17
Mestre
La notte in casa di Anna del Mercato passò tranquilla. Il fuoco continuò a scoppiettare piano nel camino. E prima dell’alba la donna tornò a ravvivarlo e mise a scaldare del brodo.
Appena il frate si assentò per andare nella latrina oltre l’orto, Mercurio, sbocconcellando mezza cipolla cruda e un tocco di pane bagnato nel brodo, si avvicinò a Zolfo e gli disse: «Quando torna, salutalo e andiamocene».
«No. Io resto con lui.»
«Sei scemo?» sbottò Mercurio. «Che vuoi fare? Il chierico?»
«Resta anche tu, Benedetta» disse Zolfo, senza badargli.
«Io con i preti non ci sto» ribatté lei, decisa.
«Combatteremo insieme gli ebrei e vendicheremo Ercole.»
«Che cos’hai in testa?» domandò Mercurio.
«Fra’ Amadeo ha detto che potrò raccontare la mia storia per far capire ai cristiani che gli ebrei sono un flagello peggiore delle cavallette che Dio mandò al Faraone» rispose tutto d’un fiato Zolfo. «Ho trovato un padre e un ideale.»
«Ma come parli?» disse Benedetta. «Quel frate ti ha messo in bocca le sue parole…»
«Lascialo perdere. È un ragazzino scemo» la interruppe Mercurio. Poi, con rabbia, si voltò verso Zolfo, puntandogli un dito in faccia. «I nostri padri non hanno mai saputo nemmeno che eravamo nati e le nostre madri ci hanno buttato per strada, fottendosene se arrivavamo vivi al mattino. Se cercavi un padre, tanto valeva che restassi con Scavamorto.»
«Non m’interessa quello che dici» rispose Zolfo, incrociando le braccia in petto. Poi si rivolse a Benedetta: «Tu resti con me?».
Benedetta lo guardò in silenzio. Gli occhi le si trasformarono, riempiendosi di pena. «Mia madre mi ha venduto a un prete» disse piano. «Era la mia prima volta.» Si morse le labbra, per non cedere alle lacrime. «No, io non resto.»
A Mercurio parve di ricevere un pugno allo stomaco. Zolfo invece la guardò come se quella confidenza non lo riguardasse. Mercurio però sapeva che era solo un modo per combattere la paura. «Vieni via con noi» disse, toccandogli un braccio.
Zolfo si scostò bruscamente. La sua voce era dura. «No. E voglio la mia parte di monete.»
Benedetta guardò Mercurio, il quale fece segno di sì col capo. Contò sei monete d’oro e le mise sul tavolo. Zolfo le strinse velocemente nel pugno.
Intanto fra’ Amadeo, rientrando, avvertì la tensione nell’aria. Si avvicinò a Zolfo e gli mise una mano sulla spalla, come a determinare un possesso. Gli altri due lo fronteggiarono. Zolfo aprì il palmo e mostrò i soldi al predicatore, sfidando apertamente Benedetta e Mercurio.
Fra’ Amadeo spalancò gli occhi, vedendo le monete. «Il Signore benedice la nostra santa crociata con questo denaro» disse.
«Almeno Scavamorto te li avrebbe presi senza ipocrisie, coglione» sibilò Mercurio. Mise un quarto d’argento sul tavolo. «Questa è per Anna del Mercato. Fai in modo che non scompaia nelle tue tasche, frate.» Resse lo sguardo del religioso, lo superò e si avviò verso la porta. «Andiamo, Benedetta.»
Lei guardò Zolfo. Sapeva che dietro la sua maschera dura era solo un ragazzino. Ma non sapeva come fargliela cadere. Scosse il capo, poi raggiunse Mercurio in strada.
Anna del Mercato era nell’orto quando li vide andare via. Era sempre così, arrivavano a sera e al mattino se ne andavano. Ma quel ragazzo non era come tutti gli altri, aveva addosso i vestiti di suo marito. Sentì una stretta al cuore. Alzò la zappa e quando l’abbassò, con gli occhi velati, sbagliò il colpo e spaccò in due un cavolo nero sopravvissuto al gelo.
«E adesso dove andiamo?» chiese Benedetta dopo un po’ che camminavano.
Mercurio era turbato da quello che Benedetta aveva confessato a Zolfo. Venduta a un prete. La vita era uno schifo per tutti loro, questo Mercurio l’aveva capito fin troppo presto. E adesso capiva anche cosa intendeva Scavamorto quando gli aveva detto che essere abbandonati dalla propria madre per alcuni poteva rivelarsi una fortuna. Non rispose.
«Allora? Dove andiamo?» tornò a domandare Benedetta.
Mercurio la guardò. «Lo sai cosa mi ha detto stamattina Anna del Mercato, appena sveglio? Mi ha chiesto se avevo un progetto.»
«Che vuol dire?»
«Ha detto che un essere umano deve sempre avere un progetto, altrimenti è come se non vivesse veramente.»
«E lei che progetto ha?» domandò Benedetta, polemica.
«Il suo progetto era il marito.» La voce di Mercurio si fece incerta. «E ora è morto. E mi ha detto che è un po’ morta anche lei.»
«E a noi cosa ce ne frega?»
«Non lo so…» Mercurio scalciò un sasso. «Ho solo pensato che io non ho mai avuto un progetto. Almeno credo.»
«Mi sembrano le stronzate di una vecchia.»
«Già…»
Camminarono in silenzio. Mercurio prendeva a calci tutti i sassi che incontrava. Benedetta si stringeva nelle spalle, rabbrividendo.
«E che progetto abbiamo noi, adesso?» chiese poi Benedetta.
Mercurio si voltò a guardarla. Ma non vedeva lei. Vedeva Giuditta. «Troviamo una barca per Venezia» disse. «Andiamo nella piazza centrale.»
La piazza del mercato e degli affari era ancora sonnacchiosa a quell’ora. Mercurio chiese a qualche barcaiolo ma gli venne risposto che in tempo di guerra ai forestieri non era permesso entrare a Venezia. Mentre girovagavano, Mercurio scorse una bottega con un tendone azzurro. Notò che i pochi clienti che la frequentavano avevano un’aria mesta. Incuriosito, si avvicinò e vide che si trattava di un banco dei pegni.
«Chi è l’usuraio?» chiese a un tizio che passava di lì.
«Isaia Saraval» gli rispose quello.
Mercurio guardò all’interno della bottega. Vide un omone che lo squadrava. Lo salutò ma l’omone non rispose, pur continuando a tenerlo d’occhio. Il ragazzo comprese che era una specie di guardia. Poi un uomo sui cinquant’anni, con un viso lungo e affilato e l’aria gentile, uscì da una tenda damascata. Appesa al collo aveva una lunga catena dalla quale ciondolava una lente d’ingrandimento. Probabilmente la stessa lente che l’usuraio aveva usato per valutare la collana di Anna del Mercato, pensò Mercurio uscendo.
«E adesso che si fa?» chiese Benedetta.
Mercurio individuò una locanda di fronte al banco dei pegni e ci si diresse. Benedetta mangiò a quattro palmenti. Mercurio invece lasciò la sua testina di maiale arrosto con cavolfiori lessi sul piatto. Vide un giovane entrare con aria circospetta nel banco dei pegni, allora disse a Benedetta: «Resta qui». Uscì e aspettò davanti al banco.
Dopo poco l’energumeno che vegliava sui valori di Isaia Saraval spintonò fuori il giovane. «La prossima volta che ti fai vedere il mio padrone ti denuncerà alle autorità.»
«Pezzo di merda» brontolò il giovane, allontanandosi.
Mercurio gli si avvicinò. «Buongiorno, amico.»
Il giovane lo guardò con sospetto.
«Hai cercato di impegnare qualcosa che non è tuo, vero?» chiese Mercurio.
«Chi sei? Levati di torno.»
«Sono uno come te, compare» lo rassicurò Mercurio. «E sono in cerca di una barca che mi porti a Venezia. Posso pagare.»
Il giovane divenne improvvisamente interessato. «Potevi dirlo subito, amico. Quanto puoi pagare?»
«Siamo in due» rispose Mercurio.
«Un argento a testa.»
«Un argento per due.»
«E va bene» fece il giovane. Assomigliava a un ratto. Allungò la mano verso Mercurio. «Dammi l’argento e vediamoci domattina al Canal Salso.»
«Mi hai preso per scemo?» rise Mercurio.
«Devo trovare la barca…»
«Quando sarò a bordo vedrai il soldo» disse Mercurio. «Allora, vuoi concludere l’affare o no?»
Il giovane scosse il capo. «E va bene. Domani mattina all’alba al Canal Salso.» Poi aggiunse: «Dove dormi? Se vuoi, per mezzo soldo, ti trovo una stanza in una casa sicura».
Mercurio immaginò che il giovane e i suoi compari li avrebbero scannati quella notte stessa. «All’alba al Canal Salso» disse.
«All’attracco del pesce. La barca si chiama Zitella. Di’ che ti manda Zarlino, che poi sarei io» fece il giovane malvivente. «Non ti puoi sbagliare.»
«Non mi sbaglierò, Zarlino.» Mercurio tornò alla locanda, dove Benedetta aveva finito anche la sua testina di maiale e bevuto troppo vino. «Dobbiamo trovare un posto per dormire» le disse.
«Vorrei che Zolfo fosse qui» farfugliò lei.
Mercurio chiese all’oste un letto per lui e sua sorella. L’oste gli rispose che si era appena liberata una stanza. Aveva materassi di crusca e pochissimi pidocchi, gli assicurò.
Mercurio portò Benedetta al piano superiore, quasi a spalla. La ragazza, appena toccò il giaciglio, emise un sospiro di piacere e si addormentò di sasso. Mercurio si affacciò dalla finestrella della camera e guardò la piazza. Di fronte a lui il tendone azzurro del banco di pegni di Isaia Saraval sventolava appena.
Era quasi l’imbrunire quando Mercurio uscì, dopo aver sfilato dalla fusciacca di Benedetta il sacchetto con le monete d’oro, con cautela, per non svegliarla. Bighellonò per un poco nella piazza, poi, presa la sua decisione, entrò nel banco dei pegni.
Benedetta si era svegliata quando Mercurio aveva richiuso la porta per andarsene. Aveva la testa pesante per il vino, ma si accorse subito che non aveva più il denaro. Si alzò di scatto e guardò dalla finestrella. «Bastardo» imprecò. Si sciacquò la faccia con l’acqua della bacinella accanto al letto. Tornò a guardare dalla finestrella e vide Mercurio svoltare l’angolo della piazza e infilarsi in un vicolo. «Bastardo» ripeté mentre usciva di corsa dalla camera e si lanciava all’inseguimento.
Lo pedinò, senza farsi scoprire, nutrendo pensieri rancorosi e studiando tutti i modi possibili per ammazzare Mercurio il ladro. Peggio, il traditore. Ma rimase interdetta vedendo che si infilava con aria furtiva nel casolare di Anna del Mercato e poi ne usciva velocemente. Lo aspettò acquattata dietro un albero avvizzito e quando fu a pochi passi lo fronteggiò.
«Che ci fai qui?» disse Mercurio, con un’espressione sorpresa che Benedetta scambiò per colpevole.
«Dovrei chiederlo io a te.»
«Non ti riguarda.»
«Hai i miei soldi. Mi riguarda eccome.»
Mercurio cercò di superarla. Aveva fretta e modi loschi.
Benedetta non capiva. Gli bloccò la strada. In quel momento dal casolare si levò un urlo. Benedetta riconobbe la voce di Anna del Mercato. «Che cosa hai fatto?» chiese preoccupata.
Poi l’urlo si ripeté. Ma era di gioia, comprese Benedetta.
«Santa Vergine!» strillava Anna del Mercato. «La mia collana! La mia collana!» E poi la udirono piangere.
Mercurio spinse Benedetta dietro l’albero. Da lì videro Anna del Mercato che correva fuori dal casolare e guardava a destra e a sinistra. La donna si asciugò le lacrime, baciò la collana che stringeva in mano. «Dovunque tu sia, ti sei guadagnato il paradiso, ragazzo!» urlò.
«Che collana?» chiese Benedetta quando la donna fu rientrata nel casolare.
«Torniamo alla locanda» fece Mercurio.
«Ha a che fare con la storia del progetto?» domandò Benedetta.
«Non rompere e fatti gli affari tuoi.» Mercurio si avviò a passi veloci verso il centro di Mestre.
«Credevo che mi volessi lasciare» disse dopo un po’ Benedetta, arrancandogli dietro.
«Non essere così appiccicosa» rispose lui sgarbatamente.
Benedetta rise piano, di nascosto.