L’itinerario di Pierre doveva svolgersi attraverso i vicoli che portavano alla Povarskaja e di là fino all’Arbat, al Nikola Javlennyj, presso il quale, nella sua immaginazione, aveva fissato già da un pezzo il luogo del suo attentato. Nella maggior parte delle case i portoni e le imposte erano chiusi. Le vie e i vicoli erano deserti. Di rado si incontrava qualche russo, inquieto e timido in volto, e qualche francese con l’espressione di chi si trova al campo, non in città. Gli uni e gli altri guardavano Pierre con stupore. A parte la sua grande statura e grossezza, a parte la strana espressione, cupamente concentrata e sofferente, del suo viso e di tutta la sua figura, i russi osservavano attentamente Pierre perché non capivano a quale ceto sociale potesse appartenere; i francesi, invece, lo seguivano con sguardo stupito soprattutto perché Pierre, diversamente da tutti gli altri russi che guardavano i francesi con timore e curiosità, non rivolgeva loro alcuna attenzione. Davanti al portone di una casa, tre francesi tentavano di spiegare qualcosa a dei russi che non riuscivano in alcun modo a intenderli; vedendo Pierre lo fermarono e gli chiesero se per caso non sapesse il francese.
Pierre scosse negativamente il capo e proseguì. In un altro vicolo una sentinella piantata di guardia vicino a un cassone verde, gli urlò qualcosa contro, ma solo quando sentì ripetere il grido di minaccia e udì il rumore del fucile che la sentinella imbracciava, Pierre capì che doveva camminare dall’altra parte della strada. Non sentiva e non vedeva niente di quello che gli accadeva intorno. Con ansia e con spavento portava dentro di sé quel suo progetto, come qualcosa di terribile e insieme di estraneo, quasi temendo, ammaestrato dall’esperienza della notte precedente, di poterlo smarrire. Ma non era destino che riuscisse a portare intatta la sua disposizione d’animo fino alla sua meta. Inoltre, anche se nulla l’avesse trattenuto sul suo cammino, il proposito di Pierre non avrebbe potuto realizzarsi per il semplice fatto che Napoleone era già passato, più di quattro ore prima, dal sobborgo di Dorogomilovo per arrivare, attraverso l’Arbat, fino al Cremlino, dove adesso se ne stava seduto, di pessimo umore, nel gabinetto dello zar, intento ad impartire dettagliate, circostanziate disposizioni sugli immediati provvedimenti da adottare per spegnere l’incendio, per prevenire i saccheggi e riportare la calma fra gli abitanti. Ma Pierre non lo sapeva; tutto assorbito da ciò che l’aspettava, si tormentava come accade a chi si ostina a intraprendere un’impresa impossibile: impossibile non già per le difficoltà reali che presenta, ma per l’incompatibilità di tale impresa con la propria natura; soffriva, tormentato dal timore di dimostrarsi debole nel momento decisivo e di perdere in conseguenza la stima di se stesso.
Sebbene non sentisse e non vedesse nulla intorno a sé, indovinava la strada per istinto, e non si smarriva nei vicoli che lo portavano verso la Povarskaja.
A mano a mano che Pierre si avvicinava alla Povarskaja, il fumo si faceva sempre più intenso e l’aria diventava più calda per il fuoco degli incendi. Ogni tanto lingue di fuoco si levavano alte sopra i tetti delle case. Le strade erano più affollate, la gente che vi si incontrava era più inquieta, più allarmata. Ma Pierre, pur rendendosi conto che stava succedendo qualcosa d’insolito, non capiva che si stava avvicinando all’incendio. Percorrendo un sentiero che attraversava un vasto spiazzo di terreno non fabbricato, limitato da una parte dalla Povarskaja, e dall’altra dai giardini della casa del principe Gruzinskij, Pierre udì a un tratto, proprio dietro di sé, il pianto disperato di una donna. Si fermò, come riscuotendosi da un lungo sonno, e sollevò la testa.
Di fianco al sentiero, sull’erba secca e polverosa, stavano ammucchiate delle masserizie: materassi di piume, un samovar, icone e bauli. Per terra, vicino ai bauli, stava seduta una donna magra e non più giovane, con i denti superiori lunghi e sporgenti, che indossava un pellicciotto nero e una cuffietta. La donna, dondolandosi e continuando a ripetere sommessi lamenti, piangeva a dirotto. Due bambine, dai dieci ai dodici anni, vestite di sudici abitini corti, guardavano la madre con un’espressione sgomenta sui visi pallidi e spaventati. Un bambino più piccolo, sui sette anni, con un camiciotto e un enorme berretto che non era il suo, piangeva in braccio a una vecchia njanja. Una ragazza scalza e sudicia stava appollaiata su un baule e, slegata la treccia bionda, ne strappava i capelli bruciacchiati, annusandoli via via. Il marito, un uomo basso e un po’ curvo, in uniforme di piccolo funzionario, con fedine tondeggianti e i capelli ben lisciati sulle tempie, che il berretto calzato dritto gli lasciava scoperte, spostava, col volto immobile, i bauli ammassati uno sopra l’altro, cercando di tirarne fuori degli abiti.
La donna, appena vide Pierre, quasi si buttò ai suoi piedi.
«Fratelli, cristiani ortodossi, aiutateci, salvateci, per carità!… Aiutateci, qualcuno,» disse fra i singhiozzi. «La bambina!… Mia figlia! Hanno lasciato la mia figlia più piccola!… È bruciata! Oooh… Così doveva finire la mia… Oooh!…»
«Basta, Marija Nikolàevna,» il marito si rivolse a mezza voce alla moglie, cercando forse di giustificarsi davanti a quell’estraneo. «Sicuramente l’avrà portata via mia sorella, altrimenti dove vuoi che sia?» terminò.
«Senza cuore, crudele!» si mise a urlare la donna inferocita, smettendo di piangere di colpo. «Tu non hai cuore, non hai pietà della tua creatura. Un altro l’avrebbe tratta in salvo dall’incendio. Ma lui è una statua; non è un essere umano, non è un padre. Voi, che siete un uomo nobile,» si rivolse la donna a Pierre parlando a precipizio, tra i singhiozzi: «L’incendio è cominciato qui vicino e subito s’è appiccato… anche alla nostra casa. Questa ragazza ha gridato: al fuoco! Ci siamo precipitati a portar via un po’ di roba. Poi siamo scappati fuori con quello che avevamo indosso… Ecco che cosa siamo riusciti a prendere con noi… Gli oggetti sacri e il letto che ho avuto in dote, ma tutto il resto è andato perduto. Cerco i bambini, Katečka non c’è! Oh, Signore! Oh-oh-oh!» e di nuovo essa si mise a singhiozzare. «La mia cara bambina è finita bruciata, è bruciata!»
«Ma dove, dove è rimasta?» disse Pierre.
Dall’espressione che improvvisamente aveva animato il suo viso, la donna capì che quell’uomo poteva aiutarla.
«Batjuška! Padre!» si mise a gridare, afferrandolo per le gambe. «Benefattore, mettimi almeno il cuore in pace… Aniska, va’ tu, schifosa, accompagnalo!» gridò alla ragazza spalancando con ira la bocca e così mettendo ancor più in mostra i suoi lunghi denti.
«Accompagnami, accompagnami, io… io… ci penso io,» disse in fretta Pierre con la voce rotta dall’affanno.
La sudicia ragazza uscì da dietro il baule, si tirò su la treccia e, sospirando, si avviò lungo il sentiero coi suoi tozzi piedi scalzi. Pierre provava la sensazione di ridestarsi d’improvviso alla vita dopo un angoscioso deliquio. Sollevò più alta la testa, nei suoi occhi brillò uno splendore vitale, a passi rapidi s’incamminò dietro la ragazza, la sorpassò e sbucò in via Povarskaja. Tutta la strada era avvolta da una nuvola di fumo nero. Una gran folla di gente si accalcava davanti al luogo dell’incendio. In mezzo alla strada c’era un generale francese che diceva qualcosa a quelli che lo circondavano. Pierre, accompagnato dalla ragazza, fece per avvicinarsi al luogo dove stava il generale, ma i soldati francesi lo fermarono.
«On ne passe pas,» gli gridò una voce.
«Di qui, zio!» esclamò la ragazza. «Passeremo dal vicolo, dal cortile dei Nikulin.»
Pierre si voltò e la seguì, allungando ogni tanto il passo per starle dietro. La ragazza attraversò di corsa la strada, svoltò a sinistra in un vicolo e, superate tre case, entrò in un portone sulla destra.
«Ecco, da qui arriviamo in un attimo» disse e, attraversato di corsa il cortile, aprì il cancelletto di un recinto d’assi e si fermò, indicando a Pierre un piccolo padiglione di legno, che bruciava con gran luce e calore. Una parte era già crollata, l’altra stava bruciando e le fiamme si sprigionavano vivide dalle aperture delle finestre e sotto il tetto.
Varcando il cancelletto Pierre fu investito da una vampata di calore e istintivamente si fermò.
«Quale, qual è la vostra casa?» domandò.
«O- oh-oh!» si mise a strillare la ragazza, indicando il padiglione. «Proprio questa, questa era la nostra casa. È bruciato il mio tesoro, Katečka, la mia adorata signorina, o-oh!» si lamentava Aniska dinnanzi all’incendio, sentendo il bisogno di esprimere anche lei i suoi sentimenti.
Pierre avanzò verso il padiglione, ma il calore era così forte che egli, senza volerlo, lo costeggiò tutt’intorno e si trovò vicino a una grossa casa, di cui solo il tetto per ora bruciava e presso la quale brulicava una folla di francesi. Sulle prime Pierre non capì che cosa facessero lì quei francesi, vide solo che trascinavano qualcosa; poi, scorgendo un francese che colpiva un contadino con la daga, tentando di strappargli da dosso una pelliccia di volpe, capì confusamente d’esser capitato in mezzo a un saccheggio, ma non aveva il tempo di soffermarsi su questo pensiero.
Lo scricchiolio e il tonfo dei muri che crollavano, il fischio e il sibilo delle fiamme, le urla concitate della gente, la vista degli ondeggianti nugoli di fumo che ora si addensavano fitti e neri, ora si alzavano luminosi con sprazzi di scintille, la vista delle fiamme che lambivano le pareti, a tratti rosse, compatte, a forma di ventaglio, a tratti simili a squame dorate, la sensazione del caldo e del fumo, produssero su Pierre la consueta, stimolante azione degli incendi. Questa azione riusciva particolarmente forte su Pierre perché d’un tratto, alla vista di quell’incendio, si era sentito liberare dai pensieri che l’opprimevano. Si sentiva giovane, allegro, agile e risoluto. Girò intorno al padiglione dalla parte della casa e già stava per entrare di corsa nella parte che restava ancora in piedi, quando, proprio sopra la sua testa, si udì l’urlo confuso di parecchie voci e, subito dopo, lo schianto e il tonfo di qualcosa di pesante, venuto a cadere proprio vicino a lui.
Pierre si voltò a guardare e vide, alle finestre della casa, dei francesi che avevano buttato giù il cassetto di un comò pieno di oggetti di metallo. Altri soldati francesi, che stavano giù, si avvicinarono al cassetto.
«Eh bien, qu’est ce qu’il veut celui-là?» gridò, contro Pierre, uno dei francesi.
«Un enfant dans cette maison. N’avez-vous pas vu un enfant?» disse Pierre.
«Tiens, qu’est ce qu’il chante celui-là? Va te promener?» si alzarono alcune voci e uno dei soldati, temendo evidentemente che Pierre avesse l’intenzione di portargli via l’argenteria e i bronzi che stavano nel cassetto, avanzò verso di lui con fare minaccioso.
«Un enfant?» gridò dall’alto un altro francese. «J’ai entendu piailler quelque chose au jardin. Peut-être c’est son moutard au bonhomme. Faut être humain, voyez vous…»
«Où est-il. Où est-il?» domandò Pierre.
«Par ici! Par ici!» gli gridò il francese dalla finestra, mostrando il giardino dietro la casa. «Attendez, je vais descendre.»
Ed effettivamente un momento dopo il francese, un ragazzone dagli occhi neri e con una macchia su una guancia, in maniche di camicia, saltò fuori dalla finestra del pianterreno e, battuto un colpo sulla spalla di Pierre, corse con lui in giardino.
«Dépêchez-vous, vous autres,» gridò ai suoi compagni, «commence à faire chaud.»
Sbucato dietro la casa, su un viottolo ricoperto di sabbia, il francese tirò Pierre per un braccio, indicandogli uno spiazzo rotondo. Sotto una panchina in terra, giaceva una bambina di tre anni con un vestitino rosa.
«Voilà votre moutard. Ah, une petite, tant mieux,» disse il francese. «Au revoir, mon gros. Faut être humain. Nous sommes tous mortels, voyez-vous,» e il francese con la macchia sulla guancia tornò indietro di corsa verso i suoi compagni.
Ansimando per la gioia, Pierre si lanciò verso la bambina e fece per prenderla in braccio. Ma, alla vista di quell’estraneo, la bambina - scrofolosa, bruttina, malaticcia, somigliante alla madre - si mise a strillare e scappò via. Pierre tuttavia riuscì ad afferrarla e la prese in braccio; strillando con voce disperata e rabbiosa lei, con le piccole manine, si strappava da dosso le mani di Pierre e le mordeva con la sua bocca mocciosa. Pierre fu preso da una sensazione di orrore e di disgusto, simile a quella che tante volte aveva provato al contatto di qualche bestiola. Facendo sforzo a se stesso, non si lasciò sfuggire la bambina e corse con lei verso la casa. Ma ormai non si poteva più tornare indietro per la stessa strada; la ragazza, Aniska, non c’era più e Pierre, stringendo a sé come più teneramente poteva, con una sensazione di pietà e di ribrezzo, la bambina fradicia di sudore e scossa da penosi singhiozzi, attraversò di corsa il giardino cercando un’altra via d’uscita.
XXXIV
Quando Pierre, dopo un lungo giro attraverso vicoli e cortili, sbucò col suo fardello nel giardino del principe Gruzinskij, all’angolo della Povarskaja, sulle prime non riconobbe il luogo da cui era partito alla ricerca della bambina, tanto era ingombro di gente e di masserizie trasportate fuori dalle case. Oltre alle famiglie russe che si erano messe in salvo portando con sé la propria roba, c’erano anche parecchi soldati francesi nei più vari abbigliamenti. Pierre non vi fece attenzione. Aveva fretta di trovare la famiglia del funzionario per consegnare la bambina alla madre e ritornare sul luogo dell’incendio per rendersi utile. Sentiva di dover fare ancora molte cose e che non aveva tempo da perdere. Tutto accaldato, per l’incendio e la corsa, in quei momenti Pierre avvertiva con maggior forza quella sensazione di giovinezza, di eccitazione e di risolutezza, che l’avevano invaso quando s’era lanciato a mettere in salvo la bimba. Questa, adesso, si era chetata e, aggrappandosi con le manine al caffetano di Pierre, gli stava appollaiata sul braccio e si gettava intorno occhiate spaurite come una bestiolina selvatica. Pierre ogni tanto la sbirciava e sorrideva lievemente. Gli pareva di scorgere, in quella faccina spaventata e malaticcia, un’espressione di angelica, commovente innocenza.
Né il funzionario, né sua moglie erano più al posto di prima. Pierre camminava a rapidi passi fra la folla, scrutando le persone che gli capitavano sott’occhio. Senza volerlo fu attratto da una famiglia di georgiani, o armeni, composta da un bell’uomo molto vecchio, con una faccia di tipo orientale, che aveva indosso un pellicciotto di montone, nuovo come gli stivali che calzava, da una vecchia dello stesso tipo e da una giovane donna. Quella donna, assai giovane, parve a Pierre un modello perfetto di bellezza orientale: folte e arcuate sopracciglia nere, volto ovale, eccezionalmente dolce e bello, soffuso di un lieve colorito e privo di qualsiasi espressione. Tra le masserizie sparpagliate in terra, in mezzo alla folla sulla piazza, quella donna, col suo ricco mantello di raso e col capo coperto da un vivace fazzoletto lilla, faceva pensare a una delicata pianta di serra buttata sulla neve. Era seduta sui fagotti, un po’ indietro alla vecchia, e guardava in terra con grandi occhi neri, immobili, frangiati da lunghe ciglia. Evidentemente, era consapevole della propria bellezza, e ne aveva timore. Quel viso colpì Pierre che, pur nella sua fretta, si voltò varie volte a guardarla passando lungo il recinto. Giunto in fondo al recinto senza aver trovato chi cercava, Pierre si fermò e si guardò intorno.
La figura di Pierre con la bambina in braccio dava nell’occhio, adesso, ancora più di prima, e attorno a lui si raccolse una piccola folla di russi, uomini e donne.
«Hai forse perduto qualcuno, buon uomo? Siete un nobile, vero? Di chi è la bambina?» gli domandavano,
Pierre rispondeva che la bambina apparteneva a una donna che indossava un pellicciotto nero e che poc’anzi era seduta con gli altri suoi bambini proprio lì, e domandava se qualcuno non sapesse dov’era andata.
«Ma dovevano essere gli Anferov,» disse un vecchio diacono, rivolgendosi a una popolana dal volto butterato. «Signore, abbi misericordia; Signore, abbi misericordia,» soggiunse poi col consueto timbro di basso.
«Macché Anferov!» esclamò la donna. «Gli Anferov sono partiti già questa mattina. La bambina dev’essere di Mar’ja Nikolàevna o dell’Ivanovna.»
Lui ha detto “una donna”, mentre Mar’ja Nikolàevna è una signora,» disse un domestico.
«Sapete, ha i denti lunghi, è molto magra…» disse Pierre.
«Allora è proprio Mar’ja Nikolàevna. Sono scappati in giardino appena sono piombati qui questi lupi,» disse la donna indicando i soldati francesi.
«Oh, Signore abbi misericordia,» commentò di nuovo il diacono.
Andate laggiù, sono là. È lei di certo. Non faceva che piangere, era disperata,» disse di nuovo la donna. «È lei di certo. Ecco, da quella parte.»
Ma Pierre, ormai, non ascoltava più la donna. Già da vari secondi il suo sguardo era fisso su qualcosa che s’andava svolgendo a pochi passi da lui. Guardava la famiglia armena, alla quale s’erano avvicinati due soldati francesi. Uno di quei soldati, un ometto piccolo e vispo, indossava un cappotto azzurro stretto in vita da una corda. In testa aveva un colbacco e i piedi erano scalzi. L’altro, quello che attirò maggiormente l’attenzione di Pietre, era un uomo alto e allampanato, un po’ curvo, biondastro, lento di movimenti, con un’espressione da ebete sulla faccia. Indossava una mantella di lana crespa, pantaloni azzurri e grossi, laceri stivaloni alla scudiera. Il francese piccolo, quello senza stivali e col cappotto azzurro, si era avvicinato agli armeni e, dopo aver detto qualcosa, aveva subito afferrato per i piedi il vecchio: quest’ultimo, allora, si era affrettato a togliersi gli stivali. L’altro, quello con la mantella, si era fermato davanti alla bella armena e la guardava in silenzio, immobile, tenendo le mani in tasca.
«Prendi tu la bambina,» esclamò Pierre, rivolgendosi con tono imperioso e frettoloso alla donna e porgendole la bimba. «Pensaci tu a consegnarla ai genitori!» quasi urlò alla donna mentre posava a terra la bimba che si era messa a strillare, e poi si voltò di nuovo a guardare i francesi e la famiglia armena.
Il vecchio era già scalzo. Il francese piccolo gli aveva tolto anche il secondo stivale e ora stava sbattendo uno contro l’altro i due stivali. Il vecchio piangeva e diceva qualcosa tra i singhiozzi, ma Pierre lo notò solo di sfuggita: tutta la sua attenzione era rivolta al francese con la mantella che nel frattempo, dondolandosi lentamente, si era accostato alla giovane donna e, levate le mani di tasca, l’aveva afferrata per il collo.
La bella armena restava immobile, con le lunghe ciglia abbassate, e sembrava non vedere e non sentire ciò che le faceva il soldato.
Nel tempo che Pierre percorse i pochi passi che lo separavano dai francesi, l’alto saccheggiatore con la mantella aveva già strappato dal collo dell’armena la collana, e la giovane donna, portandosi le mani al collo, s’era messa a gridare con voce lacerante.
«Laissez cette femme!» si mise a urlare, furibondo, Pierre e afferrando il soldato curvo per le spalle, lo spinse indietro.
Il soldato cadde, si rialzò e scappò via. Ma il suo compagno, gettati via gli stivali, estrasse la daga e avanzò minaccioso verso Pierre.
«Voyons, pas de bêtises!» gridò.
Pierre era in preda a uno di quei suoi accessi di furore in cui non capiva più nulla, e le sue forze si decuplicavano. Si buttò sul francese scalzo e, prima che questo riuscisse a estrarre la daga, l’aveva già fatto cadere in terra e lo tempestava di pugni. Un grido d’approvazione si alzò dalla folla circostante, e nello stesso momento una pattuglia di ulani francesi a cavallo sbucò dall’angolo della strada. Gli ulani si diressero a trotto verso Pierre e il francese, e li circondarono. Pierre non ebbe alcuna coscienza di quanto accadde dopo. Ricordava di aver colpito qualcuno, poi di essere stato colpito a sua volta e, infine, s’era accorto di avere le mani legate, mentre un gran numero di soldati francesi gli stava intorno e lo perquisiva.
«Il a un poignard, lieutenant,» furono le prime parole che Pierre comprese.
«Ah, une arme!» disse l’ufficiale e si rivolse al soldato scalzo che era stato trovato alle prese con Pierre. «C’est bon, vous direz tout cela au conseil de guerre,» disse l’ufficiale. E subito dopo si rivolse a Pierre: «Parlez-vous français vous?»
Pierre ruotò intorno gli occhi iniettati di sangue e non rispose. Il suo viso doveva avere un’espressione terribile, perché l’ufficiale mormorò qualcosa e altri quattro ulani si staccarono dalla pattuglia e si misero ai due lati di Pierre.
«Parlez-vous français?» gli ripeté la domanda l’ufficiale, tenendosi a una certa distanza da lui. «Faites venir l’interprête.»Dalle file uscì un ometto in panni russi da borghese. Dal suo abbigliamento e dall’accento Pierre riconobbe subito in lui un francese di qualche grande negozio moscovita.
«Il n’a pas l’air d’un homme du peuple,» disse l’interprete squadrando Pierre.
«Oh! oh! ça m’a bien l’air d’un des incendiaires,» disse l’ufficiale. «Demandez lui ce qu’il est?» aggiunse.
«Tu chi sei?» domandò l’interprete. «Tu dovere rispondere alle autorità.»
«Je ne vous dirai pas qui je suis. Je suis votre prisonnier. Emmenez-moi,» proruppe inaspettatamente Pierre, in francese.
«Ah! Ah!» esclamò l’ufficiale accigliandosi. «Marchons!»
Intorno agli ulani s’era radunata una piccola folla. Più vicina di tutti a Pierre stava quella popolana butterata, con la bambina in braccio; quando la pattuglia si mosse, la donna si fece avanti.
«Dov’è che ti portano, buon uomo?» esclamò. «Ma la bambina, che ne faccio della bambina se non è di quelli là?» aggiunse.
«Qu’est ce qu’elle veut cette femme?» domandò l’ufficiale.
Pierre era come ubriaco. La vista della bambina che aveva tratto in salvo accentuò più che mai il suo stato d’esaltazione.
«Ce qu’elle dit?» esclamò. «Elle m’apporte ma fille que je viens de sauver des flammes,» affermò.
«Adieu!» e, non sapendo nemmeno lui come gli fosse sfuggita quell’inutile menzogna, si avviò fra i francesi con passo risoluto e solenne.
La pattuglia francese era una di quelle che, per ordine di Durosnel, erano state inviate per le strade di Mosca allo scopo di metter fine ai saccheggi e, soprattutto, di catturare gli incendiari, a cui risaliva, secondo l’opinione che s’era diffusa proprio quel giorno fra i capi francesi, la colpa degli incendi. Perlustrato un certo numero di strade, la pattuglia fermò altri cinque russi sospetti: un bottegaio, due seminaristi, un contadino e un domestico, oltre ad alcuni saccheggiatori. Ma, di tutti gli individui sospetti il più sospetto era Pierre… Quando li condussero al luogo di pernottamento, in una vasta casa sul bastione Zubovskij, Pierre fu messo in un reparto isolato, sotto severa sorveglianza.