Capitolo 43

Patrick abbassò lo sguardo su Brabham e chiese: «Cos’hai combinato, Dan?».

«Avresti passato la cosa sotto silenzio, vero?»

«Avrei usato la cosa per tenere imbrigliato Harry Brabham e per mettere fine a tutto questo.» Fece un cenno alla stanza che li circondava, come se vi fosse contenuta l’intera operazione di Bill Brabham. «E poi, con il video reso pubblico… non so, chissà cosa potrebbe succedere ora.»

«Stai dicendo che potrei non essere al sicuro?»

«Francamente non ne ho idea. Io cercherò di proteggerti ed è probabile che ci riesca. Sto solo dicendo che rendere pubblico quel video rende tutto più instabile.» Fece un gesto verso Brabham come a dimostrarlo. «Perché lo hai fatto?»

«Per due motivi. Primo: Sabine Merel. È stata uccisa, Patrick, e la sua famiglia e i suoi amici hanno diritto di sapere cos’è successo e di ritrovare la pace, e meritano giustizia.»

«Sulla questione della giustizia non ci conterei troppo lo stesso. E se pensi che in questo modo ritroveranno la pace, ti stai prendendo in giro.»

«Forse, ma so che avrei voluto saperlo, se fosse stata mia figlia.»

Patrick parve accettare la cosa, quindi aggiunse: «Hai detto che c’erano due ragioni».

«Già, l’altra è Jack Redford. Non so che tipo di affinità mi leghi a quell’uomo, ma se ne stava lontano dal mondo a lavorare a questa cosa senza poter uscire dal suo nascondiglio, per cui non è mai stato in grado di rintracciare il video. Ho solo sentito che era giusto completare questo lavoro per lui. Non lo conoscevo, però ho sentito di doverglielo.»

Patrick ci pensò su un istante e non commentò in alcun modo, infine disse: «Be’, qualunque altra cosa succeda, hai portato a termine il lavoro che io ti avevo assegnato e te ne sono grato, anche se l’epilogo si è dimostrato un po’ eccessivo».

«Sei stato tu a darmi il loro indirizzo, avresti dovuto sapere che prima o poi sarei venuto a Berlino.»

«Certo, pensavo che li avresti spiati. Onestamente non avevo sospettato che saresti venuto a fare piazza pulita.» Ridacchiò e Dan fece lo stesso. «Cosa succederà adesso? A questo punto hai finito?»

«Non esattamente. Ho conosciuto un tale Eliot Carter, e mi ha dato i riferimenti di un tizio che si chiama Tom Crossley. Li conosci?»

«Ho conosciuto Eliot anni fa. Tom Crossley, no, mai sentito nominare. Che ruolo ha in questa cosa?»

«Erano amici. Carter pensa che possa sapere qualcosa di più sulla scomparsa di Redford. In ogni caso, lo spero. Come ho detto, non so perché, ma mi sono identificato con quell’uomo.»

«Davvero non lo sai? Non è perché guardi a lui e ti chiedi se non stai guardando il tuo futuro?»

«Forse.» Scese un breve silenzio, in sottofondo il perenne rumore della squadra di uomini che si aggirava per la casa, facendo tutto ciò che doveva essere fatto in quel tipo di situazione. «E tu? Qual è la tua prossima mossa?»

«Io vado avanti. Quando si saranno quietate un po’ le acque, potrei anche avere qualche lavoro per te se sarai interessato.»

Dan improvvisamente si rese conto di quanto fosse assurdo il fatto di chiacchierare in modo così pacato, circondati dai resti di tanta violenza.

Si alzò in piedi e disse: «Ne riparleremo, ma adesso andiamocene da qui». Si diressero verso la porta e uscirono sul ballatoio, da dove osservarono gli uomini che andavano e venivano nell’atrio sotto di loro. «In ogni caso, uno dei due che ho lasciato ammanettati a Charlottenburg, un informatico che si chiama Josh, potrebbe essere un’ottima risorsa per te, e credo che lascerà di buon grado la CIA se gli farai un’offerta.»

«Cerco di ricordarmelo. E l’altro?»

«Anche lei sarebbe un’ottima risorsa, ma non sono così convinto che voglia lasciare la CIA

«Capisco.» Scesero le scale, ignorati dalla maggior parte delle persone che li circondavano, alcune in abiti civili, altre con indosso la tuta mimetica. «Non avrei voluto che ammazzassi tanta gente. Ho avuto il sospetto che lo avresti fatto appena ti ho detto di Charlie, ma comunque…»

«Già. E, ironia della sorte, l’uomo che ha torturato Charlie non era nemmeno qui: ha preso un volo per gli Stati Uniti per operarsi a una gamba.»

«L’uomo a cui Charlie ha sparato nel bosco?»

«Proprio lui. Un certo Alex Robinson. E devo avvertirti, Patrick: non so se lavorerò ancora per te, o se incrocerò le spade con Frank Canale, ma se mai incontrerò Robinson, le cose possono finire solo in un modo.»

Patrick gli sorrise. «Quindi speriamo che tu non ti imbatta in lui.»

Attraversarono l’atrio e uscirono dalla porta principale, che era spalancata. Il giardino era ancora illuminato a giorno e ora la neve stava cadendo più fitta. I vari veicoli parcheggiati disordinatamente davanti alla casa erano tutti coperti da uno strato bianco.

Patrick si guardò intorno e per un istante Dan pensò che stesse per commentare la bellezza di quella vista, invece disse: «Accidenti, sono venuto insieme a Frank, che a quanto pare se n’è andato. Non so se tornerà indietro».

«Ti accompagno io. Ho rubato una delle loro auto, è parcheggiata qui fuori lungo la strada.»

«Oh. Grazie mille.» Percorsero il vialetto, uscirono dall’area illuminata e poi nella strada buia. «Ah, comunque gli svedesi sono molto contenti. Credo che potrò contare ancora sul loro aiuto in futuro. Non che preveda di averne bisogno.»

Dan pensò a Inger, desiderò chiamarla, imbarcarsi su un aereo quella notte stessa e atterrare a Stoccolma, diventare una nuova persona. Ma avrebbe dovuto aspettare ancora, come minimo qualche giorno.

«Immagino che tu non prevedessi di lavorare con loro neanche questa volta.»

«Questo è vero.» Fece qualche altro passo prima di aggiungere: «Devo dire una cosa su Jack Redford: ha proprio capito come scomparire».

Dan annuì e ancora una volta pensò al proprio futuro, al giorno in cui avrebbe dovuto fare lo stesso. Per quel che ne sapeva, quel giorno era arrivato, e con quel pensiero camminò accanto a Patrick White, tra la neve e le ombre.