Capitolo nove
L’espressione di Ruger era totalmente imperscrutabile mentre mi avvicinavo, e per un piccolo orribile secondo pensai che non volesse parlarmi.
«Ehi», esclamai, con i nervi tesi. Vederlo avrebbe dovuto farmi incazzare o addirittura spaventarmi. Il mio corpo però sembrava non aver recepito il messaggio, perché stare vicino a lui mi faceva più che altro eccitare. Credo che in parte fosse dovuto al suo profumo: niente mi faceva impazzire più di quella nota di sudore e del deodorante maschile. Si era tolto la maglietta, rimanendo solo in jeans, stivali e smanicato. La sua abbronzatura mi diceva che aveva trascorso tutta l’estate così.
Poi scorsi la pantera tatuata che spariva all’interno dei pantaloni e, non dico cazzate, mi fece girare un po’ la testa. Tutto quel flusso di sangue nelle parti basse, capito?
«Ehi», disse. Alzai la testa per guardarlo in faccia, e ricordai per l’ennesima volta quanto fosse fisicamente più imponente di me. «Allora, ce ne stiamo qui a cazzeggiare o andiamo dritti al punto?»
«Ehm… non sono proprio sicura di aver capito», ammisi, ancora priva di equilibrio. Che razza di donna sarebbe ancora in grado di prestare attenzione, davanti a un fisico come quello? Ruger grugnì, esasperato.
«Seguirai le mie regole stasera?», chiese. «Sennò, devi mettere il culo in macchina e andartene».
«Seguirò le regole», dissi lentamente, con lo sguardo fisso sul suo mento. Non si era rasato quella mattina, lasciando quel poco di barbetta incolta da far bruciare la pelle di una ragazza. «A una condizione».
Alzò un sopracciglio, chiaramente scettico.
«E quale sarebbe?»
«Devi dirmi perché sei così possessivo», dissi, parlando in maniera schietta. Le ragazze avevano ragione. O stava con me o niente, ma in un modo o nell’altro avrei assunto io il controllo della situazione. «È perché sei geloso e mi vuoi tutta per te, o perché i Reapers sono troppo pericolosi?».
Mi studiò per un momento, con aria pensierosa. Poi sembrò giungere a una sorta di decisione.
«Andiamo», mi disse, e non era un invito. Mi afferrò la mano e mi trascinò in maniera un po’ brusca per il cortile, verso la grande officina costruita a ridosso del muro sul retro. Era chiusa su tre lati mentre la parte anteriore era esposta agli elementi, quasi come un enorme posto auto coperto. Metà edificio conteneva moto, ognuna in un diverso stato di riparazione, molte delle quali sembravano poco più che telai. Nella parte posteriore erano allineati dei banconi, e alle pareti era appeso ogni tipo di attrezzo, tra cui un enorme trapano verticale, una mola, e altri che non riuscivo a identificare. Sul tetto era stato installato un carrello, con un montacarichi appeso.
L’altro lato dell’edificio era occupato da un camioncino e un vecchio furgone. I banconi si estendevano fino a quell’area, lungo la quale c’erano dei ganci con appesi altri attrezzi. Ruger mi spinse tra il furgoncino e il muro più lontano. Nonostante la festa continuasse a una trentina di metri da noi, ci sentivamo completamente isolati. Pensai a quando mi avevano avvertita di non andare da nessuna parte.
Valeva anche per Ruger?
Il mio istinto mi diceva che non ero al sicuro con lui in quel momento… Non a livello fisico, ovviamente. Non avrei mai lasciato che mi picchiasse. Ma ero abbastanza sicura che mi sarei pentita di essere venuta qui con lui.
Non che mi avesse dato molta scelta.
Ruger alzò le mani, afferrandomi la faccia e studiandomi da vicino. Si leccò le labbra, attirando di nuovo il mio sguardo su quel suo anello, invadendo sempre di più il mio spazio, spingendomi verso il furgone. Mi fece perdere l’equilibrio, e inciampai. Ruger allungò un braccio e mi afferrò il culo, sollevandomi con decisione e tenendomi contro il veicolo, le mie parti intime premevano contro le sue, e il mio seno si appiattiva contro il suo petto. Gli cinsi il collo e le mie gambe si aggrapparono alla sua vita per non perdere l’equilibrio.
«Vuoi davvero che risponda alla tua domanda?», chiese Ruger, con un tono di voce basso e deciso.
«O vuoi andartene dalla festa finché sei ancora in tempo?».
Avrei dovuto andarmene.
Lo sapevo. Ma il suo cazzo era già duro su di me e ogni goccia di sangue che avevo in corpo iniziò a fluire in basso, lontano dal cervello. L’istinto di sopravvivenza si arrese al piacere animalesco.
«Voglio sentire la risposta», sussurrai. Ruger sorrise, e non era un sorriso gentile. Era famelico e totalmente senza scrupoli, proprio come lui.
«Sono geloso, cazzo», disse, con voce rauca. «Non ci sono abituato, ma è la verità. Non mi piace molto l’idea che un altro uomo ti tocchi quel culetto delizioso, e se uno di loro cerca di infilare l’uccello in quella splendida passerina, glielo taglio. E, Soph?».
Ripresi fiato.
«Sì?», risposi, con migliaia di pensieri che mi si affollavano nella mente. Come mi sentivo a riguardo? Cosa avrei dovuto dire? Le ragazze mi avevano detto di spiegargli quali erano le regole e rimanere ferma sulle mie posizioni. Ma quello sguardo negli occhi di Ruger… quella non era la faccia di un uomo che era interessato a rispettare i limiti.
Chi stavo prendendo in giro? In quel momento non mi ricordavo neanche quali fossero i limiti.
«Sono serissimo», continuò, piegando la testa verso il basso, odorandomi. Sentii una scarica elettrica percorrermi tutto il corpo, giù, fino alle punte dei piedi. «Se ti tocca un altro uomo, gli taglio il cazzo e glielo faccio mangiare. Non è una minaccia, è una promessa. E se ti scopi qualcun altro? È morto, Soph. Quattro anni fa ho commesso due gravi errori. Non sono riuscito a proteggerti da Zach – e lo rimpiangerò per il resto della mia vita. E poi, visto che mi sentivo in colpa da morire, ho fatto la cosa giusta e ti ho lasciato andare».
Chiusi gli occhi.
«Non voglio parlarne».
«Ultime notizie, Soph», sussurrò. «Mi sa che era ora che ne parlassimo, cazzo, perché tra noi c’è questa cosa in sospeso e sono stanco di fingere che non sia successo niente».
Iniziai a contorcermi, cercando di liberarmi. Tutto mi urlava di fuggire, perché lui mi avrebbe portato in un brutto posto.
«Ferma», ordinò Ruger, con voce severa. Continuai a contorcermi, così lui spinse con più forza verso di me, costringendomi a stare ferma. «Dobbiamo affrontarlo, Soph. Facciamoci i conti e andiamo avanti, perché ora per te le cose cambieranno. Il mio errore non è stato toccarti quella sera, e di sicuro non era farti venire. L’errore è stato farlo senza prima togliere di mezzo Zach. Se l’avessi saputo… perché non me l’hai detto?
«Davvero, davvero, non voglio parlarne», dissi con un sibilo, cercando di ignorare il suo dolce alito nel mio orecchio, il cazzo duro in tutta la lunghezza che premeva contro di me. Avevo i capezzoli turgidi e tutto il corpo che mi urlava di aprirmi a lui, ma nel profondo della mente incombevano delle nuvole oscure e una sensazione di paura che minacciava di scatenarsi ad ogni parola.
«Avrei dovuto ammazzarlo per quello che ti ha fatto», disse Ruger, con gli occhi pieni di rimorso e frustrazione. «Ma poi è andato in carcere e non volevo dare un dolore simile a mia madre, quindi l’ho lasciato vivere. Te ne sei andata e da quel momento ho provato solo odio per me stesso. Non posso tornare indietro nel tempo, ma mi gioco le palle che non farò lo stesso errore due volte. Questa volta non te ne andrai, Soph».
Feci un respiro profondo, cercando di calmare i miei ormoni quanto bastava per pensare. Poi ebbi l’illuminazione. Avrei dovuto dirgli la verità. Se non era abbastanza da convincerlo che questa era una causa persa, niente avrebbe funzionato.
«La colpa è mia», dissi, con quella familiare ondata di disgusto per me stessa che si abbatteva su di me.
«Tesoro, non è stata colpa tua se Zach ti ha picchiato a sangue», disse Ruger, con tono di voce freddo come il ghiaccio.
«No», dissi, guardandolo dritto negli occhi. «Certo che è stata colpa mia, Ruger. L’avevo pianificato. Quando hai iniziato a baciarmi – e a toccarmi – sapevo che Zach stava venendo a casa. Mi aveva mandato un messaggio, voleva assicurarsi che fosse pronto da mangiare al suo arrivo. Sapevo che ci avrebbe beccato. Era così geloso di te, Ruger. Lo faceva impazzire. Sapevo che se ci avesse beccato insieme, avrebbe perso la testa. Volevo che mi colpisse forte, perché non riuscivo a mettere fine alla nostra storia».
Ruger inalò rapidamente.
«Di che cazzo stai parlando?»
«Zach mi doveva lasciare dei lividi», sussurrai. «Ero sempre terrorizzata a morte, Ruger. Non sapevo mai cosa avrebbe fatto. Alcuni giorni lui era fantastico e le cose andavano bene, come nel periodo prima di avere Noah. Poi abbassavo la guardia e lui si scagliava contro di me. Ho cercato di chiamare la polizia, ma lui non lasciava mai segni, quindi non avrebbero fatto niente. Mi ha detto che mi avrebbe uccisa se lo avessi lasciato».
Ruger fece un lungo respiro irregolare, e si fece scuro in volto.
«Quando sei venuto quel giorno, ho sfruttato la mia occasione», ammisi, disgustata da me stessa. «Questa tensione – piacere, o come diavolo vuoi chiamarlo – c’è sempre stata tra di noi, anche in passato. La sentivo ogni volta che ti vedevo. E tu eri così buono con Noah, mi venivi sempre a trovare, mi aggiustavi la macchina o ci tagliavi il prato. Io ti portavo da bere e tu mi guardavi come se volessi sbattermi per terra e scoparmi fino a farmi urlare. E sai cosa? Volevo che lo facessi. Quindi ho lasciato che succedesse».
Ruger scoppiò in una sinistra e dura risata che non aveva niente a che vedere con l’umorismo.
«Sì, piccola, mi ricordo quella parte», disse. «Anche se non ci siamo mai concentrati sul piacere, perché Zach è piombato in casa. Davvero mi stai dicendo che era tutto preparato?»
«Mi dispiace tantissimo», sussurrai, con gli occhi che mi si riempivano di lacrime. «Sapevo che vederci insieme lo avrebbe mandato ai pazzi. Sapevo che avrebbe perso la testa. Noah era al sicuro a casa di tua madre. Quindi ho lasciato che ci scoprisse e che voi due vi azzuffaste. Tu sei andato via, lui è andato via, e io ho aspettato che tornasse e mi punisse, come sempre. Ma questa volta era abbastanza motivato per lasciarmi dei segni: me ne ero assicurata. Gli ho detto quanto tu fossi meglio di lui. Gli ho detto che ti scopavo da sempre. Per un momento ho pensato che potesse uccidermi, e sai cosa? Ne sarebbe valsa la pena, solo per farla finita. Il resto lo sai. Lo hanno arrestato, ho ottenuto l’ordine restrittivo, e io e Noah siamo stati finalmente liberi».
Ruger strizzò gli occhi mentre l’emozione si faceva largo sul suo volto. Rabbia. Sdegno. Disgusto? Per un secondo pensai potesse farmi male sul serio. Sembrava così arrabbiato.
No, mi resi conto. Era quella la differenza tra Ruger e Zach. Avevano entrambi un caratteraccio, ma Ruger? Ruger non mi avrebbe mai fatto del male.
Mai. In nessun caso.
«Ti ha messo le mani addosso», sussurrò. «Sei quasi morta, Soph. Perché non me l’hai detto? Lo avrei fatto fuori per te, cazzo. Non dovevi lasciare che le cose prendessero quella brutta piega. Avresti dovuto dirmelo la prima volta che ti ha fatto del male. Non potevo crederci che succedesse una cosa del genere, ed ero troppo stupido per accorgermene, cazzo».
«Perché è tuo fratello!», gli dissi, con le lacrime che mi scorrevano lungo il viso. «Tua madre gli voleva bene, Ruger. Ciò che ha fatto l’ha quasi distrutta. Se avessi perso la testa e lo avessi attaccato, saresti in galera adesso, e tua madre sarebbe morta triste e sola. Che razza di stronza odiosa sarei se lo avessi permesso?»
«Saresti potuta andare in uno di quei posti per donne», disse, scuotendo la testa. «Non capisco, Sophie».
Scoppiai in una brusca risata.
«È chiaro che non ti entra in testa: era la sua parola contro la mia», dissi, desiderando che comprendesse. «Non avevo prove, niente. Certo, sarei potuta andare in una di quelle case accoglienza, ma lui avrebbe sempre avuto il diritto di venire a trovare Noah, forse anche di procedere per vie legali per la custodia. Pensi che avrei corso il rischio di lasciare mio figlio da solo con Zach? Nessuno ha potuto aiutarmi finché non ha esagerato, quindi ho lasciato che succedesse. Non sono un’idiota. Una donna che viene controllata da un uomo non riesce a ricevere uno straccio d’aiuto, a meno che non abbia le prove».
«Quelli non erano soltanto lividi», disse Ruger. «Tre costole rotte e un polmone perforato non sono lividi. E perché cazzo pensi che sarei andato in galera, eh? Guardami Soph. Pensi sia il tipo che viene sbattuto al fresco quando non ne ha bisogno? Zach sarebbe sparito e basta. Puf. Problema risolto. Ti sfido a guardarmi negli occhi e dirmi se c’è un cazzo di motivo per cui un uomo come Zachary Barrett dovrebbe ancora respirare, perché io sono a corto di idee. Lo stavo quasi per far ammazzare quando era in cella, ma poi ho pensato che un morto non è in grado di pagare gli alimenti a suo figlio».
Ansimai, con gli occhi spalancati.
«Sei serio?», sussurrai.
«Sì, Sophie», disse, ed ebbi l’impressione che fosse stanco. «Dico sul serio. Cristo, io sono la prima persona al mondo che Noah ha visto. L’ho preso con queste mani sul ciglio della strada, piccola, e poi ha aperto quegli occhietti e mi ha guardato. Fin dal primo giorno, posso dire con una certezza disarmante che non esiste niente – niente, cazzo – su questa terra che non farei per proteggere lui o te. Per quanto tempo?»
«Che cosa?»
«Per quanto tempo Zach ti ha fatto del male prima di quella sera?».
Scossi la testa, distogliendo lo sguardo, cercando di pensare.
«Non è stato un grosso problema», dissi infine. «Non all’inizio, almeno. Mi urlava contro, facendomi sentire una merda. Poi ha iniziato a farlo davanti a Noah».
Il corpo di Ruger si irrigidì completamente e la mascella si contrasse in modo spasmodico. Gli fissai il mento e feci qualche passo in avanti.
«Dovevo pur fare qualcosa, Ruger. Non potevo lasciare che mio figlio crescesse in quel modo. E poi sei venuto a dare una mano con lo scaldabagno. Ho continuato a guardarti e un po’ sono morta dentro, perché sapevo di essere prigioniera del fratello sbagliato. Poi mi hai guardato di nuovo e da lì ho capito tutto».
«Che mi prenda un colpo», mormorò Ruger, appoggiando la fronte contro la mia. Ero ancora abbracciata a lui, con la schiena contro il furgone, intrappolata fra le sue braccia e il suo profumo. «Non finisci mai di stupirmi, eh?»
«Vuoi che me ne vada dal tuo seminterrato?».
Ruger si tirò indietro, aggrottando la fronte.
«Ti ho appena detto che ucciderò chiunque ti tocchi, e pensi ancora che io voglia che te ne vada?»
«Questo è stato prima che ti dicessi quello che ho fatto. Ti ho usato».
«Rispondi a questa domanda: in tutta sincerità», disse lentamente.
Io annuii.
«Era tutto vero? Ieri, quando ti ho baciata, quando ti ho succhiato le tette e ti ho scopato con la mano? E quando ti sono saltato addosso quattro anni fa a e hai urlato il mio nome? Prima che Zach ci trovasse e tutto andasse a rotoli. Era una messinscena?»
«No», sussurrai. «A parte Noah, quello è l’unico periodo di quegli anni che voglio ricordare, perché è stato bellissimo, Ruger. Qualunque altra cosa sia successa, tu mi hai regalato qualcosa di sensazionale».
«Be’, che mi prenda un colpo», mormorò. Sentii le sue mani stringersi sul mio sedere, i suoi fianchi che si inclinavano più saldamente nei miei, a tal punto da sentirmi travolta da spasmi di desiderio. Mi sentivo al sicuro tra le sue braccia allora, e provavo la stessa sensazione di sicurezza anche adesso.
Fu in quel momento che capii. Quello che provavo per Ruger non era semplice desiderio.
Era amore. Lo amavo da anni.
Strinsi le braccia intorno al suo collo, alzandomi per sfiorare le mie labbra sulle sue. Lui non reagì, quindi sfiorai di nuovo le sue labbra, succhiando quello inferiore con la bocca e mordicchiandolo.
Questo mio gesto lo fece impazzire.
Alzò una mano, aggrovigliando le dita tra i miei capelli e serrandomi la bocca in un lungo bacio appassionato, con la lingua che mi puniva in un misto di rabbia e desiderio. Qualunque cosa stesse pensando, non potevo biasimarlo, perché mi ero approfittata di lui e avevo sbagliato. Gli strinsi le braccia intorno al collo e provai a muovere i fianchi, bramando la sensazione del suo cazzo che si sfregava contro il mio clitoride. All’improvviso si fermò, tirandosi indietro e guardandomi, con gli occhi che bruciavano di piacere intenso.
«Hai commesso un grave errore, piccola».
Sgranai gli occhi. Il mio corpo soffriva per lui, la ruvida pelle del suo smanicato era una tortura quando mi toccava i capezzoli. Ogni parte di me desiderava ardentemente un suo tocco, il che spiegava perché il mio cervello avesse quasi smesso di funzionare.
«Ci sono molti modi in cui potrei interpretarlo», dissi con dolcezza.
«Hai appena ammesso di essere mia», rispose lentamente. «Mi sono chiesto se fosse lecito prenderti con me – se dovessi prenderti con me. Continuo a pensare a Noah e se è giusto per lui, ma ora capisco che nulla ha più importanza, perché sei già mia. Lo sei sempre stata, ma non me ne rendevo conto».
«Ho lavorato duramente per farmi una vita. Io non appartengo a nessuno».
«Con quanti uomini hai scopato?», chiese senza mezzi termini.
«Come, scusa?»
«Rispondi alla mia domanda», mi intimò. «Quanti uomini ti sei scopata? Quanti cazzi ci sono stati nella tua fica?»
«Questi non sono…».
«Ora sarebbe un ottimo momento per rispondere, piccola», disse, sfregandosi sfacciatamente contro di me. «Visto che sono io quello che comanda qui. Questo è il mio club. Posso fare il cazzo che voglio, mi pareranno sempre il culo. Non provocarmi».
Trattenni il fiato.
«Non mi farai del male».
«No, non ti farò del male. Rispondi alla mia cazzo di domanda».
«Sono andata a letto con tre uomini», dissi. «Zach, un ragazzo di Olympia, e un altro a Seattle».
«E com’è stato?»
«Cosa intendi?»
«Ti hanno fatto venire? Li hai mollati tu o ti hanno mollato loro?»
«Li ho mollati io», dissi lentamente.
«Questo è perché mi appartieni», disse Ruger, con lo sguardo che si riempiva di soddisfazione. «Abbiamo cazzeggiato, perso tempo e non saprai mai quanto mi dispiace per Zach. Ma ora basta. Sei mia, Soph, ed è ora che lo ammettiamo. Lo farò sapere al club e la pianteremo con queste stronzate».
«Mi stai chiedendo di essere la tua ragazza?», chiesi. «Perché non credo sia cambiato niente. Non possiamo permetterci di impegnarci sentimentalmente per poi mandare tutto all’aria. Noah merita di meglio».
«Non te lo sto chiedendo», disse, sfregando deliberatamente i suoi fianchi contro i miei. Emisi un gemito ad alta voce. Che diavolo aveva quest’uomo da farmi sentire così legata a lui? Forse avevo una sorta di retaggio culturale primitivo innato, ed ero attratta da un uomo abbastanza forte da prendersi cura di mio figlio…
«Te lo sto dicendo», continuò. «Sei di mia proprietà, piccola. Mi prenderò cura di te e di Noah. Tu ti prenderai cura di me. Ma solo un cazzo entra in quella fica – il mio – e fine della discussione. Capito?».
Lo guardai sbattendo le palpebre, confusa.
«Pensavo non stessi cercando una storia seria».
«Sto cercando di prendermi cura di te e Noah», disse. «Nessuno di noi vuole rovinare la sua vita. Ma sai cosa? Sono perfetto per Noah. È un dato di fatto. I ragazzi hanno bisogno di uomini nella loro vita e io adoro da morire quel ragazzino. Siamo sempre stati legati l’uno all’altro e ora, che lo vogliamo o no, siamo usciti allo scoperto».
«Non voglio essere la tua puttana», mormorai. Ruger grugnì, con uno sguardo divertito.
«Credimi, non dedico così tanto tempo e impegno alle troie», disse, con voce mesta. «Le troie non valgono niente. Sarai la mia signora, la mia proprietà. So che questo è tutto nuovo per te, ma nel mio mondo è un affare serio».
Rimuginai su quella frase nella mia testa, impresa ardua, perché Ruger si chinò e iniziò a baciarmi il collo, sollevandomi in modo da poterci arrivare. Non fu invadente, duro e brutale come al solito… No, questa volta era lento e seducente, e poi iniziò a succhiare con delicatezza e io volevo piangere, era così bello. Mi dimenavo contro di lui, i miei fianchi alla disperata ricerca di stimoli sempre più forti, ma lui non me lo concesse. Mi mordicchiò il mento piuttosto, prima di trovare nuovi punti del mio collo da succhiare e addentare.
Sentii la musica della festa in sottofondo, le persone che ridevano e parlavano, ma sembrava che qui, nella fredda oscurità dell’officina, vivessimo in un mondo a parte tutto nostro. Ruger mi circondò con il suo odore e la sua forza, e con quell’energia pura e vibrante che lo rendeva un uomo in grado di sconvolgere i miei sensi.
Nessuno mi colpiva come lui.
Mi trascinò via dal furgone, portandomi in officina senza distogliere l’attenzione dal mio collo. Mi ritrovai sdraiata sul bancone dietro il camioncino, con il corpo di Ruger che mi sovrastava. Con le mani gli strinsi la testa, mentre lui mi baciava sulla gola, fermandosi qualche secondo per succhiare, toccandomi con le dita in mezzo alle gambe, per massaggiarmi lentamente su e giù lungo l’interno coscia.
Avevo indossato una maglietta nera con lo scollo a V, che si rivelò una barriera poco efficace contro i suoi attacchi. Ruger mi tirò su la maglietta e aprì il gancetto davanti del mio reggiseno con una velocità preoccupante. Poi mi succhiò il capezzolo con la bocca – la pallina di metallo duro che aveva sulla lingua mi faceva quasi male – e inarcai la schiena sollevandola dal bancone.
La mano che aveva tra le gambe mi aprì la cerniera dei pantaloni e mi sollevò i fianchi quanto bastava per sfilarmi anche le mutandine. Sentii il freddo metallo del bancone sul culo scoperto, mentre Ruger sfregava le sue dita ruvide lungo il clitoride.
«Porca puttana, che bello», mormorai, cercando di riflettere su tutto ciò che Ruger mi aveva detto. Non erano questi i piani, proprio no. Per prima cosa, analizzare e condividere il fardello che mi portavo dietro per colpa di Zach non era nei miei programmi. Né adesso, né mai. Le ragazze mi avevano detto di affrontare direttamente Ruger, di esporre le mie esigenze e poi di difendermi.
Invece mi aveva dato degli ordini e io mi ero sciolta in una maledetta pozzanghera su una panchina sporca di un’officina.
E se entrasse qualcuno mentre siamo qui?
Aprii la bocca per protestare, ma nello stesso momento Ruger si staccò dal mio seno, infilando le dita dentro di me con forza. Si mise in ginocchio e le sue labbra trovarono il mio clitoride, e il mio cervello andò in cortocircuito.
La sua lingua sfiorò il mio punto più sensibile, stuzzicandomi con la peccaminosa combinazione della sua lingua morbida e quella pallina di metallo duro. La bocca continuava a succhiare e io fui quasi sul punto di perdere ogni controllo. Poi premette con il dito in profondità, trovando quel punto perfetto sulla mia parete interna, provocando fremiti che tormentavano il mio corpo. Manteneva una pressione costante, sfregando avanti e indietro mentre la sua lingua lenta mi faceva impazzire.
Quindi Ruger si allontanò di qualche passo e mi disse: «Gioca con le tette».
Non pensai nemmeno di discutere.
Gemetti e allungai una mano, afferrando i capezzoli e facendoli roteare tra le dita, strizzando e tirando come aveva fatto lui il mattino prima. Quella volta gli avevo resistito: avevo messo Noah al primo posto, perché qualsiasi relazione tra me e Ruger si sarebbe rivelata un disastro e le conseguenze avrebbero potuto lasciarci di nuovo senza una casa.
Questa volta non fui abbastanza forte per dire di no.
Ogni donna poteva contare su una piccola dose di autocontrollo prima di sciogliersi. Io avevo ufficialmente esaurito il mio. Quelle sue dita, che sfregavano sul mio punto G, esercitando una strana, terribile pressione su di me dall’interno… Quella lingua che guizzava con la sua pallina dura… La forza delle sue spalle mentre sostenevano le mie ginocchia…
Volevo dimenarmi, prenderlo a calci e a spinte. Invece, Ruger usò la sua mano libera per tenerla premuta sul mio stomaco, controllandomi. Per tre volte mi portò sul punto di avere un orgasmo, da perfetto sadico, e lo odiai quando si allontanò per riprendere fiato. Poi udii delle voci in lontananza e la realtà schiarì la mia mente annebbiata.
C’era gente in giro, molta gente.
Persone che potevano entrare in officina in qualsiasi momento. Non c’era nemmeno una porta. Aprii la bocca per dire a Ruger che dovevamo fermarci, ma lui scelse quell’istante esatto per risucchiarmi di nuovo, forte, infilandomi le dita in profondità. Invece di protestare, sentii la mia schiena inarcarsi mentre ebbi un profondo orgasmo esplosivo, facendo del mio meglio per non urlare, con risultati discutibili.
Ruger si alzò lentamente tra le mie gambe, facendomi scorrere le mani lungo il corpo, dal seno alle cosce, gli occhi pieni di inquietante soddisfazione. Rimasi sdraiata lì, quasi stordita quando lui si chinò e mi prese le mani. Le tirò a sé e le tenne strette sopra la mia testa, sfilandosi la cintura e avvolgendomela rapidamente intorno ai polsi, che fissò a qualcosa alle mie spalle.
L’intero processo durò circa trenta secondi: Ruger era un po’ troppo abile nel legare qualcuno, cosa che non mi fece sentire a mio agio. Strattonai la cinta con i polsi, accorgendomi che non si trattava solo di uno spettacolo. Ero sua prigioniera. Completamente. Sgranai gli occhi. Ruger mi regalò un sorriso duro e feroce.
«Sì, ora sei mia», mormorò. «E non verrai finché non te lo dico io».
Udii altre voci, girando la testa per cercarle. Erano in officina? Aprii la bocca per protestare, ma Ruger si avvicinò, tappandomela con un dito.
«Non ci provare, Soph», disse, con un tono di voce basso e spietato. Allungò le mani verso il basso e sentii la punta del suo cazzo sfregarsi su e giù sul clitoride, con ritmo lento e letale. Porca puttana. Kimber non aveva mentito: c’era sicuramente qualcosa di metallo laggiù ed era fantastico, cazzo.
Visto che ero già venuta, era facile pensare che Ruger fosse più in forma me. Invece divenni ipersensibile. Le sue dita mi avevano dato una bella sensazione, ma non erano nulla paragonate al suo cazzo che scivolava lungo il mio clitoride. Mi stuzzicò finché non mi ritrovai sul punto di perdere la testa, gli occhi fissi sul montacarichi che pendeva dal soffitto. Poi si chinò, succhiando il mio capezzolo così forte che quasi mi fece male, e mi esplosero i sensi. Provai a muovere le mie parti basse sul suo cazzo, ma lui mi teneva inchiodata e immobile.
«Non vieni finché non te lo dico io», ripeté, liberandomi il capezzolo, dandogli una rapida leccata. «Intesi?»
Annuii.
«Guardami», mi chiese Ruger. Lo feci, e scorsi sul suo volto un’inquietante espressione soddisfatta. Fece scivolare di nuovo il suo cazzo su e giù lungo il clitoride, una, due, tre volte. A ogni movimento ero sempre più bagnata e giuro che non riuscivo a ricordare perché mi fossi opposta a tutto questo.
Poi appoggiò il cazzo in mezzo alle mie gambe e lo spinse dentro.