere il silenzio.
Erano combattuti tra il sollievo e la rabbia in reazione all’urlo di dolore di Eden. Sollievo perché era viva, e rabbia perché quella puttana la stava tagliando un pezzettino alla volta.
Swanny e Hancock scesero lentamente le scale, fermandosi solo quando sentirono un leggero rumore alle loro spalle. Swanny si girò con la pistola pronta, ma poi si rilassò vedendo Nathan e Joe che li seguivano.
Felice che li avessero raggiunti, Swanny continuò la discesa silenziosa. Si fermò quando la parete s’interrompeva, lasciando uno spiraglio per vedere all’interno del seminterrato. Non voleva che la donna sospettasse che ci fosse qualcuno lì. Doveva vedere Eden e la sua aguzzina in modo da attaccare con strategia.
Si muovevano lentamente, un centimetro alla volta, sembrava ci stessero mettendo ore, poi Swanny sbirciò oltre l’angolo del muro, riuscendo a vedere all’interno dell’area del seminterrato illuminata scarsamente.
Trattenne il respiro quando vide Eden legata alla sedia che aveva già visto nel video. Aveva la testa china, il sangue le colava lungo il viso a causa dei vari tagli. La sua aguzzina dava le spalle a Swanny e alla squadra, la sua risata riempiva la stanza.
«Un altro video, direi» disse in tono compiaciuto. «Qualcosa perché tuo padre possa ricordarti. Poi ti aprirò in due e ti lascerò dissanguare, riprenderò tutto. Tuo padre pagherà per tutto ciò che ha fatto. Per aver tolto la vita a mia madre. A mio padre. A me, per così tanti anni.»
Eden alzò la testa a fatica, aveva lo sguardo perso sulla donna. Increspò le labbra e la guardò con odio, disgustata. Swanny capì che era sconvolta e ancora intontita dalle droghe, probabilmente. Ma fu ciò che fece dopo a sorprendere Swanny e a riempirlo di orgoglio nonostante la rabbia e la paura per lei.
«Vaffanculo» gracchiò Eden.
Swanny diede il via prima che la donna potesse reagire. Per la rabbia avrebbe potuto benissimo uccidere Eden su due piedi.
Swanny lanciò una granata stordente facendola arrivare proprio accanto alla sedia di Eden e si nascose per un attimo dietro al muro, in modo che lui e i suoi compagni non ne subissero gli effetti.
La stanza esplose per il rumore e si sentirono due urla diverse mentre Swanny correva dentro, seguito da Hancock e gli altri. La donna era in ginocchio e si teneva la testa, cercando alla cieca la sua pistola e sollevandola in direzione di Eden.
Swanny non esitò. Le piantò un proiettile nella nuca, facendola accasciare sul pavimento. Poi corse verso Eden, ancora legata alla sedia, le lacrime iniziarono a scorrergli lungo il viso, bruciando, ma non c’entravano con l’esplosione.
Si tolse la maglia e la usò per coprirle il viso per fermare il flusso di sangue che le copriva le guance e la fronte. Hancock andò dietro di lei e tagliò velocemente la corda che la bloccava alla sedia.
Si accasciò immediatamente in avanti e Swanny la prese tra le braccia, la sollevò e la resse saldamente.
«Eden! Eden, tesoro, parlami, ti prego. Riesci a parlare? Sei ferita altrove?»
Lei sbatté le ciglia, aveva un’espressione confusa. Per un attimo i loro sguardi si bloccarono, uno con gli occhi fissi nell’altra, e poi gli occhi di Eden furono pieni di sollievo e si riempirono di lacrime. Per Swanny era una pugnalata al cuore vederla così fragile e vulnerabile. La baciò sulla fronte, noncurante del sangue che gli macchiò il viso.
«Swanny» sussurrò, la sua voce era roca per quanto aveva urlato.
«Sì, tesoro. Sono io. Sei con me adesso. Sei al sicuro. Nessuno ti farà del male.»
«T... ti... a... mo.»
Perse la battaglia e iniziò a singhiozzare. «Anch’io ti amo, tesoro. Dio, temevo di perderti. Temevo di averti persa. Non l’avrei sopportato.»
Lei chiuse gli occhi, il dolore le contorceva i lineamenti.
«Stai con me, Eden» disse Swanny mentre si girava per portarla su per le scale. «Stai con me, tesoro. Ti porto all’ospedale. Andrà tutto bene. Te lo giuro sulla mia vita.»
«S... tai... con... me...»
La sua voce era così flebile che faticava a sentirla. La baciò tra i capelli, voleva soltanto toccarla, assicurarsi che fosse viva e tra le sue braccia, mentre saliva velocemente le scale.
«Non ti lascerò mai» promise.