91

 

«La parola alla difesa» annunciò il cancelliere.

La folla si voltò verso padre Venceslao.

Mercurio era a testa bassa, con i gomiti appoggiati al tavolo. Immobile.

Anche il Patriarca lo guardò. E lo stesso fece Giustiniani, con gli occhi rossi, annebbiati dal dolore per la morte di Scarabello.

Mercurio non si muoveva. Respirava a fatica.

Zolfo, in prima fila, si alzò, preoccupato.

«Siediti, ragazzino» disse piano Zuan, accanto a lui, senza staccare lo sguardo da Mercurio, con un’espressione tesa.

La folla mormorò.

«Padre Venceslao» disse spazientito il Patriarca. «Allora?»

Mercurio strinse i denti. Alzò il capo. Annuì faticosamente. E poi, reggendosi al bordo del tavolo, si tirò in piedi. Lo sforzo gli levò il fiato. Guardò verso Giuditta.

Lei sorrise, impercettibilmente.

No, non sapeva niente, pensò Mercurio. Fece un sorriso anche lui, mostrando i denti anneriti dalla pece. Poi si voltò verso la folla. Intercettò lo sguardo preoccupato di Zolfo. Gli fece un cenno per tranquillizzarlo. E lo stesso fece a Zuan. Mosse un passo. Sentì che le gambe lo reggevano appena. La ferita gli faceva male. Il vecchio l’aveva bendata stretta, quella mattina. Gli aveva detto che non poteva andare al processo conciato in quella maniera. Mercurio lo aveva guardato e aveva scosso il capo. «Se provi a fermarmi affondo la tua nave con le ultime forze che mi rimangono» gli aveva risposto. Poi si era truccato da padre Venceslao e si era fatto portare al collegio canonico dei Santi Cosma e Damiano con la barca di Tonio e Berto.

Fece un altro passo. Guardò la folla.

L’arringa del Santo era stata eccezionale. Aveva ben poco in mano, ma era riuscito a insinuare il dubbio in ognuno degli spettatori presenti. All’inizio della mattinata, quando era arrivato, Mercurio aveva chiaramente percepito di avere la vittoria a portata di mano. La gente voleva la salvezza di Giuditta, foss’anche solo come rivincita contro il potere, contro quello che era già scritto. Ma l’arringa del Santo era stata così ispirata, così passionale, così violenta, che ora il pubblico era sospeso, come a metà di un ponte, e non sapeva più quale sponda scegliere.

Mercurio guardò la gente e sorrise, cercando di sembrare disinvolto. Zuan gli aveva detto di parlare col cuore. Ce l’avrebbe fatta? Non sapeva nemmeno se sarebbe stato in grado di far uscire la voce. Il sorriso gli si spense sulle labbra. Sudava. Temeva che il sudore gli sciogliesse il trucco.

«Fratello Amadeo…» cominciò a dire.

«Più forte!» gridò qualcuno a metà sala.

Mercurio si sentì vincere dalla disperazione. Si aggrappò al bordo del tavolo. La vista, a tratti, gli si annebbiava. Si voltò verso Giuditta. Adesso anche lei lo guardava preoccupata. Non sapeva nulla ma intuiva che qualcosa non andava. Mercurio si spaventò. Non poteva mollare. Sollevò la mano dal tavolo. Fece un passo deciso in avanti, verso la gente. Sentì una fitta al fianco. Trattenne un gemito. Strinse i denti. «Fratello Amadeo» ripeté, forzando la voce, e di nuovo avvertì una fitta dolorosa, «parla così bene che vorrei sentirlo di nuovo, daccapo.» Scosse il capo. «Mi ha… cullato con le sue parole.»

Il pubblico non capiva. Aspettava in silenzio.

«Davvero» continuò Mercurio. «Mi ha cullato…» Indicò il posto al quale sedeva prima. «L’avete visto, mi ero addormentato.»

La folla scoppiò a ridere, divertita.

«No, non scherzo…» fece Mercurio e, muovendosi, sentì che la ferita si riapriva. Strinse ancora i denti. Cercò di fare in modo che nessuno se ne accorgesse. «Sono davvero ammirato, fratello Amadeo» disse al Santo, che lo fissò in modo astioso. Mercurio tornò a dialogare con la folla, mentre raggiungeva la gabbia di Giuditta e si aggrappava a una sbarra, per reggersi in piedi. «Pensate che memoria straordinaria ha» fece. «Tutti quei testimoni che ci ha ricordato…» Si voltò ancora verso il Santo. «Grazie. Grazie davvero» gli disse e poi scosse il capo verso la gente. «Io sinceramente non me ne ricordavo neanche uno di quegli inutili testimoni…»

Di nuovo il pubblico scoppiò a ridere.

«Così, ragazzo» mormorò Zuan.

Zolfo fissava fratello Amadeo. Si erano già guardati, prima. E il Santo nemmeno l’aveva salutato. Ma Zolfo non ci era rimasto male. Adesso il frate non contava più nulla, perché Zolfo si era ripreso la sua vita. Quando avevano gettato il cadavere del mercante ebreo nella laguna, Zolfo aveva capito di avere una nuova occasione.

«Mercurio è il migliore del mondo» disse fiero a Zuan.

Il vecchio lo guardò e annuì.

Mercurio fissò la folla, in silenzio. Il dolore si era fatto così acuto che gli levava il fiato. Rimase così, a bocca aperta, sperando di tenerli sospesi fino a quando fosse riuscito a parlare. Con una mano continuava a stringere una sbarra della gabbia. Con l’altra indicava uno a uno i popolani, come se quel gesto significasse qualcosa.

E la folla, in realtà, lo seguiva in silenzio. Catturata.

«Qual è l’unico testimone che ricordiamo tutti?» disse infine Mercurio, con un grande sforzo.

Molti, tra il pubblico, annuirono. Qualcuno disse anche il nome.

Mercurio, che faticava a respirare, indicò una donna che aveva parlato e le fece segno di ripetere.

«L’amante del principe Contarini» disse la donna. «Ah, no» fece, dandosi una pacca sulla fronte, in maniera teatrale, «era solo la serva del principe.»

La gente scoppiò a ridere.

Il Patriarca avvampò ma non disse nulla. Si aggrappò con entrambe le mani ai braccioli del seggio dorato sul quale sedeva e li strinse con rabbia.

«Eccola!» disse un uomo tra il pubblico e indicò un punto della sala maggiore.

La gente si voltò. Alcuni si alzarono e si misero in punta di piedi, allungando il collo. Lo stesso fecero il Patriarca e tutte le personalità sul palco. E così fece il Santo. E Mercurio. E Zolfo.

Benedetta, contro il muro, si sentì addosso gli occhi di tutti. Guardò Giuditta, a bocca aperta, come se dovesse dirle qualcosa.

Mercurio si irrigidì.

Ma Benedetta non aveva rabbia negli occhi. E comunque non disse nulla. Arretrò in silenzio, seguita dagli sguardi del pubblico, e uscì dalla sala maggiore, ingobbita, a testa bassa, nei suoi abiti dimessi.

Zolfo sentì un peso nel cuore. Si avviò verso l’uscita, fendendo la folla, mentre il cancelliere urlava: «Ordine! Ordine!». Arrivò sulla porta e cercò Benedetta tra la gente che si accalcava nel campiello, ma non la vide. Allora, sempre con quel peso, rientrò e tornò a sedersi accanto a Zuan.

«La conosci?» gli chiese il vecchio.

Zolfo lo fissò. «Forse» disse con una voce strana. Annuì, perso nei propri pensieri. «Forse…»

«Ordine! Ordine!» continuava a strillare il cancelliere.

Mercurio intanto si era aggrappato con entrambe le mani alla sbarra. Sentiva le forze venirgli meno. La voce del cancelliere gli rimbombava nelle orecchie, riverberata. I volti della folla si andavano sfocando. L’aria era irrespirabile. Il cuore batteva sempre più piano. Sempre più lontano. Il sudore gli colava copioso dalla fronte. Sentiva il trucco sciogliersi. La luce che entrava dalle grandi finestre si era trasformata in una lama dolorosa.

Si voltò verso Giuditta, con gli occhi sbarrati, la bocca aperta. Ansimò.

«Che succede?» disse lei, improvvisamente preoccupata, andandogli vicino, dall’altra parte delle sbarre.

Mercurio scosse il capo.

Nella sala maggiore adesso era sceso un silenzio innaturale. Gli sguardi di tutti erano rivolti alla strana figura del domenicano, abbarbicato alla gabbia dell’accusata, quasi piegato in due, con le mani che scivolavano lentamente verso il basso.

«Mi… dispiace…» disse Mercurio, piano.

Giuditta, che lo fissava spaventata, abbassò lo sguardo. E quello che vide la spaventò ancora di più. «Amore mio…» sussurrò, e poi tutti videro che allungava una mano verso di lui, all’altezza del fianco sinistro.

«Mi… dispiace…» ripeté Mercurio e poi mollò le sbarre. Fece un passo all’indietro, barcollando.

E, là dove Giuditta aveva poggiato la mano, ognuno poté vedere una larga chiazza rossa che si allargava sulla tonaca bianca.

Mercurio fece una specie di piroetta e poi crollò in ginocchio.

La folla trattenne il fiato.

Giuditta si portò una mano alla bocca, con gli occhi che si riempivano di lacrime.

«Ragazzo…» disse Zuan.

«Mercurio…» disse Zolfo.

Giustiniani, seppur accecato dal proprio dolore, si alzò lentamente in piedi.

Per un attimo il tempo sembrò fermarsi.

E in quell’attimo il Santo scattò in piedi e puntò un dito contro Giuditta, levando in alto l’altra mano, in modo da esibire le stimmate. «Strega!» urlò. «Figlia di Satana!»

La gente lo guardò. E poi voltò la testa verso Giuditta.

Giuditta fissava Mercurio e scuoteva il capo.

«Figlia di Satana!» tornò a urlare il Santo. «Hai preso anche l’anima di questo buon servo di Dio perché ti salvasse! Anche lui hai stregato!»

La folla cominciò a infiammarsi.

Giuditta guardò la gente e si tolse la mano dalla bocca. Ed ecco che il sangue di Mercurio era sulle sue labbra.

«Anche il suo sangue hai preso!» urlò il Santo con tutto il fiato che aveva in gola.

E allora la folla impazzì. Dimenticò tutto. Dimenticò quello che aveva pensato fino a pochi attimi prima e urlò, insieme al Santo: «Strega! Puttana di Satana! Brucerai all’inferno! Al rogo! Al rogo!».

Mercurio si voltò verso Lanzafame, che insieme ai suoi soldati aveva estratto la spada e si era messo a protezione della gabbia. «Capitano…» lo chiamò.

Lanzafame si voltò verso di lui.

Il trucco di Mercurio andava sciogliendosi. «Ora o mai più, capitano» gli disse.

«Ma tu…» fece Lanzafame cominciando a riconoscerlo.

«Ora o mai più» ripeté Mercurio. «Portatela via… La barca vi aspetta… Sapete dove…»

«Sì, so dove» disse Lanzafame.

«Andate…» ansimò Mercurio, lottando contro gli occhi, che volevano chiudersi.

«Mercurio!» urlò Giuditta.

«Salvatela…» disse ancora Mercurio a Lanzafame.

Il capitano aprì la gabbia. «Protezione!» ordinò ai suoi uomini, mentre i primi scalmanati cercavano di forzare il blocco delle guardie ducali. «Andiamo, Giuditta» disse, afferrandola per un braccio.

«Che fate?» gridò il Patriarca, alzandosi in piedi. E stava già per dare l’ordine alle guardie di fermarli quando Giustiniani, uscendo dall’inebetimento del proprio dolore, lo prese per un polso.

«Che fate voi, Patriarca?» disse con ferocia. «Volete che sia linciata?»

Il Patriarca guardò allibito la mano di Giustiniani che stringeva la sua. «Come vi permettete?»

«Sedetevi!» gli disse Giustiniani, con un impeto tale che il Patriarca ubbidì. Il nobiluomo si voltò verso Lanzafame. «Via! Portatela via!» urlò. E poi puntò un dito verso il comandante delle guardie ducali. «Non fate passare nessuno!»

Lanzafame strinse più forte a sé Giuditta. Si voltò verso Mercurio. «Ragazzo…»

«Andate…» disse con un filo di voce Mercurio, sempre in ginocchio, ciondolando il capo ormai senza più forza, con lo sguardo velato.

«Mercurio, no!» urlò Giuditta.

«Avanti!» ordinò Lanzafame, portandola via.

«No! No!» urlava lei.

Mercurio si voltò a guardarla. Provò a sorriderle. Ma fu accecato all’improvviso da un gran bagliore e, un attimo prima che Giuditta scomparisse dalla porta laterale, crollò in terra, con la faccia sul pavimento.

I rumori, gli strepiti, le paure tacquero.

Il mondo intero si azzittì. E si fece nero.