Capitolo 8

All’aeroporto di Arlanda, Dan fu accolto da un certo Henrik Andresen, dei servizi segreti svedesi. Aveva una quarantina d’anni, ma ne dimostrava di più, e aveva l’aspetto di un professore delle superiori un po’ trasandato.

Si rivolse a Dan chiamandolo prima “signor Porter”, poi “David”. Saltarono i controlli della sicurezza e si diressero verso un piccolo ufficio vuoto che sembrava una saletta da interrogatori, dove Andresen gli portò caffè e brioche.

Rimasero lì dentro poco meno di un’ora. Andresen parlò soprattutto del tempo e di quanto freddo Dan potesse aspettarsi di trovare su nel Nord. Non fece alcun riferimento al lavoro né al ruolo di Dan.

Quando il successivo volo che doveva prendere fu pronto, Andresen ripeté le stesse gentilezze in ordine inverso. Poi, con un certo sollievo da parte di Dan, lo salutò, spiegandogli che nel Nord lo avrebbe accolto un altro collega.

Dan rimase seduto vicino al finestrino per tutta la durata del viaggio, più o meno un’ora: osservando l’apparentemente infinito paesaggio di laghi e foreste, gli fu chiaro perché qualcuno potesse scegliere la campagna svedese per nascondersi. Se non fosse stato per l’incidente, probabilmente nessuno avrebbe mai trovato Jacques Fillon.

Forse era quello che ci voleva anche a lui per assicurarsi un futuro, nel caso il piano di Patrick non avesse funzionato. Si immaginò di scomparire dalla faccia della terra come Fillon, ma non era sicuro di potercela fare.

Era vero che in un modo o nell’altro era stato irrintracciabile per la maggior parte della sua vita, ma era sempre stato in movimento, e non era molto convinto che sarebbe mai riuscito a stabilirsi permanentemente in un idilliaco paesaggio rurale.

Certo, non sapeva da cosa fuggisse Fillon, né che tipo di persona fosse stato. Forse era uno di quei solitari per natura, forse era un fanatico della caccia o del birdwatching, o magari aveva un qualche altro interesse che giustificava la sua decisione. O forse si era solo preso uno spavento tale da imporsi di accettare quella solitudine.

Quando Dan scese dall’aereo, trovò ad attenderlo una donna. Vestita casual, una bella bionda, fisico da sportiva, quasi fin troppo scandinava. Aveva sperato che fosse lì per accoglierlo non appena l’aveva individuata, e quando lei incontrò il suo sguardo e sorrise, dicendo: «Benvenuto a Luleå, signor Hendricks», lo considerò un bel colpo di fortuna.

Conosceva il suo vero nome, una cosa da non sottovalutare, e lui si fece da parte per lasciar passare gli altri passeggeri e rispose: «Grazie, ma chiamami Dan».

Gli strinse la mano e si presentò. «Inger Bengtsson, dei servizi di sicurezza. Conosco abbastanza bene Patrick White. Seguimi, prego.»

Si avviarono. Aveva il tono cantilenante tipico degli svedesi, ma apprezzava il suo modo di fare spiccio e concreto.

«Vivi qui, Inger?»

«No, sono venuta da Stoccolma con un altro volo.»

«Pensavo che per il Nord aveste un ufficio a Umeå.»

«È così.»

Sorrise, chiarendo così che non intendeva dargli altre spiegazioni, e questo gliela fece apprezzare ancora di più.

Una volta fuori, indicò un poliziotto in uniforme accanto a un’auto di pattuglia, e quando lo raggiunsero disse: «Ti presento Per Forsberg, della polizia di Luleå: è venuto a prenderci. Per, lui è Dan».

Dan non poté fare a meno di sorridere fra sé mentre stringeva la mano dell’uomo, perché lei lo aveva presentato come Dan, non come David Porter. Ecco cosa succedeva a fidarsi di Patrick White per la gestione della sua nuova identità.

Per caricò in auto la valigia di Dan accanto a quella di Inger, e uscirono dall’aeroporto.

Dan e Inger sedevano dietro. Guardando fuori dal finestrino, lui le chiese: «È lontano?».

«Direi circa quarantacinque minuti, forse un po’ di più. È la prima volta che ci vado.» Cominciò a chiedersi se i modi bruschi di Inger fossero in realtà meno amichevoli di quanto aveva pensato in un primo tempo: magari lei e i suoi colleghi erano risentiti a causa della pressione che Patrick doveva aver esercitato per fargli fare da babysitter a Dan in quel viaggio. Lei però gli sorrise e chiese: «E tu? Immagino che tu sia già stato in Svezia… ma sei mai stato così a nord?».

«A dire il vero è la prima volta che vengo in Svezia.»

Osservò la sua reazione, cercando di capire se sapeva che stava mentendo, ma lei si limitò a sorridere e disse: «Non sai cosa ti sei perso».

«Non ne dubito. Avrei dovuto farlo prima. Credo che il mio bisnonno paterno fosse svedese.»

«Non lo sapevo. Tuo padre è americano?»

«Lo era.»

«Certo, scusa. E tu hai la doppia cittadinanza, statunitense e britannica.»

«Hai fatto i compiti a casa.»

Lei non aveva voglia di fare giochetti, però sembrava sinceramente curiosa quando chiese: «Ti senti più americano o inglese?».

«Oh, metà e metà, e nessuno dei due. Non ho mai vissuto a lungo né negli Stati Uniti né in Gran Bretagna: ho trascorso l’infanzia alle Bermuda, in Svizzera e a Hong Kong, e ho frequentato scuole internazionali. Non appartengo a nessun posto in particolare.»

A quella descrizione lei annuì con aria affascinata, poi disse: «Forse era così anche per quell’uomo, quello su cui dobbiamo indagare. Sembra che abbia vissuto qui a lungo, ma non manca a nessuno. Nessuno ha ancora reclamato il suo corpo».

Dan non ci aveva pensato. Il corpo dell’uomo giaceva in un obitorio e probabilmente era destinato a riposare per sempre in un luogo ancora più anonimo e abbandonato di quello in cui un giorno sarebbe finito lui.

In quel momento, Per si inserì nella conversazione, e disse guardando nello specchietto retrovisore: «Se nessuno reclama il corpo, gli abitanti del paese vogliono seppellirlo. Ha salvato la vita alla ragazza».

Dan annuì, mettendo di nuovo a confronto il proprio posto nel mondo e quello di quell’uomo. Comunque fosse stata la vita di Jacques Fillon, almeno l’aveva conclusa facendo qualcosa di buono, un generoso atto di eroismo. Dal report che aveva letto, se avesse reagito con altrettanta prontezza, quel tizio avrebbe potuto mettersi in salvo, con la forza fisica che aveva dimostrato. Ma si era lanciato verso la persona più vicina e aveva preferito salvare lei.

Attraversarono Råneå, una graziosa cittadina con le strade costeggiate di betulle, che intrappolavano la luce del sole tra i loro rami e davano a quel luogo un’aria primaverile anche in ottobre.

«Che bel posto.» Nell’istante stesso in cui lo disse, però, pensò che i giovani sognassero solo di andarsene da lì, e che lui stesso in quel luogo sarebbe potuto impazzire con estrema facilità: il suo passato da nomade non gli avrebbe mai permesso di adattarsi a quel tipo di vita.

Come se gli avesse letto nel pensiero, Inger ribatté: «Sì, è tranquillo. Non ci sono veri e propri alberghi, in paese non c’è niente, ma qualcuno ci ha fornito una piccola baita che in estate è affittata dai turisti. Per un paio di giorni dovrebbe andare bene, e da lì possiamo raggiungere la casa della vittima a piedi, così non avremo sempre bisogno di Per».

Dan annuì e si perse nei suoi pensieri, immaginando di passare un paio di giorni nella baita con Inger. Si godette per qualche istante quella fantasia, notando sotto il maglione di lana d’agnello la sua corporatura snella e i seni piccoli, un fisico da ballerina classica.

Ma fu un attimo, prima di tornare alla realtà. Forse sarebbero dovuti restare lì un paio di notti e verosimilmente non ci sarebbe stato tempo per molti svaghi. Era abituato a dormire dappertutto, ma condividere la quotidianità con un’altra persona era una cosa diversa. Lei sembrava una piacevole compagnia, però avrebbero potuto restare a corto di argomenti di conversazione nel giro di un’ora o poco più.

Era attraente, su questo non c’erano dubbi. Ma anche nella remota possibilità che fosse interessata, doveva concentrarsi su Jacques Fillon, su chi fosse e per quale motivo era arrivato fin lassù, sulle ragioni per cui Brabham e i suoi uomini avevano manifestato interesse per lui.

In fin dei conti, Dan aveva accettato la conclusione di Patrick: le verità sepolte nel passato di Fillon potevano procurargli quel potere di contrattazione necessario per garantire la sua sicurezza. Per cui la cosa fondamentale era concentrarsi su quello. E poi, due giorni insieme in una baita potevano essere sì lo scenario ideale per ogni sua fantasia, ma dubitava che fosse lo stesso per Inger.