Kechu – Cinque
La pioggia continua a cadere senza posa e nel mio rifugio io aspetto che smetta. Mi piace la pioggia che rinnova sempre le cose. A volte, quando vivevo con tutto quel che ho perduto, Aukamañ mi abbracciava forte mentre il temporale rimbombava nella notte. Quel cucciolo d’uomo si sentiva al sicuro accanto a me e io ringraziavo la pioggia per la fiducia di peñi, mio fratello.
Mi piaceva il cucciolo d’uomo. Mi piaceva soprattutto vederlo reggersi in piedi e fare i primi passi per la gioia di Kinturray e del vecchio Wenchulaf. Ma quello che più mi piaceva era essere già all’erta quando alka, il gallo, cantava svegliando antü, il sole, perché subito gli umani lasciavano i loro letti di pelli di pecora e la voce di Kinturray diceva mari mari chaw – buongiorno, padre – salutando Wenchulaf, e la voce sempre gentile del vecchio rispondeva mari mari ñawe – buongiorno, figlia mia – e aggiungeva mari mari kompu che – buongiorno a tutti – e poi ridevano, perché quel saluto comprendeva sia Aukamañ che me.
Mentre l’acqua e il latte si riscaldavano, Kinturray gettava due pugni di grano in un recipiente di ferro e lo muoveva sul fuoco per tostare i chicchi che diffondevano il primo aroma della giornata. Dopo macinava a mano i chicchi tostati, versava la farina in una ciotola, aggiungeva miele e latte e divideva quella pappa fragrante in due porzioni che Aukamañ e io divoravamo fino a saziarci.

Crescemmo insieme nelle brevi estati e nei lunghi inverni australi. Insieme imparammo dal vecchio Wenchulaf che la vita va accolta con gratitudine. Così, per esempio, il piccolo Aukamañ e io lo guardavamo con rispetto quando prendeva una pagnotta e, prima di tagliare le fette per Kinturray e per sé, ringraziava il Ngünemapu per quel kofke, cibo offerto dalla terra.
Durante l’estate uscivamo con il vecchio per rallegrare i ruscelli e le cascate, per rallegrare il bosco e i suoi sentieri, i pesci e gli uccelli, per rallegrare tutto quello che vive nominandolo con gratitudine, perché i mapuche, la Gente della Terra, sanno che la natura si rallegra per la loro presenza, e l’unica cosa che chiede è che i suoi portenti vengano nominati con belle parole, con amore.
D’inverno sentivamo cadere la pioggia e la grandine. Sentivamo anche scendere sommessa la neve, felici dentro il tepore della ruka con il fuoco sempre acceso. E nei giorni di nebbia fitta Wenchulaf ci diceva che la nebbia era un beato mantello che copriva mapu, la terra, mentre questa preparava i regali che ci avrebbe offerto non appena il freddo si fosse ritirato nella sua dimora sulle alte montagne.
Aukamañ e io crescemmo ascoltando il vecchio Wenchulaf. Ci diceva che in ottobre, il longkon kachilla küyen, il mese delle spighe, quando il sole ormai riscalda e il Ngünemapu ordina ai rami dei walle, le alte querce, di riempirsi di diweñe, i dolci funghi che tanto ci piacevano, lui avrebbe insegnato al cucciolo d’uomo a lanciare un pezzo di luma, il legno durissimo che colpisce gli alti rami senza danneggiarli e fa cadere i diweñe come una pioggia di miele. «Ma dovremo stare attenti che Aufman non se li mangi tutti» spiegava il sempre sorridente Wenchulaf mentre cardava lana di pecora e, al suo fianco, Kinturray la filava sulla rocca.
Aukamañ, il cucciolo d’uomo, era curioso e non smetteva mai di fare domande al padre di sua madre. «E i pinoli, chedki?» chiedeva. «Mi insegni a tirar giù anche i pinoli?»
Wenchulaf aveva sempre una risposta pronta e spiegava che per godersi i pinoli bisogna aspettare che antü, il sole, si stanchi di brillare forte nel cielo e che il Ngünemapu gli ordini di riposarsi. Accadrà in marzo, nel ngülliw küyen, il mese dei pinoli, quando le alte araucarie offrono generosamente in regalo i loro frutti saporiti, però bisogna avere pazienza, pichiche, diceva Wenchulaf. Ti ho mai raccontato che al principio della vita le araucarie davano frutti tutto l’anno? Ma erano frutti senza sapore e secchi. Allora il Ngünemapu parlò con le araucarie e le esortò a essere pazienti, molto pazienti, e così adesso le alte araucarie danno frutti soltanto quando raggiungono l’età di un uomo vecchio. Tu, Aufman e io faremo un viaggio nelle terre dei nostri peñi, i nostri fratelli pewenche, la Gente del Pewen, che è il nome dato dal Ngünemapu all’araucaria, e loro ci racconteranno altre storie del grande albero, dei suoi frutti e delle terre ai piedi della cordigliera.
Fuori dal calduccio accogliente della ruka cadeva la pioggia buona del sud del mondo, si gelava coprendo il terreno con uno specchio di brina, o la neve copriva tutto con un mantello che invitava a restarsene lì ad ascoltare il vecchio accanto al fuoco.