Capitolo otto

Ruger

«Grosso errore, cazzo», dichiarò Deke. Stava al centro della sala giochi al secondo piano dell’Armeria, circondato da ufficiali provenienti da ogni reparto dei Reapers. Di solito utilizzavano la cappella al piano di sotto, ma non c’era abbastanza spazio per tutti i fratelli ospiti. Questo gruppo comprendeva ufficiali dei reparti nazionali e locali, e qualunque decisione avessero preso sarebbe stata vincolante per l’intero club.

«Non possiamo fidarci di loro, lo sappiamo tutti», continuò Deke. «Che razza di coglione mette la testa dentro il cappio? Se lo facciamo, ci meritiamo tutto quello che succederà».

Picnic sospirò e scosse la testa. Ruger si appoggiò al muro alle sue spalle, chiedendosi per quanto tempo sarebbero tornati sugli stessi argomenti. Voleva darci un taglio con questa storia, perché dal mattino precedente era sempre più nervoso.

Sophie lo aveva messo alle corde.

Neanche il pompino che gli aveva fatto una delle troie del club lo aveva aiutato. Non si era neppure sbottonata i pantaloni che lui aveva già iniziato a pensare a Sophie e a Noah, ed era tutto finito. La sera scorsa si era circondato da trenta dei suoi migliori amici e fratelli, aveva ingollato più alcol di quanto ne reggesse, e bevuto fica gratis alla spina, ma era ancora annoiato a morte. Tutto ciò che voleva era tornare a casa, leggere una storia delle buonanotte a Noah, e poi scopare fino all’inverosimile con Sophie.

Picnic si spostò, il suono della sedia che grattava sul pavimento fece ritornare Ruger sulla terra.

Stavano discutendo da quasi due ore, e fino a quel momento nessuno aveva cambiato idea sulla tregua. La maggior parte degli uomini voleva provarci. Ruger era d’accordo con loro. Pensava che i Jacks fossero dei sacchi di merda viventi, ma almeno sapeva quanti erano. Capivano il loro stile di vita, e tutto ciò che ne derivava, ed erano pur sempre dei motociclisti. Non era pronto a battersi per uno dei Devil’s Jacks, ma farsi da parte e lasciare che combattessero al posto loro? Quello aveva senso.

Deke non era d’accordo.

E sostenne la sua posizione con veemenza.

«Qualcun altro vuole dire la sua?», chiese Shade. Il gigante con i capelli biondi a spazzola e una brutta cicatrice sulla faccia era il presidente nazionale, una posizione che ricopriva da meno di un anno. Ruger non lo conosceva granché, ma ne aveva sentito parlare bene. Shade viveva a Boise, anche se girava voce che intendesse trasferirsi più a nord.

«Ho io qualcosa da dire», annunciò Duck, sollevando quel suo corpo massiccio dal divano con una spinta. Con oltre sessant’anni di età, Duck era il membro più anziano di Coeur d’Alene. Uno dei membri più anziani di tutto il club, a dire la verità. Non era un ufficiale, ma nessuno era così stupido da dirgli che non poteva parlare. Ruger sapeva che qualsiasi cosa dicesse avrebbe potuto rappresentare il punto di svolta.

«Odio i Jacks. Sono dei succhiacazzi e dei coglioni, lo sappiamo tutti. Ecco perché mi rode tanto ammetterlo, ma penso che dovremmo dare una possibilità a questa storia della tregua».

Ruger inclinò la testa… non se l’aspettava. Era un veterano della guerra del Vietnam e un combattente dal primo giorno: Duck non era mai stato un messaggero di pace.

«Le cose stanno così», continuò Duck. «Quel coglioncello di Hunter ha qualcosa in mente. Siamo fatti della stessa pasta, quando serve. Conosciamo il vero significato della vita, ed è la libertà di andare in moto e vivere secondo le nostre regole. Ci siamo uniti a questo club perché non ce ne frega un cazzo dei cittadini e delle loro regole. Ho sempre preso ciò che volevo, quando lo volevo, senza scuse. Vivo da uomo libero. Ogni volta che infrango la legge è solo un danno collaterale».

Tutti i fratelli mormorarono in segno di assenso, persino Deke.

«Questi ragazzini che vogliono prendere il nostro territorio, però, non sono come noi», disse Duck, guardandosi intorno, fulminando tutti con lo sguardo, uno ad uno. «Non. Sono. Come. Noi. Non conoscono la libertà né hanno una ragione per vivere, a parte fare soldi. Si svegliano la mattina pensando a come infrangere la legge, e questo significa che è la legge a gestire le loro vite. Non ho paura di combattere, lo sapete tutti, ma perché combattere quando possiamo lasciare lo scontro ai Jacks? Vivi per guidare la moto, e guida la moto per vivere. Non sono solo parole, fratelli. Ogni cosa che si intromette fra la vita e la moto è una perdita di tempo, e un cartello è di sicuro una di queste».

Tutti gli uomini nella stanza fischiarono in segno di approvazione. Deke scosse la testa, e Ruger lo conosceva fin troppo bene per non aver capito che era incazzato. Era stato battuto, e Deke non era abituato a perdere. E Toke? Stava praticamente vibrando da quanto era incazzato. Almeno aveva tenuto la bocca chiusa – ragazzi giovani come lui non avevano diritto a parlare in queste assemblee.

«La pagheremo cara questa decisione», disse il presidente di Portland. «Ma abbiamo trovato un compromesso. Non c’è motivo per continuare a parlarne a questo punto. Votiamo e facciamola finita».

«Qualcuno ha qualche problema a riguardo?», chiese Shade. Ruger lanciò un’occhiata a Toke, preoccupato. Nessuno parlò. «D’accordo, allora. Tutti a favore?».

Un coro di “sì” riecheggiò nella stanza, che conteneva una quarantina uomini.

«Contrari?».

Solo sei si opposero, quattro da Portland e due da Idaho Falls. Non c’era da sorprendersi che anche Toke fosse uno di loro. Che sfortuna, pensò Ruger, visto che era proprio nella loro città che si trovava Hunter. Non che gliene fregasse un cazzo di quell’uomo, ma gli piaceva più di tutti i Jacks che aveva mai incontrato. Quello che gli aveva raccontato del cartello aveva perfettamente senso: era un problema enorme, con cui avrebbero dovuto fare i conti prima o poi. Ruger non voleva la loro merda nel suo territorio, e neanche i suoi fratelli. Avrebbero potuto tranquillamente lasciare che fossero i Jacks a fare da carne da macello.

«Ci saranno dei problemi?», chiese Shade a Deke in maniera brusca.

«Se non ci mettono i bastoni tra le ruote, non ce ne saranno», disse Deke dopo una pausa. «Giusto o sbagliato, siamo Reapers. Restiamo uniti».

«Questa te l’appoggio, fratello», replicò Shade.

«Le ragazze hanno lavorato duramente per prepararci da mangiare», disse Picnic, alzandosi per rivolgersi ai presenti in stanza. «Il maiale non sarà pronto per almeno un’altra ora, ma i fusti sono attaccati. Grazie a tutti di essere venuti qui. Siamo sempre felici di avere la vostra compagnia. Reapers per sempre, per sempre Reapers!».

«Reapers per sempre, per sempre Reapers!», riecheggiò per la stanza, facendo tremare le finestre. Toke non sembrava felice, ma Ruger sapeva che aveva fatto la sua parte. Gli uomini rimasero a parlare, qualcuno di loro andò di sotto alla festa, altri restarono a gruppetti.

«Posso parlarti?», chiese Picnic a Ruger prima che potesse fuggire. Si fermò, voltandosi verso il suo presidente.

«Che c’è?», chiese.

«Em ha ancora la sbornia questa mattina», disse Pic, con sguardo inquisitorio. «E la tua ragazza?»

«Non è la mia ragazza», ruggì Ruger. «E non ne ho idea, non sono tornato a casa ieri sera».

«Davvero?», chiese Picnic, alzando un sopracciglio. «È perché avevi da fare qui o perché la situazione a casa è bella incasinata? Em sembra propendere per la seconda. Potrebbe creare problemi al club?»

«Certo che Em ha la lingua lunga», disse Ruger, socchiudendo gli occhi.

«Em non ha ancora capito che non può prendere in giro il suo paparino quando è ubriaca», disse Picnic. «Per me è utile. Sembra pensare che tu voglia fare di questa ragazza la tua proprietà. Dice che le hai detto di non parlare con gli altri ragazzi. Che storia è?»

«Non sono sicuro siano affari tuoi», rispose Ruger, sempre più teso. «Sophie è al corrente della situazione, e lo sono anche io. Questo basta».

«Grandioso, basta che non ci siano fraintendimenti», disse Picnic. «Se lei è tua, va bene. Non lo è? Ci sono tanti ragazzi qui oggi, ragazzi che di solito non sono nei paraggi. Non potresti spiegare la situazione anche a loro, come l’hai spiegata a me?»

«Non ci saranno problemi», ripeté Ruger, con tono di voce deciso. «Ho già chiarito le cose con lei, e sa quello che deve fare».

Picnic lo guardò con aria pensierosa.

«Mandala a casa», disse. «Portala durante le feste di famiglia, fa un passo alla volta. Vedi come va. Questo la sta facendo correre troppo e ti si ritorcerà contro».

«Spaventarla, è questo che intendi?», chiese Ruger. «Questa potrebbe essere l’idea migliore. Non so cosa diavolo voglio da lei…».

«Vuoi scopartela», disse Picnic con franchezza. «Lo capisci quando ti viene duro, lo sapevi? Probabilmente è troppo difficile per te da capire, visto che la maggior parte del tempo ti stai facendo una sega, ma alla maggior parte degli uomini piace infilare il cazzo…».

«Chiudi quella cazzo di bocca», disse Ruger, domandandosi se fosse una mossa sbagliata sbeffeggiare il presidente davanti a così tanti testimoni. Probabilmente lo era. Ma forse ne valeva la pena.

Picnic rise.

«Quindi la mandi a casa?», chiese.

Ruger scosse la testa. «Se la mando a casa, vince lei», disse.

Picnic alzò un sopracciglio. «Dove siamo, alle scuole medie? Sei tu l’uomo, faglielo capire».

Ruger fece un respiro profondo, sforzandosi di mantenere il controllo. Aveva bisogno di una bella scazzottata o roba del genere, un modo per disperdere la tensione. Ci sarebbe stato un incontro di pugilato dopo. Quello sarebbe stato d’aiuto… almeno sperava.

«Se glielo faccio capire, vince lei», ammise alla fine, accigliandosi e passandosi una mano tra i capelli. «È questo il problema. Ha creduto alle mie stronzate e non posso tirarmene fuori a parole. Se la lascio andare via, è come se dicessi che aveva ragione sulla pericolosità del club e della cattiva influenza che esercita su Noah. Per non parlare del fatto che mi farebbe passare come una femminuccia del cazzo, perché non posso sopportare di averla accanto».

«Uno, sei un imbecille», disse Picnic. «Due, ha ragione. Il club è pericoloso se una donna non è occupata, specialmente stasera».

«Questo lo so», disse Ruger. «Ecco perché la proteggerò. Hai una cura per l’imbecillità, invece? Quella parte mi fa rodere parecchio il culo, devo ammetterlo».

«No», disse Pic, dando una pacca sulla spalla a Ruger. «Ma conosco qualcosa che ti farà sentire meglio».

«E sarebbe?»

«Un panino con il maiale arrosto», rispose Pic. «Della birra. Poi – se sei intelligente, e non vorrei esagerare dato che stiamo parlando di te – porta la tua ragazza da qualche parte e scopatela finché non riesce più a camminare dritta. Potrebbe averla vinta, ma chi se ne frega, perché da qui a breve avrà il tuo pisello in bocca. E io penso che quello faccia miracoli».

«Sei veramente un coglione».

«Me lo dicono spesso».

Sophie

Il giorno seguente avevo una sbornia terribile, ma non avevo molta voglia di ricominciare a bere. Probabilmente era meglio così. Nonostante le parole dure incoraggiate dai fumi dell’alcol, non volevo davvero creare problemi alla festa. Quel pomeriggio cercai l’indirizzo su Google, poi guidai fino all’Armeria, dopo aver lasciato Noah da Kimber. Aveva finito per passare la notte sul mio divano, svegliandosi in condizioni davvero pietose.

Ebbi il sospetto che fosse rimasta a letto per circa cinque minuti prima di portare giù i bambini.

Mi sentivo nervosa mentre mi avviavo verso la festa. La sede del club dei Reapers era a due miglia di autostrada, verso la fine di una vecchia statale. Superai un gruppo di quattro moto dirette sull’autostrada, guidate da uomini vestiti in modo simile a Ruger. Tatuaggi, jeans, stivali, e gilet di pelle nera. Bisacce laterali.

Non avevano l’aria di essere dei semplici campeggiatori.

Rimasi sorpresa dall’edificio. Non mi aspettavo che la descrizione dell’Armeria fosse così letterale, perché questo era, giuro su Dio, un edificio della Guardia nazionale riconvertito. Era alto tre piani, con i muri costruiti per resistere all’urto di carri armati, e un giardino interno con un cancello abbastanza grande da farci passare un grosso camion.

C’erano già un bel po’ di persone. Tanti ragazzi, tutti con indosso i loro colori distintivi. Sulle toppe inferiori erano indicati i diversi Stati o città di provenienza, ma il simbolo dei Reapers e il nome in cima erano gli stessi.

Come mi aspettavo, c’erano parecchie moto, ma anche varie macchine, la maggior parte delle quali erano state parcheggiate in uno spazio acciottolato a fianco. Un ragazzo più giovane che indossava uno smanicato senza molte pezze mi fece cenno di avvicinarmi, quindi parcheggiai vicino a una piccola Honda rossa. Quattro ragazze che avevano chiaramente bevuto un po’ uscirono dall’edificio. Erano giovani, mezze nude, e pronte a fare festa. L’altra sera avevo notato che le donne del club non avevano paura a mostrare il corpo – Dancer indossava con stile un paio di jeans attillati e un top scoperto sulla schiena – ma le signore dei Reapers avevano in un certo senso un aspetto più di classe e molto più sicuro di sé rispetto alle altre.

Era questione di carattere? Avevo l’impressione che queste ragazze fossero a caccia di uomini, e che non avessero proprio intenzione di fare le schizzinose.

Mi ignorarono completamente, ridacchiando e facendosi foto con i telefoni. Non avevo attirato la loro attenzione, ed era deprimente ma allo stesso tempo un bel sollievo. Non che mi importasse del mio aspetto: indossavo una maglietta semplice, i miei soliti shorts e un paio di infradito. Nonostante la litigata con Ruger del mattino precedente (per non parlare dell’animosità che mi aveva suscitato il Margarita ieri sera), volevo davvero mantenere un profilo basso.

Non ero sicura di cosa aspettarmi da una festa dei Reapers ma pensavo avrei fatto meglio a rimanere con le ragazze.

Mandai un messaggio a Ruger per fargli sapere che stavo arrivando. Lui rispose ricordandomi la nostra conversazione, e quasi mi fece venire voglia di cambiarmi vestiti per sembrare un po’ più troia e dargli fastidio. Poi tornai con i piedi per terra. Non volevo certo assistere a Ruger che perdeva le staffe, non importava quanta soddisfazione mi avrebbe dato sfidarlo.

Sfidarlo? Cristo, quanti anni avevo?

Mandai anche un messaggio a Maggs, Em, Dancer, e Marie. Dissero di andare direttamente sul retro, dove stavano sistemando il cibo su un tavolo all’aperto. Mi avevano chiesto di fermarmi a comprare delle altre patatine, quindi per strada mi ero fermata da Walmart.

Ora mi accodavo alla brigata di troie, con i loro capelloni, il trucco pesante e i vestiti microscopici, che mi faceva da copertura mentre camminavamo verso il grosso cancello nel cortile. C’erano un paio di ragazzi fuori, che ovviamente controllavano l’entrata. Lo stormo flirtò con loro e poi proseguì. Probabilmente sembravo una vecchia a confronto, mi resi conto con una vena di tristezza. Un po’ di lucidalabbra non mi avrebbe certo fatto male. A quanto pareva le giganti borse della spesa piene di patatine fecero la loro figura, perché gli uomini mi accolsero con un certo entusiasmo.

Avere sex appeal conta, ma non esiste niente come il cibo per conquistare il cuore di un uomo.

«Sono la quasi cognata di Ruger», dissi a uno dei ragazzi, che mi fece passare con un cenno. Seguii lo stretto viale che si estendeva lungo l’edificio finché non raggiunsi il cortile sul retro: un ampio spazio all’aperto che era un misto tra un parcheggio e un prato. Della musica a tutto volume rimbombava attraverso enormi casse, e delle montagne ricoperte di sempreverdi ci circondavano da tutti i lati. Era un posto davvero splendido – più carino di quanto mi aspettassi.

Un gruppo ben nutrito di bambini scorrazzava tra gruppi di adulti e facevano a turno per giocare su un’altalena chiaramente fatta in casa, completa di fortino in cima. C’erano uomini ovunque, molti più uomini che donne, anche se un altro gruppo di ragazze mi seguì. Immaginai che gli uomini fossero lì già da prima e ora stavano arrivando il resto degli ospiti.

Di Ruger non c’era traccia. Intravidi una fila di lunghi tavoli pieghevoli vicino al muro sul retro, ricoperta da una serie di tovaglie diverse tra loro. Su un lato c’era un affumicatore nero a forma di barile, grosso quasi come la mia macchina, montato su una roulotte. Il fumo si diffondeva e l’odore di maiale arrosto riempiva l’aria.

«Sophie!», mi urlò Marie, facendomi cenno con la mano verso uno dei tavoli. Mi mossi rapida verso di lei, cercando di non fissare nessuno, ma era difficile. I ragazzi avevano quasi tutti un’aria spaventosa. Voglio dire, alcuni di loro erano abbastanza normali, immagino, ma in qualche modo più rozzi. Avevano la pelle abbronzata e le barbe di una lunghezza eccessiva. Altri avevano un aspetto meno normale. Vidi molti tatuaggi e piercing, e molte poche magliette, anche se sembrava che indossassero tutti dei gilet di pelle. Erano tutti Reapers e apparivano di buon umore.

Notai che alcuni dei ragazzini indossavano dei piccoli gilet. Non erano veri, ma creati per gioco allo scopo di copiare i padri. Merda. Sapendo quanto ero fortunata, Noah mi avrebbe implorato di comprargliene uno se li avesse visti. Avevo fatto bene a non portarlo con me.

«Vuoi una mano con le buste?», chiese un uomo. Aprii la bocca per rifiutare, poi alzai lo sguardo e mi resi conto che era Horse. Sorrisi, sollevata di conoscere qualcuno oltre alle ragazze che avevo incontrato solo la sera prima.

«Sì, grazie», dissi. «Ho conosciuto Marie. È fantastica».

«Grazie al cazzo», rispose, regalandomi un sorriso da stella del cinema. Cavolo, era proprio bello. «Vale ogni centesimo che mi è costata».

Quella frase mi lasciò interdetta. Mi bloccai, chiedendomi se fosse serio. Non sembrava stesse scherzando.

«Vieni?», chiese, guardandomi a sua volta. Mi ricomposi e ricominciai a camminare. Cosa diavolo intendeva con quelle parole?

«Sophie!», urlò Em, intravedendomi da dietro a uno dei tavoli. Si precipitò verso di me per darmi un grosso abbraccio.

«Sono così contenta che usciamo il prossimo fine settimana», mi sussurrò all’orecchio. Ho parlato con Liam questa mattina, e ci incontreremo di persona, ed è emozionatissimo. Grazie mille!».

«È fantastico!», risposi, tirandomi indietro per guardarla. Era così carina questo pomeriggio, l’eccitazione nei suoi occhi la faceva brillare e risplendere. «Ricorda però, dobbiamo agire in sicurezza. Non dirgli dove vivi o niente del genere. Lo controlleremo, e se è un viscido, lo scarichiamo».

Em rise.

«In realtà rivelargli il mio indirizzo sarebbe perfettamente sicuro», rispose. «Ricordi con chi vivo? Casa nostra è una fortezza. A proposito, volevo presentarti mio padre».

Mi prese per mano e mi trascinò lungo il cortile in direzione del grosso barbecue nero. C’erano vari uomini intorno che bevevano da bicchieri rossi di plastica. Appena mi avvicinai si voltarono, squadrandomi apertamente. Chiaro, la sottigliezza non era una caratteristica molto apprezzata qui all’Armeria.

«TI presento mio padre, Picnic», disse Em, facendo un passo avanti per avvolgere un braccio attorno all’uomo più vicino a noi. Lui la strinse a sé, regalandole un sorriso compiaciuto. Era alto e molto ben piazzato. Aveva gli stessi occhi azzurri e penetranti della figlia e doveva tagliarsi i capelli da almeno due mesi. Si vedeva che era più vecchio per via delle rughe intorno agli occhi, ma i capelli erano spruzzati di grigio solo all’altezza delle tempie. E il corpo? Carino. Il padre di Em era bello per essere anziano.

Certo, non glielo direi mai: chi vuole sentirsi dire che suo padre è un figo?

L’aspetto più affascinante di Picnic, tuttavia, era l’atteggiamento da uomo al comando, mescolato a un’aria vagamente minacciosa. Avrei detto che era il presidente del club anche senza vedere la toppa sullo smanicato.

Non c’era da stupirsi che i ragazzi avessero paura di chiedere alla figlia di uscire.

«Papà, ti presento Sophie», continuò Em. «Lei e Ruger.. .ehm, alla fine cosa siete?»

«Sarei sua cognata, più o meno», risposi, sorridendo imbarazzata. «Suo fratellastro Zach è il padre di mio figlio».

«Mi ha detto che eri tornata in città», disse Picnic. Dal suo volto non traspariva alcuna emozione, e non capivo se fosse contento di avermi conosciuta o infastidito perché mi ero imbucata alla festa.

«Loro sono Slide e Gage», continuò Em, facendo cenno verso gli altri uomini.

«Piacere di conoscervi», dissi. Slide era un tizio basso di mezza età con un accenno di pancia e una barba non ancora del tutto bianca, ma quasi. Non sembrava troppo vecchio nonostante i capelli bianchi, quindi magari era solo uno di quelli che invecchiano precocemente. Aveva un che di Babbo Natale. Be’, se Babbo Natale indossasse jeans strappati e avesse un coltello legato alla cintura.

Gage era un altro bel bocconcino. Aveva i capelli scuri, così scuri da essere quasi neri, e aveva una pelle abbastanza dorata da indurmi a pensare che i suoi antenati non fossero dei visi pallidi. Forse era latinoamericano o indiano. Poiché a volte Dio è gentile e premuroso, Gage non indossava la maglietta, offrendomi uno scorcio del suo petto nudo, che era scolpito proprio come quello di Ruger. Aveva meno tatuaggi, però. Il suo smanicato aveva una piccola toppa sotto il nome che diceva Sgt. at Arms, che mi sorprese. Forse non mi aspettavo che i motociclisti avessero così tanti ufficiali e roba del genere. Sembrava tutto così… organizzato?

Non solo quello, ovviamente dovevano anche superare un test di figaggine minima per unirsi al gruppo.

«Sei la donna di Ruger?», chiese, rompendo l’incantesimo in cui ero caduta. Arrossii, sperando che la mia espressione non tradisse i miei pensieri più sconci. La smorfia sul suo viso non era molto confortante.

«Ehm, no», dissi, lanciando un’occhiata a Em. Lei sogghignò. «Ma ci fa stare nel suo seminterrato. Ho un figlio di sette anni. Non ci trovavamo bene nella nostra vecchia casa di Seattle».

Quello era l’eufemismo dell’anno, sicuro.

«Dov’è il bambino?», chiese, guardandosi intorno.

«È con la babysitter», dissi. «Questa è la prima volta che vengo a un evento del club, e diciamo che volevo controllare com’era la situazione prima di portarlo con me».

Picnic alzò un sopracciglio, e mi resi conto che probabilmente li avevo insultati.

«E poi, ho sentito che alle feste fate molto tardi», aggiunsi subito. «Non volevo andarmene proprio quando iniziava il divertimento. Un’amica si è offerta di tenerlo d’occhio, quindi eccomi qua».

Em mi sorrise e io feci un sospiro di sollievo. D’accordo, a quanto pareva il mio salvataggio in extremis aveva funzionato.

«Be’, se ti annoi vieni a cercarmi», disse Gage, regalandomi un sorriso seducente. «Sarei felice di mostrarti il posto, e magari più tardi ci facciamo un giro in moto».

«Ehm, grazie», risposi, con il monito di Ruger che mi ronzava in testa. Gage era carino, ma nonostante non riconoscessi a Ruger il diritto di darmi ordini, non volevo neanche mettermi a litigare di brutto con lui. «Sono molto felice di conoscere tutti voi. Ora è meglio che vada a cercare Marie e Dancer. Voglio assicurarmi che non abbiano bisogno di aiuto a sistemare o cose così».

«Vengo con te», disse Em, sollevandosi in punta di piedi per dare a Picnic un bacio sulla guancia. Per quanto si fosse lamentata di lui, si vedeva che adorava quell’uomo. Provai un pizzico di gelosia. Perfino prima di cacciarmi di casa, i miei genitori non erano il tipo di persone a cui ti avvicinavi per baciarle.

No, non in casa Williams. Ero devastata quando dissero che non volevano avere niente a che fare con una figlia che consideravano una puttana, figuriamoci con il suo bastardo. Ora mi resi conto che stavo meglio senza di loro. Le conoscenze di Noah potevano non essere molte, ma tutti provavano per lui un amore incondizionato, e non avevano paura di dimostrarlo.

I miei genitori non meritavano di vedere il loro nipote.

Trovammo Marie, Dancer, e Maggs che sistemavano una montagna di cibo sui tavoli, ridendo e dandosi il cinque con aria gioiosa mentre i ragazzi cercavano di rubare qualche morso prima che fosse pronto.

«Grazie per aver preso le patatine», disse Maggs. Notai che tutte e tre le donne indossavano gilet di pelle nera.

«Non avevi detto che solo i ragazzi potevano essere membri del club?», chiesi, facendo cenno verso di loro.

«Oh, questi non sono gli smanicati del club», disse Dancer. «Guarda».

Si voltò e vidi una toppa sulla schiena che diceva “Proprietà di Bam Bam”, insieme a un simbolo dei Reapers. Sgranai gli occhi.

«Non pensavo che la storia della proprietà venisse presa così… alla lettera…».

«I ragazzi hanno i loro colori e noi abbiamo i nostri», disse Maggs. «I civili non lo capiscono, ma ogni toppa ha un significato. I ragazzi sventolano i loro colori perché sono orgogliosi del club, ma anche i loro smanicati hanno delle storie da raccontare. Si capiscono molte cose di una persona dalle toppe che indossa. È come un linguaggio. Ognuno sa da che parte sta l’altro».

«L’aspetto più importante della toppa che indica la proprietà è che sei totalmente coperta», aggiunse Dancer. «Nessun uomo mi toccherà mai, non importa quanto sia ubriaco e diventi stupido a fine serata. Non mi preoccupo qui alla sede del club, ma andiamo a dei raduni in cui sono presenti centinaia, se non addirittura migliaia di motociclisti. Chi conosce almeno le basi del mondo MC guarda questa e sa che non c’è da scherzare».

«Già», disse Em. «Sei fai lo stronzo con la proprietà di un Reaper, devi essere pronto ad ammazzare tutti i membri del club».

«Uh», esclamai, cercando di sembrare poco interessata. Amavo l’idea di essere protetta come chiunque altro, ma c’era qualcosa che mi metteva a disagio in quelle donne che sceglievano di definirsi “proprietà” di un uomo. Forse alcuni tratti di Zach e del suo essere possessivo. Ma Maggs e le altre non sembravano sentirsi così oppresse.

Gettai un’occhiata intorno a me, cercando di capire quante donne stessero iniziando a riempire il cortile. Solo alcune di loro indossavano le toppe che indicavano la proprietà.

«E le altre?», chiesi. Em fece spallucce.

«Non sono importanti», disse in modo schietto. «Alcune di loro sono sciacquette e troie del club, sono spesso presenti e i ragazzi le condividono. Alcune di loro sono solo delle ragazze a caso che cercando un’avventura da brivido. Ma nessuna di loro conta davvero, non se paragonata a noi. Sono solo dei bersagli facili».

«Bersagli facili?»

«Fica gratis», disse Maggs, con tono di voce perentorio. «Quelle sono qui solo per fare festa, e se siamo fortunate, ci aiuteranno a dare una pulita. Se rompono le palle a qualcuno, vengono sbattute fuori. La buona notizia è che sanno stare al loro posto. La metà di queste ragazze comunque lavora al The Line».

«E io?», chiesi, snervata. «Non ho una toppa».

«Ecco perché rimarrai con noi», disse Dancer, facendosi seria. «Nonostante la stronzaggine generale, su una cosa ha ragione Ruger. È meglio che non fai la gatta morta con i fratelli. Non provarci con nessuno a meno che tu non abbia intenzione di andare fino in fondo. E per la miseria, non andare in Armeria con nessuno, specialmente al piano di sopra. Succede di tutto lì. Meglio che tu non ne faccia parte, fidati».

«Cristo, così la spaventi», disse Em, accigliandosi. «Vedila in questo modo: andresti a qualsiasi festa o in un bar senza prendere le dovute precauzioni? Bevi solo dai drink che hai versato tu stessa, o quelli che ti diamo noi. Sei mai stata a una festa di una confraternita? Pensala in questo modo: papà, Horse, Ruger e Bam Bam sono sicuri. Non allontanarti con qualcuno che non conosci, però. Rimani nelle zone comuni. Agisci secondo il tuo buon senso e starai bene».

Ooookay.

«Ehi, la buona notizia è che prima ho visto Buck», aggiunse Em. «Lui è il gestore del The Line. A un certo punto te lo farò conoscere, puoi chiedergli quel lavoro da cameriera. Non sono per niente d’accordo se fai la spogliarellista, ma la cameriera è un lavoretto decente».

«Tu ci lavoreresti?», le chiesi. Em scoppiò a ridere, e insieme a lei anche Maggs e Dancer.

«Mio padre mi ucciderebbe pur di non farmi lavorare al The Line», disse dopo aver preso fiato. «O forse gli scoppierebbe la testa? Sta ancora cercando di convincermi che non dovrei lavorare affatto. Gli piacerebbe tanto che restassi a casa e la tirassi a lucido, magari facendo anche qualche opera di carità a tempo perso. Non ha ancora deciso di raggiungerci in questo secolo».

Pensai a quell’uomo forte e possente che avevo appena conosciuto e a cui ero stata costretta a sorridere. Ce lo vedevo proprio ad essere così iperprotettivo.

«Non vuole dei nipotini, prima o poi?», chiesi. «C’è una via di mezzo, sai».

«Non credo pensi così in grande», rispose Em con una risatina.

Il fischio di un fuoco d’artificio che veniva sparato sovrastò le chiacchiere, e alzammo tutti lo sguardo al cielo per assistere a un’esplosione di rosso, bianco e blu sopra il cortile.

«Non è illegale?», chiesi, con gli occhi sgranati.

«Non preoccupartene», mi disse Dancer. «Siamo così lontani dalla civiltà che non frega a nessuno. E se così non fosse, chiamerebbero il dipartimento dello sceriffo, e abbiamo un bel rapporto con lui».

«I Reapers vanno d’accordo con la polizia?», chiesi, sbalordita.

«Non tutti», disse Dancer. «Ma lo sceriffo è una brava persona. Quello che molti non capiscono è che c’è sempre una banda rivale che cerca di trasferirsi in zona. Lo sceriffo non riesce a tenergli testa. Anche se li conosce, non può fare un cazzo senza prove. I Reapers aiutano a tenere sotto controllo questi problemi, a loro modo. È un accordo vantaggioso per entrambe le parti, non c’è dubbio. I poliziotti di città sono un’altra storia, però. Loro ci odiano».

Venne sparato un altro razzo, e questo esplose con un bagliore potentissimo e un botto. Non era ancora buio, ma la luce si stava attenuando quanto bastava per impedirmi di vedere. Quando smisi di sbattere le palpebre, vidi Ruger che mi guardava dall’altra parte del cortile.

«Eccolo lì», mormorai a Maggs. «Non lo vedo dal nostro piccolo litigio. Pensi che dovrei andare da lui?»

«Sì», disse. «Prima o poi lo dovrai affrontare. Ricorda le parole che ci siamo dette: se chiarisci tutto, e lui non sta al gioco, vattene. Hai delle alternative. Sempre».