«Ascolta,» gli disse, «non darti pensiero per tua moglie: tutto ciò che è possibile fare, sarà fatto. Ma ora ascoltami: consegna questa lettera a Michajl Ilarionovič Kutuzov. Gli ho scritto che ti utilizzi in buoni posti e non si serva a lungo di te come aiutante di campo: è un pessimo incarico! Digli che io lo ricordo e gli voglio bene. Tu, poi, mi scriverai come ti ha accolto. Se con te sarà buono, servilo bene. Il figlio di Nikolaj Andreevič Bolkonskij non deve prestar servizio a nessuno per favore. E ora vieni qui.»

Parlava in modo così precipitoso che metà delle parole restavano tronche; ma il figlio era abituato a capirlo. Condusse il figlio accanto al bureau, ne ribaltò il coperchio, aperse un cassetto e ne tolse un quaderno, coperto della sua scrittura, lunga e serrata.

«Probabilmente io morirò prima di te. Sappilo, queste sono le mie memorie; dopo la mia morte andranno consegnate all’imperatore. Qui c’è una cartella del prestito e una lettera: è un premio per chi scriverà la storia delle guerre di Suvorov. Dovrai mandarlo all’Accademia. E questi sono i miei appunti: dopo la mia morte leggili, ne trarrai profitto.»

Andrej non disse al padre che sicuramente sarebbe vissuto ancora a lungo. Capiva che non bisognava dirlo.

«Farò tutto, batjuška,» disse.

«Bene. E adesso addio!» Diede la sua mano da baciare al figlio e l’abbracciò. «Ricordati di una cosa, principe Andrej: se ti uccideranno, questo vecchio ne avrà dolore…» Improvvisamente tacque; poi, a un tratto, proseguì con una voce stridula: «Ma se saprò che non ti sei comportato come il figlio di Nikolaj Bolkonskij, ne avrò… ne avrò vergogna!» gridò.

«Questo potevate anche non dirmelo, batjuška,» disse il figlio sorridendo.

Il vecchio taceva.

«Di un’altra cosa volevo pregarvi,» continuò il principe Andrej; «se mi uccidessero e se avrò un figlio, non lasciate che ve lo portino via; come vi ho detto ieri, vorrei che crescesse qui accanto a voi. Ve ne prego.»

«Non devo lasciarlo a tua moglie?» chiese il vecchio scoppiando a ridere.

Erano in piedi, in silenzio, l’uno di fronte all’altro. Gli occhi rapidi del vecchio erano fissi in quelli del figlio. Le mascelle del vecchio principe ebbero un tremito.

«Ci siamo salutati… ora va’!» disse all’improvviso. «Va’!» gridò con voce adirata e forte, aprendo la porta dello studio.

«Che cos’è accaduto? Che c’è?» domandarono la principessa e la principessina vedendo il principe Andrej e la piccola figura del vecchio, affacciatasi dalla porta per un istante, che parlava con voce adirata nella sua veste da camera bianca, senza parrucca e con i suoi occhiali all’antica.

Il principe Andrej sospirò e non rispose nulla.

«Ebbene,» disse, rivolto alla moglie. E quella parola suonò come una fredda irrisione, quasi avesse detto: «Adesso fate pure voi le vostre commedie.»

«André, déjà?» disse la piccola principessa facendosi pallida e guardando il marito con terrore.

Lui l’abbracciò. Lei emise un grido e cadde priva di sensi sulla sua spalla.

Egli liberò con cautela la spalla sulla quale lei si appoggiava, la fissò in volto e l’adagiò con sollecitudine su una poltrona.

«Adieu, Marie,» disse piano alla sorella. La baciò tenendole la mano nelle sue, e uscì a passi veloci dalla stanza.

La principessa giaceva sulla poltrona, mentre M.lle Bourienne le strofinava le tempie. La principessina Mar’ja, sorreggendo la cognata, continuava a fissare con i magnifici occhi piangenti la porta dalla quale era uscito il principe Andrej e faceva un segno di croce in quella direzione. Appena fu scomparso, dallo studio si udirono i suoni rabbiosi e iterati del vecchio che si soffiava il naso. Il principe Andrej era appena uscito, quando la porta dello studio rapidamente si aprì e apparve la figura severa del vecchio in veste da camera bianca.

«È partito? Bene. Bene,» disse guardando con occhi severi la piccola principessa svenuta. Scosse la testa con aria di rimprovero e sbatté la porta.